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Autore: Clonnie    10/10/2017    3 recensioni
Speak my name and I'll appear
Right here
Hideaway

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Dean è in un'altra cittadina uguale a tutte quelle in cui John ha trascinato lui e Sam da quando sono piccoli. Non è facile attirarsi le simpatie degli altri diciassettenni quando si hanno vestiti troppo grandi e tasche troppo vuote e forse per questo finisce spintonato in un vicolo da un gruppetto di ragazzi del posto. È li che lo trova Cas, un altro ragazzo isolato da tutti per via delle voci sulla sua famiglia, silenzioso e strano, ma efficace nel salvare Dean con un paio di pugni...
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Teen!Destiel
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Jo, John Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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3 – Lone Rider
  
I have more questions
than before this all began,
Taking my thoughts captive,
but captivated by the thought of you and me
 
I’ll take the long way home tonight,
Hoping that one day I’ll be alright,
But for now, I’m moving on,
Holding on to nothing but my next breath
 
(“Lone Rider” Olde Wise)
 
Sammy era il quindicenne più fastidioso della storia, ma era sempre Sammy, e quindi Dean lo aveva accompagnato in libreria senza fare troppe storie.
Ok, facendo storie, ma comunque ce lo aveva portato, e lo aveva seguito per file e file di libri sgargianti con fare annoiato.
Si concedeva di guardare qualche titolo quando Sammy correva da una parte o dall'altra del negozio sulle sue gambette magre, e solo facendo attenzione che non ci fosse assolutamente nessuno intorno a lui. Aveva una reputazione da mantenere, e quella del nerd non era tra quelle papabili, soprattutto perché a scuola era pieno di gente che leggeva libri - o la fottuta Bibbia - in ogni dove, e Dean sentiva una colossale urgenza di essere per lo meno diverso. Un pochino, non diverso nel senso di strambo, di pazzoide da evitare, per quello ci sarebbe stato tempo. Sarebbe bastato John in città con qualche litro di alcool in corpo e lui che cercava di riportarlo a casa, era roba già vista.
Un paio d'ore dopo erano per strada di ritorno a casa, Sam con le braccia strette intorno ai tre nuovi libri che si era comprato e un sorriso in grado di rivaleggiare con il sole.
Dean stava camminando con le mani in tasca, guardandosi intorno giusto per conoscere un po' meglio la città e fare nota mentale delle quasi inesistenti differenze tra tutte quelle cittadine americane. Non ci si doveva abituare a questa, come non doveva abituarsi a quelle prima o a quelle che sarebbero arrivate dopo, ma che male c'era semplicemente a guardare?
Fu così che intravide Castiel mentre filava a passo spedito sul marciapiede, la sua testa corvina che spuntava sopra i tetti delle macchine parcheggiate.
Dean si fermò di colpo. «Sammy,» disse. «Vai avanti, ti raggiungo a casa. Mi sono ricordato di dover fare una cosa.»
«Ehi... aspetta... che cosa?»
Ma Dean lo ignorò, accelerando il passo dietro a Castiel.
  
Castiel era filato via appena finite le sue mansioni pomeridiane, per farsi una doccia veloce e dedicarsi al suo appuntamento quotidiano, l'unico segreto che non condivideva neanche con Gabriel e Anna.  
Percorse le vie della cittadina velocemente, come suo solito, per poi imboccare la larga strada di campagna costeggiata da campi di granoturco e altri ranch come quello dei Novak, affrettandosi senza guardarsi indietro. Arrivò presto alla fattoria abbandonata, andando dritto verso la stalla – il suo rifugio personale – dove pescò da dietro un cumulo di mattoni la scala a pioli per raggiungere il piccolo soppalco. Il fortino era costituito da una tela cerata sospesa fra le assi del soppalco e il tetto con spesse corde, per proteggere il suo nido dalla pioggia che sicuramente filtrava dal tetto trascurato. Sotto, un materasso logoro, recuperato dalla casa cadente a fianco alla stalla, era avvolto in morbide coperte di ogni tipo che Castiel aveva gradualmente accumulato e da qualche cuscino morbido su cui si era appisolato più volte. Una scatola in plastica conteneva tutti i libri che gli era proibito leggere a casa, il suo blocco da disegno e le sue matite, e qualche vecchia cassetta di suo padre che non poteva ascoltare perché non aveva i mezzi adatti.  
Si tolse l'impermeabile, restando con la maglietta grigia e la felpa bordeaux, prima di abbandonarsi  di schiena sul materasso. 
  
