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Autore: Alley    06/10/2017    1 recensioni
“Vento Grigio.”
Un nodo gli stringe la gola e, all’inizio, non riesce ad identificarne la causa; un istante dopo, la presa di coscienza lo investe, secca e fredda come un colpo di scure, fornendogli la risposta.
Vento Grigio è morto.
È morto e la sua testa è stata cucita sul collo di---
“Mi sbagliavo, quindi.” Jon solleva il capo con uno scatto, il cuore che gli schizza in gola come un proiettile sparato a tutta velocità. Negli occhi chiari che lo scrutano, può scorgere lo stesso stupore esterrefatto che avverte dentro, seppur nascosto dietro ad una maschera di leggerezza forzata. Ha sempre conosciuto Robb abbastanza a fondo da riuscire a cogliere le emozioni che cerca di celare. “Non sei vestito di nero.”

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Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Catelyn Tully, Jon Snow, Robb Stark, Vento grigio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Incest
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Premessa: l'avvertimento what if? è dovuto sia al fatto che, dopo la sua morte, Jon si ritrova catapultato in un universo alternativo sia alla variante per cui, al termine della quinta stagione, è già a conoscenza della verità sulle sue origini.


















È come trovarsi al centro di un vortice, ostaggio di un turbinio che assorbe la realtà circostante, restituendola distorta ed offuscata: il mondo tutt’intorno è ridotto ad un’eco indistinta e inafferrabile.

Nel caos fatto di trambusto e confusione, Jon distingue finalmente una sensazione: una striscia di umido che si spande lungo il dorso della mano.

Si aggrappa a quel punto fermo, al senso di familiarità che gli suscita: abbassa lo sguardo e, nel farlo, incontra il muso di un gigantesco cane lupo intento a leccarlo.

“Vento Grigio.”

Un nodo gli stringe la gola e, all’inizio, non riesce ad identificarne la causa; un istante dopo, la presa di coscienza lo investe, secca e fredda come un colpo di scure, fornendogli la risposta.

Vento Grigio è morto.

È morto e la sua testa è stata cucita sul collo di--

“Mi sbagliavo, quindi.” Jon solleva il capo con uno scatto, il cuore che gli schizza in gola come un proiettile sparato a tutta velocità. Negli occhi chiari che lo scrutano, può scorgere lo stesso stupore esterrefatto che avverte dentro, seppur nascosto dietro ad una maschera di leggerezza forzata. Ha sempre conosciuto Robb abbastanza a fondo da riuscire a cogliere le emozioni che cerca di celare. “Non sei vestito di nero.”

*

A delimitare gli spazi, al posto delle imponenti mura di roccia a cui Jon è abituato, ci sono sottili pareti bianche che per degli assalitori sarebbe fin troppo facile abbattere.

Evidentemente, qui non si è sottoposti a quel genere di pericoli.

Jon non ha idea del luogo a cui quel qui corrisponda. Sa soltanto che non ha nulla di ciò che si è lasciato alle spalle quando—

Il ricordo riaffiora all’improvviso, come avvenuto per la morte di Vento Grigio, ed è accompagnato da una sensazione di gelo simile a quella provata quando il suo corpo è crollato sul manto di neve che ricopriva la terra.

Istintivamente, Jon si porta una mano al petto, incontrando la stoffa della maglia che indossa. Non ci sono ferite a squarciarla né sangue a ricoprirla nei punti in cui sono affondate le lame di quelli che credeva suoi compagni.  

“Che ci fai qui?” domanda Robb, riportandolo al presente “La vita al Confine non era abbastanza entusiasmante?”

Jon decide di astenersi dal porre domande. Se lasciasse emergere le discrepanze tra la sua storia e quella che questo Robb sembra conoscere, gli dovrebbe delle spiegazioni che lui non è pronto a dare nè l’altro a ricevere. “Sono successe delle--- cose” si limita a dire, vago.

“Sono curioso di sentirle.” Sotto l’apparente calma di cui Robb riveste le sue parole, Jon riesce a percepire uno strato d’altro – una durezza in cui vibra qualcosa di simile al risentimento.

“È una lunga storia.”

“Immagino. Cinque anni sono parecchi da riepilogare.”

“Cinque anni?”

Adesso, Jon può vedere quel qualcosa riflesso anche negli occhi di Robb, nell’ombra scura che cala ad oscurarglieli. “Sono cinque anni che sei partito.”

*

La porta che cigola, passi che si levano sempre più vicini: la sequenza di rumori porta Jon a distogliere lo sguardo da Robb e a rivolgerlo alla soglia.

Catelyn è irta nel riquadro formato dagli stipiti, postura e lineamenti rigidi, duri come pietra. Sotto la maschera di marmo che ostenta, Jon può intravedere la serie di emozioni che si avvicendano; nessuna di esse è positiva.

Dopo averlo fissato a lungo, Catelyn si volta per incontrare gli occhi di Robb. Lui si limita a guardarla di rimando. Tra madre e figlio avviene una conversazione silenziosa totalmente inaccessibile a Jon; malgrado non possa prendervi parte né ascoltarla è sicuro di esserne l’oggetto e che, di conseguenza, le posizioni espresse non siano concordi.

