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Autore: cabin13    18/10/2017    1 recensioni
Potrebbe addormentarsi così, in piedi, con la guancia e il braccio appoggiati al registratore di cassa da tanto sente le palpebre pesanti. I suoi sensi stanno cedendo: la vista è offuscata e i chiacchiericci soffusi delle poche persone presenti – due, o al massimo tre – sono ovattati e distanti.{...}
Si rialza di scatto sbilanciandosi a destra e rischiando di franare rovinosamente sulla macchinetta del caffè. I suoi occhi, prima annebbiati, adesso mettono a fuoco la cliente che si trova di fronte. {...}
Sora inarca le sopracciglia e squadra la giovane dalla testa ai piedi. – Beh, che cosa volevi? – chiede alla fine, deve stringere i denti per riuscire a mantenere un tono fintamente cortese.
La bionda è così sfacciata da appoggiarsi sul bancone con i gomiti e fissare i suoi occhi verdi in quelli castani del barista.
– Sei sordo? Una cioccolata calda. Con la panna – mugugna lei.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Schockolade und Sahne

 

 

Non c’è quasi nessuno, questo pomeriggio. Il tempo non passa più e il suo turno sembra non finire mai.

Fuori fa già piuttosto caldo per essere solo ad inizio aprile e nel locale l’aria condizionata è impostata su una temperatura polare; di sicuro stasera gli verrà un fulminante torcicollo accompagnato dal mal di testa.

Sora, annoiato, passa lo straccio umido sul bancone scuro più per fare qualcosa che per pulire davvero.

Le lancette dell’orologio appeso sulla parete di fronte alla cassa sembrano essersi incollate sui numeri, non si muovono più; pare che stiano segnando le quattro e un quarto da una vita.

Potrebbe addormentarsi così, in piedi, con la guancia e il braccio appoggiati al registratore di cassa da tanto sente le palpebre pesanti. I suoi sensi stanno cedendo: la vista è offuscata e i chiacchiericci soffusi delle poche persone presenti – due, o al massimo tre – sono ovattati e distanti.

– Ehi, hai intenzione di tirarti su o la cioccolata calda me la devo preparare da sola? – sbotta una voce irritata davanti a lui.

Si rialza di scatto sbilanciandosi a destra e rischiando di franare rovinosamente sulla macchinetta del caffè. I suoi occhi, prima annebbiati, adesso mettono a fuoco la cliente che si trova di fronte.

Sarebbe una ragazza davvero carina, se non fosse per l’espressione scorbutica e corrucciata che le rabbuia il viso. È molto più bassa di lui, inoltre il suo fisico snello e sottile la fa apparire ancora più minuta. L’attenzione viene catturata principalmente dai suoi grandi occhi verdi che oscurano tutti gli altri lineamenti armoniosi e il profilo del naso elegante e con la punta all’insù. I lisci capelli dorati le ricadono in disordinate ciocche sulle spalle, sono lunghissimi e le arrivano fin quasi al bacino. Ci impiega un po’ a notare che la cliente ha anche delle meches sui toni dell’azzurro e del blu.

– Allora? La mia cioccolata? – esclama di nuovo la giovane con un tono piuttosto scocciato.

Sora inarca le sopracciglia e squadra la giovane dalla testa ai piedi. – Beh, che cosa volevi? – chiede alla fine, deve stringere i denti per riuscire a mantenere un tono fintamente cortese.

La bionda è così sfacciata da appoggiarsi sul bancone con i gomiti e fissare i suoi occhi verdi in quelli castani del barista.

– Sei sordo? Una cioccolata calda. Con la panna – mugugna lei.

Il moro arriccia il naso, infastidito. Mancano solo quindici minuti alla fine del suo turno, si stava rilassando – per non dire addormentando – e tutto all’improvviso sta venendo trattato come uno zerbino da una tizia che a malapena gli arriva alla spalla. E che, se tacesse, potrebbe anche sembrargli uno schianto.

– Che bicchiere vuoi? – sibila fulminandola con gli occhi.

– Medio.

Il giovane prende uno dei bicchieri bianchi impilati vicino alla cassa, usa un indelebile per segnare con una crocetta il quadratino con la voce “bevanda calda” e specifica la tipologia scrivendo “cioccolata” in una scrittura obliqua e stretta.

Poi alza lo sguardo verso la ragazza. – Mi dici il tuo nome o devo limitarmi a chiamarti Scorbutica? – soffia, irritato, e subito dopo ci pensa su. – Non sarebbe una brutta idea, ti donerebbe come nomignolo.

Lei non fa una piega. – Beryl. Beryl Hamiton.

