Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: steffirah    09/10/2017    0 recensioni
Due amici di infanzia, da sempre innamorati, ma costretti a separarsi. Allora giunse il momento in cui lui dovette fare una scelta, e dirle addio…. Ma non per sempre, sapeva che prima o poi si sarebbero sicuramente ritrovati. Perché quella era la loro promessa.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Mokona, Sakura, Syaoran, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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On the Road
 

 
Nel bel mezzo della foresta Sakura stava cercando di guarire la zampa di un orso con la magia, quando ecco che questi – a causa del dolore acuto – quasi non le graffiò il viso coi suoi lunghi e affilati artigli. Fortunatamente il suo bel faccino rimase immacolato, in quanto Shara riuscì a gestire la situazione senza che nessuno dei due si ferisse.
Sakura la ringraziò, donando ad entrambi un dolcetto preparato dalla sua mamma e soltanto mentre tornavano verso casa, attraversando i boschi, si accorse che la gamba della sua amica sanguinava.
«Ti sei fatta male!», esclamò, abbassandosi immediatamente a controllare.
«È solo un graffio, guarirà subito.»
Sakura era prossima alle lacrime e si chiese quando era successo. Che fosse stato prima, mentre la difendeva?
«Sakura, l’importante è che tu non ti sia fatta niente.» Le asciugò le lacrime e l’unica cosa che finalmente riusciva a vedere del suo volto erano le sue rosee labbra, curvate in un tenero sorriso. «È mio dovere proteggerti.»
 