Quando Cat gli lancia un’altra occhiata impassibile, Jon si convince che stia per dire qualcosa; alla fine, invece, se ne va senza proferire parola.

La ferita che le ha inferto è qualcosa che nessun tempo e nessun luogo possono sanare.

*

Robb lo conduce in una stanza che gli presenta come sua. Ha le pareti tinte di un azzurro pallido e smunto e l’aria stantia lascia intuire che sia inutilizzata da anni. Il letto è ricoperto soltanto da un lenzuolo e non ci sono effetti personali sparsi in giro.

A Jon salta all’occhio un rettangolo di carta appeso sopra la scrivania di legno incassata contro il muro: è ricoperto da un sottile strato di polvere e ritrae lui e Robb poco più che bambini con Spettro e Vento Grigio accucciati ai loro piedi. Per qualche motivo, è quello a farlo capitolare.

“Jon?” Robb lo chiama per attirare la sua attenzione “Va tutto bene?”

Jon non sa come affrontare tutto--- quello. Semplicemente, non ha idea di come farlo.

Vorrebbe toccare Robb per fugare ogni dubbio sul fatto che sia reale – per quello, soltanto per quello, non per i motivi a causa dei quali ha nutrito lo stesso desiderio in passato.

L’altro Robb – il suo Robb – era sempre stato in grado di suscitarglielo, di fargli formicolare le dita e immettergli una smania incontrollata nel petto. La cosa lo ha fatto sentire sbagliato più di quanto non facessero gli sguardi pieni d’odio di Catelyn.

“Mi guardi come se fossi un fantasma.”

Jon ha passato la vita a combattere quell’impulso. Adesso, però, non riesce a reprimerlo. “Posso abbracciarti?”

La preoccupazione stampata negli occhi di Robb si dissolve, sciogliendosi in qualcosa di più dolce – qualcosa che a Jon ricorda terribilmente il modo in cui era solito guardarlo quand’ancora i loro sguardi potevano incrociarsi, prima che la fine avesse inizio. “Non hai bisogno del permesso.”
 
*

Nella fotografia che appare sul riquadro rettangolare, Arya indossa una tunica bianca stretta in vita da una spessa striscia di stoffa. “Ha passato l’esame per la cintura nera la settimana scorsa” spiega Robb, gli occhi fissi sul piccolo schermo e un sorriso morbido sulle labbra “Adesso è fuori per un torneo. Dovresti vederla combattere. È spaventosa.”

Con un semplice tocco, l’immagine viene sostituita da una in cui Sansa e Arya sfoggiano due linguacce gemelle. Sembrano complici come Jon non le ha mai viste e, soprattutto, sembrano felici. “Sansa si è trasferita per il college. Torna a casa per l’Estate.”

“Bran e Rickon?”

“In campeggio.”

Dai racconti di Robb, tutti sembrano esserlo.

La consapevolezza suscita in Jon una strana sensazione, una specie di nostalgia per qualcosa che, nel suo mondo, è destinato a non poter mai essere. 

“Indovina un po’? Robert ha scoperto di avere un figlio. Un altro.”

Jon accoglie la notizia aggrottando la fronte. “Robert sta bene?”

“Non ancora per molto, se continua a bere come una spugna.” Robb ripone nella tasca dei pantaloni l’aggeggio in cui sono stipate le immagini di famiglia, poi riprende a parlare. “Si chiama Gendry e lavorava in un’officina. Gli somiglia così tanto che non ci sarebbe stato bisogno del test del DNA per provare la parentela. All’inizio è stata dura, lui ha la nostra età ed è cresciuto senza nessuno, ma stanno recuperando. Adesso frequenta anche casa nostra. Detto tra noi, credo che lui ed Arya si stiano--- simpatici.”

Jon non riesce a reprimere un moto di sorpresa: quando ha detto addio a sua sorella, lei era soltanto una bambina. Trattiene l’osservazione, ricordando a se stesso che la Arya di questo mondo non lo è più – nemmeno quella del suo lo sarebbe, se fosse ancora viva.

Scaccia il pensiero e si obbliga a concentrarsi su quel che ha appena appreso. Malgrado non si tratti della sua Arya, non può fare a meno di sperare che il ragazzo di cui Robb parla sia in grado di renderla felice.

D’altronde, nemmeno quello che ha davanti è il suo Robb: appartiene ad un mondo nuovo e sconosciuto, vive in una casa che non è la loro, cova un rancore di cui non riesce ad individuare l’origine.

Eppure è così uguale a quello con cui è cresciuto. Così dolorosamente uguale – ed è vivo, e a Jon basta quello per scendere a patti con il resto.

*

C’è un nome, un solo nome che Robb non ha gli ha ancora menzionato.

Jon lo sente aleggiare tra di loro come un fantasma la cui presenza è nota ad entrambi, ma che nessuno dei due ha il coraggio di rilevare a voce alta.

Tutte le volte che prova a tirarlo fuori, quel nome gli resta incastrato in gola o relegato sulle labbra. Alla fine, però, riesce a pronunciarlo, in una domanda carica di paure ad apprensione. “Papà?”

Jon lo coglie, il fremito che percorre l’espressione di Robb, lo vede distorcerla per un istante impercettibile prima di scomparire.

