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Autore: alessandras03    14/10/2017    0 recensioni
SEQUEL BISBETICA VIZIATA.
Dal Capitolo 1...
"In fondo è l’alba per tutti. E’ l’alba di un nuovo inizio. L’alba che porta con sé la notte, schiarendo il cielo, colei che reca luce e spensieratezza.
E’ questa la mia alba. Guardare avanti e capire che non bisogna fermarsi.
Come il tempo scorre, come la notte passa e arriva il giorno, così i cattivi pensieri svaniscono per dar spazio ad una pace interiore senza limiti. "
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 16
 


Nascosta, come una ladra, dietro un muretto, osservo Dylan caricare sul bus tutta la sua roba. La madre e Beth lo stanno abbracciando di continuo e sembrano piangere entrambe.
Lui è irrequieto, un po’ distaccato, non rilassato. Annuisce ad ogni loro affermazione e raccomandazione, poi lascia due baci ad ognuna e sale su con un flebile “a presto”.
Asciugo le numerose lacrime che scendono sulle mie guance, mi si è offuscata la vista a furia di riempire gli occhi di così tanta acqua. Li strizzo e singhiozzo.
Il bus rimane fermo qualche istante, lui si affaccia dal finestrino e osserva le sue donne.
Poi quando finalmente parte, agita malinconico una mano, alza gli occhi al cielo e li schiude.
Ciao amore mio.

Poco dopo sto vagando per la città, sta piovendo a dirotto ed ho addosso soltanto un jeans, degli scarponcini ed una misera felpa con il cappuccio. Sono bagnata fradicia.
Mi accorgo solo dopo del messaggio in segreteria di Brian.

“Dove sei? Non eri tu quella che vagava sola per strada con questo temporale spero!”

Il suo tono è un mix tra la preoccupazione ed una risata incredula.

Rispondo con un sms veloce.

Sto tornando a casa, sì sono io.

Neanche il tempo di mandarlo che lui mi si affianca con l’auto. Abbassa il finestrino e mi osserva corrucciato.
«Dai sali» dice.
Apro la portiera e salto su. Abbasso così il cappuccio beccandomi la sua occhiataccia.
Riparte e spegne lo stereo.
«Non puoi farti venire adesso una bronchite!» Esclama furibondo.
Alzo le spalle e sbuffo, «ero senza ombrello, non è colpa mia» mi giustifico.
«Hai così tante persone che correrebbero per te e vuoi farmi credere che non l’hai fatto apposta? Grace ti conosco abbastanza.» Sbotta. «Dove vuoi che io ti porti? Da tua sorella?»
Emily ha ricominciato a lavorare, sarà stressata, mentre Brandon sarà ancora più isterico di lei. Li sento telefonicamente praticamente ogni giorno, non fanno altro che ripetermi di non fumare, di non bere e di non fare altre minchiate. Non le farò, ormai ho capito la lezione.
«Hai un appartamento?» Chiedo devastata. Credo di avere qualche linea di febbre, ero già raffreddata prima di decidere maturamente di camminare sotto la pioggia.
«Mio padre prima di dirmi quanto io sia disgraziato mi ha lasciato un po’ di soldi, quindi sono riuscito ad affittare un appartamento... a qualche isolato da casa tua» spiega guidando, osserva attento la strada.
«Andiamo lì, però dovrai offrirmi la cena» dico poggiando il capo sul finestrino, «e darmi qualcosa di caldo e poi riaccompagnarmi a casa. Insomma mi farai da baby sitter.» Accenno una risata.
«Sei andata a vedere Dylan vero?» Morde il labbro inferiore e si ferma al semaforo.
E’ rosso. Così si prende qualche secondo per guardarmi.
«Sì, come una cogliona» tolgo i capelli davanti gli occhi e mi massaggio le tempie.
«Quanto avrei voluto che tu mi amassi come ami lui» sussurra ripartendo. «Avrei anche accettato tutta questa situazione, qualsiasi situazione, bambino compreso… ma non te l’avrei mai data vinta» dice la sua a riguardo.
«No, Dylan ha fatto bene ad andar via.» Dico severa, mentre osservo le gocce che scivolano sul vetro dell’auto.
Lo sento ridere amaramente. «Tu pensi che io ti avrei lasciato il diritto di scegliere come gestire questa situazione? Mi dispiace… ma se il figlio è di entrambi, la decisione non era solo tua, era di entrambi. Hai potuto decidere da sola, perché Dylan non riesce ad avere il controllo su di te, eri tu l’Alpha dei due» finalmente siamo arrivati. Posteggia e tira il freno a meno.
«Perché tu si?» Domando antipatica.
Lui fa qualche smorfia. «Non avevo il completo controllo, ma sapevo gestirti» stringe le labbra in un mezzo sorriso. «Questa non è una sua colpa, sono relazioni diverse» conclude e scende dalla macchina.