Dean temporeggiò sotto la scala a pioli, sentendosi un completo idiota.
Non era stata sua intenzione seguire Castiel come un maniaco, avrebbe voluto fermarlo e salutarlo, fare conversazione come... okay, non come due persone normali a quanto pare, ma quello camminava come una scheggia e Dean non era riuscito a raggiungerlo, quindi si era limitato ad andargli dietro, convinto che lo avrebbe approcciato una volta che fosse giunto alla sua destinazione.
Avrebbe dovuto capire che sarebbe stato un posto fuori dal comune quando si erano lasciati metri di periferia alle spalle per inoltrarsi nella campagna. Dean avrebbe dovuto fermarsi, tornare indietro, ritentare in un momento più opportuno, ma tra chissà quanto tempo sarebbe ricapitato, e dove? Forse quel vicolo era stato una semplice fortuna sfacciata di un giorno. E poi, doveva ammettere di essere anche stato curioso di sapere dove andava così di fretta uno che non andava nemmeno a scuola...
Contemplò la scaletta e l'evidente nascondiglio a cui portava. Doveva essere un rifugio personale, e forse Dean doveva davvero andarsene. Il punto era che non voleva.
«Ehm,» cominciò, tossicchiando forte per annunciare la propria presenza.
 
Cas sentì il sangue gelarsi nelle vene.  
Qualcuno era lì, nel suo posto, a invadere il suo spazio.  
Camminò carponi fino al bordo e guardò giù, per trovare... 
«Dean?» domandò, perplesso. 
Per un attimo fu quasi una certezza, l'idea che fosse tutto un elaborato scherzo, una trappola di qualche tipo per fargli fare la figura dell'idiota per l'ennesima volta. E non voleva perdere il suo nascondiglio, non voleva gli togliessero anche l'unico posto in cui si sentiva a casa.  
Poi studiò l'espressione imbarazzata di Dean e, in qualche modo, gli sembrò che fossero due facce della stessa medaglia, divisi solo da qualche piolo di legno. 
Era assurdo e stupido e rischioso, perché lui quel ragazzo non lo conosceva per niente. 
«Cosa fai qui?» 
  
Dean alzò i palmi, sentendosi ancora di più uno stronzo di fronte all'espressione confusa di Castiel.
«Mi dispiace, davvero, non volevo invadere il tuo... è che ti ho visto passare e...»
E cosa? E volevo parlarti?
Scosse la testa. «Senti, non la farò lunga. Ero curioso e ti ho seguito, ma non pensavo andassi...», indicò il rifugio di Castiel, «in un posto privato, ecco.»
Si zittì e rimase a guardare in alto, in attesa. Non voleva offrirsi di andarsene per primo.
  
«Io...» Castiel ponderò per un attimo. 
Poteva dare a Dean il beneficio del dubbio e, allo stesso tempo, essere abbastanza furbo da non ritrovarsi come dopo Hannah. Non che Dean e Hannah fossero la stessa cosa, certo.  
«Ti sarei grato se non lo dicessi a nessuno. Posso anche... se... posso condividerlo, non è una mia proprietà, solo non portarci nessun altro. E non toccare le mie cose,» chiarì, prima di tornare e rifugiarsi sul materasso.  
Non sapeva perché il cuore stesse battendo così forte, forse era solo l'idea che qualcuno conoscesse quel posto. 
  
