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Autore: EmmaStarr    13/10/2017    2 recensioni
[SaruMi] [One-Shot] [s2e12]
Storia partecipante al concorso Mille modi di esprimerlo, senza mai dirlo (Ti amo) indetto da AleDic sul forum di EFP
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«E come facevo ad arrivarci, così dal nulla?» protesta Misaki, stizzito. «Fai sempre così! Sì, sono stupido. Quindi, se le cose non me le dici chiaramente, io non ci arrivo!»
Saruhiko scuote la testa: ci sono già passati mille volte. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, lui ci ha provato, a spiegare a Misaki come si sentiva. Ma quello era così: o zero, o cento. O ci arrivava subito, o non ci arrivava mai. «Se anche te lo avessi detto, avresti capito?» domanda retorico.

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Una scena che conosciamo tutti fin troppo bene: Saruhiko aveva quasi abbandonato ogni speranza quando il vecchio amico/nemico Misaki è andato a salvarlo, aprendo la porta ad una possibile riconciliazione. Ma a cosa pensava Fushimi in quei momenti così intensi? Quali sono state le sue emozioni, le sue paure? Cosa c'era nella sua testa in questo confronto così acceso? Forse ci sono delle parole che, anche se non vengono dette, raggiungono comunque il destinatario.
Genere: Avventura, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushimi Saruhiko, Misaki Yata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname sul fandom e su EFP: EmmaStarr
Pairing:  Fushimi Saruhiko/Yata Misaki
Momento scelto:  Scena in cui Yata va a salvare Fushimi nell'episodio 12 della seconda stagione (dal momento in cui Fushimi viene atterrato a quando Yata se ne va).
Numero Parole:  1998
Note autore:  La storia è scritta dal punto di vista di Fushimi: ho cercato di renderlo al meglio aggiungendo considerazioni e pensieri suoi, e per questo nel corso del racconto a volte ci sono dei riferimenti a fatti che si leggono nei primi capitoli di Lost Small World. Non è obbligatorio averlo letto per capirci qualcosa, però: sono solo dei piccoli accenni. Non avendo Word ho usato il contaparole di LibreOffice Writer, spero che vada bene ugualmente! Era tanto che non scrivevo qualcosa su Efp, quindi ringrazio la giudicia per avermi dato l'opportunità di partecipare ad un contest così interessante. Buona lettura! (p.s.: il titolo è una citazione di una frase di Hayley Williams)





It takes a good fall

(to really know where you stand)

 

 

Quindi è così che finisce.

È buffo, perché Saruhuko sapeva che sarebbe potuto succedere. L'aveva messo in conto, se l'era ripetuto ogni sera da quando aveva accettato quell'assurda missione. Lo sapeva, che avrebbe potuto non farcela.

Ma ora non riesce ad accettarlo. Se l'è sempre cavata, in fondo: e anche questa volta doveva esserci una via di fuga. E invece, eccolo qua: solo, ferito, davanti a un nemico impossibile da sconfiggere. Game over.

Spera che non sia vera, quella storia per cui prima di morire si vede tutta la vita scorrere davanti agli occhi: preferirebbe dimenticarsi tutto, lasciarsi tutto quanto alle spalle. Tutto, anche...

«Saruhiko!»

No, non è possibile, andiamo.

Quell'idiota è venuto davvero.

Non fa in tempo a realizzarlo pienamente -è venuto, è Misaki, Misaki- che il suo avversario decide di non perdere altro tempo e si prepara a dargli il colpo di grazia. Saruhiko sa che non riuscirà a schivarlo, sa che i suoi coltelli non basteranno, sa che non può fare niente.

E nonostante tutto, non ha paura

Un muro esplode alle sue spalle, e un bastone di metallo che conosce fin troppo bene va a cozzare contro la falce illuminata di verde. Ed eccolo lì, Misaki, in posizione difensiva tra lui e il suo avversario. Quello ghigna, per niente preoccupato. «Oh, un cambio di giocatore? Per me va bene!» esclama.