Apre l’ombrello, poi la mia portiera e mi aiuta a scendere.
«Sono diventato più gentiluomo almeno.» Ci avviamo insieme verso l’entrata, prendiamo un ascensore e finalmente giungiamo al terzo piano.

Questo appartamento è decisamente più presentabile del precedente. Tutto messo in ordine, mobili nuovi di zecca, riesco ad avvertire persino l’odore del legno.
Mi guardo intorno e poi mi blocco.
«Mi dovrai prestare qualcosa» indico il mio abbigliamento.
«Stavolta non scenderò a comprarti dell’intimo.» Mi avverte spogliandosi del giubbotto e gettandolo su di una poltrona.
«Tranquillo, ancora quello non è bagnato, dammi solo un pantalone ed una maglia» sospiro. Ho un mal di testa bestiale.
Lui si dirige verso la camera da letto e torna due minuti dopo con una tuta ed una felpa. Me li lancia e poi alzando le maniche della sua maglia fino al gomito mi osserva.
«Cucino qualcosa» sembra un po’ confuso, ma annuisco e lascio che faccia.
E’ molto cambiato. Spero non sia solo una mia impressione.

Indosso ciò che mi ha prestato e lascio asciugare i vestiti su di una sedia. Così mi dirigo in cucina, non sembra impacciato come pensavo. Sta facendo la salsa e fischietta, mi siedo e mi incanto a fissare un punto senza distogliere lo sguardo.
Sono stanca, nel vero senso della parola. Vorrei dormire, chiudere gli occhi e riposarmi.
Mi fanno male tutte cose, come se mi fosse passato sopra un camion con rimorchio.
«Dì a tua madre dove sei» si volta leggermente e mi rivolge una brevissima occhiata.
«Non se ne parla neanche, non ci parlo con lei» sbadiglio.
Improvvisamente vibra il telefono, è Beth. Rispondo.
«Ti ho vista lì nascosta, dove sei adesso?» Sono le prime che mi rivolge.
«Sono da Brian, mi ha beccata per strada e mi sta ospitando per cena» dico sorreggendomi il mento con una mano.
«Spero non abbia intenzione di…» la sento sbuffare.
Mi metto in piedi e vago per la cucina, poi mi posiziono di fronte il finestrone.
«Puoi stare tranquilla per questo, davvero…» mormoro.
La sento tirare un sospiro di sollievo, «fatti vedere domattina per favore.»
«Sì, ti chiamo e vieni da me» noto che Brian mi sta osservando curioso.
«Va bene, mi raccomando a cosa fai… a domani» mi saluta e riattacca.

Getto il telefono sul tavolo e mi siedo nuovamente. 
«Pensava ci stessi provando con te» borbotta Brian. «Io non ci sto provando, ma non posso far a meno di starti lontano, soprattutto in queste condizioni… ti voglio bene, tengo a te in maniera indescrivibile e mi sento in dovere di proteggerti e non farti mancare nulla.» Ha gli occhi sinceri. «Sei e sarai la mia Liz, sempre» probabilmente non passerà ciò che prova per me ed io non farò nulla per incrementare questa cosa, così da non dover illudere nessuno. Lui sa cosa provo.
«Anche io ti voglio bene Brian e sono felice che tu sia tornato… mi sento meno sola» ammetto.