«Oh.»
Castiel non lo aveva mandato via. Era una sensazione sorprendentemente piacevole. Non si era accorto di non sapere se la sua presenza fosse accettata o meno da Castiel, visto che le volte precedenti si era limitato ad andarsene senza troppi preamboli.
Dean appoggiò una mano sul piolo più vicino, per poi esitare. «Posso... posso salire?»
Non gliene fregava niente di una fattoria vuota, tanto, e non aveva di certo intenzione di portarci nessuno.
  
«Sì,» si limitò a rispondere Castiel, sedendosi a gambe incrociate sul materasso.  
Il cuore gli stava davvero martellando in petto e si chiese cos'avrebbe pensato Dean del suo stupido fortino. Non sapeva neanche perché fosse importante. Quando si emozionava, la sua espressione non cambiava poi molto, ma le sue orecchie avevano la spiacevole tendenza ad arrossarsi un po'. 
Attese che i capelli chiari spuntassero alla vista, trattenendo il fiato. 
  
Castiel era seduto su un cumulo di coperte, le mani sulle caviglie e gli occhi un po' strabuzzati.
Doveva essere in imbarazzo quanto Dean, che distolse lo sguardo per guardarsi un intorno mentre si tirava in piedi.
C'era una scatola in plastica appoggiata sull'esterno, qualche cuscino, e nient'altro. Solo Castiel e il suo sguardo allampanato.
«Bello,» disse Dean, quieto.
  
Castiel rilasciò un po' il fiato, abbozzando il sorriso che Dean sembrava in grado di strappargli senza neanche che Castiel se ne accorgesse. 
«Grazie,» disse, facendosi un po' da parte. 
Si accorse che probabilmente Dean non si sarebbe seduto sul materasso, a fianco a lui, ma ormai si era mosso. 
«Così... emh... continuiamo ad incontrarci,» aggiunse, come se non fosse strano o non sembrasse che Dean volesse incontrarlo. 
  
Dean notò il movimento di Castiel e si accucciò per sedersi, grato di non essere costretto a rimanere in piedi, a disagio.
Il suo culo scoprì che non era un cumulo di coperte ma un materasso, basso e scomodo, ma Dean aveva visto di peggio, e si voltò verso Castiel per rispondergli, notando la punta arrossata delle sue orecchie.
Carino, pensò, e poi si accigliò di fronte a quel pensiero.
«Sì, continuiamo ad incontrarci,» cercò di sorridere. «Spero non ti spiaccia.»
  
Dean era vicino. Molto vicino. Castiel poteva sentire il calore del suo corpo e il profumo di gel. Poteva guardarlo negli occhi e scoprire tutte le sfumature di verde delle sue iridi.  
E le lentiggini. Tutte quelle lentiggini. 
La penombra non gli aveva reso giustizia. Presto sarebbe calata anche lì e Castiel avrebbe dovuto accendere la lampada da campeggio se voleva continuare a studiare Dean. 
Si accorse di stare continuando a guardarlo, ma non riuscì davvero a spostare le pupille. 
«Non ci sono abituato,» ammise, «ma non mi dispiace.» 
 
«Non sono abituato nemmeno io a seguire tizi che camminano veloci come Flash,» sfoderò il suo ghigno, «e no, non dispiace neanche a me.»
Non era solo che Castiel profumava di sapone buono, ma anche che quel posto era semplice, scomodo ma in qualche modo... giusto. Dean lasciò gli occhi di Castiel per guardarsi intorno di nuovo.
«È tanto che vieni qui?»
  
Castiel soppesò la domanda, prima di rispondere. 
«Da quando Chuck, emh, mio padre, se n'è andato, più di un anno fa.» 
Avrebbe stranamente detto tutto a quel ragazzo spuntato da chissà dove, ma le parole uscirono abbozzate, mentre il suo sguardo restava su Dean. 
«Tu sei da queste parti da tanto?» 
  
