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Autore: Alley    18/10/2017    0 recensioni
Nel silenzio che cala, Arya sente risuonare l’eco degli anni trascorsi e dell’estraneità generata dal lungo distacco. Per un momento, teme che si trasformi in un muro impossibile da oltrepassare, poi il momento passa e resta il ghigno di Gendry a farle capire che, in fondo, le cose non sono cambiate poi tanto.
“Mi faresti la cortesia di liberarmi, milady?”

[Gendrya; what if?]
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Davos Seaworth, Gendry Waters, Nymeria
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Poco dopo la notizia della morte di Stannis e Shireen Baratheon, si diffonde quella di un nuovo Cervo posto a capo dell’esercito di Capo Tempesta.

Si dice che combatta armato di martello e alcuni giurano che si tratti di re Robert riportato in vita da chissà quale maleficio, deciso a prendersi il Trono come fece sconfiggendo il giovane drago nella Battaglia del Tridente.

Un giorno, Arya sente un gruppo di avventori in una bettola riferirsi a lui come al ragazzo-toro.

È allora che decide di trovarlo.

*

Attraverso gli scorci che si aprono tra le armature dei soldati, Arya scorge la figura incappucciata seduta a terra, la schiena poggiata contro il tronco dell’albero a cui è legata.

Si fa strada silenziosamente, l’elsa di Ago stretta tra le dita, ed infilza alle spalle il primo dei Lannister messi di guardia. Quando l’uomo stramazza al suolo, gli altri si voltano nella sua direzione e si avventano su di lei. Ucciderli non richiede particolare sforzo.

Malgrado i singulti strozzati che accompagnano gli affondi mortali ed i tonfi con cui i corpi ridotti a cadaveri crollano, il prigioniero rimane immobile e non emette un solo suono.

A lavoro terminato, Arya si ferma ad un passo da lui e gli sfila il cappuccio, scoprendogli il viso. Messa in luce dalle storie sul suo conto, la somiglianza con Robert Baratheon le appare lampante.

“Quindi il famigerato ragazzo-toro si lascia rapire come una donzella qualunque.”

Gendry impiega poco a dissimulare la sorpresa suscitatagli dalla sua vista. “Quei luridi porci hanno assaltato l’accampamento durante la notte e mi hanno rubato il martello. In uno scontro leale gli avrei spezzato le ossa una ad una.”

“Se ti aspetti lealtà da parte dei Lannister, sei diventato più stupito di quanto già non fossi.”

Nel silenzio che cala, Arya sente risuonare l’eco degli anni trascorsi e dell’estraneità generata dal lungo distacco. Per un momento, teme che si trasformi in un muro impossibile da oltrepassare, poi il momento passa e resta il ghigno di Gendry a farle capire che, in fondo, le cose non sono cambiate poi tanto.

“Mi faresti la cortesia di liberarmi, milady?”

*

Abbandonano l’accampamento sgusciando lungo il retro delle tende, favoriti dalla copertura offerta dal buio della notte.

Durante il cammino, Arya lancia un’occhiata al martello. Prima, quando ha sollecitato Gendry ad andare senza recuperarlo per non rischiare che la fuga venisse intralciata dall’arrivo di altri soldati, lui non ha voluto sentire ragioni.

Fortunatamente, è bastata una rapida perlustrazione per trovarlo.

“Allora” comincia Gendry, quando hanno percorso abbastanza metri da scongiurare il pericolo di essere uditi “Dove hai imparato ad uccidere un manipolo di soldati come fossero formiche da calpestare?”

“Calpestare formiche sarebbe stato più difficile.”

“Dico davvero.”

Lo sguardo di Arya si fa sfuggente e il suo passo più veloce, come a voler mettere distanza tra sé e la domanda. “Te lo racconterò un’altra volta.”

Gendry acconsente senza insistere. “Come vuoi.”

“E tu? Come sei finito dalle grinfie della Strega Rossa a pretendente al Trono di Spade?”

“Per merito di Davos. O per colpa.” Arya cerca tracce di quel nome nella propria memoria senza riuscire a trovarne. “Era al servizio di Stannis prima che lui e sua figlia venissero uccisi dai Bolton. È stato lui a farmi scappare quando---”

“Quando...?”

“Quando Stannis e la Strega Rossa hanno deciso di usarmi come agnello sacrificale.”

A quel punto, Arya coglie le ragioni dell’esitazione.

Sei una strega. Gli farai del male.

Non è il momento adatto a rievocare il ricordo, pertanto, lascia semplicemente che torni nell’angolo di memoria in cui era stipato.

“Sconfitto Stannis, mi ha raggiunto a Fondo delle Pulci. Dopo la morte di mio padre, Cersei Lannister ha tenuto la corona senza averne alcun diritto e la Madre dei Draghi si proclama legittima erede malgrado i Targaryen siano stati spodestati da oltre vent’anni. Di questi tempi, essere un bastardo non è un impedimento così grande” conclude, scrollando le spalle “Almeno, è così che la pensava lui.”

“L’esercito è stato d’accordo.”

“Ciò che ne è rimasto ha preferito servire un membro bastardo della famiglia Baratheon piuttosto che piegarsi a Cersei.”

“Vorrei fare lo stesso.”

“Concorrere per il Trono?” le chiede Gendry, una nota beffarda nella voce “Tutti sembrano avere una ragione per presentarsi come suoi legittimi proprietari. Sono sicuro che troverai anche tu un pretesto a sostegno della tua candidatura.”

“Servirti.”

A quelle parole, Gendry si arresta di colpo, un lampo di sorpresa a squarciare il velo della sua espressione. “Perché?”

“I Lannister hanno decimato la mia famiglia. Voglio che la paghino prima di ritrovare quello che ne resta” spiega Arya “Mio padre ha combattuto al fianco del tuo nella battaglia che lo ha condotto alla conquista del Trono e sosteneva che spettasse ad un Baratheon ereditarlo: lui aveva sempre ragione.”

Gendry la scruta, accigliato. “Sarà pericoloso.”

“Ho dato prova di sapermela cavare meglio di te.”

Ad Arya non appare convinto, ma, in compenso, la risposta che le fornisce è esattamente quella che voleva sentirsi dare. “Va bene.”

*

“Arya, sir Davos Seaworth. Davos, Arya Stark di Grande Inverno.”

Quando giungono a destinazione, l’uomo di cui Gendry ha tanto parlato acquista finalmente un volto – è un volto vecchio e cordiale, ricoperto da uno spesso strato di pelle ruvida che deve aver visto molti giorni di sole.

“È un piacere averla tra le nostre file, lady Stark.”

