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Autore: Lupe M Reyes    09/10/2017    2 recensioni
A Blair piace fare i turni di notte alla biblioteca dell'Arca. Fino alla sera in cui il Cancelliere Jaha non si presenta alla sua porta... Per impedirgli di inviare sulla Terra John Murphy, Blair cede al ricatto e contribuisce al progetto sui Cento. Ma l'incontro con Bellamy Blake cambierà ogni equilibrio. Fino al giorno in cui non diventerà lei stessa la persona numero 101 a raggiungere la Terra.
[Arco temporale: prima stagione]
Personaggi principali: Blair (personaggio nuovo), Murphy, Bellamy, Raven, Clarke, Jaha
Personaggi secondari: Finn, Octavia, Kane, Abby, Sinclair, Jasper, Monty
Genere: Drammatico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, John Murphy, Raven Reyes
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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22. FACCIA A FACCIA


“Perché Blair è così immobile?”
“Fa così quando è nervosa. Principessa, a che ora abbiamo detto si sarebbe presentato Jaha?”
“Alle undici.”
“Sono già le undici.”
“Sono le dieci e cinquantasette, Raven.”
“È in ritardo.”
“Non è in ritardo.”
Certe cose non cambieranno mai. Nemmeno nel Dopo La Terra.
Sento la voce di Clarke tentennare:
“Ma sei sicura si senta bene?”
Raven sospira, e per un momento i rumori del meccanico al lavoro si placano.
“Blair, fai impressione. Apri gli occhi.”
Obbedisco, senza muovere altro che le palpebre.
Ho Clarke accanto a me, mentre di Raven intravedo solo la testa, nascosta sotto il tavolo. Sta controllando per la milionesima volta che tutto sia in ordine. Il suo portatile, connesso al sistema della navicella, è riuscito a riprendersi e diventare operativo, regalando al nostro allaccio radio il lusso di una videoconferenza. Ho rimosso le sue spiegazioni circa cavi e conversioni dati di ieri sera, so solo quel che mi serve: tornerò occhi negli occhi con Jaha. Mi atterrisce l’idea di rivederlo. E delle risposte che potrebbe darmi.
Sto seduta di fronte allo schermo, gambe e braccia incrociate, rigida come un sasso. Fino a poco tempo fa avrei detto come un pezzo di lamiera, ma la Terra mi ha insegnato che può produrre cose più dure di quelle artificiali e ho in testa tutta una nuova serie di paragoni.
All’improvviso il computer si anima, facendomi sussultare. Vediamo solo linee blu. La mano di Clarke si posa con decisione sulla mia coscia, cercando di mantenermi calma.
Dall’imboccatura della navicella, qualcuno grida:
“Tutto ok, lì dentro?”
“Voi due badate al vostro lavoro! Se entra qualcuno te la vedrai con me, Jasper Jordan!”
“Raven Reyes, tu hai bisogno di una vacanza!”
“Go float yourself!”
“Prima le signore!”
Mentre Raven e Jasper continuano a rimbeccarsi a distanza, Clarke si è sporta sul mio orecchio, sistemandomi una delle cuffie.
“Ehi. Andrà tutto bene. Ok?”
Annuisco. Se non è Bellamy a dirmi che ce la faccio non ho l’impressione che sia vero, anche se le parole sono le stesse.
Darei un braccio pur di averlo qui al mio fianco. E so anche che se glielo chiedessi lo farebbe, lo farebbe nonostante tutto; come la nostra prima notte insieme, quando mi consegnò le cento schede di memoria e accettò senza ripensamenti di restare solo perchè io ne avevo bisogno, anche se voleva dire infrangere un ordine e rischiare, di fatto, la vita.
Ma non lo costringerei mai a starmi vicino, sapendo quanto fastidio potrebbe dargli ora la mia vicinanza. L’ha reso piuttosto chiaro evitandomi come la peste negli ultimi giorni. E anche John sembra sparito nel nulla. Non biasimo nessuno dei due.
Lo schermo continua a distorcersi. Passa qualche minuto prima che vediamo qualcosa definirsi, gradualmente. Clarke intima a Raven di piantarla, e così anche Jasper si quieta.
La figura del Cancelliere compare, traballante ma inconfondibile. Io deglutisco, la prima di molte volte, e mi ficco le mani sotto le gambe, per impedirmi di gesticolare e tradire il tremore che mi scuote.
L’uomo fissa la telecamera, in silenzio. Non so se sta aspettando che audio e video si stabilizzino o vuole solo giocare al gatto col topo. I suoi occhi neri si stagliano con prepotenza al centro del quadro, diventandone il fulcro. Sento le dita di Clarke stringersi sui miei pantaloni.
Decido che non lo lascerò parlare per primo:
“Le persone di cui ho chiesto notizie. Sono vive e in salute?”
Jaha stringe gli occhi. Si passa una mano sul mento, con studiata lentezza.
“Sì.”
“Sono libere?”
“Sì.”
Inspiro, mentre sento distintamente la pressione degli occhi di Clarke e Raven su di me. Mi chino in avanti. 
“Come faccio a sapere che non sta mentendo?”
“Temo non abbia altra scelta che fidarsi di me.”
“Tendo a non ripetere lo stesso errore due volte.”
“Vuole dirmi che questa volta sarà collaborativa?”
Chiudo la bocca e torno ad aderire allo schienale.
Mi rendo conto di quanto sia inutile chiedere risposte a quest’uomo. Mi sono illusa. Nemmeno se giurasse sulla testa di suo figlio potrei credere a una sola parola di quel che promette. Suo figlio l’ha mandato sulla Terra a morire. Quanto può importargli della mia famiglia, quando è stato disposto a sacrificare la sua in nome di una legge?
La direzione del suo sguardo non cede, e la sua forza riesce a raggiungermi attraverso l'etere, lo spazio, le mie resistenze.
“Siete ancora vivi.”
Jaha fa la sua constatazione senza che la benché minima emozione gli sfiori il viso. Anche se ciò che ha appena detto significa che può salvare la razza umana - e che il suo piano gli ha dato ragione e lui finirà coperto di allori sui libri di storia - il suo è un commento senza accenti, piatto. Cerco di servirgli lo stesso trattamento, quando gli rispondo, atona:
“Non tutti.”
Jaha continua ad osservarmi, calmo, con la sua aria da principe straniero e un sorriso nascosto tra le labbra chiuse.
Si concede il tempo di notare quanto sia dimagrita, sporca e sfinita.
Poi sorride e la sua voce profonda e meravigliosa mi rimbomba nelle cuffie, dritta a gelarmi il cervello:
“Signorina Foer, finalmente ci rivediamo.”
 
