Spinsi
debolmente l’anta sinistra del portone
dell’ospedale. Feci qualche passo
incerto dentro e mi guardai intorno, con aria smarrita.
Quante
persone poteva contenere un ospedale?
500?
Di più?
Pazienti,
Infermieri, Dottori, Inservienti e chissà chi altro ancora.
Basta,
sto
divagando.
Scossi
la testa e mi affrettai ad entrare in sala d’attesa. Oggi era
il giorno X
Il
giorno in cui mi avrebbero annunciato se fossi malata o meno. Avevo
pregato mia
madre affinchè entrasse lei nella stretta e anonima sala che
sarebbe potuta
diventare spettatrice della mia rovina.
Mi
sedetti sulle orribili sedioline giallo canarino che si piazzano sempre
nelle
sale ospedaliere. Quelle sedie che scricchiolano ad ogni movimento.
Quelle
sedie che avevano ospitato povere persone, ignare o non, del proprio
destino.
Rabbrividii
e mi passai le mani sulle braccia, benché non avessi freddo.
Gli ospedali erano
,tuttavia, sempre più gelidi di quanto fosse veramente
necessario.
Fra
le mani, un the.
Ne
presi un sorso, pensierosa. La prospettiva della malattia non mi
sembrava tanto
grigia, al contrario di tutti i miei familiari e amici.
Forse
la verità era che semplicemente non me ne rendevo ancora
conto. Era successo
tutto troppo, troppo in fretta.
Una
cosa di cui mi rendevo maledettamente conto, però, erano le
restrizioni. Quelle
che ti impedivano di correre, di nuotare, di provare emozioni troppo intense. Come si poteva vivere
inscatolata in una realtà apatica, priva di sentimenti?
Una
lacrima solitaria fuggì dalle mie ciglia scure e percorse in
una linea spezzata
tutta la guancia destra. Non mi detti neanche pena di asciugarla.
Avrei
desiderato essere una farfalla. Una farfalla tanto colorata da spiccare
contro
il cielo azzurro, tanto veloce da percorrere miglia senza fermarsi e
tanto
spensierata da volare contenta e senza pensieri. Avrei voluto essere
una
farfalla, ma in realtà ero solo un piccolo bruco
imprigionato nel suo stesso
bozzolo.
A
spezzare i miei pensieri fu un movimento lieve alla mia sinistra.
Poggiai la
schiena al muro biancastro della sala e mi girai a guardare il nuovo
arrivato
nello stesso momento in cui lui lo fece con me.
Le
mie iridi color dell’oceano si scontrarono con due pozze
delle tenebre.
Un
bellissimo viso incorniciato da morbidi boccoli di cioccolato mi
guardava
incuriosito. Doveva all’incirca avere la mia stessa
età (sedici anni), ma aveva
un’espressione tanto forte, tanto combattiva, da farlo
sembrare più grande.
Non
aveva occhiaie, né un colorito troppo pallido. Ma si vedeva
che aveva qualcosa.
Un
qualcosa che lo aveva portato qui, esattamente come me.
Mi
sorrise, amichevole, e mi porse la mano.
Megan- gli strinsi la mano con delicatezza
Quel
ragazzo aveva qualcosa di affascinante, di ammaliante. Non riuscivo a
staccargli gli occhi da dosso, e nemmeno quando lui arrossì
lo feci.
Al
suo fianco era seduta una bellissima donna sulla quarantina, che si
accorse
della nostra presentazione. Mi squadrò per un attimo, poi mi
sorrise materna, e
mi porse anche lei la mano.
Volsi
di nuovo la mia attenzione a Nick e mi resi conto che aveva un viso
familiare..
..
Come
un flash, la camera di Becky, mia migliore amica, mi apparse davanti
agli
occhi. Pareti rosa, tendine bianche, armadi lilla tappezzati di poster.
Di
poster dei Jonas Brothers.
Battei
due o tre volte le palpebre, per scacciare quell’immagine
fastidiosa. Certo, un
viso così bello doveva per forza appartenere ad una star.
-Si,
sono io. Wow, mi hai riconosciuto dopo 5 minuti! E’ un
record-
Stai
attento qui, stai attento là.
Una
cosa da cui non si scappa, purtroppo.