Se fosse una battaglia qualsiasi, Misaki non si farebbe provocare così, senza reagire. Da lui Saruhiko si aspetterebbe un “credi davvero che sia così semplice battermi?” o un “ehi, abbassa la cresta, moccioso!”. È con una certa sorpresa quindi che lo vede scagliare un attacco improvviso, provocando una piccola esplosione che fa sollevare una nube di polvere intorno a loro. Non vede più niente, finché un inconfondibile bagliore rosso attira la sua attenzione: per poco non gli scappa un sorriso rassegnato mentre si sente sollevare bruscamente da terra, e un attimo dopo sta sfrecciando via lungo il corridoio, caricato sulle spalle di Misaki.

«Saruhiko, sei vivo?» sbotta quello, come se non gli importasse. Lui non risponde: la gamba gli fa male, e Misaki non è mai stato famoso per i suoi modi delicati.

«Ehi, Saru!»

Ormai non ci sta più nemmeno provando, a far finta di essere superiore. Ha il tono di voce di un disperato. Saruhiko vorrebbe dire tante di quelle cose che non sa da dove cominciare: sei un idiota, e sei uno stupido, e cosa ci fai qui?; poi vorrebbe ridere e piangere e gridargli addosso. Invece sussurra: «Sei in ritardo.» Questo lo zittisce per un po', quindi continua: «E ti fai chiamare l'avanguardia dell'Homra? Ridicolo.»

Il punto è che è così facile. È così facile litigare, odiare ed essere odiato. È quello che Saruhiko sa fare meglio, dopotutto: con un padre come il suo, ha avuto modo di imparare dal migliore. Per questo sa esattamente che tasti toccare, che parole usare, che espressioni sfoderare perché Misaki esca di testa. Una volta, forse, si sarebbe sforzato. Una volta avrebbe fatto il possibile per evitare di sputare veleno su tutto e tutti.

Perché una volta, “Sei incredibile, Saruhiko!” era il suo suono preferito.

Ma ormai sono anni che l'unica cosa che Saruhiko sa fare è odiare, quindi non si sorprende quando Misaki ribatte quasi automaticamente: «Stai zitto!» E poi, un po' più piano: «Perché non me l'hai detto?»

Saruhiko sospira. Sul serio? «Lo sai che non posso parlare delle missioni top-secret, stupido» mormora, monocorde. E sa che è ingiusto, ma aggiunge: «Non ci potevi arrivare da solo?»

Il problema è sempre stato questo, alla fine. C'erano momenti in cui Misaki lo capiva meglio di quanto Saruhiko capisse se stesso, e momenti in cui invece non poteva essere più cieco, pure con la verità davanti al naso.

«E come facevo ad arrivarci, così dal nulla?» protesta Misaki, stizzito. «Fai sempre così! Sì, sono stupido. Quindi, se le cose non me le dici chiaramente, io non ci arrivo!»

Saruhiko scuote la testa: ci sono già passati mille volte. Contrariamente a quanto si potrebbe credere, lui ci ha provato, a spiegare a Misaki come si sentiva. Ma quello era così: o zero, o cento. O ci arrivava subito, o non ci arrivava mai. «Se anche te lo avessi detto, avresti capito?» domanda retorico.

Certo, Misaki è venuto a salvarlo, ma questo non cambierà le cose: il problema, con lui e Misaki, è che non si capiscono. Era facile, quando erano “loro due contro il mondo”; è così che a Saruhiko andava bene. Ma poi le cose si sono fatte più complicate, e Misaki... semplicemente, non ci arriva.

«E allora dillo di nuovo! Continua a dirlo finché non lo capisco!» grida Misaki. Ha il fiatone -chissà quanti Verdi ha combattuto per arrivare fin lì-, e non lo sta guardando -tiene lo sguardo fisso sulla strada-, ma gli occhi sono determinati come raramente Saruhiko li ha visti prima d'ora. «Se fosti morto senza dirmi nulla, avrei continuato a credere che tu fossi un traditore per sempre!»