Fuori, la luce del sole mi inonda, scaldandomi il viso. Rovescio indietro la testa, tenendomi i capelli sollevati in una coda.
Clarke, di nuovo accorsa al mio fianco, sussurra, cercando di passare inosservata agli abitanti del campo:
“Gli hai fatto credere che Wells è ancora vivo.”
Chiudo gli occhi e inspiro l’aria pulita all’esterno della navicella.
Lo scalpiccio dei piedi, le chiacchiere, i rumori del campo in movimento mi circondano e mi accorgo con una punta di straniamento che iniziano a sembrarmi normali. Mi sto abituando a questa vita.
Clarke non mi permette di distrarmi, e mi incalza:
“Foer, cosa farai quando ti chiederà di nuovo di parlare con lui?”
“Quello che ho fatto oggi. Mentirò.”
Ascolto la mia amica sospirare e me la immagino corrucciarsi, guardarsi intorno attenta a non farsi ascoltare.
“Che c’è, Griffin?”
“Niente.”
“Non capisci perché l’ho fatto?”
“Capisco perché l’hai fatto. Ma non sono d’accordo.”
Lascio andare i capelli, li scuoto. Torno a guardare la mia bionda, che mi fissa con tutte le rughe della fronte piegate l’una sull’altra e i begli occhi celesti resi stelle da questa mattina d’estate.
Malsopporto il modo in cui mi giudica in questo momento e le parole mi escono dalla bocca più amare di quanto vorrei:
“L’ho fatto perché lui l’ha fatto con me. Scommetto quello che vuoi che i miei genitori sono stati espulsi il giorno stesso del video e della sommossa. O non dirmi che credi ancora a quello che ci dicono.”
“Non mi fido di Jaha. Non mi sono mai fidata di Kane. E non mi fido di mia madre, soprattutto.”
Non sposto le mani, puntate sui fianchi. Ma mi volto nella sua direzione.