Mi
scappò un sorriso amaro quando capii che la colpa non era
mia, non lo era mai
stata. In che modo potevo aver influito sulla malformazione del mio
cuore nel
momento della nascita?
Non
era mai stata neanche colpa di mia madre, tanto abbattuta e afflitta,
perché di
certo non poteva aver agito mentre le squartavano la pancia,
né nei mesi di
maternità.
Di
chi era la colpa allora?
Solo
del destino, tanto infido da accalappiarmi un futuro così
poco promettente. Un
futuro contornato da infermieri, aghi, tubi, medicine e scanner.
Solo
dopo un po’ di tempo mi ricordai che non stavo parlando da
sola in camera mia,
ma in ospedale con un bel ragazzo di nome Nick Jonas.
Lo
guardai e lo trovai nella stessa posizione di poco prima. Quando si
accorse del
mio, seppur piccolo, movimento alzò la testa, fissandomi con
due grandi occhi
color cioccolato fondente.
Ci
guardammo per qualche istante poi lui si buttò su di me. Mi
ci vollero parecchi
secondi per accorgermi che non mi era proprio saltato addosso, ma mi
stava
semplicemente abbracciando.
Non
era un abbraccio carico di pietà, come quelli di molte delle
persone che avevo
incontrato, ma carico di forza. Come se volesse trasmettermi un
po’ della sua
determinazione, un po’ della sua voglia di
vivere. Perché ne avevamo il diritto, entrambi.
Mi
rilassai e gli circondai il collo con le braccia, poggiando il capo
sulla sua
spalla. Da quella postazione avevo un ampia visione della sala
immacolata.
Qualcuno ci fissava con tenerezza, qualcun altro con invidia o
indifferenza.
Chiusi
gli occhi concentrandomi solo sul calore del corpo di Nick, che
sembrava non
volermi lasciare tanto facilmente. Nel buio sotto le palpebre,
iniziarono a
spuntare colorati batuffoli colorati che disegnavano fantasiosi
ghirigori nelle
tenebre. Un batuffolo blu si unì ad uno bianco, formando
l’immagine perfetta di
una farfalla. Una farfalla bellissima e armoniosa.
Esattamente
quella che volevo esser io. Una lacrima scappò dai miei
occhi, per poi esser
seguita a ruota dalle altre. I singhiozzi iniziarono a scuotermi il
piccolo
corpo, che iniziò a tremare. Nick prese ad accarezzarmi la
testa, stringendomi
ancora di più.
Un
gruppo di farfalle colorate spiccarono il volo da un albero appena
fuori dal
portone dell’ospedale. Le guardai ammaliata.
Come
un unico animale, eseguirono una complicata acrobazia per poi volare
lontano da
noi e da quel posto intriso di sofferenza.
Distrattamente
posai lo sguardo sulle vetrate che circondavano la piccola camera in
cui era
entrata mia madre poco prima. Potevo distinguere solo le ombre, le
ombre di una
donna sconvolta che si agitava e di un uomo che si avvicinava per
posarle una
mano sulla spalla.
Chiusi
di nuovo gli occhi, respingendo la realtà oltre i confini
della mia mente.
Un
cielo azzurrissimo si dipinse oltre i miei occhi.
Un
cielo solcato da dolci farfalle.
Farfalle
che volano via.
«≈≈
Spazio autrice.
Non sono state le parole, che non c’entrano
molto nella storia, ma piuttosto la musicalità delle parole
e la sinfonia
stessa.
Ho scelto Nick perchè.. beh, i JoBros
sono una parte della mia vita. Non levo niente a Kev e Joe, anzi, Joe
lo adoro
da matti. Ma, la sensibilità di Nick mi ha sempre colpita. E
quindi.. ecco qua.
Spero vi sia piaciuta.
Ammetto che è stato molto difficile scriverla.
Anche perchè in Megan c’è un importante
pezzo di me. Insomma, per la prima
volta la protagonista qui sono io. Con un nome diverso, una
nazionalità diversa,
ma sono io.
Consiglio vivamente di ascoltare
butterfly fly away mentre leggete. Se lo avete già fatto
senza musica non vi
resta che rileggere no?
Xxxxxxxxxxxxxxx
Vì