“Fossi in te non la chiamerei così.”

Arya si rivolge a Gendry con un sopracciglio inarcato. “Da che pulpito.”

“Io ho il permesso.”

“Davvero?” gli chiede “Concesso da chi?”

In tutta risposta, Gendry si stringe appena nelle spalle. “Non mi hai mai ammazzato nel sonno: lo considero un lasciapassare.”

*

Davos srotola un foglio di pergamena sgualcito su cui sono riportati disegni ed annotazioni che ad Arya paiono poco più che scarabocchi. “Qui è dove sono stanziati i Lannister” punta l’indice su un punto al centro del foglio, poi lo fa scivolare poco più in là “E qui è dove siamo noi. L’altura alle loro spalle renderebbe impossibile la ritirata---”

“---qualora avessero bisogno di ritirarsi.”

Davos accoglie l’osservazione di Gendry con un breve tentennamento. “Naturalmente” conviene alla fine “Considerando la conformazione del terreno e il fatto che non si aspettano un attacco così immediato, può essere vantaggioso agire nel minor tempo possibile.”

“Cioè?”

Davos soppesa brevemente la domanda. “Un paio di giorni al massimo.”

Gendry si acciglia, il dissenso annidato nella ruga profonda disegnata al centro della sua fronte. “Veniamo da giorni di marcia serrata, siamo in inferiorità numerica e questi territori sono molto più conosciuti per i Lannister che per noi. L’effetto sorpresa non sarà un vantaggio sufficiente e, in ogni caso, il tempo necessario a pianificare l’attacco lo vanificherebbe.”

Solitamente Arya assiste in silenzio a quel tipo di discussioni, ma, stavolta, l’intervento le sfugge dalle labbra prima che possa frenarlo. “Non sei nelle condizioni di sprecare occasioni propizie.”

Gli sguardi di Gendry e di Davos convergono contemporaneamente nella sua direzione.

“Non mando i miei uomini al macello.”

 “Li mandi a combattere per te: è quello che hanno accettato di fare seguendoti.”

“Non ha senso combattere se sai di non poter vincere.”

“Ma se accadesse--”

“Non accadrebbe.” Il tono impiegato da Gendry è di quelli che non ammettono repliche. Arya non ricorda d’averglielo mai sentito usare ed è la prima, grossa discrepanza con il ragazzo che ha conosciuto. “Sono io che decido: l’attacco non si terrà.”

*

Davos non appare deluso mentre si appresta a ripiegare la mappa e a riporre con essa il piano liquidato da Gendry. Non quanto Arya si sarebbe aspettata, almeno.

“Perché non hai insistito?”

Il vecchio distoglie l’attenzione dal foglio per concentrala su di lei. "Ricordo il giorno in cui ho condotto Gendry da quel che era rimasto dell’esercito” comincia, l'aria greve “Potevo leggere negli occhi dei soldati il pensiero che formularono praticamente all’unisono: è solo un ragazzo. Non sarà mai in grado di guidarci. Ricordo altrettanto nitidamente lo stupore che si diffuse quando, quella sera, lo videro sedersi assieme a loro e cominciare a mangiare come se niente fosse - lo stesso che, la mattina dopo, fu in grado di suscitare unendosi alla spedizione per procacciarsi la selvaggina. Gendry trasporta la legna, accende il fuoco, smonta e rimonta la propria tenda, conosce i nomi di buona parte dei suoi sottoposti: è così che gli uomini hanno smesso di considerarlo soltanto un ragazzo e lo hanno accettato come capo. Ho servito molti sovrani o aspiranti tali, prima di lui, e nessuno è mai stato preoccupato più dei suoi uomini che del proprio interesse.”

A quel punto, arrotola la pergamena e se la sistema sotto braccio, quell’espressione tranquilla ancora stampata in viso.

“Semmai dovesse cambiare, non sarà a causa dei miei consigli.”

Tutt’a un tratto, le immagini del vecchio Gendry e di quello attuale tornano a combaciare alla perfezione.

*

“L’hai sentito?”

All’inizio, Arya aveva creduto che si trattasse di una semplice sensazione. Con il passare dei giorni, però, il sentore di essere osservata aveva continuato ad accompagnarla, simile ad un’ombra, facendosi più forte durante le escursioni nei boschi.

È da quando si è stabilita all’accampamento che la perseguita e in quel momento, con il fruscio delle fronde e lo scricchiolio basso delle radici a sferzarle i timpani, ha l’assoluta certezza di non starlo soltanto allucinando.

“Cosa?”

Arya si porta un indice alle labbra per far segno a Gendry di tacere, tende l’orecchio alla ricerca di tracce da seguire. Una volta coltele, si avvicina a passo felpato ad un folto cespuglio.

Quando trova l’uomo accovacciato dietro il fogliame, gli punta Ago alla gola con una mossa tanto rapida da non consentirgli il minimo spostamento. Lo costringe spalle al terreno con un calcio ben assestato, la punta della spada che sfiora minacciosamente la pelle all’altezza della giugulare.

“Da quanto ci segui?” L’unica reazione dell’uomo sta nel lampo di confusione che gli attraversa lo sguardo “Sei una spia dei Lannister?”

“Non insultarmi, ragazzina” sputa tra i denti “Sono stato fedele ai Baratheon per oltre vent’anni, come mio padre e suo padre prima di lui” sposta l’attenzione su Gendry, rivolgendogli uno sguardo sprezzante “Ma non sono disposto a servire il figlio di una puttana senza nome. Meglio che la dinastia giunga al termine piuttosto che vanga insozzata da un bastardo schifo--”

Il resto delle parole è soffocato dal fiotto di sangue che schizza dalla ferita sul collo.

*

Lungo la via del ritorno, Gendry si chiude dietro una spessa cortina di silenzio. Preoccupata, Arya prova a scardinarla. “Stai bene?”

“Non è la prima volta che accade” risponde lui in tono pratico, ma Arya coglie una nota d’altro seppellita sotto la noncuranza che ostenta “Non per tutti un bastardo ha il diritto di ambire al Trono.”

“Cambieranno idea quando ti ci siederai.”

La smorfia resta sulla bocca di Gendry per un istante impercettibile, ma è abbastanza perché Arya la colga. “Già.”

*

Accatastando i pezzi di legna da utilizzare per i falò della sera, Arya struscia accidentalmente la mano contro una scheggia di corteccia spaiata; mentre il solco lungo il palmo si colora di rosso, smorza a stento un gemito di dolore.

“Non ti si riesce a sfiorare con una spada e finisci a tagliarti con la legna?”