Sora la osserva perplesso, sui bicchieri che danno da Starbucks nessuno ha mai specificato anche il proprio cognome perché tanto è inutile. Dopodiché fa le spallucce e continua a scrivere, tanto ne ha vista di gente strana da quando ha iniziato a lavorare in quel locale in centro città tre anni fa.

Finché il pennarello si muove lento sul cartone del bicchiere, il moro è costretto ad ammettere a se stesso che quella ragazza, Beryl, sarà anche una scorbutica di prim’ordine però ha in lei qualcosa che lo attrae e lo costringe a risponderle a tono – ed è sicuro al novantacinque per cento che non sia colpa del suo carattere orgoglioso. Se non si sentisse così strano, Sora l’avrebbe già mandata a cagare.

– Bene, Beryl Hamiton, – e lo fa apposta a chiamarla col suo nome per intero – sono 4 dollari e 50.

Il giovane la guarda spostarsi dopo che ha pagato. I suoi lunghi capelli ondeggiano a ritmo dei suoi passi e così fanno anche le frange della leggera sciarpa che porta attorno al collo. Per il resto ha un abbigliamento molto semplice: un paio di jeans azzurri, delle all star scure e una maglia a mezze maniche rossastra.

La bionda si allontana verso la parte del locale dove si ritirano le ordinazioni. Rimane in piedi anche se il bar è mezzo vuoto. Mantiene i suoi magnetici occhi verdi fissi sul ragazzo, che adesso si è allontanato dalla cassa e sta armeggiando con le varie macchinette.

Sora lancia mentalmente un paio di imprecazioni a Ronald, il collega di turno con lui che se ne sta beato in pausa a fumarsi una sigaretta sul retro; dovrebbe essere compito suo preparare le varie bevande.

Si riaggiusta con le dita il ciuffo castano scuro che si è diviso in diverse ciocche e inizia a rovistare per trovare la panna montata. Ronald l’ha ficcata in un angolo da qualche parte e lui non ha idea di dove sia. Prova a guardare nel mini frigo che sta sotto il bancone, ma non è lì e quando si rialza in posizione eretta poco ci manca che si becchi lo spigolo del piano appoggio in fronte.

Inizialmente non ci ha fatto caso, ma gli sembra di aver sentito una sommessa risatina dietro di lui. Si dà del cretino per averlo pensato, sarà solo la sua immaginazione.

Per soddisfare la sua curiosità, lancia un’occhiata a Beryl da sopra la spalla cercando di non farsi notare da lei e si stupisce di vederla con due dita posate sulle labbra per cercare di nascondere un risolino. Sora inarca un sopracciglio, non capendo il motivo reale della sua reazione – stava per prendersi in testa un piano da lavoro, non gli sembra un granché come scena comica –, ma tra sé e sé è costretto ad ammettere che vista così la bionda è davvero carina e non ha per nulla l’aria da scorbutica.

Una remota parte dentro di lui desidererebbe poterla conoscere, capire meglio quello che passa per la testa a quella strana ragazza.

Travasa la cioccolata bollente dal contenitore al bicchiere e ci spruzza sopra la panna montata.

Si avvicina alla giovane e ad alta voce chiama il suo nome, ignorando volutamente il fatto che lei sia proprio di fronte a lui e abbia già teso la mano per prendere la bevanda.

Quando le pelli dei loro arti anteriori si toccano, Sora avverte una strana scossa ed è certo che l’abbia sentita anche Beryl. A partire dal braccio si diffonde come un lampo in tutto il resto del corpo.

La ragazza appoggia il bicchiere sul bancone, prende uno stecchino per mescolare e ne apre la confezione senza fretta.

– Di’ un po’…  – comincia lei – Sei nuovo?

Sora si trattiene dal rispondere con uno sgraziato “Eh?”. La sua faccia perplessa, comunque, parla per lui.

– Vengo qui tutti i giovedì alla solita e non ti ho mai visto – spiega lei – Di solito ci sono Ronald e un’altra ragazza, quella mezza francese, Lilì.

– Ronald è in pausa – replica lui – È sul retro e ha sbolognato a me il locale per gli ultimi quindici minuti del mio turno. Io e Lilì ci siamo scambiati i giorni di turno, invece: era più comodo per entrambi.

– Ah, peccato – commenta asciutta Beryl inserendo il bastoncino nel bicchiere. Il tono della sua voce è disinteressato e sembra anche un po’ annoiato; il ragazzo non ci impiega molto a capire che lo sta volutamente esagerando.

La bionda afferra il contenitore della sua bevanda. – È un vero peccato che Lilì si sia fatta cambiare. Dovrò faticare per abituarmici, a vedere la tua faccia tutte le settimane – ghigna, prima di voltarsi e incamminarsi verso la porta.

