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Autore: Leila 95    19/10/2017    4 recensioni
Da quando si erano trasferiti in quel minuscolo paesino, lontano anni luce dal resto del mondo e dimenticato da Dio, Leia non aveva avuto una vita facile: aveva dovuto fare i conti con una realtà diversa, alla quale si ostinava a non volersi abituare. Nuove persone erano entrate nella sua vita, e non con tutte aveva stabilito un buon rapporto...
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Han Solo, Luke Skywalker, Principessa Leia Organa, Un po' tutti, Wedge Antilles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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          Capitolo X
Leia non la smetteva di fissare il proprio riflesso nello specchio.
Più si guardava e più la sua mente di riempiva di dubbi: che quello che aveva indosso non fosse il vestito adatto alla serata, che quegli orecchini fossero troppo appariscenti, che il trucco fosse troppo leggero…in generale, che lei non fosse adatta ad un appuntamento con Han. Il fatto che ci fossero state tante altre prima di lei la mandava nel pallone: Han avrebbe sicuramente fatto confronti e lei, dal basso della sua inesperienza, sapeva di partire già sconfitta.
Forse quello che le aveva detto zia Beru era vero: forse non era la ragazza adatta ad uno come lui. Con buona probabilità avrebbe fatto la figura della bambinetta stupida e sprovveduta e Han si sarebbe ricreduto sul suo conto, stroncando di fatto sul nascere ogni tentativo di incontro per il futuro.
Sospirò frustrata e si spogliò per quella che era forse la settima volta quella sera. Riaprì l’armadio e si decise a prendere quel vestitino lilla che aveva scartato a priori: era un vestito che non aveva mai messo – aveva ancora il cartellino con il prezzo attaccato. Quell’abito era legato a brutti ricordi: il primo ragazzo che le fosse mai piaciuto, quando ancora frequentava il liceo di Alderaan; un timido primo appuntamento, per andare a prendere un gelato insieme;  quel vestito che aveva comprato con sua madre proprio per quell’occasione così speciale, l’ultimo pomeriggio di shopping insieme prima che i genitori la lasciassero per sempre…quante speranze dietro quel pezzo di stoffa, quanto dolore per chi non c’era più, quanta amarezza per quel primo appuntamento che non c’era mai stato, visto che poi si era dovuta trasferire in un’altra città. Quel vestito era rimasto lì, chiuso nell’armadio, per tutto quel tempo. Forse era arrivato il momento di tirarlo fuori.
 
“Esci con Han stasera?” chiese Luke facendo capolino nella sua stanza.
La sorella si voltò a guardarlo, la zip del vestito ancora un po’ aperta. “Cosa te lo fa pensare?”
“Il fatto che sei chiusa nella stanza da quasi due ore, e la montagna di vestiti sul tuo letto.”
Leia sorrise. Suo fratello era la persona che più di tutti la conosceva e che la capiva davvero. Sarebbe stato inutile negare. “Sì.”
“Era ora che voi due la smetteste di fare gli idioti e iniziaste a fare sul serio.” Allo sguardo scettico di lei sorrise. “Sei bellissima così…lo sai?” Le si avvicinò e si offrì di chiuderle la zip. “E poi Han non è tipo da badare a queste cose. Tu gli piaci così come sei, ne sono sicuro.”
“Ti voglio bene” disse Leia abbracciandolo. Suo fratello sapeva come confortarla e come farla sentire meglio.
“Te ne voglio anch’io.” Rimasero abbracciati stretti, poi Luke aggiunse: “Divertiti, mi raccomando…te lo meriti.”
*****
Han se ne stava appoggiato al sellino della propria moto, intento a giocare con il portachiavi, quando Leia aprì il portoncino di casa sua. Non appena la vide sobbalzò: si mise subito in piedi e si aggiustò la camicia con le mani, poi posò lo sguardo su di lei e per poco non spalancò la bocca dalla meraviglia. Era la cosa più bella che avesse mai visto, e non era sicuro che non fosse solo un sogno, un’illusione. Sapere che si era fatta così bella per lui, per uscire con uno come lui, gli riscaldava quel muscoletto avvizzito che gli batteva fra le costole come mai gli era capitato prima.
“Ehi” disse Leia rompendo il silenzio.
“Ehi” le rispose. Si passò nervosamente la mano fra i capelli dietro la nuca, ma le sorrise spavaldo come al solito. “Sei stupenda. Dovresti indossare più spesso vestiti da ragazza.”
Leia inarcò un sopracciglio, leggermente piccata. “Grazie. Anche tu non sei male, però. Non sapevo che avessi anche qualcosa del genere nel tuo guardaroba” aggiunse sul suo stesso tono, alludendo con un cenno della mano alla camicia color cachi e agli eleganti pantaloni scuri che indossava.