Così ceniamo l’uno di fronte all’altro mentre fuori il temporale è terribile. La luce via e viene continuamente, mia madre mi ha chiamata e alla fine ho dovuto dire che mi trovavo da Beth. Non che si preoccupi di Brian, ma non si fida di me e crede io possa continuare a comportarmi come una bambina indecisa. In realtà non è così, quel momento è già trascorso.

Io e Brian parliamo tutto il tempo, scherziamo da buoni amici, ci confidiamo e passiamo l’intera serata così tranquillamente da non riconoscerci neanche. Il tempo mette tutto al proprio posto, è proprio vero.

Lo aiuto a metter a posto tutto e poi mi deposito sul suo divano, mi porge un plaid ed accende la tv. Stanno trasmettendo La dura verità, uno dei miei film preferiti in assoluto.
Amo profondamente Katherine Heigl e Gerard Butler.
Anche Brian prende posto, ma non invade assolutamente il mio spazio. Siamo distanti l’uno dall’altro, lui da un capo del divano ed io dall’altro distesi. Solo i nostri piedi s’incrociano sotto la coperta. Poco dopo mi accorgo che lui sta dormendo ed io continuo a vedere il film. La notte trascorre tormentata dalla pioggia e il blackout pervade mezza città.
Mi metto in piedi, dopo la fine del film, e avanzo verso la finestra. Osservo i lampi ed ascolto il rumore dei tuoni. Ho sempre amato questo genere di giornate, ma le immaginavo diverse, magari a letto con la persona che si ama, nudi, sotto il piumone a fare l’amore.
Non che mi dispiaccia star qui, in fondo Brian non è mai stata una cattiva compagnia, ma ahimè… sta riposando ed osservandolo non avrei il coraggio per svegliarlo.
E’ l’una di notte e questo significa o che mi riposizioni al mio posto cercando di prender sonno oppure che riaccenda la tv alla ricerca di un altro film.
Allora scelgo la seconda opzione. Curiosando tra i canali scorgo l’inizio di Pearl Harbor, dire che io sia innamorata di questo film è dir poco. Starei qui a vederlo per ore e piangerei a dirotto per ore. Non mi stanco mai di guardarlo, ogni volta è come la prima.

Mi metto comodo ed euforica come una bambina mi scordo persino dei miei problemi.
A quel punto Brian spalanca gli occhi, alza il capo e ride.
«C’è Pearl Harbor e tu non mi chiami?» Acchiappa il telecomando ed aumenta il volume.
Sorrido. «Stavi dormendo» scrollo le spalle.
«Questo film è un capolavoro» dice estasiato. «Ma adesso silenzio» mi fa cenno di non fiatare più e così faccio.
Rimaniamo fino a metà film come due mummie, ma poi decido di parlare.
«Comunque io la preferirò sempre con Danny!» Scuoto il capo afflitta. Non accetterò mai la fine del film.
«E’ sicuramente meglio Rafe, lui ha saputo riprendersi la sua donna» sbotta Brian.
Sbuffo e mi lamento, «ma non c’è assolutamente paragone fra i due, dai… andiamo. Poi lei che finisce con Rafe, quando il bambino è di Danny… è troppo triste» faccio una smorfia con le labbra, ma quando mi sento gli occhi di Brian puntati addosso, mi volto. E’ serio.
Ripenso alla mia affermazione e mi pietrifico.
Brian, però, riprende a vedere il film, «sono tornati insieme perché lei in fondo ha sempre amato Rafe, nonostante tutto. E’ giusto così.» Sembra teso.
«Io amo Danny» ripeto.
«Lo so.» Decreta duramente e poi schiarisce la voce. «E’ solo un film… comunque» la tensione si alleggerisce.



Alla fine mi sono addormentata lì e l’indomani mattina mi ritrovo sola distesa sul divano. Brian non c’è. Mi metto in piedi e curioso per casa, poi lo scorto nella camera da letto a dormire.
Rindosso i miei vestiti asciutti e piego i suoi, lasciandoli sul tavolo. Prendo la mia borsa ed esco di lì. Tornerò a casa a piedi, la giornata non è poi così cupa.

Mia madre non fa domande, mio padre invece mi obbliga a far colazione con latte e biscotti. Diventerò la balena di casa?