Sora rimane ad osservarla finché esce e sparisce dalla sua visuale. È ancora un po’ spiazzato dalle parole della ragazza, ma incurva le labbra in una risatina ghignante quando capisce che, grazie a lei, forse i giovedì pomeriggio non saranno poi così noiosi come sembrano.

---

Sei anni fa, nessuno si sarebbe mai aspettato che le cose avessero potuto prendere una piega del genere. Sora ridacchia: se ci ripensa, gli pare ancora un fatto assurdo.

Con una mano si sistema i pantaloni che gli stanno scivolando, mentre con l’altra si allunga sulla punta dei piedi per prendere il pacco di zucchero, troppo in alto anche per lui – ma a chi cavolo è venuto in mente di imboscarlo lassù?

Tira fuori un vassoio su cui sistema il più decentemente possibile due tazze colorate e due cucchiaini. Spegne il gas sotto il pentolino che bolle sul fornello e travasa il suo liquido caldo nei due contenitori, più o meno in parti uguali.

È inverno e ha il naso tappato per via del raffreddore, ma il suo naso riesce comunque a percepire il buon profumo della cioccolata bollente.

Apre il frigo e prende la panna montata spray; su entrambe le tazze ne spruzza una generosa quantità e poi versa lo zucchero in una ciotolina che mette sul vassoio tra i due recipienti.

Esce dalla cucina e si dà una controllata nello specchio del salotto; i capelli castani sono pettinati nel suo solito ciuffo scompigliato, gli occhi sono scuri e brillano vivaci. Guarda com’è vestito e si deve trattenere dal mettersi a ridacchiare: ha i pantaloni del pigiama bluastri e la felpa grigia con sopra il logo di Starbucks di quando lavorava là. Nemmeno a farlo apposta.

Getta un’occhiata all’orologio sul mobile accanto e nota che sono quasi le dieci e mezza. La dormigliona si è  riposata abbastanza, pensa tra sé e sé.

Torna a prendere il vassoio e poi si dirige verso la camera da letto. Spalanca la porta con un piede e con decisamente poca grazia strilla il nome di Beryl e l’apostrofa come scorbutica, ma subito dopo deve chinare la testa per schivare un cuscino che attenta alla sua vita.

– Se mi fai cadere la cioccolata, io non la rifaccio più. E poi dovrai pulire da sola – minaccia.

Sa che le sue parole hanno toccato il tasto giusto perché vede una figura annaspare tra le coperte per tirarsi su. Ha i capelli biondi con le inconfondibili meches blu tutti scarmigliati e si stropiccia gli occhi per via del sonno.

– Hai detto cioccolata? – mormora, ha la voce un po’ roca.

Sora annuisce, quindi lei si entusiasma: la giovane sposta alla bell’e meglio le coperte verso il fondo del letto e batte la mano sul materasso per invitare il ragazzo a sedersi accanto a lei. Sembra quasi una bambina.

Il moro segue la sua esortazione e appoggia il vassoio sulle lenzuola tra i due, mentre l’altra afferra la sua tazza e se la porta vicino alle labbra. Soffia un po’ e poi prende un’abbondante cucchiaiata di zucchero che scioglie nella cioccolata bollente mescolando piano.

Beryl sente le labbra di Sora inumidirle la guancia, si gira e le fa combaciare con le proprie, regalandogli un rapido e tenero bacio a stampo.

Quando si separano, la bionda sorride e, velocissima, ruba uno sbuffo di panna dalla tazza del fidanzato suscitando le sue proteste. Ne scaturisce una breve lotta in cui anche Sora prova a imitare il gesto della ragazza, ma si interrompono prima di rovesciare tutto il contenuto delle tazze sul loro giaciglio.

Scoppiano a ridere e faticano a contenersi, si fermano soltanto quando Sora appoggia la fronte contro quella della giovane.

La sua bocca è vicina al suo orecchio e il suo fiato le solletica il collo quando le parla con voce bassa e sensuale. – Buon anniversario, scorbutica.

 

 

 


Hola gente

Questa è la prima storia originale che pubblico (naturalmente i personaggi mi appartengono), quindi spero non risolti troppo schifosa. I nomi di Sora e Beryl significano rispettivamente "cielo" in giapponese e "berilio/smeraldo" in inglese e, boh, non ho idea da dove li abbia trovati fuori, mi sono venuti così e basta.

Se mai dovessi riuscire a capire come armeggiare con NVU, proverò ad inserire un mio disegno dei due personaggi (che devo ancora finire di colorare ma dettagli)... spero di farcela perché ci terrei particolarmente, ecco ^.^

Ringrazio chi lascerà una recensione e chi leggerà e basta.

Alla prossima gente

Adios 

   
 
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