“Vieni. Andiamo a fargli visita.” Robb si infila un mazzo di chiavi in tasca e gli dà le spalle, diretto verso l'ingresso. “Il cimitero è vicino.”

*

Robb l’ha chiamata automobile; è una sorta di carrozza di metallo che non ha bisogno di cavalli per venir trainata.

La aziona infilando la chiave in una toppa e schiacciando i pedali posti ai suoi piedi, le impone la direzione manovrando un oggetto circolare posto all’altezza del suo petto.

Oltre il vetro che dà sull’esterno, un caleidoscopio di cose sconosciute si sussegue come un panorama in movimento. Jon le guarda scivolare via una dietro l’altra, ma la sua mente, in realtà, è altrove.

“Com’è successo?” si decide a chiedere, rompendo un silenzio pesante come piombo.

“Un incendio in fabbrica. A quanto pare, la messa in sicurezza non era una priorità dei proprietari” spiega Robb, una nota amara nella voce “Papà ha lasciato che gli altri evacuassero per primi. Per lui è stato troppo tardi.”

Per la prima volta da quando è comparso in quel luogo, Jon non rimane sorpreso: suona esattamente come una cosa Ned Stark avrebbe fatto.

Giunti a destinazione, lasciano l’auto lungo il ciglio della strada e ne raggiungono la parte opposta; superano una soglia delimitata da un grosso cancello a inferriate e si ritrovano tra due ali di verde divise da un sentiero. Robb vi si inoltra e Jon lo segue.

Attorno a loro, incastonate nell’erba, si ergono lapidi di pietra e di marmo con sopra incisioni relative ai defunti ed immagini che ne ritraggono i volti. Malgrado sappia che non possono vederlo, Jon si sente in qualche modo osservato.

Quando Robb si ferma, Jon segue la traiettoria del suo sguardo fino ad incontrare la lastra che porta il nome di Ned Stark.

Per un momento, l’immagine che ha davanti si sovrappone a quella della cripta di Grande Inverno. Nella modesta lastra non vi è nulla della sacralità solenne di quel luogo, ma Jon pensa che renda comunque giustizia alla memoria di loro padre: è adornata con un mazzo di fiori colorati e ai suoi piedi giace un peluche a forma di lupo. Jon ha la tentazione di domandare chi ve lo abbia depositato; non lo fa, lasciando che cali un silenzio simile a quello che riempiva l’abitacolo durante il tragitto.

Questa volta, è Robb a spezzarlo. “Perché non sei venuto al funerale?” domanda, un fremito nella sua voce. “Ho provato in tutti i modi a mettermi in contatto con te. Ti ho chiamato. Ti ho scritto. Non mi hai mai risposto. Non mi hai risposto una volta in tutti questi anni.”

Jon si volta nella sua direzione, ma incontra soltanto un profilo duro e sfuggente.

“Ho creduto che fossi morto. In quel caso, almeno, avrei potuto rassegnarmi. Avrei potuto capire. Ma zio Benjen ha detto che stavi bene.” Robb deglutisce, prendendo fiato. “Arya sentiva la tua mancanza. Papà sentiva la tua mancanza. Persino Sansa, anche se non l’ha mai ammesso.”

S’interrompe, ma Jon capisce che c’è dell'altro. Capisce anche che è qualcosa che pesa più di tutto il resto.

Io sentivo la tua mancanza.”

Istintivamente, Jon posa lo sguardo sulla foto di Ned. Bisognoso di un appiglio, si aggrappa ai suoi occhi. Gli occhi buoni di suo padre sono qualcosa che riesce a riconoscere. “Mi dispiace, Robb. Non so cosa dire.”

“Potresti partire da una spiegazione.”

“È-- complicato.”

“Già. È sempre tutto complicato, con te.” L’amarezza che impregna la voce di Robb è come l’ululato di un lupo ferito. Prima che Jon abbia il tempo di aggiungere altro, indietreggia per riprendere la via del sentiero. “Andiamo.”

*

Robb torna a rivolgergli la parola soltanto il giorno successivo. Jon ha l’impressione che sia continuamente in lotta con se stesso al fine di nascondere il rancore che si porta dentro, come se non volesse lasciarlo vincere. È sempre lì, nascosto più o meno bene, ma Robb pare deciso a fingere che non sia così.

“Al Confine hai trovato ragazze degne della tua attenzione o hai continuato a fare lo scapolo d’oro?” domanda, di punto in bianco, dimentico della tensione e del silenzio durati fino a poco prima.

“Una: Ygritte.”

“Ygritte.” Robb mastica il nome, e Jon ha l’impressione che non ne apprezzi il suono. “L’hai lasciata lì ad aspettarti?”

Jon giurerebbe d’aver avuto intenzione di mentire. Evidentemente, in quel mondo, ne è meno capace che nel proprio. “È morta.”

L’espressione di Robb muta di colpo, lasciando il posto ad un misto di colpevolezza e disagio. “Mi dispiace” dice, ed è soltanto sincero, adesso.

“Tu?” chiede Jon di rimando, per distogliere l’attenzione da sé. “C’è qualcuna?”

“C’è stata” replica Robb con noncuranza “Si chiamava Talisa.”

Nell’udire quel nome, Jon avverto un lungo brivido arrampicarsi lungo la spina dorsale. “Vi siete lasciati” dice, per ottenere conferma, e l’apprensione che risuona nella sua voce traccia un cipiglio confuso sul viso di Robb.