Saruhiko sgrana gli occhi, il respiro mozzato: non se l'aspettava. Sfuriate, dichiarazioni d'odio, pugni, calci, quello sì; ma non questo. Questo è assolutamente incomprensibile.

«Io sono un traditore» ribatte, atono. Perché è quello che si ripete allo specchio tutti i giorni, dopotutto. Ed è quello che Misaki non manca mai di sottolineare ogni volta che si incontrano: ormai è un concetto così radicato nella mente di Saruhiko che è assurdo pensare il contrario.

«No, non è vero!» Se ne sta approfittando perché Saruhiko è ferito e non può reagire come vorrebbe. È l'unica spiegazione. Perché andiamo, è proprio questo il punto! Lui ha tradito Homra, ha tradito Mikoto-san, ha tradito Misaki. E non importa per quale motivo l'ha fatto, perché anche se provasse a spiegarglielo, lui non capirebbe. O almeno, questo è quello che ha sempre pensato fino ad ora.

«Hai rischiato la tua vita, ti sei spinto a tanto per il Re Blu. Proprio come farei io per Mikoto-san o per Anna!» continua Misaki, serio. «Questo vuol dire che il Re Blu era il tuo Re fin dal principio!»

Saruhiko sgrana gli occhi, sollevando appena la testa.

Gli verrebbe quasi da ridere, se non fosse praticamente sotto shock. Come fa ad essere tutto così semplice, nella testa di Misaki? Moriresti per lui, quindi è il tuo Re. Il tuo Re è Munakata-san, quindi non era Mikoto-san. Mikoto-san non era il tuo Re, quindi non l'hai tradito, andandotene. Tutto qua, chiaro come il sole.

Eppure, in un certo senso, funziona. Saruhiko si chiede se, spiegandoglielo così, sarebbe riuscito a farlo capire anche al Misaki di tutti quegli anni fa. Invece era così convinto che in nessun modo l'altro avrebbe potuto capire.. Possibile che ci fosse voluto tutto quel casino per arrivarci?

«Per come la vedo io, Fushimi Saruhiko è uno su cui si può contare!» conclude Misaki con quel tono di voce che usa quando vuole mettere fine a una discussione.

Questo... questo cambia tutto. Saruhiko non aveva idea che Misaki l'avrebbe presa in questo modo. Credeva di aver perso per sempre il suo legame con lui. Una specie di futuro immaginario mai realizzato. Un sogno infantile.

E all'improvviso ripensa agli occhi di Misaki quando si sono incontrati la prima volta. Ricorda le nuvole scure che hanno osservato insieme, sul tetto di un edificio abbandonato, alla ricerca di un dirigibile. Gli viene quasi da ridere al pensiero della voce di Misaki al telefono con la madre di Aya. E poi si rivede a letto, malato, e sente Misaki promettergli che “Quando mi chiamerai, verrò sicuramente!”. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni pezzetto di memoria gli ricorda i sentimenti che aveva accuratamente cercato di soffocare per tutti quegli anni, senza riuscirci mai del tutto.

Non gliel'ho nemmeno mai detto.

Fa per aprire la bocca, ma viene interrotto da una falce illuminata di verde che li fa rovinare a terra. Si scambiano uno sguardo d'intesa e, senza aggiungere una parola, iniziano a lottare.

 

* * *

 

Ce l'hanno fatta. D'altra parte, Saruhiko non aveva dubbi: trovarsi a combattere spalla a spalla con Misaki, capirsi con uno sguardo, attaccare in sincrono... quando lottano così, sono invincibili.

Misaki è ancora in piedi di fronte al crepaccio in cui è sprofondato il ragazzino, e Saruhiko gli si avvicina.

«Vai a casa”?» lo scimmiotta, riprendendo una frase detta poco prima da Misaki. «E da quando ti metti a dare lezioni ai ragazzini? Cos'è, sei diventato adulto tutto a un tratto?»