Han sogghignò impudente, uno di quei sorrisetti sghembi che infiammavano le guance di Leia all’istante. “Non finisco mai di sorprenderti, eh principessa?” In realtà quel completo glielo aveva prestato Lando – che portava praticamente la sua stessa taglia ma che era assai più attento al look di quanto non lo fosse lui – tuttavia non c’era bisogno che Leia lo sapesse.
Rimasero a fissarsi ancora per qualche istante, senza che nessuno dei due facesse una mossa. Anche se si conoscevano molto bene, anche se avevano già cenato insieme, quella era la prima volta che stavano faccia a faccia da soli, e in un contesto completamente diverso da quello del gruppo di amici di cui facevano parte. Ora l’imbarazzo fra di loro era palpabile, e nessuno dei due sapeva cosa dire o cosa fare, temendo di fare una figuraccia.
Fu Leia all’improvviso a smuovere quella situazione stagnante: prese il coraggio a quattro mani e si avvicinò spavalda a Han, poi gli incorniciò il volto con le mani tremanti e lo baciò dolcemente sulle labbra. Ci volle un attimo prima che il giovane rispondesse a quel bacio così inaspettato, allungando la mano dietro la sua schiena e assaporando con delicatezza le sue labbra morbide – un delizioso preludio delle molte sorprese che, ne era certo, avrebbero animato quella serata.
Quando si separarono, Leia gli sorrise. “Vogliamo andare, testa calda?”
*****
Il ristorante che avevano scelto per il loro primo appuntamento galante era il più noto (e il più costoso) di tutta Tatooine: prenotare un tavolo lì significava attendere settimane – oppure avere amicizie fra i camerieri, come le aveva Han.
La cena stava andando più che bene, almeno secondo Leia, che stava gustando entusiasta tutto quello che il cameriere portava loro e che era ormai completamente persa nel suono melodioso della voce del suo accompagnatore, mentre le raccontava delle sue corse clandestine e delle sue rocambolesche avventure – alcune delle quali erano talmente assurde ed improbabili che Leia dubitava che fossero vere. Non mancavano però lunghi momenti di silenzio, durante i quali si guardavano semplicemente negli occhi e si sorridevano, dimentichi della vita che continuava a scorrere attorno a loro.
 
“Posso farti una domanda, Han?” chiese Leia ad un tratto.
“Certo, dolcezza.”
“Come mai sei andato via di casa così giovane? Non hai una famiglia dove stare?”
Han sospirò guardandola dritto negli occhi. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivata una domanda del genere da parte di lei, ma non se l’aspettava proprio adesso, al loro primo appuntamento. Leia, comunque, si meritava la sua sincerità, anche se ciò che stava per raccontarle gli sarebbe costata molta fatica.
Prese il bicchiere davanti a sé e lo svuotò con un sorso solo, poi si schiarì la voce e incominciò: “Da piccolo vivevo a Corellia, un piccolo paesino parecchio lontano da qui. La mia famiglia non era ricca, anzi. Nessuno dei miei genitori lavorava e vivevamo con il sussidio della previdenza sociale. Mia madre a volte faceva la cameriera in qualche casa, ma niente di più. Abitavamo in uno di quegli anonimi casermoni di periferia, di quelli adibiti a case popolari…hai presente?”
Leia annuì, letteralmente rapita da come era iniziata quella storia.
“Mio fratello – perché avevo un fratello, una volta…” La sua voce si interruppe, rotta dall’emozione. Tacque per un attimo, lo sguardo rivolto alle patate nel proprio piatto.
“Avevo un fratello” ripeté, stavolta più convinto. “Si chiamava Henry, ed era più piccolo di me di quattro anni. Litigavamo in continuazione, ma ci volevamo bene – davvero. Lui era tutto quello che io non ero…onesto, intelligente, ubbidiente. Mi sentivo sempre responsabile per lui, un po’ come se fossi stato suo padre, anche se la testa calda dei due in realtà ero io.”
“Poi cosa è successo?” chiese Leia con un filo di voce. Inutile dire che ignorava del tutto il fatto che avesse un fratello. Han Solo era per tutti una persona senza passato, capitato all’improvviso a Tatooine senza che nessuno sapesse da dove era arrivato e quale fosse la sua storia. Il fatto che lui si stesse aprendo con lei in modo così limpido e spontaneo, senza censure, la inquietava ma al tempo stesso la onorava profondamente: solo a lei il privilegio di sapere davvero chi fosse.