“Per la gioia della mamma, sì. Non le piaceva affatto. Diceva che mi avrebbe portato solo guai.” Robb fa una pausa, e lo guarda. Jon può letteralmente vedere i pensieri che gli occupano la mente riflessi nei suoi occhi. Per la prima volta, non è in grado di decifrarli. “Evidentemente, è destino che non approvi le mie scelte sentimentali.”

*

“Che cosa fai?”

È la prima volta che è Jon a dare il via ad una conversazione. La verità è che, per quanto questo Robb lo confonda e lo intimorisca, ha dannatamente voglia di saperne di più sul suo conto. Ha voglia di scoprire se assomigli davvero a quello che ha conosciuto o se la sua sia solo un’illusione su cui è fin troppo facile adagiarsi.

“Sono ancora incastrato all’università. Dopo la morte di papà ero--- non avevo voglia di stare sui libri, ecco. Non avevo voglia di fare nulla.” Jon ha notato dei grossi volumi in giro. Il suo Robb ha sempre preferito il clangore delle lame al fruscio delle pagine, ma dall’idea che si è fatto di questo mondo la spada non dev’essere un’occupazione usuale come in quello da cui proviene. “C’ho messo un po’ a rimettermi in carreggiata.”

“Ma ce l’hai fatta.”

“A quanto pare” gli fa lui, stringendosi nelle spalle “Due esami al traguardo” aggiunge, con un accenno di sorriso “Sei ufficialmente invitato alla mia laurea.”

Jon immagina sia un titolo conferito a chi si dedica allo studio. In ogni caso, di qualunque cosa si tratti esattamente, Robb sembra ritenerlo importante.

“Spero di poterci essere” dice e, dentro di sé, se lo augura davvero.

*

Dopo il primo giorno, Jon non incrocia più Catelyn. Gli capita di udire il rumore dei suoi passi o di scorgere di sfuggita la sua figura che scivola lungo i corridoi, ma lei fa in modo che non si trovino mai nella stessa stanza.

Robb sembra avvertirlo come un peso più di quanto non faccia lui. “La mamma è molto-- impegnata” gli dice un giorno, a mò di giustificazione.

“Ad evitarmi?” Jon riprende la parola prima che Robb abbia il tempo di abbozzare una smentita. “Non gliene faccio una colpa.” Da bambino ha sofferto quando i suoi tentativi di venir accettato si sono scontrati con i rifiuti ostinati di lei, certo, ma se la sua infanzia è stata composta principalmente da momenti felici, in fondo, è anche a Catelyn che lo deve. “Non ce l’ho mai avuta con lei: mi ha accolto in casa sua. Mi ha cresciuto. Mi ha permesso di avere una famiglia. È più di quanto molte donne avrebbero fatto al suo posto. Se non mi ha mai sentito come un figlio, non è qualcosa che possa imputarle: l’amore non è un sentimento che puoi comandare.”

A quelle parole, il volto di Robb viene percorso da un fremito improvviso. Prima di parlare, allontana lo sguardo da quello di Jon. “Già.”

*

“Ricordi la storia che Arya si era inventata da ragazzina? Quella in cui eravamo una nobile famiglia a capo di un vecchio castello. Com’è che si chiamava?”

La risposta si formula senza che Jon abbia bisogno di rifletterci su. “Grande Inverno” dice, e una fitta di nostalgia lo trapassa da parte a parte.

“Giusto. Grande Inverno.” Robb assume l’espressione assorta di chi rivanga un ricordo. “Papà e mamma erano il lord e la lady, lei il cavaliere a capo del nostro poderoso esercito e io, in quanto primogenito, ero destinato alla corona. Re del Nord.” Scandisce le parole, ne saggia il sapore sulle labbra “Suona bene.”

“Sì” conviene Jon “Suona bene.”

“Tu saresti stato il mio vice.”

“Sarei stato un bastardo, a quei tempi. Non avrei potuto ricoprire un ruolo così importante.”

“Certo che avresti potuto. Lo avrei deciso io. Nessuno contraddice il re.” All’improvviso, Robb appare titubante. “Avresti accettato?” All’improvviso, sembra esserci in ballo più di semplici fantasie infantili. “Mi avresti servito?”

Anche stavolta, a Jon non occorre pensarci nemmeno per un istante. “Sarebbe stato un onore.”

*

“Perché ce l’hai con me?”

Da quando è arrivato, Jon ha passato buona parte del tempo a chiedersi quale fosse il modo giusto per chiederlo; alla fine, ha deciso di optare per quello più onesto e schietto.

In fondo, non ha mai avuto bisogno di tergiversare con il suo Robb; questo glielo ricorda abbastanza da poter essere trattato allo stesso modo.

“Credi che non ne avrei motivo?”

“Non è soltanto perché sono sparito. C’è dell’altro.”

Quelle parole aprono una crepa sulla maschera che Robb si ostina a tenere sul viso. “Ottima deduzione, Sherlock.”

“È qualcosa che ho fatto prima di partire?”