Eppure è tutto diverso. Anche se le parole sono taglienti come al solito, non grondano d'odio come avrebbero fatto anche solo fino al giorno prima. Sono le parole più... civili che Saruhiko gli rivolge da svariati anni a questa parte.

Misaki se ne accorge benissimo e si limita a sbuffare. «Sta' zitto» borbotta. «Non so se sono un adulto, ma di certo non sono più un bambino.»

Saruhiko realizza con una certa sorpresa che potrebbe abituarcisi. Era convinto che Misaki non avrebbe mai capito, e invece eccolo qua: che si sforza di mettersi nei suoi panni, che lo ascolta. Forse è vero, che non è più un bambino. Che è cresciuto, negli ultimi tempi.

Restano in silenzio per un po', seduti sui blocchi di pietra che hanno fatto crollare dal soffitto, a riprendere fiato. Poi, all'improvviso, la voce di Kamamoto li raggiunge.

Beh, era improbabile che la missione di Misaki fosse semplicemente quella di andare a toglierlo dai guai: avrà anche lui il suo daffare con il Clan Rosso.

«Vai» mormora Saruhiko, annoiato: non gli piace farsi vedere così debole. E poi, l'aiuto di Munakata-san dovrebbe essere qui a momenti.

Eppure, Misaki lo guarda con una strana espressione. «Io qui ho già dato» insiste allora Saruhiko, una punta di fastidio nella voce. «E non ho voglia di fare gli straordinari.»

«Ma Saruhiko, tu sei...» inizia Misaki, incerto. Lancia una fugace occhiata alla sua gamba ferita e fa per protestare, ma Saruhiko lo interrompe. «Qual è la cosa più importante, adesso?»

E forse è vero che Misaki è cresciuto, perché nei suoi occhi legge una determinazione che indica una maturità impressionante. «Anna.»

Ed eccolo qui, il punto fondamentale: Saruhiko ha messo in chiaro che morirebbe per il suo Re, e Misaki è disposto a mettere il suo davanti ai propri desideri. Hanno riposto la loro lealtà in due persone diverse, in due clan diversi, e questo non può cambiare.

Ma adesso, adesso che si sono capiti, forse possono iniziare ad accettarlo.

«Allora vai e fa' il tuo lavoro. Hai una missione da compiere» sbuffa Saruhiko trattenendosi a fatica dall'alzare gli occhi al cielo. Cosa vuole, un invito scritto? «Io me ne andrò per conto mio.»

Misaki lo guarda per qualche secondo, come aspettando qualcosa; poi però annuisce e salta giù dal sasso su cui era seduto, afferrando lo skateboard e mettendoselo sottobraccio.

Saruhiko gli fissa le spalle, combattuto. C'è ancora qualcosa che vuole dirgli. Dovrebbe ringraziarlo: non era tenuto a venire fin là, eppure l'ha fatto lo stesso. Dovrebbe dirgli che ha sbagliato, quella volta, a fare tutto di testa sua senza parlare. Che andarsene ha fatto male, ma doveva farlo. Che gli dispiace. Che ti amo ancora, stupido. Anche più di prima.

«Misaki...» Quello si ferma di scatto, i muscoli tesi. Saruhiko prende fiato: sa cosa dire. «Penserò a come spiegarmi in modo che anche uno stupido come te possa capire.»

È la cosa più sincera che può dire. Nessun “giuro che sarà tutto come prima”, o “sono stato uno stupido ed è solo colpa mia”. Non sono perfetti, e hanno entrambi molte cose su cui lavorare. Ma adesso che si sono parlati e che Misaki ha capito, forse... forse possono farlo insieme.

Non è un “ti amo”, ma è quanto di più vicino Saruhiko riesca ad esprimere.

Ma probabilmente non c'è bisogno di aggiungere altro, perché Misaki è sempre stato così: o zero o cento. E questa volta, Saruhiko lo capisce dal suo sorriso smagliante, è un cento pieno. «Allora dopo possiamo parlare ancora!»

E se questo non è un “anche io”, Saruhiko non sa proprio cos'è.

 




 
  
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