Gendry lascia cadere il proprio mucchio di legname e si sporge per adocchiare la ferita. Arya stringe la mano a pugno per nascondergliela, ignorando il bruciore che il gesto comporta. “Non è niente.”

Lui si limita a sparire nella sua tenda. Poco dopo, ne esce con delle garze. “Avrai difficoltà ad impugnare l’elsa se non bendi la ferita.”

“Cosa—non ce n’è bisogno.”

“Sì che ce n’è.”

“Non sono una bambina.”

“Allora smettila di fare storie e lasciati medicare.”

Gendry le fa cenno di sedersi su uno dei ceppi sistemati nei pressi della legna ammassata. Arya obbedisce, arresa, e gli porge la mano con riluttanza. Lui rimuove il sangue dal palmo e poi srotola una garza pulita per fasciarlo.

Tra le dita di Gendry, le sue scompaiono quasi completamente.

Arya ne segue i movimenti con lo sguardo, scoprendoli più attenti di quanto si sarebbe mai aspettata. È difficile credere che siano compiuti dalle stesse mani ruvide e callose capaci di piegare il ferro e brandire un martello d’acciaio come fosse una spada di legno.

Quando parla, Gendry lo fa senza smettere di armeggiare con le garze. “Una volta, un paio di anni fa, c’era questa ragazza che avanzava tra la calca. Non sono riuscito a vederla in volto prima che mi superasse, ma ero sicuro che fossi tu. Così, l’ho seguita. Sono stato continuamente sul punto di pronunciare il tuo nome, durante il tragitto, ma ho desistito ogni volta: mi dicevo che, magari, avevi dimenticato il suono della mia voce e che non avresti risposto alla chiamata di un estraneo. La verità era che avevo paura di sbagliarmi. Avevo paura di scoprire che non eri tu, quella ragazza. Preferivo coltivare l’illusione ancora per un po’ prima di romperla. Abbiamo camminato fino alle porte della città. Lei deve aver pensato che la stessi pedinando. Forse ha svoltato proprio per provare a seminarmi. Quando lo ha fatto, ho visto il suo viso. Non ti somigliava nemmeno.” S’interrompe e stringe l’ultimo nodo, buttando fuori una specie di sbuffo. “Non sono mai stato così deluso in tutta la mia vita.”

Quando solleva il capo ad incontrare i suoi occhi, Arya deve resistere alla tentazione di distogliere lo sguardo. “A volte fatico a credere che tu sia davvero qui. Mi sento come se dovessi sparire da un momento all’altro.”

Seppur con fatica, riesce a tenerlo fermo. “Non sparirò” dice, imprimendo al suo tono tutta la sicurezza di cui è capace.

I momenti successivi sembrano sospesi in una bolla d’aria, esonerati dallo scorrere del tempo. Malgrado la fasciatura sia completa, nessuno dei due ritrae le mani. Nessuno dei due parla.

Le dita di Gendry esercitano una leggera pressione contro la pelle bendata. Arya non è sicura che sia intenzionale, ma lo trova piacevole.

La ferita ha smesso di bruciare. È come se non se la fosse mai inferta.

“È abbastanza stretta?”

Arya annuisce, scrollandosi di dosso un imbarazzo che la colpisce all’improvviso. “Sì” mormora “Grazie.”

Prima di allontanarsi, Gendry le lancia un’ultima, lunga occhiata. “Mi sei mancata.”

L’anche tu le resta incastrato in gola.

*

“Sarebbe stato più sicuro fermarsi all’altezza della radura.”

“Era troppo lontano dal centro abitato. Gli uomini hanno altri bisogni da soddisfare, oltre al riposo.”

Arya sa che Gendry si riferisce ai bordelli. Si chiede se li frequenti anche lui. Per qualche motivo, l’idea le suscita una sensazione opprimente al centro del petto.

“Potrebbero controllarli.”

Gendry sbuffa un accenno di risata. “Mi hai detto che era stupido pretendere lealtà dai Lannister: aspettarsi una cosa del genere non è molto più intelligente. Se non si sfogassero, approfitterebbero di qualche passante indifesa.”

Probabilmente, il ragazzo-toro non ha bisogno di pagare per trovare una donna disposta a soddisfare le sue voglie. Il pensiero punge come la punta acuminata di una spada ed intensifica quella sensazione, rendendola ancor più spiacevole e soffocante.

“Già. Dimenticavo che voi uomini siete animali.”

“Possedere degli istinti non è da animali: è da umani. Sfogarli in maniera barbara; quello è da bestie. Per questo vanno prese precauzioni affinché non avvenga.”

Arya resta in silenzio, lasciando morire la conversazione.

Quella notte, durante il turno di guardia, i suoi occhi restano incollati alla tenda di Gendry per tutto il tempo. Si dice che è per assicurarsi che non vi entrino Lannister malintenzionati, ma, in realtà, è nel tentativo di scorgere qualche donna che approfitti del buio per intrufolarvisi.

Il fatto che non accada non dovrebbe farla sentire così sollevata.

*
In totale controllo.

È così che Gendry appare con il martello - e così che è.

Mentre lo guarda brandirlo, Arya pensa che non sia strano che un intero esercito abbia deciso di servirlo né che decine di volontari ne abbiano rimpinguato a mano a mano le fila, fiduciosi che il figlio di Robert Baratheon possa spezzare il gioco di una regina non meno folle di Aerys Targaryen.

Davanti ai colpi secchi e decisi con cui fende l’aria, lei stessa sente che lo seguirebbe fino in capo al mondo.

Finito l’allenamento, Gendry la raggiunge e pianta la testa del martello nel terreno, strofinandosi la fronte sudata con un braccio. Arya ricalca con le dita i contorni del cervo incastonato sul manico dell’arma. “Lo hai fatto tu.”

Non è una domanda, ma Gendry risponde comunque. “Non ero abbastanza bravo con la spada. Pensa: attaccavo in posizione frontale.” Il ricordo le suscita un piccolo sorriso che vede riflettersi sulla bocca di Gendry. “Alcune delle storie che mia madre mi raccontava erano sulla Ribellione; sul Cervo che liberò i Sette Regni dal fardello del Re Folle. Il domatore di draghi” recita, ricalcando le ultime parole per dar loro enfasi “Faceva il suo effetto sulla fantasia di un bambino.”

“Ricordo il giorno in cui venne a Grande Inverno. Era così stupidamente entusiasta all’idea del matrimonio di Joffrey e Sansa. Aveva questa-- fissa sull’unire le nostre casate. Non so perché ci tenesse tanto.”

Tutt’a un tratto cala un imbarazzo fitto, ingombrante. Arya se lo sente addosso, come salsedine appiccicata alla pelle. Dal tono che Gendry assume, capisce di non essere l’unica ad avvertirlo.

