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Autore: blackpearl_    21/06/2009    7 recensioni
Lo guardai e lo trovai nella stessa posizione di poco prima. Quando si accorse del mio, seppur piccolo, movimento alzò la testa, fissandomi con due grandi occhi color cioccolato fondente. Ci guardammo per qualche istante poi lui si buttò su di me. Mi ci vollero parecchi secondi per accorgermi che non mi era proprio saltato addosso, ma mi stava semplicemente abbracciando.
Non era un abbraccio carico di pietà, come quelli di molte delle persone che avevo incontrato, ma carico di forza. Come se volesse trasmettermi un po’ della sua determinazione, un po’ della sua voglia di vivere. Perché ne avevamo il diritto, entrambi.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.. Butterfly Fly Away   ..

Spinsi debolmente l’anta sinistra del portone dell’ospedale. Feci qualche passo incerto dentro e mi guardai intorno, con aria smarrita.
Quante persone poteva contenere un ospedale?
500? Di più?
Pazienti, Infermieri, Dottori, Inservienti e chissà chi altro ancora.

Basta, sto divagando.
Scossi la testa e mi affrettai ad entrare in sala d’attesa. Oggi era il giorno X
Il giorno in cui mi avrebbero annunciato se fossi malata o meno. Avevo pregato mia madre affinchè entrasse lei nella stretta e anonima sala che sarebbe potuta diventare spettatrice della mia rovina.
Mi sedetti sulle orribili sedioline giallo canarino che si piazzano sempre nelle sale ospedaliere. Quelle sedie che scricchiolano ad ogni movimento. Quelle sedie che avevano ospitato povere persone, ignare o non, del proprio destino.
Rabbrividii e mi passai le mani sulle braccia, benché non avessi freddo. Gli ospedali erano ,tuttavia, sempre più gelidi di quanto fosse veramente necessario.

 -Meg?- mi voltai, sentendomi chiamata

Mia madre, una bella donna dai riccioli color caramello, mi si avvicinò.
Fra le mani, un the.

-Meg, tesoro. Vado a vedere cosa dice il dottore, tu rimani qui okay? Ah e ti ho preso questo- disse porgendomi il bicchierino bollente.

Lo presi e lo serrai fra le mani per far si che mi trasmettesse un po’ di calore.

-Grazie Mamma- le dissi riconoscente

I suoi occhi si addolcirono all’improvviso. Mi strinse a se con un braccio e mi posò un delicato bacio sulla fronte.

-Andrà tutto bene, amore. Lo so-

Sorrisi nonostante non ci credessi affatto. Mia madre, lanciatomi un ultimo sguardo indagatore, mi lasciò per andare incontro al dottore. Abbassai lo sguardo, fissandolo sul liquido ambrato che stringevo delicatamente fra le dita.
Ne presi un sorso, pensierosa. La prospettiva della malattia non mi sembrava tanto grigia, al contrario di tutti i miei familiari e amici.
Forse la verità era che semplicemente non me ne rendevo ancora conto. Era successo tutto troppo, troppo in fretta.
Una cosa di cui mi rendevo maledettamente conto, però, erano le restrizioni. Quelle che ti impedivano di correre, di nuotare, di provare emozioni troppo intense. Come si poteva vivere inscatolata in una realtà apatica, priva di sentimenti?
Una lacrima solitaria fuggì dalle mie ciglia scure e percorse in una linea spezzata tutta la guancia destra. Non mi detti neanche pena di asciugarla.
Avrei desiderato essere una farfalla. Una farfalla tanto colorata da spiccare contro il cielo azzurro, tanto veloce da percorrere miglia senza fermarsi e tanto spensierata da volare contenta e senza pensieri. Avrei voluto essere una farfalla, ma in realtà ero solo un piccolo bruco imprigionato nel suo stesso bozzolo.
A spezzare i miei pensieri fu un movimento lieve alla mia sinistra. Poggiai la schiena al muro biancastro della sala e mi girai a guardare il nuovo arrivato nello stesso momento in cui lui lo fece con me.
Le mie iridi color dell’oceano si scontrarono con due pozze delle tenebre.
Un bellissimo viso incorniciato da morbidi boccoli di cioccolato mi guardava incuriosito. Doveva all’incirca avere la mia stessa età (sedici anni), ma aveva un’espressione tanto forte, tanto combattiva, da farlo sembrare più grande.
Non aveva occhiaie, né un colorito troppo pallido. Ma si vedeva che aveva qualcosa.
Un qualcosa che lo aveva portato qui, esattamente come me.
Mi sorrise, amichevole, e mi porse la mano.