«Mh, qualche settimana.»
Aveva per forza di cose dovuto tornare a guardare Castiel, e non era facile senza niente da tenere tra le mani, non sapeva che farci, così abbracciò le ginocchia e si agganciò al proprio polso.
«Spiace per tuo padre. Ti manca? Voglio dire... non... cioè, io pure non ho più mia mamma e mi manca, dicevo per quello.»
  
Castiel si lasciò andare all'indietro sul materasso, piano, la maglietta a tirarsi un po', scoprendolo appena. 
«Non lo so. Ho pensato di andarlo a cercare, appena farò diciotto anni, chiedergli perché ci ha abbandonati,» ammise, come se non stesse parlando di qualcosa di così importante come quel pensiero che aveva ripetuto nella sua mente miliardi di volte. «Ma mi rendo conto che forse non è lui a mancarmi, ma la libertà di prima. C'erano sempre la chiesa e i lavori al ranch, ma potevo andare in giro, fare le mie cose, leggere a casa,» continuò senza sapere bene perché. «Mi dispiace, per tua mamma,» aggiunse dopo qualche istante, guardando verso Dean con intensità, la voce un po' più bassa. 
  
Dean sentì l'impulso di allungare le dita per coprire la pancia di Castiel, ma se ne dimenticò appena quello si mise a parlare di partire alla ricerca del padre.
«Amico, fidati, non ne vale la pena...», disse, la mascella che gli si serrava come il pulsare di un battito. «Siamo per la strada da anni, a cercare mia mamma. Se n'è andata, succede, ci perde lei. Ci perdono loro
Abbassò lo sguardo sui loro piedi. «Non significa che non faccia schifo, però.»
  
Nella voce di Dean c'era amarezza e Castiel quasi non ci pensò quando allungò le dita e gli sfiorò la schiena. Lasciò ricadere la mano subito dopo, un po' perplesso, il cuore a battergli nel petto come se stesse per morire. 
«Deve essere difficile, viaggiare sempre,» balbettò, scacciando qualsiasi cosa gli stesse succedendo dentro. 
Lo sapeva che non ne sarebbe valsa la pena, cercare Chuck e tutto il resto. Forse era solo una scusa per andarsene da quel posto, andare da un'altra parte, dove non sarebbe stato un Novak, ma solo Castiel. 
  
Dean scrollò le spalle.
Era inutile stare troppo a rimuginarci sopra, era così e basta. Papà non voleva saperne di mollare la presa, e continuava a spostarli di posto in posto alla ricerca di tracce che erano scomparse ormai da anni. La mamma poteva essere morta, per quel che ne sapevano. Il pensiero lo faceva stare di merda, bloccandogli qualcosa nei polmoni, finché non si dava dell'idiota per farsi mancare una persona che ricordava a malapena. Qualcuno che associava per lo più alle crostate, all'odore e consistenza di pelle soffice, lunghi capelli biondi e occhi verdi come i suoi.
«Dev'essere difficile anche come stai vivendo ora. Come diavolo fai a non bere?», scherzò.
  
«Faccio altro per distrarmi,» disse. 
Ora capiva perché Dean lo facesse e gli sembrò superficiale il modo in cui l'aveva giudicato la prima sera. 
Si tirò a sedere e si sporse oltre Dean, sfiorandolo per forza di cose, per trascinare più vicino la cassetta di plastica. Tirò fuori il blocco da disegno. 
«Non... non prendermi in giro,» borbottò, prima di passarglielo. 
Si rese conto che potevano essere fraintesi, tutti quei ritratti di persone mai esistite, ragazzi dai sorrisi divertiti che - nella sua immaginazione - ridevano delle sue battute e passavano il tempo con lui. Da qualche parte doveva anche essercene uno di Hannah. 
  