“Beh, Joffrey non era la persona più indicata per realizzare il proposito.”

Arya deglutisce, a disagio. “Già.”

*

Quando Arya entra nella tenda di Gendry, lo trova senza i vestiti addosso.

Indietreggia, colpita da una fitta di panico, ma la voce di lui la ferma prima che abbia il tempo di defilarsi. “Resta” le dice “Ho pisciato davanti a te abbastanza volte da non vergognarmi.”

In fondo, ha ragione: è una visione a cui ha fatto l’abitudine molto tempo prima.

È quello che si dice mentre resta accostata all’uscio e lo guarda rivestirsi, i muscoli della schiena che guizzano ad ogni movimento, la pelle che sparisce sotto la stoffa, l’uccello che svetta tra le cosce.

Quello di Gendry è il primo che Arya abbia visto. Ricorda ancora la curiosità ingenua che le suscitò e che tornava ad affacciarsi ogni volta che lui lo tirava fuori dai pantaloni per i suoi bisogni. Adesso, non prova più niente di simile. D’altronde, non è rimasto nulla di ciò che quella Arya è stata.

“Allora?”

Dovrebbe essere una visione a cui ha fatto l’abitudine molto tempo prima, eppure, in quel momento, ad Arya sembra che abbia un significato completamente nuovo, un senso che la bambina che è stata era incapace di cogliere; di qualunque cosa si tratti esattamente non riesce a metterla a fuoco, ma l’avverte nel disagio che le ostruisce la gola, nell’istinto di abbassare lo sguardo che vorrebbe vincere e assecondare a un tempo.

Non sa se questo qualcosa abbia a che fare con Gendry o con lei.

“Arya?”

“Cersei Lannister ha sposato Euron Greyjoy” dice, scacciando quei pensieri “La parte più interessante è il regalo di nozze.”

“Cioè?”

“Evocatore di draghi1.”

*

Quella notte, Arya sogna di fare l’amore.

Non è qualcosa che abbia mai desiderato con particolare intensità o che abbia rifuggito in maniera intenzionale: semplicemente, è sempre stata troppo presa da altro per indugiare su certi pensieri.

Non c’è stato spazio per molte cose, nella sua vita.

Il fatto che nel sogno sia bello non è sorprendente. Nei sogni che faceva prima di Braavos e di Jaquen e dell’Orfana era a Grande Inverno, circondata dalla neve e dal calore della sua famiglia; erano tutti felici, e vivi, e non c’erano guerre da combattere né vendette da consumare a macchiare il suo orizzonte.

Dopo, non ha più fatto quel genere di sogni. In realtà, dopo l’addestramento, non ha sognato affatto: i suoi sogni sono diventati buchi neri in cui il suo inconscio non smette di precipitare, pozzi di tenebra privi di fondo.

L’identità dell’uomo sopra di lei le è celata; per Arya è soltanto la pelle calda in cui affonda le unghie, le spinte che la scuotono, la voce che le sussurra all’orecchio.

È sicura di averla già sentita, quella voce, anche se non altrettanto vicina, non con quel tono, non così.

(Arya Arya Arya Arya Arya Arya Arya Arya Arya Arya Arya.)

Quando apre gli occhi, la prima cosa che avverte è la smania insoddisfatta che le preme tra le gambe, un’urgenza che catalizza ogni suo pensiero, impedendole di badare ad altro.

Fa scivolare la mano oltre la stoffa della biancheria e inizia a toccarsi, l’eco lontana di quella voce a rimbombarle nella testa e l’immagine del corpo nudo di Gendry che si staglia nitida dietro le palpebre serrate, spingendola ad aumentare il ritmo delle carezze.

Arya non prova nemmeno a mandarla via.

*

“Che diavolo ti è saltato in mente?!”

Impettita sulla soglia della tenda, Arya sposta lo sguardo dal viso pallido di Gendry alle bende di cui il suo torace è rivestito, macchiate di sangue nel punto in cui la lama del soldato Lannister è penetrata. 

Era troppo impegnata a contrastare gli attacchi frontali per accorgersi di quello sferrato alle sue spalle; se Gendry non si fosse frapposto tra lei e l’affondo, non sarebbe riuscita ad evitarlo.

“Non c’è di che.”

Per un momento, la fatica che gli costa inanellare le parole fa prevalere il senso di colpa su qualsiasi altro sentimento: Arya rivede le proprie mani tamponargli la ferita, le dita tremanti inzuppate di sangue, e la sua stessa voce torna a rimbombarle nelle orecchie assieme al clangore delle spade sfumato in un sottofondo lontanissimo.

(Guardami non morire apri gli occhi non morire ti prego non morire non morire non morire non--)

Sbatte le palpebre per tornare al presente e, adesso, è di nuovo la rabbia a guidarla. “Quegli uomini stanno combattendo per te. Io sto combattendo per te. Non stiamo facendo tutto questo perché tu ti faccia infilzare da un soldato qualunque come un maledetto imbecille!”

“La tua vita è più importante della mia corona” replica Gendry, una fermezza quieta a rivestire le sue parole “La tua vita è più importante di qualsiasi alta cosa.”

Tutt’a un tratto, Arya non riesce più a sostenere il suo sguardo. Abbassa il proprio ed emette una specie di sospiro, poi, prima ancora che l’ordine venga impartito alle gambe, si ritrova ad avanzare verso la branda, i passi che si susseguono veloci e le dita preda di un formicolio che non è in grado di reprimere.

È convinta che sia dovuto alla voglia di colpirlo e invece, quando lo raggiunge, gli prende il viso tra le mani e si sporge per premere le labbra contro le sue: più che un bacio, è un semplice scontrarsi di bocche, un contatto veloce e rabbioso che si ferma alla superficie.

Dopo essersi ritratta, Arya si volta senza nemmeno guardarlo. Mentre guadagna l’uscita, sente il cuore batterle nel petto all’impazzata. “Muoviti a rimetterti” gli dice, e sparisce oltre la tenda.

*

Nessuno dei due ne parla, né durante la convalescenza né quando Gendry si ristabilisce totalmente.

Arya vorrebbe poter dire che è come se non fosse mai successo, ma non può farlo; non può per tutte le volte in cui torna a sentire la sensazione delle labbra di Gendry sulle sue; per tutte quelle in cui finisce a fissargli la bocca senza nemmeno rendersene conto; per l'intensità con cui si ritrova a desiderare che accada di nuovo.

La cosa però non ha ripercussioni e, pertanto, a volte riesce addirittura a raccontarsi che non ha significato nulla.