Robb sbuffa una risata assolutamente priva di gioia. “No, Jon, non hai fatto niente prima di partire: è proprio questo il punto. Una mattina mi sono svegliato e tu non c’eri più. Papà mi ha detto che eri andato al Confine e io ho fatto finta di esserne al corrente per non ammettere di essere l’unico di tutta la fottuta famiglia a non sapere nemmeno che avevi intenzione di andartene!”

Ora Jon la vede sfaldarsi e cadere in pezzi, rivelando il risentimento rabbioso che le si celava dietro.

“È per quello che ti ho detto, vero?” Jon aggrotta la fronte senza capire. “È per quello che lo hai fatto. Forse è addirittura il motivo per cui sei partito.”

“Robb, non so di cosa---”

“Potevi dirmelo. Potevi parlarmi invece di andartene senza una parola e ignorarmi per tutto questo tempo.”

Messo in allerta dalla discussione, Vento Grigio emette un ringhio basso e minaccioso; in qualche modo, il suono rispecchia il modo in cui la voce di Robb è risuonata.

“Mamma mi ha chiesto perché non ti abbia cacciato via. È quello che avrei dovuto fare, per lei. Te lo saresti meritato, sai? Avrei voluto così tanto sbatterti fuori gridandoti che non avevi alcun diritto di ripiombare qui all’improvviso.” Adesso, alla collera si è sostituito qualcosa di meno duro, qualcosa che oscilla tra lo sconforto ed il rimpianto. “Non ho potuto. Non ce l’ho fatta. Ero così maledettamente felice di rivederti – Dio, erano cinque anni che aspettavo di rivederti.”

Robb si lascia andare sul divano, strofinandosi il viso con le mani. Una parte di Jon vorrebbe disperatamente avvicinarlo per provare a sanare quella frattura di cui non conosce la causa; l’altra teme che, facendolo, rischierebbe soltanto di renderla più profonda.

All’improvviso, è assalito dalla paura che, qualsiasi cosa abbia fatto, questo Robb non sarà mai disposto a perdonarlo e che finirà per perderlo esattamente com’è accaduto con quello del suo mondo.

La possibilità gli risulta intollerabile. “Robb---”

“No. Sta’ zitto.” Robb fa vagare lo sguardo, la mascella serrata e la labbra torte in una specie di smorfia sofferente. “Tu?” chiede alla fine, decidendosi a guardarlo “Sei felice di rivedermi?”

Jon ripensa al momento in cui ha appreso la notizia della sua morte, alle parole della lettera che sbiadivano davanti ai suoi occhi.

Il dolore che gli squassò il petto era talmente lancinante che aveva creduto di morirne.

Quando parla, la sua voce è meno salda di quanto avrebbe voluto. “Non puoi immaginare quanto.” 

*

Quando lo raggiunge nella sua stanza, Jon trova Robb inginocchiato sul pavimento a giocare con Vento Grigio.

L’immagine ne risveglia un’altra, vecchia e consunta, con protagonista un Robb appena ragazzino impegnato ad accarezzare quello che, all’epoca, era soltanto un cucciolo.

Malgrado le differenze, quel pezzo di memoria gli risulta straordinariamente sovrapponibile al presente.

La voce di Robb si leva all’improvviso, facendo dissolvere il ricordo. “Entra.”

Jon oltrepassa la soglia, socchiudendo la porta alle sue spalle. A quel punto, avanza guadagnando il centro della stanza e poggia affettuosamente una mano tra le orecchie di Vento Grigio.

“Anche lui ha sentito la mancanza di Spettro” dice Robb, stringendo il muso del suo cane in una morsa giocosa.

“E Spettro la sua.”

“Lo hai lasciato al Confine?”

Jon accarezza l’animale e lo sente rilassarsi sotto il suo tocco. “Non ho, uhm, tenuto il viaggio nelle condizioni ideali per lui.”

“Lo porterai la prossima volta.”

A quelle parole, la mano di Jon si arresta; Vento Grigio emette un ululato di protesta per reclamare le coccole sottrattegli.

“Robb.” Sa di dovergli qualcosa che assomigli almeno vagamente ad una spiegazione. Qualcosa che, quantomeno, possa farlo sentire più in pace con se stesso. “Il posto dove sono stato si è rivelato--- diverso, da quello che mi aspettavo. Le persone che erano con me, soprattutto. Sono state una delusione.”

“Perchè continui ad illuderti che in tutti ci sia il buono che c'è in te.”

Non è un’accusa, né una vera presa in giro, ed è intrisa di quella complicità che Jon non era sicuro che avrebbe ritrovato in questo Robb.

Forse, potrebbe trattarsi addirittura di un’offerta di pace.

“Può darsi.”

Robb non ribatte. Si limita a far risalire la mano sul capo di Vento Grigio per dargli una grattata veloce tra le orecchie. Quando le sue dita sfiorano quelle di Jon, ancora appostate lì, lui si convince che il gesto sia stato del tutto casuale.

Robb si solleva, rimettendosi in piedi, si sfrega i pantaloni per rimuovere la polvere depositata sulla stoffa. A quel punto, la sua attenzione è rivolta totalmente a Jon. “Perché non sei tornato prima?” gli chiede, serio.

“Non potevo.”

Robb stringe le labbra, abbassa lo sguardo per un istante prima di tornare a sollevarlo. “Immagino che dovrò farmelo bastare.”