Dean sfogliò diverse pagine dal blocco, curioso.
Castiel aveva un tratto rozzo ma deciso, non che lui ci capisse niente, ma a suo gusto era bravo.
«Sono belli,» disse solo, un po' a disagio, non volendo fare la figura di quello che fa i complimenti per forza di cose. Non sapeva che dire la verità potesse essere difficile.
«Sono tuoi amici?»
Si ricordò troppo tardi che Castiel probabilmente non doveva averne avuti così tanti. Ma che ne sapeva lui, magari in passato ne aveva avuti a centinaia.
«O familiari?», aggiunse comunque.
  
«No. Non sono nessuno. Voglio dire, non sono qualcuno di specifico, solo facce,» disse. «E non devi... non devono piacerti per forza, solo...» 
Castiel tolse di mano il blocco a Dean. 
«Era per dire che mi tengo occupato in altri modi. Leggo, disegno, vengo qui.» 
Dean stava pensando che era strambo, lo sapeva. Perché stava dicendo tutte quelle cose? Non lo conosceva nemmeno. Forse avrebbe riso di lui appena avesse fatto amicizia con qualcuno, spifferando tutto. In fondo era lì solo da qualche settimana. O forse nella prossima città avrebbe parlato del tizio strano che disegnava persone che non esistevano in un fienile abbandonato. 
Le raccomandazioni di Gabriel gli risuonarono nelle orecchie e Castiel chiuse la sua espressione, tenendo il blocco in grembo come a proteggerlo. 
Non lo aveva mai mostrato a nessuno. 
«Ma si può anche bere, non ne so niente io.» 
  
Dean avrebbe voluto sorridere.
Castiel si era chiuso come Sammy e i suoi libri, o i suoi quaderni pieni delle storie strambe che si inventava quando erano alle elementari. Dean era un po' preoccupato perché c'erano sempre un sacco di trappole mortali e sangue, ma per il resto Sam era sempre rimasto tranquillo quindi non c'era stato bisogno di avere la conversazione sulla violenza. Si premurava sempre di controllargli la cartella perché non si portasse a scuola una delle pistole di papà, però.
«A volte canto. Sai... al karaoke.» Gesticolò stupidamente con le mani. «In qualche città dove nessuno di importante sta fuori fino alle tre di notte, e nessuno si frega che un ragazzino stia fuori fino a quell'ora. Certo, sono anche ubriaco quando lo faccio, ma...», si strinse nelle spalle. «Ognuno ha i suoi modi per tenersi occupato. Sammy ha i libri e...», fece capolino nella scatola da cui Castiel aveva preso il blocco da disegno, notando le pile di volumi disposte metodicamente una sopra l'altra. Sammy avrebbe adorato quel posto, anzi che il loro logoro tappeto e la puzza di piedi di John. Forse avrebbe potuto chiedere il permesso di portarlo lì. Forse.
  
Castiel lo guardò. Un po' dubbioso quando iniziò a parlare, poi sempre più attento. Avrebbe voluto chiedere di Sammy, ma non sapeva fino a che punto fosse giusto fare domande. 
«Ci sono delle cassette, nella scatola, sotto. Non posso ascoltarle da nessuna parte. E non capisco niente di musica. Non so neanche chi siano i gruppi,» disse, spingendo il contenitore più vicino a Dean. «E il Roadhouse ha la serata karaoke, il giovedì sera, ma non ci resta quasi mai nessuno a parte i soliti ubriachi. C'è un diner più carino che frequentano quelli della nostra età, ma il Roadhouse mi piace di più. Ellen e Jo sono gentili. Circa. Insomma, non che ci abbia mai parlato, ma non mi hanno mai trattato male,» spiegò. 
Jo doveva avere più o meno la loro età e aiutava facendo la cameriera. Era una ragazza a posto, anche se un po' ruvida come sua madre. Forse Dean l'aveva incontrata a scuola. Forse, conoscendola meglio, gli sarebbe piaciuta. Erano entrambi molto belli, dopotutto. 
Una punta di fastidio sembrò farsi spazio nello stomaco, a quel pensiero, ma Castiel la ignorò. 
  