“Mio padre è sempre stato molto violento con noi – anche con mia madre, in realtà. Tornava spesso a casa ubriaco e ci picchiava senza motivo, e senza pietà. Un giorno tornai a casa da scuola e trovai Henry a terra in un lago di sangue…mio padre lo aveva spinto giù dalle scale, e io non potei fare nulla per salvarlo. Era solo un bambino!”
Han si interruppe e sospirò profondamente. Non stava piangendo – probabilmente aveva già pianto tutte le lacrime che aveva in corpo. Appariva piuttosto come rassegnato, ormai. Questi fatti erano già storia vecchia per lui ed in qualche modo li aveva metabolizzati, se ne era fatta una ragione ed era andato avanti.
Leia gli prese le mani e le strinse dolcemente fra le sue. Non sapeva cosa dire o fare: mi dispiace sarebbe stato riduttivo. Cercò invece di comunicare con quella stretta che lei gli era vicino, e che lo avrebbe ascoltato qualunque cosa lui avesse voluto raccontare.
Egli incontrò il suo sguardo e le sorrise debolmente, stringendo più forte le sue piccole mani. “Fu in quel momento che decisi di andare via di casa. Per salvarmi, se non altro.”
“Quanti anni avevi?” chiese Leia.
“Sedici – una vita fa. Rubai la moto del nostro vicino di casa e corsi più lontano che potei.” Tornò ad abbozzare un sorriso, ma gli risultava assai difficile.
“Che cosa è successo poi ai tuoi genitori?” chiese Leia dopo qualche istante. Da una parte voleva lasciar cadere quella conversazione così dolorosa e passare ad argomenti più leggeri, ma dall’altra quel racconto suscitava in lei una curiosità quasi morbosa: voleva sapere come quel ragazzino così scosso fosse diventato il giovane apparentemente forte e senza scrupoli che aveva davanti.
“Mio padre fu accusato di violenza domestica e di omicidio. Al processo testimoniai contro di lui…lo feci per Henry, era il minimo che potessi fare per mio fratello. Se non è già morto, dovrebbe essere ancora al fresco, ma sinceramente non mi importa di lui.”
“E tua madre?”
“Ogni tanto vado ancora a trovarla, e se riesco le porto qualcosa della mia paga” rispose Han. “In fondo, lei non c’entra con quello che è successo…voleva bene sia a me che a Henry – o almeno credo.”
Tacquero per un bel po’, indugiando in quel momento di intimità così profondo quanto inaspettato per due persone che avevano trascorso gli ultimi tre anni a respingersi, ma che si erano scoperti accomunati da momenti assai dolorosi che avevano finito col cambiarli irrimediabilmente.
 
Quando uscirono dal locale – dopo che Leia ebbe dovuto insistere con rinnovato sforzo affinché Han le lasciasse pagare la metà del conto – decisero di fare una passeggiata per il paese.
Tutta la cena e la conversazione che c’era stata non avevano affatto rilassato Han, lo avevano reso solo ancora più teso e nervoso. Se ne stava con le mani ficcate nelle tasche per resistere alla tentazione di prenderle la mano o di cingerle la vita con un braccio – manifestazioni di affetto che non sapeva se le avrebbero dato fastidio. Con le dita arrivò a sfiorare il pacchetto di Marlboro che aveva in tasca e gli venne improvvisamente voglia di tirare qualche boccata di sigaretta per provare a calmarsi. “Ti dà fastidio se fumo?” chiese a Leia.
La ragazza scosse la testa sorridendo. “Sono abituata. Mio padre era un fumatore accanito, e a casa mia c’era perennemente odore di tabacco bruciato” spiegò. “Piuttosto…perché sei sempre così nervoso quando stiamo insieme?”
La fiammella dell’accendino illuminò il volto corrucciato del giovane. “Che vuoi dire?”
“Una volta dicesti che di solito fumavi solo quando eri particolarmente teso, per distenderei nervi. Ti rendo nervoso?”
“No” mentì Han, stupito che Leia si ricordasse quel dettaglio. “E che non so come trattare una principessa, ecco tutto.”
“Han, ti prego...devi smetterla di chiamarmi così!” fece Leia stizzita.
“Ma è vero” si difese il giovane. Tirò un’altra boccata di fumo, poi aggiunse: “Non avevo mai avuto a che fare con una ragazza come te prima e…”
“Puoi provare a trattarmi come una ragazza normale. Non sono così diversa dalle altre in fondo.” Il fatto che Han si comportasse con lei come fosse una bambolina di porcellana la imbarazzava e la rendeva nervosa, più di quanto non fosse già di suo.