Siamo alte uguali, i nostri occhi sono esattamente sulla stessa linea. Qualcuno ci aveva scambiate per sorelle, e all’inizio entrambe ne avevamo riso. Poi aveva continuato a capitare e allora eravamo state costrette a chiederci come fosse possibile. La risposta si trovava in piccoli particolari. I nostri nasi erano curiosamente identici. Il colore della pelle. L’altezza, appunto. Qualcosa nel modo di sorridere e nella voce. Il tono assertivo con cui parlavamo di ciò che era il nostro mestiere, e quello fin troppo caldo con cui ci rivolgevamo ai nostri amati. Ma i suoi occhi erano azzurri e i miei di quello strano castano che non mi era mai piaciuto, giallo. I suoi capelli biondi, ondulati, sottili - e i miei rossicci, lisci, crespi. Sembravamo due versioni della stessa frase, la versione corretta e quella sgrammaticata.

Clarke serra la mascella e io torno a chiedermi come abbiano fatto i Cento a scambiare questa guerriera per una principessa.
Lei ha attraversato ciò che avrebbe annientato chiunque. È lei la vera sopravvissuta. Se penso a ciò che ha scoperto sulla sua famiglia…
 
Il padre di Clarke era stato giustiziato e lei incarcerata: avevano scoperto che l’Arca stava morendo e volevano rendere pubblica l’informazione, con un piano simile a quello messo in pratica da me, Raven e Bellamy. Ma erano stati scoperti prima di riuscirci.
Clarke aveva confessato il loro intento al suo migliore amico, Wells Jaha. E lui l’aveva tradita. L’aveva detto a suo padre e lui aveva condannato padre e figlia.
Questa era la versione ufficiale della storia. Quella a cui Clarke aveva creduto finchè non era arrivata sulla Terra.
Wells l’aveva seguita: si era fatto mettere in galera, e poi sulla navicella, per lei. Per proteggerla. E una volta sulla Terra aveva trovato una Clarke che lo odiava, lo odiava per ciò che aveva fatto.
Ma era una bugia.
Non era stato Wells. Wells non avrebbe mai e poi mai tradito la fiducia di Clarke.
Era stato qualcun altro a consegnare lei e Jake Griffin alla giustizia.
Era stata sua madre.
 
Abby Griffin aveva impedito al suo stesso marito di rivelare ciò che stava succedendo all’Arca, facendolo espellere nello spazio. Aveva tradito l’amore della sua vita, il padre di sua figlia, mettendolo nelle mani di Jaha e Kane – che avevano anche incarcerato Clarke, considerata complice del tentato crimine. E l’aveva fatto per il bene superiore.
Avevo ripensato spesso alle sue parole, quella notte in biblioteca…
 
“Non è una decisione semplice, ma bisogna guardare al bene superiore, al bene comune, anche se significa sacrificare…”
 
E ogni volta mi chiedevo come fosse possibile crederci veramente. Come fosse possibile accantonare i propri affetti per un’idea, anche se l’idea era la salvaguardia della specie. Nella mia testa aveva senso, il sacrificio per il bene superiore… Ma nel mio corpo, nel mio cuore, no.  Al posto di Abby Griffin non sarei stata all’altezza del compito, lo sentivo: sarei stata egoista e avrei protetto le mie persone mandando in malora il resto degli umani. E la mia mente mi portava subito dai miei genitori, che piuttosto che torcermi un capello avrebbero lasciato implodere l’Arca su sé stessa, e tanti saluti. Mi avevano insegnato ad amare fuori misura e senza cervello. In maniera libresca e poco concreta.
Non avevo capito quanto lontano fosse disposta a spingersi Abby Griffin finché Clarke non mi aveva raccontato tutta la storia, di come avesse scoperto la verità, la sera stessa che Wells era morto.
Non c’è speranza che io possa comprendere una sola stilla del dolore di Clarke. Credevo che la signora Griffin fosse il nostro unico alleato tra i Consiglieri. Invece eravamo soli. E grazie al cielo il mio piano B era appena andato in porto.
 