“Siamo in ritardo sulla tabella di marcia. Dovremmo--”

Una folata di baccano improvvisa penetra all’interno della tenda, troncando il dibattito di colpo.

Arya porta istintivamente la mano al fodero, stringendo le dita attorno all’elsa di Ago, e scatta verso l’uscita per seguire la scia tracciata dagli schiamazzi.

“Restate qui.”

Davos la raggiunge, ignorando il monito. “Fa’ come ti dice” intima a Gendry.

Un attimo dopo anche lui le si affianca, armato di martello. “Scordatevelo.”

“Sempre molto collaborativi, voi due.”

Una volta fuori, Arya distingue un altro suono tra le voci e lo scalpiccio degli uomini intenti a sparpagliarsi per l’accampamento: un ringhio basso e feroce che riconoscerebbe tra mille.

Il manto grigio che vede sfrecciare qualche tenda più avanti è una conferma di cui non aveva davvero bisogno.

Quando apre la bocca, riesce ad emettere soltanto un sussurro tremolante. “Nymeria.”

*

Arya solleva il capo e adocchia l’ombra proiettata sull’esterno della tenda. “Entra” dice a voce alta “Morde soltanto se glielo ordino.”

“Appunto.”

Gendry si fa avanti e resta impalato sulla soglia. “Non la immaginavo così— enorme” osserva, con un cenno a Nymeria irta al suo fianco.

“Ti avevo detto che lo era.”

Il suo metalupo non ha mai avuto l’indole docile di Lady, la socievolezza di Vento Grigio o l’esuberanza di Cagnaccio: sin da cucciola, è sempre stata schiva e guardinga, disinteressata a qualunque cosa non fosse Arya.

È per questo che il modo in cui la presenza di Gendry catalizza la sua attenzione coglie Arya di sorpresa.

Nymeria gli punta gli occhi addosso, lo scruta con la postura rigida che assume quand’è concentrata su un obiettivo; alla fine, si sottrae al tocco di Arya per avvicinarglisi.

Quand’è ad un passo da lui, Gendry le tende amichevolmente la mano.

“Attento: non si lascia toccare da chiunque.”

Gliela poggia tra le orecchie, incurante dell’avvertimento; Nymeria non si ritrae né reagisce in maniera aggressiva. “Solo dalle persone giuste, evidentemente” dice Gendry saputo, rilasciandole una carezza “Avete molto tempo da recuperare: vi lascio sole.”

Quando Nymeria torna ad accucciarsi al suo fianco, Arya le lancia un’occhiata storta. “Traditrice.”

*

Prima che Arya abbia il tempo di entrarvi, Gendry abbandona la tenda con un incedere che non lascia presagire nulla di buono.

“Non abbiamo finito.” La voce di Davos, proveniente dall’interno, è carica di una durezza di cui non la credeva capace. Dopo averla sentita risuonare, Arya lo vede comparire sulla soglia.

“Sì invece.”

“Tona subito---”

Arya gli sbarra la strada allungando un braccio. “Ci penso io.”

Davos emette un grugnito contrariato, ma accetta di farsi da parte; Arya si dirige nella direzione intrapresa da Gendry, correndo per compensare i metri di svantaggio. “Si può sapere che succede?”

“Piani, attacchi, strategie: è tutto inutile” dice lui, continuando a camminare imperterrito “Il Trono se lo prenderanno Daenerys Targaryen e i suoi draghi.”

“Hai paura di Daenerys Targaryen o del fatto che un bastardo non può essere re?”

Il passo di Gendry s’arresta per un attimo, quasi fosse inciampato nell’insinuazione. “Non è la paura il punto.”

Arya lo supera e gli si pianta davanti. “E allora qual è?”

“Che non lo voglio” soffia esasperato “So che brami vendetta, ma a me non importa del Trono né del potere né di qualunque altra maledetta cosa comporti.” Gendry rilascia uno sbuffo e fa saettare lo sguardo, come se nessun punto fosse quello giusto su cui poggiarlo; alla fine, lo deposita su di lei, e Arya sente il cuore sprofondare sotto il peso di quello che vi legge. “C’è solo una cosa che voglio.”

*

Quella sera, Gendry non lascia la sua tenda. Arya non riesce a trattenersi dal tenerla d’occhio, malgrado non si aspetti di vederlo comparire. In realtà, non è nemmeno sicura di volere che accada. Ha paura delle parole che potrebbe rivolgerle come del silenzio distaccato con cui potrebbe tenerla lontana. 

Alla fine, stacca dalla coscia di coniglio che le fa da pasto soltanto un paio di morsi prima di gettarla a terra.

Quando il buio attorno all’accampamento si fa più fitto i soldati defluiscono nelle rispettive tende, lasciando morire i focolari appiccati per cuocere la carne e procurarsi un po’ di calore. Dopo che anche l’ultimo uomo si è ritirato, una figura solitaria prende posto di fronte a lei.

“Quando lo hai scelto, avresti dovuto assicurarti che il tuo candidato fosse interessato.”

“Lo è. Posso garantirglielo.” Arya stacca lo sguardo dal fuoco per puntarlo su Davos, il viso illuminato dai riverberi generati dalle fiamme. “Non per i motivi che generalmente muovono verso certi obiettivi, ma lo è” dice lui, sicuro. “Gendry non ambisce al Trono perché desidera per sé i vantaggi che l’essere re comporta. Credo che, conoscendolo, non faccia fatica a crederci. L’avidità è quanto di più lontano esista da lui. C’è una ragione personale, però, che tende a non raccontare a nessuno. A me l’ha rivelata molto tempo dopo essersi lasciato trascinare via da Fondo delle Pulci. Una sera, mi ha parlato della lady che aveva deluso perché convinto che un fabbro di umili natali non fosse all’altezza del suo rango. Cedeva di non meritare quello che lei gli aveva offerto e, per questo, lo rifiutò malgrado lo desiderasse con tutto se stesso. Se fosse appartenuto allora al ceto che acquisirà con la corona, mi disse, le cose sarebbero andate diversamente tra di loro; se non fosse stato soltanto un bastardo, non la avrebbe persa. Capii dalla sua voce che si trattava di un enorme rimpianto, per lui.” Davos fa una pausa, e la fissa, tutti i sottintesi dell’aneddoto racchiusi in quell’unica occhiata. “Credo che quella ragazza sia stata il motivo principale che lo ha spinto ad imbarcarsi in tutto questo.”

Arya non può far altro che restare in silenzio, il peso di quanto appreso addossato sulle spalle, premuto contro il cuore.

Il fuoco, nel frattempo, ha smesso di ardere.