-Io sono Nick-

Ricambiai il sorriso
Megan- gli strinsi la mano con delicatezza
Quel ragazzo aveva qualcosa di affascinante, di ammaliante. Non riuscivo a staccargli gli occhi da dosso, e nemmeno quando lui arrossì lo feci.
Al suo fianco era seduta una bellissima donna sulla quarantina, che si accorse della nostra presentazione. Mi squadrò per un attimo, poi mi sorrise materna, e mi porse anche lei la mano.

-Ciao, cara. Io sono Denise, la madre di Nick-

-Megan- ripetei sorridente. Aveva un’aria tanto dolce da suscitare simpatia. Insomma, avete presente la classica mamma che si vede nelle commedie rosa? Quella che viene la sera nella tua macera e siede sul letto  per ascoltare le tue crisi adolescenziali? Avete inquadrato Denise.
Volsi di nuovo la mia attenzione a Nick e mi resi conto che aveva un viso familiare..
..
Come un flash, la camera di Becky, mia migliore amica, mi apparse davanti agli occhi. Pareti rosa, tendine bianche, armadi lilla tappezzati di poster. Di poster dei Jonas Brothers.
Battei due o tre volte le palpebre, per scacciare quell’immagine fastidiosa. Certo, un viso così bello doveva per forza appartenere ad una star.

-Tu.. sei Nick Jonas?- chiesi titubante

Lui rise della mia espressione dubbiosa

-Si, sono io. Wow, mi hai riconosciuto dopo 5 minuti! E’ un record-

Risi anche io con lui.

-Perché, di solito gli altri quanto ci mettono?-

Lui fece finta di pensarci sopra

-Oh, all’incirca due secondi.. poi mi saltano addosso- alzò gli occhi al cielo, poi fece una faccia inorridita –tu non lo farai vero?-

Risi di nuovo –Devo ammettere che non è nei miei programmi al momento-

Mi sorrise, radioso. Sembravo andargli a genio, ma forse era solo un’impressione. Dopo una decina di minuti di silenzio, decisi di spezzare l’imbarazzo.

-Allora..- iniziai –Che hai? Se posso saperlo..- aggiunsi in fretta

Avevo fatto amicizia con qualche paziente, nel corso delle mie lunghe visite. Molti a quella domanda, iniziavano a dare di matto. Di solito non mi davo troppi problemi ad esporre la mia condizione, ma stavolta la cosa non mi andava granchè. Stupida io ad aver intavolato il discorso.

-Oh, certo. Non è un segreto di stato- mi fece l’occhiolino –Diabete di primo grado-

 Feci una smorfia. Avevo già conosciuto una ragazza “insulina-dipendente” che mi aveva illustrato molti lati della sua vita da diabetica. Un vero strazio.
Stai attento qui, stai attento là.
Una cosa da cui non si scappa, purtroppo.

 -Mi dispiace, posso solo immaginare cosa sia- inclinai un po’ la testa per osservarlo meglio

Lui sembrò seguire il mio movimento con molta attenzione, poi rispose:

 -Niente di grave, sul serio. Di certo non morirò domani- tentò di scherzare

Sorrisi, sollevata dal fatto che la prendesse così bene.

 -Tu? – mi chiese, poi aggiunse con un sorrisetto –Se posso saperlo..-

-Oh, certo non è un segreto di stato- sussurrai, copiandolo –Ho una malformazione congenita al cuore, di secondo grado-

Nick, nonostante avesse capito che la cosa non era affatto buona, si azzardò a chiedere

-Secondo grado?-

Annuii –Abbastanza grave da esser messa in lista, al contrario del primo grado, ma non tanto urgente da salire in cima-

-Lista per un trapianto di cuore..- il suo sussurrò mi arrivò tanto lieve da esser a malapena udito

 Puntai lo sguardo a terra –Quindi se il mio cuore collassasse, anche ora, non ci sarebbe niente da fare-