*

Sono seduti a tavola a consumare il pranzo, una parte d’arrosto avanzata dalla sera precedente che Robb ha riscaldato in forno.

Il rumore della porta annuncia l’arrivo di Catelyn, in netto anticipo rispetto all’orario a cui è solito rincasare. Jon si aspetta di sentire i suoi passi diradarsi mentre si inoltra nel corridoio, invece, per la prima volta da quando è comparso, li raggiunge in cucina.

“Mamma.” Robb è incapace di seppellire la sorpresa. “Sei già tornata.”

“Mi sono sbrigata prima del previsto.”

Inaspettatamente, riempie un piatto con della carne e prende posto a capotavola.

Il silenzio che riempie la stanza è carico di tensione; Jon lo sente impregnare l’aria e avvolgerlo come una cappa soffocante. Non sa se romperlo sia la scelta migliore, ma si sente in dovere di farlo. “Robb mi ha detto dell’incidente in fabbrica. Mi dispiace di non essere venuto al funerale.”

“La tua presenza non era indispensabile” dice Catelyn, il capo chino e gli occhi fissi sul piatto. Quando li solleva per posarli su di lui, sono freddi e duri come pezzi di ghiaccio. “Né desiderata.”

“Mamma---”

“No, Robb.” Jon lo fermo con un cenno della mano “Va bene.”

“Se non sei tornato allora, non c’era motivo di farlo adesso.”

“Mamma, per favore.”

“Cosa vuoi che gli dica? Che mi congratuli per come si è comportato?” Catelyn fa arretrare la sedia bruscamente e si alza, lasciando il proprio pasto praticamente intonso. “Sei stato abbastanza indulgente per entrambi.”

Se ne va senza concedergli la possibilità di replicare.

*

“Posso andare da qualche parte.”

Jon non ha denaro né sa se esistano locande in cui poter soggiornare provvisoriamente, in quel luogo, ma quanto avvenuto è stato sufficiente a fargli considerare l’idea.

“Non ce n’è bisogno.”

“Robb, dico sul serio. Non voglio---”

“---stare qui?”

Jon lo vede rabbuiarsi in un modo che non s’aspettava quando ha deciso di avanzare la proposta. “Creare problemi.”

L’ombra sul volto dell'altro si dirada e viene sostituita da un’espressione accorata. “Ascolta. Io e la mamma siamo a posto. Abbiamo parlato e non ce l’ha con me – ce l’ha con te ma, ehy, dove sarebbe la novità? È com’è sempre stato.” Robb rilascia un sospiro per gettare via la tensione. “Resta e basta, okay?”

“Okay.”

*

Di nuovo quel vortice ad avvolgerlo. Di nuovo la realtà che si frantuma e si riduce ad nube cupa e rarefatta.

Questa volta non subentra alcuna sensazione a rimettere le cose al proprio posto; questa volta, nel frastuono, si fa largo una voce a lui nota. Prima risuona ovattata, come se provenisse da un altro mondo; dopo, comincia a scandire parole nitide e via via più assordanti.

È la voce della Strega Rossa.

“Il tuo mondo ti aspetta, Jon Snow. Hai un destino da compiere. Puoi scegliere se andargli incontro o rinnegarlo.”

Quando apre gli occhi, Jon incontra il soffitto buio della sua stanza, l’eco di quelle parole che sembra ancora echeggiare tutt’intorno. Le tracce che si porta addosso, però, sono troppo reali per essere solo il lascito di un sogno.

*

Vento Grigio si intrufola tra di loro, poggiando le zampe anteriori sui cuscini che rivestono il divano, e si sporge col muso fino a sfiorare la ciotola adagiata contro lo schienale.

Robb ci infila dentro una mano per assecondare la richiesta muta del suo animale.

“Non dovresti farglieli mangiare.”

“Cosa vuoi che faccia ad uno stomaco grande e grosso come il suo qualche pop corn al caramello?”

Jon li guarda per qualche momento, lasciando che l’immagine gli si stampi nella memoria, che gli penetri fin dentro le ossa. Arriverà il giorno in cui non potrà più assistere a niente del genere e desidera disperatamente conservarne un ricordo vivido, che gli permetta di rivivere la scena all’infinito almeno nella sua mente.

“Robb” dice all’improvviso “Quello che mi hai detto prima che partissi. Puoi ripeterlo?”

Robb lascia stare immediatamente il contenitore. Sul suo volto si riversa un misto di incredulità e fastidio. “Mi prendi in giro?”

“No. Vorrei che lo facessi davvero.”

Nel frattempo, Vento Grigio rovescia la ciotola con una zampata. Il contenuto si sparge in parte sul divano e in per terra. Il cane si abbassa a mangiare quello caduto sul pavimento.

Per un attimo, l’espressione contrita che si ritrova davanti fa credere a Jon che la richiesta non verrà assecondata, ma poi la voce di Robb si leva a spazzare via il dubbio, pronunciando parole che, in realtà, gli arrivano all’orecchio per la prima volta.

“Che avrei voluto che papà non avesse mai saputo che tua madre era incinta. Che non ti avesse portato qui. Così forse un giorno ci saremmo incontrati senza sapere di essere fratelli e avremmo potuto--”

Senza aspettare che finisca, Jon si scosta per colmare la distanza che li separa. A quel punto, gli poggia una mano sul viso e si sporge fino a posare la bocca sulla sua.