*

Quello successivo si svolge come un giorno qualunque. Nella solita ruotine, però, scorre una tensione che funge da monito costante, un continuo rimando a quello che è rimasto in sospeso e ai varchi che ha lasciato aperti.

In realtà, l’ostinazione con cui Gendry evita il suo sguardo sarebbe un promemoria sufficiente; anche quando si siede attorno al suo stesso falò, si premura di tenerlo lontano.

Arya attende che tutti gli altri si allontanino per occupare il posto accanto al suo. Ci sono cose che non è pronta ad affrontare e altre che non intende tacere; prima che possa dar voce a queste ultime, Gendry prende la parola. “Ti ho vista parlare con Davos” dice, l’astio che serpeggia nella sua voce “Cos’è, avete paura che il vostro cavallo lasci la corsa?”

“Stai facendo lo stronzo, adesso.”

Gendry abbassa lo sguardo, la bocca storta in una smorfia contrita. “Hai ragione” ammette “Mi dispiace.”

Arya accoglie le scuse restando in silenzio. “Puoi starmi a sentire?” chiede poi. Gendry si volta a guardarla in segno d’assenso. “Quello che hai detto è vero: voglio vendicarmi. Ma non ti sosterrei se non fossi convinta che saresti un re migliore di tutti coloro che intendono diventarlo. Ho visto il modo in cui agisci: so che saresti un sovrano giusto.”

“Non so niente di come si faccia il re.”

“Lo imparerai. Cersei Lannister, invece, non può imparare la misericordia e la compassione, come Daenerys Targaryen non può imparare l’umiltà che comporta venire dal basso. Mio padre diceva che un re ha bisogno di un cuore buono, di soldati valorosi a difenderlo e di consiglieri fidati a guidarlo. Gli uomini puoi procurarteli; il primo ce l’hai.”

“Tu e Davos coprite le altre due voci.” Arya accenna un sorriso e Gendry solleva gli angoli della bocca a sua volta. “Anche se lui somiglia più ad un genitore apprensivo che ad un consigliere, per la maggior parte del tempo.”

“Credo che anche tu somigli più ad un figlio che ad un futuro re per lui.”

A quelle parole, un barlume di tenerezza gli si accende nello sguardo. “Gli devo delle scuse.”

“Le accetterà.”

Il silenzio, adesso, è finalmente disteso. Arya lo gusta per qualche momento prima di riprendere. “Perché non lo hai mandato via, se il Trono non ti interessa?”

Gendry torna a fissare il fuoco, preso dai pensieri suscitatigli dalla domanda. Quando parla, continua a tenere gli occhi fissi sulle fiamme. “Volevo credere di poter essere più di un semplice bastardo; di non dovere soltanto fabbricare spade per il resto della vita; di essere destinato a qualcosa di grande. Qualcosa di-- buono.”

“Il Trono può essere il mezzo per realizzarlo.”

“Una corona non basterà a rendermi quello che non sono.”

“Perché, cosa saresti adesso? Per i tuoi uomini sei un capo. Per Davos sei stato una scommessa su cui investire. Per me---” Arya fatica a pescare nel mare di parole che le si riversa dentro a fronte di tutto ciò che Gendry ha rappresentato per lei – tante, troppe cose, alcune delle quali non è sicura di saper articolare. “Mi hai dato uno scopo. Una causa da sostenere. Qualcosa in cui credere. Per anni sono stata solo un guscio vuoto. Non credevo che sarei stata capace di riempirlo con qualcosa, un giorno. Poi ti ho ritrovato.”

Adesso, il viso di Gendry è attraversato da una gamma di emozioni tutte diverse tra loro. Lo sconforto è ancora lì, stipato tra le pieghe della sua espressione, ma, adesso, è mitigato da qualcos’altro che Arya spera col tempo di veder prevalere e trasformarsi in autentica convinzione. Se c’è una cosa di cui è certa, è che intende contribuire affinché ciò avvenga.

“Contate troppo su di me.”

“O forse sei tu che non lo fai abbastanza” ribatte sicura “Non hai bisogno di essere un nobile per meritarti il titolo di re.” Le tornano alla mente il racconto di Davos e le parole che il suo orgoglio ferito non le permise di pronunciare anni prima. Quelle che tutt’ora non è in grado di lasciare uscire, in fondo, non hanno un significato troppo diverso. “Come non ne avevi per essere la mia famiglia.”

*

Nymeria è placidamente stesa accanto al falò, le zampe tese in avanti ad incorniciare il muso adagiato sul terreno. Il fuoco non ha alcuna attrattiva, per lei, ma da quando è uscita allo scoperto non ha lasciato Arya sola nemmeno per un istante.

“Chissà come ha fatto a trovarti.”

La voce di Gendry la raggiunge mentre è intenta a guardarla, il pelo reso perlaceo dal bagliore delle fiamme.

“Mi ha seguita.” Gendry increspa la fronte senza capire. “Quando abbiamo trovato quell’uomo nel bosco ho creduto che ci stesse alle calcagna da un po’, ma mi sbagliavo: era lei. Deve averti visto proteggermi; ecco perché si fida.”

“Solo perché non piaccio a te, non significa che non possa piacere a lei senza alcun secondo fine.”

Quella di Gendry somiglia più ad una presa in giro che ad una vera obiezione e, per questo, Arya si sorprende nel sentire la smentita che le affiora spontanea alle labbra. “Non è vero che non mi piaci.”

La leggerezza che gravitava nell’aria si spezza, come una bolla di sapone fatta scoppiare all'improvviso: Arya sente il peso di quel cambiamento e distoglie lo sguardo.

“Arya” comincia Gendry, il suo nome avvolto da qualcosa di simile a un sospiro “La cosa che voglio--”

“So cos’è.” Arya torna a fissare Nymeria, sperando che tenere gli occhi lontani da quelli di Gendry renda le cose più facili; a giudicare dallo sforzo che le costa proseguire, non è affatto così. “E non puoi averla.”

“Perché?”

“Perché non c’è” scandisce, le parole che pesano come piombo nella sua bocca “Non sono la Arya che hai conosciuto. Non esiste più quella persona.”

“Ti sembro il fabbro scanzonato con cui hai viaggiato?”

“È diverso.”

“Non lo è.”

“Per gli dei, smettila di essere così testardo.”

“Perché mi hai baciato se non lo vuoi?”

“Perché--” Arya incespica nelle parole, nei pensieri che si scontrano e si accavallano tessendo un intrico difficile da snodare “Non c’entra quello che voglio o che non voglio. Non si tratta di questo. Concentrati su quello che può portarti qualcosa di buono.”

“Lascia decidere a me cosa può portarmi qualcosa di buono.”