«Io non sono contro l’adozione, se tu ne sei convinta…» dice sottovoce. «Tua madre capirà» sospira.
Annuisco e non fiato.

Nel pomeriggio Beth mi raggiunge a casa, trascorreremo gli ultimi giorni insieme e già mi manca al solo pensiero. Non posso immaginare di dover alzare una cornetta per poterla sentire e non posso pensare che lei possa scordarsi di me, avere amicizie nuove. Sono terribilmente gelosa di ciò, ma solo perché le voglio troppo bene e non voglio perdere anche lei.
«Dylan è arrivato stamattina» esordisce sgranocchiando una patatina, «ha incontrato Judy, te la ricordi?» Si gratta poi il capo.
Perfetto. Grandioso. Splendido.
«Come dimenticarla» borbotto a denti stretti. «Va bè, io credo che le cose vadano per come debbano andare» schiarisco la voce.
«Lo rincontrerai. Lo sai.» Mi osserva lei di sbieco. «E conoscendo mio fratello… sono sicura che farà di tutto per conoscere suo figlio» sospira. «Ci sarà quel giorno.»
Bè, se intende quello del parto potrà anche esserci, vederlo e salutarlo per la prima e ultima volta. Mi sono già abituata all’idea di lui che mi odia come se fossi il diavolo sceso in terra.
«E’ la scelta più giusta» biascico, «tu ci pensi fra qualche anno, se lui fosse rimasto qui, insieme a me… avremmo cresciuto insieme il bambino e poi sicuramente le cose sarebbero cambiate e peggiorate» dico pensierosa, «lui con il rimpianto di non aver potuto realizzare ogni suo desiderio, io lo stesso. Sarebbero iniziate le liti, le porte chiuse in faccia, l’astio, l’arroganza, poi avremmo perso completamente la pazienza, avremmo gettato la spugna… e quella che sarebbe dovuta essere una famiglia…» mi blocco. «Sarebbe diventata un inferno vero e proprio. Io voglio che cresca bene e serenamente. Noi siamo troppo giovani e acerbi per questo.» Non voglio esser vista come la cattiva della situazione.
Non riesco a pensare di star sbagliando, perché tutto ciò che ho appena previsto, sarebbe accaduto senza dubbio.
L’amore si sarebbe trasformato in abitudine. E allora lasciamo che ognuno prenda la propria strada, faccia le proprie scelte, giuste o sbagliate che siano, che si prenda il primo treno con chi sa quale destinazione… poi magari un giorno ci rincontreremo. Lui magari non mi guarderà più con quegli occhi colmi di disprezzo. Magari ci sorrideremo. Magari lasceremo alle spalle quel che è stato e ci abbracceremo. O magari faremo finta di non riconoscerci neanche, cammineremo ognuno per la propria strada, a testa alta ed occhi gelati. La vita ci sta riservando sicuramente una fine…

«Mio fratello non ti perdonerà mai, Grace… voglio che tu lo sappia sinceramente.» Beth lo dice con avvertenza, ma anche tristezza.
Alzo le spalle e prendo un lungo respiro. Spero che un giorno lo capisca.
«Io credo che… avrà altre storie, situazioni…» abbasso lo sguardo.
Beth mi accarezza il capo, «non è da escludere» amo la sua sincerità.

Quando squilla il mio telefono, mi sporgo verso il comodino e lo acchiappo. E’ la dottoressa Clayton. Ci penso un po’ e poi rispondo.
«Ciao Grace, sono la dottoressa Clayton… ho già trovato una coppia. Vorrebbe conoscerti, non ha preferenze per il sesso e insomma… se domani venissi qui potreste parlarne» spiega cauta.
Osservo Beth che mi scruta curiosa, «sì, perfetto. A domani…» saluto e riattacco.


Beth, sconsolata, mi fissa, arriccia il naso e posa gli occhi sul mio ventre.
«Lo so cosa stai pensando, non dirlo.» Quasi la imploro con lo sguardo.
Mi metto in piedi, percorro la stanza avanti e indietro, mentre mi azzanno le labbra con dei morsetti e stritolo le mani.
Non pensarci Grace. E’ giusto così. Non farti problemi. Respira. Socchiudi le palpebre e rilassati. 
  
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