Per anni ha creduto che sarebbe stato terribile, che la vergogna e il senso di colpa gli avrebbero fatto provare malessere e disgusto, invece è soltanto bello: è bello accogliere la lingua di Robb nella sua bocca; è bello quando Robb emette una specie di sospiro e gli artiglia la nuca per avvicinare ulteriormente i loro volti; è bello sentire le sue labbra muoversi contro le proprie, accarezzandole, mordendole, succhiandole piano.

“Credevo che non dovessimo.”

“È quello che ti ho risposto?”

“È quello che hai lasciato intendere partendo.” La tristezza nella voce di Robb ha qualcosa di vecchio e di arreso, come se si trattasse di una ferita con cui, ormai, ha imparato a convivere. “Non hai risposto affatto. Le cose sono andate avanti come se niente fosse. Poi sei partito.”

Jon annuisce mestamente. “Non dovremmo, in effetti” dice, e solo allora ritrae la mano “Ti chiedo scusa per come mi sono comportato. Io— non sono più quel ragazzo, ormai, ma ricordo com’era esserlo. Sono sicuro che quel Jon fosse terrorizzato. Che non sapesse come gestire quello che provava. Forse aveva addirittura paura di cosa sarebbe potuto accadere se fosse venuto da te prima di andarsene.”

Jon ha vissuto gli stessi patemi d’animo prima di partire alla volta della Barriera. Ha evitato di recarsi nella stanza di Robb malgrado desiderasse farlo e lo ha avvicinato soltanto per un saluto veloce in cortile perché fosse tutto più semplice. Se il suo Robb gli avesse rivolto parole simili, sarebbe andato via nella stessa maniera vigliacca che ha ferito questo Robb a morte.

Non è successo, però, è lui ha ugualmente deciso di unirsi ai Guardiani della Notte. Questo basta ad imprimere al suo tono la sicurezza necessaria affinché Robb possa credergli. “Ti assicuro che non è il motivo per cui me ne sono andato. Il Confine era il mio posto – o, almeno, era quello che credevo all’epoca.”

“Non lo era?”

“No” replica Jon, e la risposta è amara come fiele “Partire è stato l’errore più grande che abbia mai commesso. Sarei dovuto restare. Sarei dovuto restare con te, con nostro padre, con tutti voi. Avrei dovuto---” Robb lo guarda, attendendo il resto delle parole – parole che gli infestano l’animo come fantasmi e che non ha mai avuto occasione di pronunciare. Quando le butta fuori, la sua voce trema come un ramo percosso dal vento. “Avrei dovuto proteggerti.”

Robb continua a fissarlo, senza capire fino in fondo: la smorfia scanzonata che esibisce è qualcosa di talmente familiare che, per un momento, Jon si concede l’illusione di credere che, invece, sia riuscito perfettamente a farlo.

“Pensi che abbia bisogno della protezione di uno come te, Snow?”

“No.” Jon scuote il capo, e si sorprende nel sentirsi sorridere “Certo che no, Stark.”

*

Quando apre la porta e se lo ritrova davanti, Catelyn si mostra tutt’altro che entusiasta. Per Jon, non è decisamente una sorpresa.

“Devo parlarti”

“Non abbiamo nulla da dirci.”

“Si tratta di Ned.” Il nome spegne le rimostranze di Catelyn e calamita la sua attenzione. “Nel giro di qualche giorno me ne andrò e ti lascerò in pace. Né tu né i tuoi figli dovrete più avere a che fare con me. Prima che accada, ho bisogno che tu sappia una cosa.”

Catelyn lo supera e abbandona l’entrata. Jon non sa se si tratti di un rifiuto o di un invito a seguirla ma, nel dubbio, le va dietro.

Arrivata in cucina, Catelyn prende posto su una delle sedie che circondano il tavolo. Jon si siede di fronte a lei. Prima di parlare, inspira profondamente. “Non posso provartelo, non posso spiegarti come faccia a saperlo, ma posso giurarti che quello che sto per dirti è la verità.” Fa una pausa, fissa quegli occhi in cui ha sempre trovato soltanto rancore e disprezzo. “Non sono il figlio di Ned. Lui--- ti ha mentito per proteggermi.”

La bocca di Catelyn è attraversata da un fremito minuscolo, un movimento tanto impercettibile che Jon crederebbe d’averlo soltanto immaginato se non fosse così abituato a vederla totalmente impassibile. È un dettaglio che non può sfuggire ai suoi occhi.

“La mia parola non ha alcun valore per te, ne sono consapevole. Ma lo conoscevi. Sapevi quanto tenesse a te. Lo sai ancora. Non hai motivo di credermi, ma hai tutte le ragioni del mondo per credere al suo amore.”

Il viso di Catelyn resta fermo, ma gli occhi le si inumidiscono di colpo; Jon la vede versare le lacrime che l’altra Cat si è sempre imposta di trattenere.

*

A Robb basta un’occhiata per capirlo. Nemmeno quella è una sorpresa. “Te ne vai.”

Jon non prova a negare. Sa che non servirebbe e, soprattutto, non vuole lasciargli una bugia come ultimo ricordo. “Io---”

“No. Va bene. Sei rimasto più di quel che credessi.”