L’ombra si stava diradando.
Passeggiai nel vialetto fiorito più allegra del solito, sentendo che i miei ricordi stavano tornando. Forse presto sarei riuscita a vedere il suo viso.
Da lontano intravidi Shaoran di spalle e sorrisi in me, notando che sebbene non ci mettessimo d’accordo ci incontravamo spesso. Lo raggiunsi attirando la sua attenzione e gli raccontai in parole povere che Tomoyo era dei nostri.
«Ci riusciremo sicuramente.», dichiarai fiduciosa.
«Sicuramente.», mi fece eco, sorridendo.
Sembrava che stamattina anche lui fosse di buonumore. Ne ero lieta.
Con grande sorpresa quel giorno a lezione c’era la Preside stessa, la quale ci parlò di figure mitologiche, tra le quali le fate e le undine. Mi concentrai soprattutto sulle prime e mentre ne parlava qualcosa si scaldò in me. Come un dolce fuoco le sue parole mi avvolgevano i pensieri, ricamandoli di sogni. Quando finì la giornata non capii se ero stata attenta o avevo trascorso la mattinata su una nuvola, sentendomi particolarmente intontita.
Non appena giunse la notte seguii le indicazioni di Tomoyo e riuscii a raggiungere il luogo d’incontro senza farmi scoprire. Mokona ci disse che per arrivare a destinazione dovevamo attraversare il Cammino Fatato, e per fare ciò ci bastava entrare nella sua bocca. Quando ci chiese se eravamo pronti apparvero delle grosse ali bianche sulla sua schiena e un cerchio magico sul terreno. Mi fu inevitabile domandarmi se Mokona non fosse una creazione dell’uomo.
Una volta raggiunto il Cammino si scusò nuovamente, spiegando anche a Shaoran che se avesse avuto tutta la sua forza magica ci avrebbe trasferiti direttamente lì; invece, in queste condizioni, le destinazioni erano incontrollabili e ci avremmo messo un po’ più del previsto.
Il primo posto in cui giungemmo era una buia grotta, con scale rocciose, stalattiti, stalagmiti e pilastri; sembrava essere abitata da innumerevoli esseri minuscoli quanto un pollice, con grossi nasi e cappelli a tre punte. Dalle illustrazioni dei libri li riconobbi come gnomi.
«Spiriti della terra.», mi spiegò Shaoran.
«Attenzione, loro difendono sempre il loro territorio!», ci mise in guardia Mokona, allarmandosi.
«Che cosa potrebbero farci?»
Non appena finii di formulare la questione sia io che Mokona ci ritrovammo completamente zuppe d’acqua. Soltanto Shaoran, in qualche modo, riuscì ad evitare di bagnarsi. Mi prese per mano, raccomandandomi Mokona, e mi tirò correndo fino all’ingresso della cava.
Fuori ci attendeva un fitto bosco, a malapena illuminato dalla luce lunare. Proseguimmo senza sostare, tuttavia si alzò un tenue venticello che fece tremare dal freddo sia me che Mokona. Shaoran sembrò accorgersene perché si tolse il mantello, avvolgendomelo attorno alle spalle e coprendo anche Mokona – che immediatamente lo ringraziò.
«Aspetta! Così finirà per bagnarsi!»
«Non me ne faccio pensiero.»
«Ma -»
«Davvero, non preoccuparti. Andiamo.»
Dopo avermi dato un colpetto sulla testa mi precedette, quasi a volermi aprire la strada. Sembrava tuttavia che camminassimo in cerchio perché ci ritrovammo al punto di partenza finché Mokona, avendo recuperato le energie, ci trasferì in una radura totalmente ricoperta da rovi di spine e cespugli di rose rosse. In questo regno vivevano fatine vestite con petali di rose color cremisi. Erano tutte molto graziose e sembravano delle chiacchierone.
«Oh-oh.»
Io e Shaoran ci voltammo contemporaneamente a guardare Mokona.
«Umani!», esclamò una fatina con sdegno.
«Una donna! Catturatela!», ordinò un’altra infuriata.
Prima che riuscissi a reagire mi ritrovai intrappolata in una sorta di gabbia di spine.
«Resterai qui a marcire!», rise maleficamente un’altra ancora.
«Mokona!», esclamai spaventata. Cosa significava?
«Scusami, Sakura, non pensavo che finissimo proprio nel regno delle Vanesie!»
Provai a liberarmi usando un incantesimo di fuoco, ma questo venne assorbito dalle sbarre della gabbia.
«C’è una barriera che neutralizza la magia.», osservò Shaoran.
“Accidenti, non posso rallentarlo così!”
«Voi andate pure, io vedrò cosa riesco a fare.», provai a suonare persuasiva, ma a quanto pareva non funzionò perché Shaoran afferrò la gabbia a mani nude, provando a strappare la pianta. A causa delle grosse spine, dai suoi palmi chiusi in pugno attorno al fusto sgocciolò tantissimo sangue fino al suolo. Non appena me ne accorsi lo implorai di fermarsi – quel sangue era eccessivo! – ma lui continuò ostinatamente, ripetendomi di non preoccuparmi.
«Perché devi soffrire tanto per me?», esplosi, sull’orlo delle lacrime, vedendo che si andava formando una piccola pozza ai suoi piedi.
Invece di rispondere e fermarsi mi chiese se riuscivo ad uscire dall’apertura che aveva creato. Mi sembrava abbastanza grande, per cui gli presi le mani allontanandole da lì ed uscii, piangendo.
«Stai bene?»
«Sto bene!» Alzai la voce più di quanto mi aspettassi, ma mi sentivo così arrabbiata. Con lui. Con me stessa. «Ma guardati…» Feci attenzione a non stringergli i punti graffiati, tuttavia girando i suoi palmi verso l’alto non incontrai altro che sangue. Non si capiva più dove cominciavano e dove finivano le ferite.
«Va tutto bene, basta che tu non sia ferita.»
«Non ha alcun senso.», ribattei, ignorando il suo tono dolce.
«Invece sì, perché è mio dovere proteggerti.»
Mi sorrise, quasi a volermi rassicurare e in quelle parole risentii le stesse di Shara. Mi sentii stringere il cuore e, invece che arrestarsi, le lacrime scesero ancora più copiose.
Lo spinsi via di lì, ritenendo che fosse meglio allontanarci, e mentre proseguivamo strappai un fazzoletto di stoffa in due parti, avvolgendole attorno alle sue mani.
«Non appena ci riposeremo ti guarirò con la magia.», gli promisi, asciugandomi gli occhi e tirando su col naso.
Perdere di vista la strada anche per poco fu pericoloso, in quanto sbandai perdendo l’equilibrio e finii a terra. Solo a quel punto mi accorsi di essere piuttosto stanca. Chissà che ora si era fatta.
Mentre mi rimettevo in piedi tirandomi degli schiaffetti sulle guance per svegliarmi lui mi prese in braccio senza mostrare alcuno sforzo. Gridai, scendendo immediatamente.
«Sei impazzito?», lo rimproverai. «Così le tue ferite non faranno che peggiorare!»
«Allora appoggiati a me.»
Mi porse il braccio e io, rassegnata, vi posai la mia mano. Camminammo così finché non giungemmo nei pressi di un sereno laghetto.
Qui gli alberi si diramavano e la luna illuminava i ciliegi in fiore, creando una magica atmosfera violacea e azzurrognola. Sembrava un dipinto. Le stelle splendevano luminose sull’immobile superficie dell’acqua, che specchiava la notte in maniera tanto verosimile che era quasi impossibile separarla dal cielo.
«Stupendo…», mormorai sottovoce, timorosa di distruggerne la quiete.
«Lo è perché il mondo delle fate è al confine con le stelle.»
«Ecco perché sono così vicine.», sorrisi a Mokona.
In qualche modo, quella visione mi faceva quasi sentire… a casa.
Mokona si accovacciò vicino ad un albero, coprendosi con grosse foglie e io e Shaoran ci sedemmo a nostra volta nei pressi di esso, rivolti verso il lago.
«Grazie per prima.», sussurrai, prima che il silenzio calasse su di noi.
«Non dirlo nemmeno. L’ho fatto perché volevo.»
Osservai il suo profilo in silenzio, poi fu più forte di me. Intonai la canzone di Clow. Quasi come se lo facesse in automatico lui la continuò.
Non la ritenevo una cosa possibile. Sebbene i miei ricordi fossero tutti distorti, come se mi fossi imposta di dimenticare o qualcun altro mi avesse costretta a farlo, quell’ombra che tanto mi era cara… Quel nome, quella voce che ricordavo…
“Non può essere…”
«Shaoran…», lo chiamai con voce strozzata, con un groppo in gola. «Sei tu… Shara?»
  
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