Dean si illuminò. Cassette? Quello sì che era pane per i suoi denti!
Cominciò a spostare libri per pescarle dalla scatola, un sorriso grande come un bambino la mattina di Natale. Non solo aveva scoperto una nuova serata karaoke, ma aveva pure scoperto una miniera d'oro!
«Cas, this is awesome
L'avrebbe portato all'Impala, lì poteva sentire tutte le cassette che voleva...
Rialzò la testa con un cipiglio dubbioso, una cassetta dei Metallica e una degli Iron Maiden per mano. «Va bene se ti chiamo Cas?»
 
Cas.
Castiel si aprì in un sorriso, questa volta più convinto. 
Dean si era letteralmente illuminato, contento, gli occhi luccicanti di interesse. E Castiel capì che la soddisfazione che quella visione gli aveva dato poteva creare dipendenza. 
«Cas va bene,» rispose, sentendo la faccia fare un po' male perché non era abituato a quell'espressione. 
  
Dean annuì, il sorriso a tirargli la crosta sul labbro, e riprese a rimestare nel contenitore.
C'erano Bon Jovi, ZZ top,The Doors, un'intera collezione di classici di diversi generi.
Ma dove l'ha pescato tutto questo ben di dio?
«Ehi, senti questa. Per ripagarti di aver condiviso con me questo bel posticino, ti farò sentire queste nella mia macchina. C'è un vecchio stereo e tutto. Che te ne pare?»
  
«Sì,» Cas rispose, forse un po' troppo in fretta. «Sì, mi piacerebbe,» aggiunse, più calmo, tornando il solito, controllato, Castiel.  
Forse... forse Dean sarebbe stato suo amico. 
O forse è solo una trappola e troverai un mucchio di persone a prenderti in giro per qualche motivo, magari insinuando che ti piacciono i ragazzi, gli fece notare la parte cinica di sé che aveva sviluppato nell'ultimo anno. 
Improvvisamente tutta una serie di pensieri che erano sempre stati un rumore di sottofondo, fastidioso e insistente, tornarono a galla. Fu difficile ricacciarli giù, soffocarli e ridurli al silenzio, ma Cas ci riuscì.  
Non stava più sorridendo, ma era stato comunque un successo. 
«Sono libero solo per quest'ora, però, e devo essere a casa prima di cena,» chiarì, il tono neutro. 
  
Dean alzò le spalle come si trovava spesso a fare.
«Possiamo restare qui, la macchina è lontana adesso. Ci andiamo un'altra volta.»
Cercò di rimettere tutto a posto come lo aveva trovato, ricoprendo le cassette con i libri di Cas.
Un'altra volta, eh? Aveva proprio intenzione di appiccicarsi come una zecca a Castiel? Era davvero così... bisognoso?
Si riposizionò con le ginocchia piegate e le dita avvolte intorno al polso, voltandosi verso Cas con un sorriso. Era stupido, ma in quel piccolo rifugio si sentiva... beh, al sicuro.
  
«Mi sembra un buon piano, Dean,» rispose Cas. 
La prospettiva di rivederlo gli serrò lo stomaco e spedì di nuovo il suo cuore a battere come impazzito. 
Parlarono di musica per tutto il resto del tempo a loro disposizione, con Dean che lo istruiva su cosa fosse meglio ascoltare prima e quali fossero i suoi gruppi preferiti e Cas che inseriva le sue domande un po' strane, riuscendo anche a far ridere Dean un paio di volte. Una risata con Cas, non una presa in giro. Alla fine percorsero la strada di ritorno insieme e si salutarono appena la cittadina divenne visibile; Cas che aumentò l'andatura per non fare tardi, perché non voleva assolutamente rischiare una punizione. Si voltò un paio di volte, alzando il palmo, per trovare Dean che camminava quieto e rispondeva al suo saluto agitando la mano e sorridendogli.

 
Salve!
Come ogni martedì, ecco l'aggiornamento! GRAZIE per le recensioni e per essere passat* da queste parti! Siete preziosi! 
serClizia & DonnieTZ
   
 
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