“Io non sono tra queste cose, va bene?” Arya balza in piedi, facendo scattare Nymeria; un’esasperazione addolorata le esplode nella voce. “Volevi conoscere la mia storia; eccola. Sono stata a Braavos e ho provato a diventare un Uomo senza Volto. Sai cosa vuol dire? Che volevo cancellare qualsiasi cosa non fosse la vendetta: Grande Inverno, la mia famiglia, i miei ricordi, tu; tutto quello che mi rende ciò che sono. Sono stata a tanto così dal farlo. Lo avrei fatto, se fossi stata abbastanza forte, ma ho fallito. Riesci a capire cosa significhi volere una cosa del genere?”

Dovrebbe essere liberatorio disfarsi di quel peso, eppure, lo sfogo sortisce tutt’altro effetto: la fa sentire svuotata, priva di energie; una carcassa senza vita.

“Ti sto già dando tutto quello che ho da offrire: fattelo bastare.”

Mentre si allontana, i passi di Nymeria risuonano leggeri alle sue spalle.

Quando si rifugia nella sua tenda, scopre di essere ancora capace di piangere.

*

Arya avanza silenziosa nel buio, attraversando l’accampamento addormentato.

Per non dar spazio a tentennamenti, supera la tenda di Gendry senza nemmeno guardarla.

Non era sicura che sarebbe stata abbastanza ferma da mantenere il proposito di andarsene, se lui avesse provato a trattenerla; per questo motivo ha scelto il cuore della notte per sparire, senza spiegazioni né alcuna forma di congedo.

D’altronde, non gli ha detto addio nemmeno l’ultima volta che si sono separati; non gli ha rivolto una sola parola, dopo aver incassato il suo rifiuto.

A volte si pente di non averlo fatto; vorrebbe aver insistito, esser stata capace di trovare le parole giuste per dissuaderlo. A volte, si concede di fantasticare su come sarebbe stata la sua vita se fosse riuscita a cambiare quell’unico, singolo momento.

Non che abbia una qualche importanza, adesso.

È quasi giunta alle soglie del campo quando avverte una stretta avvolgerle il polso.

Prima ancora di voltarsi, Arya comincia ad avvertire le prime avvisaglie di quell’incertezza che ha provato a tutti i costi ad evitare.

“Purtroppo per te, c’è chi ha voluto salutare.” Gendry abbassa lo sguardo su Nymeria prima di tornare a sollevarlo - tutt’a un tratto, diventa chiaro dove fosse finita mentre lei preparava un piccolo fagotto da portare con sé. “Dove vorresti andare?”

“Devo trovare i miei fratelli.”

“Credevo che volessi farla pagare ai Lannister, prima.”

Ora, Arya sente l’esitazione assumere le sembianze di un buco aperto al centro esatto del petto; la delusione incisa sul volto di Gendry non fa che allargarlo e renderlo più profondo.

“Non hai bisogno di me per spodestare Cersei.”

“No, infatti. Non è per quello che ho bisogno di te.”

In quel momento, giurerebbe che la voragine sia sul punto di spaccarla in due.

“So cos’ho fatto quando sei stata tu a chiedermi di rimanere: non ho mai smesso di pentirmene. Nemmeno per un giorno.” Arya legge la supplica stampata negli occhi di Gendry e, sorprendentemente, la scopre in grado di riavvicinare le pareti della crepa. Forse, c’è bisogno di arrivare a un passo dalla rottura per ricomporsi. “Non merito che tu lo faccia ma, ti prego, resta.”

*

La trepidazione degli uomini, l’irrequietezza di Davos, le soste sempre più rade: in ogni cosa pare risuonare l’annuncio dell’imminente arrivo ad Approdo del Re.

“Cersei Lannister è uno dei nomi della tua lista, giusto?”

Quella domanda, più di ogni altra cosa, suggerisce che il momento è a un passo.

“Il primo.”

Gendry annuisce, il cipiglio assorto di chi è intento a valutare un’idea. “Okay” dice alla fine “Ecco cosa faremo.”

*

Quando sgattaiola fuori dalla tenda con Nymeria al seguito, Arya non è sorpresa dal trovare Gendry in piedi. È seduto a terra e fissa il buio, assorto, una mano a sfiorare il manico del martello poggiato al suo fianco, già pronto ad essere impugnato.

Arya lo raggiunge e gli si sistema accanto; Nymeria la imita e sfrega il muso contro il suo braccio per catturarne l’attenzione. Lui la accontenta con una carezza “Viene con noi?”

“Vista la sua inspiegabile simpatia nei tuoi confronti, direi di sì.”

Gendry continua a strofinarle il pelo, l’ombra di un sorriso a piegargli le labbra.

L’immagine la riempie di una serenità cheta che non provava da tempo, così tanto da farle dubitare di averla realmente sperimentata prima di quel momento. Deve esser stato così che si sentiva a Grande Inverno ma, ormai, i ricordi di quel tempo sono sepolti sotto uno strato d’altro talmente spesso da essersi ridotti ad un’eco inafferrabile.

Per quanto precario possa essere quel sentimento, con la battaglia che pende sulle loro teste come una spada di Damocle pronta a calare, Arya decide di goderselo a pieno.

“Che farai dopo?”

“Andrò a Grande Inverno.”

Gendry le rivolge un’espressione accigliata. “Ci sono i Bolton, a Grande Inverno” osserva, duro.

“Non so dove siano i miei fratelli; da qualche parte dovrò pur cominciare a cercare.”

“L’esercito di Stannis non è riuscito a sconfiggerli e tu pensi di poterlo fare da sola?”

“Continui a sottovalutarmi.” Arya seda sul nascere la protesta che Gendry è in procinto di muovere. “Non pensiamo a dopo, okay?” propone, senza rancore nella voce. “Andiamo a riposare.”

“Preferisco stare qui.”

Arya si stringe nelle spalle, facendoglisi un po’ più vicina. “Okay.” La frescura della notte li avvolge come un manto. “Resto con te” dice, guardandolo di sottecchi.

*

“Quindi è così che sarebbe diventato quel bambino se non lo avessi ucciso2.” Arya sente la voce di Cersei riecheggiare tra le pareti della sala, spandendo nell’aria il veleno di cui è intrisa. Dalla posizione che occupa, Gendry risulta nascosto dalla sagoma del Trono. “Se solo avessi potuto infliggere la stessa fine a tutti i bastardi messi al mondo da quel porco.”

“Ci hai provato.”

Arya avanza in punta di piedi e scorge ai lati del Trono le estremità delle dita sottili piantate sui braccioli d’oro. Non la sorprende che, persino dopo aver perso, Cersei Lannister si ostini ad atteggiarsi a regina.