 Alzai il capo prendendo un bel respiro. Effettivamente, presa così, la situazione non era molto bella. Sarà che non ne avevo mai parlato apertamente ad alta voce, sarà che in casa i miei cercavano in tutti i modi di non sfiorare l’argomento “ospedale”, fatto sta che non avevo mai analizzato la mia malattia da quel  lato della cosa.
Mi scappò un sorriso amaro quando capii che la colpa non era mia, non lo era mai stata. In che modo potevo aver influito sulla malformazione del mio cuore nel momento della nascita?
Non era mai stata neanche colpa di mia madre, tanto abbattuta e afflitta, perché di certo non poteva aver agito mentre le squartavano la pancia, né nei mesi di maternità.
Di chi era la colpa allora?
Solo del destino, tanto infido da accalappiarmi un futuro così poco promettente. Un futuro contornato da infermieri, aghi, tubi, medicine e scanner.
Solo dopo un po’ di tempo mi ricordai che non stavo parlando da sola in camera mia, ma in ospedale con un bel ragazzo di nome Nick Jonas.
Lo guardai e lo trovai nella stessa posizione di poco prima. Quando si accorse del mio, seppur piccolo, movimento alzò la testa, fissandomi con due grandi occhi color cioccolato fondente.
Ci guardammo per qualche istante poi lui si buttò su di me. Mi ci vollero parecchi secondi per accorgermi che non mi era proprio saltato addosso, ma mi stava semplicemente abbracciando.
Non era un abbraccio carico di pietà, come quelli di molte delle persone che avevo incontrato, ma carico di forza. Come se volesse trasmettermi un po’ della sua determinazione, un po’ della sua voglia di vivere. Perché ne avevamo il diritto, entrambi.
Mi rilassai e gli circondai il collo con le braccia, poggiando il capo sulla sua spalla. Da quella postazione avevo un ampia visione della sala immacolata. Qualcuno ci fissava con tenerezza, qualcun altro con invidia o indifferenza.
Chiusi gli occhi concentrandomi solo sul calore del corpo di Nick, che sembrava non volermi lasciare tanto facilmente. Nel buio sotto le palpebre, iniziarono a spuntare colorati batuffoli colorati che disegnavano fantasiosi ghirigori nelle tenebre. Un batuffolo blu si unì ad uno bianco, formando l’immagine perfetta di una farfalla. Una farfalla bellissima e armoniosa.
Esattamente quella che volevo esser io. Una lacrima scappò dai miei occhi, per poi esser seguita a ruota dalle altre. I singhiozzi iniziarono a scuotermi il piccolo corpo, che iniziò a tremare. Nick prese ad accarezzarmi la testa, stringendomi ancora di più.
Un gruppo di farfalle colorate spiccarono il volo da un albero appena fuori dal portone dell’ospedale. Le guardai ammaliata.
Come un unico animale, eseguirono una complicata acrobazia per poi volare lontano da noi e da quel posto intriso di sofferenza.
Distrattamente posai lo sguardo sulle vetrate che circondavano la piccola camera in cui era entrata mia madre poco prima. Potevo distinguere solo le ombre, le ombre di una donna sconvolta che si agitava e di un uomo che si avvicinava per posarle una mano sulla spalla.
Chiusi di nuovo gli occhi, respingendo la realtà oltre i confini della mia mente.
Un cielo azzurrissimo si dipinse oltre i miei occhi.
Un cielo solcato da dolci farfalle.
Farfalle che volano via.








«≈≈ Spazio autrice.





Bè, SALVE. Qui parla Vì, pronta a scaricarvi addosso l’ennesima cazzata. No, dai. Parlando sul serio, l’idea di questa shot mi è venuta mentre ero in macchina con l’iPod fra le orecchie. La mia cara playlist mi ha selezionato “Butterfly fly away – Miley Cyrus”
Non sono state le parole, che non c’entrano molto nella storia, ma piuttosto la musicalità delle parole e la sinfonia stessa.
Ho scelto Nick perchè.. beh, i JoBros sono una parte della mia vita. Non levo niente a Kev e Joe, anzi, Joe lo adoro da matti. Ma, la sensibilità di Nick mi ha sempre colpita. E quindi.. ecco qua. Spero vi sia piaciuta.
Ammetto che è stato molto difficile scriverla. Anche perchè in Megan c’è un importante pezzo di me. Insomma, per la prima volta la protagonista qui sono io. Con un nome diverso, una nazionalità diversa, ma sono io.
Consiglio vivamente di ascoltare butterfly fly away mentre leggete. Se lo avete già fatto senza musica non vi resta che rileggere no?
Xxxxxxxxxxxxxxx

 

   
 
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