The Stewards of Gondor
Home is behind
The world ahead
And there are many paths to tread
La gente li saluta.
La gente piange.
Il viso di Faramir, figlio di Denethor, si fissa sui fiori bianchi che gli abitanti della città gettano ai loro piedi. Molti potrebbero scambiarlo per un gesto di riverenza, ma il giovane capitano sa che si tratta di un tributo alla tomba che nessuno di loro avrà.
L’attimo dopo escono di nascosto, eludendo i paggi, e sfrecciano sui bastioni menando fendenti come Isildur e Anárion, decapitando centinaia di Balrog e facendo tremare lo stesso Morgoth davanti alla furia dei due Sovrintendenti di Gondor.
Through shadow
To the edge of night
Until the stars are all alight
Prima al trotto, poi al galoppo. Nessun corno dà loro il segnale.
Basta il battito forsennato dei loro cuori. Saranno quelle colonne annerite dal fumo, brulicanti di orchi, l’ultima che cosa che tutti loro vedranno. È stato lui a perdere la cittadella, ed è suo dovere riconquistarla a costo della vita.
Forse, se Gondor avesse avuto un altro capitano, tutto questo non sarebbe successo.
Boromir eccelle in tutto. Cavalca più veloce degli elfi e attraversa l’Anduin a nuoto senza slacciarsi la cotta di maglia pesante; è riuscito a disarmare il suo maestro d’armi e, se volesse, potrebbe spaccare la testa di un orco a mani nude.
Molti dicono a Faramir di non esserne all’altezza, ma la cosa non gli riguarda: di suo fratello invidia una cosa, ed una soltanto.
In piedi sul promontorio, davanti a quella pietra bianca, depongono fiori per quella donna per cui Boromir ancora piange mille lacrime e di cui Faramir non ha alcun ricordo.
Per lui il volto della loro madre, scomparsa poco dopo la sua nascita, è un gioco di luci che si perde nella spuma delle onde.
Mist and shadow
Cloud and shape
Ma Faramir no. Non lui.
“C’è un capitano che abbia ancora il coraggio di eseguire la volontà del suo signore?”
Le parole di suo padre superano i tamburi degli orchi, coprono gli ordini gridati dai loro nemici. Diventano più acute del verso delle cavalcature dei Nazgul, e portano lo stesso carico d’ombra; è una voce che è cambiata da quando le acque dell’Anduin gli hanno restituito soltanto il corno del suo primogenito.
“Vorresti che i nostri posti fossero stati scambiati: che io fossi morto, e che Boromir vivesse.”.
Mentre il cielo si tinge delle frecce di Mordor Faramir sa solo che vorrebbe tornare indietro nel tempo, soffocare quella domanda, forse scendere in battaglia senza sentire la risposta: l’ha sempre saputa, o forse nei suoi sogni sperava ancora in segreto che quel vecchio viso si rasserenasse, forse che solo rimanesse in silenzio. Ma suo padre, Denethor figlio di Echtleion, non ha mai nascosto la verità a nessuno.
Un debole colpo come quello non sarebbe mai riuscito a disarcionare suo fratello, eppure al minimo contatto con la sua spada Boromir perde la presa e cade a terra, ruzzolando il maniera vistosa.
“Basta, fratello, mi dichiaro sconfitto!”
Sta per rispondergli che è un pessimo bugiardo e che quel colpo avrebbe al massimo spintonato un goblin malaticcio, ma tace quando si accorge di due iridi grigie, dure, che scrutano il cortile. Iridi che si poggiano su di lui per un istante, ma si ritraggono per accarezzare il figlio preferito.
Da quando Faramir è diventato un’ombra agli occhi di suo padre?
All shall fade
All shall fade
Altri, come lui, uccidono nemici nella consapevolezza che una freccia o una spada arriverà per consegnare la loro storia, quella dei cavalieri di Gondor disposti al sacrificio pur di riprendere la città di Osgiliath, alla Gloria immortale.
Faramir combatte sapendo che, se al suo posto vi fosse stato Boromir, la battaglia sarebbe stata vinta.
Faramir uccide sapendo che, se al suo posto vi fosse stato Boromir, loro padre sarebbe stato felice.
Faramir cade colpito da una freccia sapendo che, se al suo posto vi fosse stato Boromir, Gondor e l’intera Terra di Mezzo sarebbero diventati un posto migliore.