Si posiziona dietro lo schienale, di lato, e si sporge quel tanto che basta a rendere il profilo di Cersei visibile. È rigido, fiero, illuminato dall’odio che brucia negli occhi puntati dritto di fronte a sé.

Arya non ha bisogno di seguirne la traiettoria per scoprire a chi sia indirizzato.

“Non hai alcun diritto di sederti su questo Trono.”

Fa scivolare Ago lungo la gola di Cersei, la vita che si spegne in un ultimo rantolo strozzato. “Nemmeno tu.”

*

“Al ragazzo-toro è stato dato un nuovo soprannome.”

“Cioè?”

“Il domatore di draghi.”

Arya lo coglie, il fremito che attraversa l’espressione di Gendry, lo vede ravvivarla per un istante infinitesimale prima che lui lo nasconda schermendosi. “È facile se hai un corno con cui ammaestrarli.”

“Beh, fa comunque effetto.”

Gendry permette a un piccolo sorriso di increspargli le labbra, ma è appena un attimo prima che lo rimpiazzi con un’espressione seriosa. “Perché hai fallito?”

“Di che parli?”

“L’addestramento. Perché non lo hai concluso?”

Arya si agita sul posto, ingoia un sospiro a metà strada tra la stanchezza e il malessere. “Dobbiamo per forza parlarne?”

“Soltanto se sei d’accordo.”

Abbassa gli occhi, si guarda dentro e, alla fine, butta fuori la risposta. “Perché non ho saputo cancellare quelle cose. Non ho saputo cancellare quello che ero” dice, una consapevolezza tutta nuova a marchiare le sue parole “Non ho voluto.”

In qualche modo, è come se averlo confessato rinsaldasse ulteriormente il legame che non è riuscita a recidere. Come se rendesse tutto più vero.

Sono Arya Stark di Grande Inverno. E sto tornando a casa.

“Il fatto che volessi entrare a far parte degli Uomini senza Volto non significa che non sei più la ragazzina insopportabile che cercava la sua famiglia e sognava di ritornare a casa.”

“Gendry--”

“Sei ancora insopportabile, fidati.” Il sorriso morbido con cui Gendry smorza la battuta è come un’ondata di calore che si riversa direttamente sul cuore. “Mi hai dato tutto quello che avevi da offrire: non potrò mai essertene grato abbastanza. In compenso, posso ricompensarti.”

Un lieve scalpiccio si leva alle sue spalle, richiamando la sua attenzione.

“Ciao, Arya.”

Quando incrociano quelli di Sansa, gli occhi di Arya si riempiono di lacrime.

*

Ramsay Bolton teneva prigionieri gli Stark ed aveva in programma di sposare Sansa in segreto. Utilizzava Bran e Rickon per tenerla sotto scacco: qualora avesse rifiutato la sua proposta o avesse provato a fuggire, li avrebbe dati in pasto ai suoi cani.

L’arrivo dei Baratheon ha fatto sì che non ci fosse nemmeno il tempo di celebrare le nozze.

“Davos è rimasto al Nord ad occuparsi di tutto.”

Adesso, Ramsay è morto e Grande Inverno appartiene nuovamente alla sua famiglia – la sua famiglia riunita e al sicuro.

“Ho portato qui i tuoi fratelli pensando che avreste potuto prendervi un po’ di tempo mentre le insegne dei Bolton venivano ammainate.” Per Arya, la voce di Gendry è soltanto un sottofondo a quell’impulso che, adesso, è in grado di riconoscere. “Verrete scortati al Nord quando vorre---”

Anche stavolta si avventa sulla sue labbra senza preavviso, ma, questa volta, lo bacia a lungo e a fondo, prendendosi tutto il tempo necessario ad esplorare la sua bocca ed ad assaporarne il gusto.

Anche stavolta gli prende il viso tra le mani, ma, questa volta, non scappa via dopo essersi ritratta; resta lì a respirargli addosso, a sfiorargli gli zigomi con la punta delle dita.

“È per ringraziarmi?”

“È perché ti voglio anch’io.”

A quel punto, è Gendry a baciarla. 

*

Arya lascia Sansa ed i suoi fratelli con la promessa di passare presto a Grande Inverno: il Nord sarà sempre casa sua e non ha intenzione di abbandonarla dopo aver attesa tanto per riaverla.

Dopo averli salutati, si reca nella sala del Trono. Gendry è lì, in attesa, il cervo immerso nell’oro cucito sulle vesti e nessuna corona sul capo – occorrerà del tempo perché faccia l’abitudine a quella. “Scorta e carrozze sono pronti” le dice, ostentando una leggerezza che non possiede davvero. “Aspettano te.”

Arya annuisce, tenendo le parole a freno; è lì apposta per dirle, ma intende aspettare il momento giusto o, forse, semplicemente la spinta che le serve a pronunciarle.

“Quindi Grande Inverno andrà a tua sorella.”

“È la più indicata a riceverlo; sarà una lady migliore di quanto io potrei mai essere.”

“Perché tu non sei una lady.” Quando gli occhi di Gendry si piantano nei suoi, Arya vede calare un velo d’incertezza a ricoprirli. “E immagino che non vorrai essere nemmeno una regina.”

“No” conferma lei, scuotendo il capo “Non è da me.”

Gendry annuisce, il dubbio che muta in una rassegnazione mesta, abbattuta. “Lo so.”

Qualunque cosa stesse aspettando, Arya sente che è arrivata: sguaina Ago e si prostra, punta la spada sul pavimento e ne ricopre l’elsa con entrambe le mani. Il lampo di stupore che balena nello sguardo di Gendry sgomina la tristezza che lo aveva riempito sino a poco prima.

“Ma, se vorrai, ti servirò per il resto della vita.”

Il suo sorriso è il più eloquente degli assensi.














 











Note
1 “Il corno che avete sentito, l'ho trovato tra le rovine fumanti di quella che un tempo era Valyria, dove nessuno tranne me ha mai osato mettere piede. Con questo corno, Uomini di Ferro, posso piegare i draghi alla mia volontà.” (A feast for crows)
Lo strumento non è stato trasposto nella serie tv e non so molto riguardo alle modalità del suo utilizzo ma, dal momento che intendevo raccontare la storia di Arya e Gendry e non quella della lotta al Trono, mi sono permessa di avvalermene come espediente per liquidare rapidamente Daenerys
2 Il riferimento è al primogenito di Robert, di cui Cersei si disfa segretamente con l’aiuto di una levatrice prima che la gravidanza divenga nota
 
  
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