Robb si avvicina, e lo bacia – senza una parola, senza indugi, come se fosse semplicemente giusto e non lo è, Jon sa che non lo è, eppure, è esattamente così che le labbra di Robb sulle sue gli appaiono al momento.

È un bacio totalmente diverso dal primo che si sono scambiati, fatto di fame e impazienza e una disperazione sottile che Jon sente insinuarsi fin dentro le ossa. Quando rimane senza fiato, si stacca quanto basta per consentire alle parole di uscire. “Robb---”

“Ci ho pensato per anni.” Robb gli poggia una mano sul cavallo dei pantaloni, la sua voce un ringhio basso contro l’orecchio. “Ogni giorno.” Lo accarezza a palmo aperto attraverso la stoffa, inviandogli scariche di piacere che si spandono per tutto il corpo come pura elettricità, i suoi respiri che si infrangono pesanti contro la guancia di Jon. “A come sarebbe stato.” Quando affonda le dita nel rigonfiamento tra le sue gambe, Jon ricaccia in gola il gemito risalitogli alle labbra. “A come---”

Jon gli artiglia il polso e scosta la sua mano in malo modo. Per un momento, un solo momento, considera l’idea di respingerlo ed aggiungere anche quel rimpianto alla lista dei pesi che si porta dentro, poi il momento passa e il proposito si frantuma in mille pezzi mentre spinge Robb all’indietro, facendo impattare la sua schiena contro la parete.

Quando gli apre i pantaloni e s’inginocchia ai suoi piedi, non ne è rimasto che cenere.

Jon.”

In fondo, è solo un’ultima deviazione prima di andare incontro al destino.

*

Robb gli ha dato un borsone e qualche effetto personale con cui riempirlo. Non sapendo come spiegargli che nessuna di quelle cose gli servirà, Jon si è limitato ad accettare l’offerta. La partenza è imminente, quindi, rintanato nella sua stanza, si mette a prepararlo. Mentre affastella tutto nello zaino, avverte una presenza alle sue spalle. Sa che non si tratta di Robb.

La voce di Catelyn si leva prima che possa sollevare lo sguardo su di lei. “È stato Ned a crescerti” comincia, il tono fermo ma pervaso da una commozione sottile, impalpabile “E ha insegnato a tutti i suoi figli quanto conti la parola data.” Jon la guarda e, per la prima volta, quel che vede sul suo viso somiglia più ad una vera espressione che ad una maschera. “Gli somigli troppo per non averlo imparato.”

Jon assorbe il significato di quelle parole senza fornirvi repliche: sa che non occorrono.

Si sforza di formulare un congedo adeguato, qualcosa che non stoni a fronte di tutto il dolore che lui e Catelyn si sono inferti a vicenda, in maniera più o meno consapevole; non ci riesce. Non è nemmeno sicuro che esista, per loro due, un modo giusto di rapportarsi l’uno all’altra.

“Addio, Catelyn.”

*

Accostato all’uscio, Jon guarda Robb, lo zaino in spalla e il cuore che pesa come un nucleo d’acciaio.

“Chissà di che colore sarai vestito, la prossima volta.”

La battuta gli fa solleva gli angoli della bocca verso l’alto. “Di’ ai ragazzi che anch’io sento la loro mancanza.”

“Lo farò.”

Il silenzio che segue non ha nulla a che vedere con quelli che calavano di continuo dopo il suo arrivo, simili a burroni che li tenevano separati. In qualche modo, ricorda a Jon quello che ha preceduto l’abbraccio che si sono scambiati il giorno in cui ha lasciato Grande Inverno, nell’ultimo momento che hanno vissuto insieme.

L’ultimo prima di quelli condivisi in questo mondo.

Questa volta, però, Jon non ha intenzione di nascondere dietro a una battuta raffazzonata quel che ha da dire.

“Robb” comincia, chiamando a raccolta il coraggio “Se dovessi sparire di nuovo, se non dovessi risponderti--- Non è perché non voglia farlo, okay? Non è perché ti ho dimenticato.”

“Ho capito.” Robb prova a dissimulare la rassegnazione. Jon lo ha sempre conosciuto abbastanza a fondo da cogliere le emozioni che cerca di celargli. “È per qualche motivo attinente alla tua vita misteriosa e piena di segreti” Si ferma a riflettere, un cipiglio assorto disegnato sulla fronte “Di’ la verità, il Confine era tutta una copertura: sei della CIA.”

“Dico davvero” insiste Jon e, per la prima volta, non c’è distinzione tra il suo Robb e quello che ha davanti – c’è soltanto l’addio che ha sempre rimpianto di non aver potuto dire e, finalmente, l’opportunità di rimediare. “Non ti dimenticherò mai.”

*

Jon si rivolge ad un vuoto che, in qualche modo, sa essere in grado di ascoltarlo.

“Ho scelto.”

*

Jon spalanca gli occhi, la vita che gli scorre dentro come una cascata rigogliosa, e avverte di nuovo il sentore di umido spandersi contro il palmo.

Ancora una volta, la sensazione è intrisa di una familiarità rassicurante che lo fa sentire a casa.

“Spettro.”
 
 
  
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