Raven ci raggiunge, correndo.
“Ottimo lavoro, Blair.”,
commenta, stringendosi la cinta dei pantaloni.
“Ora andiamo a dirlo agli altri e poi partiamo. Clarke, vieni con noi?”
Per un momento Clarke si sorprende dell’invito, e da chi lo sta ricevendo. Poi è come se si ricordasse che le cose sono cambiate, che loro due non sono più schiave di un malinteso e che hanno già riscritto parte del loro rapporto. Raven le ha teso una mano; diamine, l’ha persino chiamata per nome. Ma Clarke non distende i muscoli del viso, non sorride, e ci da appuntamento a più tardi.
“Vado a chiamare Jasper e Monty. Dobbiamo trovare Octavia, è da stamattina che nessuno l’ha vista.”
Raven annuisce, vagamente delusa per la sua offerta rifiutata.
Io ho solo il tempo di pensare che se Octavia è sparita da più di tre ore, Bellamy sarà ancora più difficile da digerire, alla riunione a cui siamo attese.
Clarke mi passa accanto e invece di salutarmi normalmente mi abbraccia. Ci metto qualche secondo per rispondere al suo gesto. Non credo ci siamo mai e poi mai abbracciate, se escludiamo il primo giorno sulla Terra. Sull’Arca sono certa di no. Batto dolcemente il palmo sulla sua scapola, disorientata. Lei non sembra intenzionata a staccarsi. Appoggia il mento sulla mia spalla, con le labbra all’orecchio:
“Quella di oggi è stata l’ultima cosa che dovevi fare. Te lo prometto.”
Prima che possa chiederle ragione delle sue parole lei mi libera, mi accarezza il braccio, si appende per un attimo con le dita alla manica della mia maglia e poi ci lascia. La guardo allontanarsi con il suo passo secco e sicuro, che potrebbe portarla a camminare attraverso la nebbia tossica restando illesa e dentro una montagna senza scavare una galleria. Sono infastidita da una sensazione acida alla bocca dello stomaco.
“L’hai spaventata, prima.”,
mi spiega Raven, come fosse un’ovvietà. Mi volto verso di lei, che sta socchiudendo gli occhi per via della luce.
“Ti ha guardata fare una cosa crudele, poco fa. E ora è preoccupata per te.”
“Crudele?”
“Era crudele perché non era necessaria, Blair. Tutto quello che di estremo abbiamo fatto, aveva una ragione.”
Penso al Terrestre torturato da John per avere una medicina. Penso a quanti sono stati uccisi per difenderci. Penso agli animali dissanguati per mangiare (i soli che ho visto finora erano sempre già morti). Penso a Abby Griffin, inevitabilmente. Penso alla pistola che avremmo puntato addosso a Jaha e a quanti avranno rischiato la vita nella rivolta che abbiamo causato sull’Arca.
Raven si sta infilando la maglietta dentro i pantaloni, mentre si guarda intorno, tenendo sotto controllo il campo.
“Ma far credere ad un uomo che il suo unico figlio è ancora vivo mentre non è così, illuderlo che lo rivedrà tra qualche giorno… Quando metterà piede sulla Terra, sarai tu a dirglielo?”
Resto in silenzio, perché sono terrorizzata dei miei stessi pensieri. Ho paura di avere voglia di dirglielo io.
“Non ce n’era bisogno, Blair. Non serviva a nessuno scopo, era pura e semplice vendetta. E non fraintendermi, io avrei fatto peggio. Ben di peggio. Ma Clarke non è come noi.”
Finalmente si volta e torniamo occhi negli occhi.
“E noi come siamo, scusa?”
Raven fa un sorrisetto e batte un dito sul mio polso, sull’orologio.
“In ritardo.”,
risponde, e prendendomi per un braccio mi invita a seguirla da Finn e gli altri, alla riunione.
 
Non fosse che una volta superato l’angolo della navicella e ad appena qualche metro dall’ingresso alle tende dei dormitori, ci troviamo davanti John. Lui ci mette un po’ prima di accorgersi della nostra presenza. Dopotutto la sua visione è quasi completamente ostruita dalla ragazza che gli sta infilando la lingua in gola. 




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09/10/17
...non potevamo mica aspettarci che John Murphy non ne combinasse una delle sue. Specie dopo la bastonata che si era preso nel beccare Blair e Bellamy con le facce a due millimetri di distanza...
Chi segue la serie spero mi perdonerà la mini digressione per spiegare cosa è successo a Wells, a Clarke e alla sua famiglia. Ho paura che chi non ha visto The100 avrebbe fatto fatica ad unire i puntini. Anzi, probabilmente sarebbe anche il caso di spiegare come è morto il povero Wells. 

Ah, e "go float yourself" l'ho tenuto in inglese perchè onestamente qualsiasi traduzione non avrebbe reso come l'originale (annosa questione che vale anche per "may we meet again" e altri). Se avete suggerimenti, sarei felice di modificarlo con un italiano decente!

Come sempre grazie a tutti quelli che seguono la storia, che la commentano, che si prendono il tempo di esserci. Siete molto belli! 
A presto!,
LMR
   
 
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