Il giovane annuì gettando via la cicca e prendendo un bel respiro come a prendere coraggio. “D’accordo, dolcezza” disse. Le cinse le spalle con un braccio e le sfiorò la tempia con le labbra. Leia fu colta di sorpresa dalla sua improvvisa disinvoltura. Istintivamente si irrigidì nel suo abbraccio, ma ci volle solo un attimo prima che si rilassasse e si abbandonasse con la testa sulla spalla di lui.
“Va bene così?” chiese Han, percependo il suo iniziale disagio.
Leia annuì e allungò un braccio per cingergli la vita. “Va bene.”
“Dovresti portare più spesso i capelli sciolti” disse timidamente. “Ti stanno da favola.”
Se c’era una cosa che piaceva particolarmente a Leia di quel Han così inedito – che stava imparando a scoprire da pochi giorni – era la sua goffa spontaneità, quei complimenti detti ostentando nonchalance ma che nascondevano invece un grande imbarazzo: si percepiva chiaramente che non era abituato a fare apprezzamenti, e probabilmente neanche a riceverli. “Grazie.”
 
Camminarono così abbracciati, godendo di quel tenero contatto fisico, finché non ritornarono alla motocicletta. “Cosa vuoi fare adesso?” chiese Han. “Ti va se ci andiamo a bere una birretta da qualche parte?”
Leia avrebbe voluto trascorrere tutta la notte con lui, senza la preoccupazione di dover tornare a casa, ma sapeva che gli zii la stavano aspettando in piedi, ed era già molto tardi rispetto al suo solito. Se zia Beru non l’aveva ancora chiamata, era perché sapeva quanto quella serata fosse importante per lei – ma ciò non significava che non stesse in ansia. Han invece non aveva regole né orari: come avrebbe fatto a spiegargli che lei non aveva tutta la libertà che aveva lui?
“Ehi, allora?” insistette il ragazzo, tamburellando con le dita sulla sua spalla.
Preferì essere onesta piuttosto che accampare una scusa qualsiasi, sperando che lui capisse. “Han, io…dovrei tornare a casa. Mi stanno aspettando ed è già tardi.”
Han annuì riluttante. Sembrava un po’ triste, ma non disse nulla.
“So che magari tu hai altre abitudini, ma io non posso…” Leia provò a giustificarsi, ma Han la interruppe con un cenno della mano.
“Va bene, principessa, non c’è nessun problema” disse. “Ora ti riporto al tuo castello.”
“Sei arrabbiato con me?”
Il giovane le sorrise, porgendole il casco. A volte dimenticava che quanto Leia fosse giovane rispetto a lui, e come avesse persone che si preoccupassero per le – cosa che lui non aveva mai sperimentato. Avrebbe dovuto farci l’abitudine ma, pur di stare con lei, avrebbe sopportato qualsiasi cosa. “No. Perché dovrei?”
*****
“Principessa, dobbiamo salutarci” disse Han, passandosi una mano fra i capelli scombinati. Erano arrivati al portoncino di casa Skywalker, dove si erano incontrati solo poche ore prima. In quella serata erano successe così tante cose che avevano dato una nuova piega al loro rapporto: Han era stato inaspettatamente dolce e gentile, e lei si era sentita davvero una principessa in sua compagnia. “Grazie, Han, per tutto. È stata una serata stupenda, e io sono stata molto bene con te. Davvero.”
Han le sorrise. La prese per i fianchi e la attirò dolcemente a sé, schiacciando la fronte contro quella di lei. “Sono io a doverti ringraziare” mormorò. “Chi lo avrebbe detto che una principessa sarebbe uscita con uno come me…”
“Sta’ zitto, canaglia” disse Leia, mettendolo a tacere con un lungo bacio. Ogni contatto fisico con quel ragazzo generava in lei una tempesta di sensazioni che le rendevano quasi impossibile l’aderenza alla realtà. Il modo in cui le sue labbra la stavano divorando lentamente, o in cui la sue mani le accarezzavano le guance e si infilavano fra i suoi capelli la stavano facendo impazzire. Se questo voleva dire essere innamorata, stare con Han Solo, perché lo aveva rifuggito per tanto tempo? Perché non aveva ceduto al suo istinto già molto tempo fa? Voleva che quel bacio non finisse mai, ma inevitabilmente furono costretti a staccarsi per riprendere fiato.
Han fu il primo a parlare. Le accarezzò dolcemente la guancia con la punta delle dita, poi disse: “Grazie per aver voluto ascoltare la mia storia. Non credo che questo sia il genere di cose che si dicono ad un primo appuntamento…no?”
“Forse no” rispose la ragazza. Ma c’era anche da dire che il loro non era stato un convenzionale primo appuntamento.
“Non ne avevo mai parlato con nessuno prima. Nessuno si era mai interessato a me fino al punto di starmi a sentire.” Aveva avuto l’insperata possibilità di raccontare la propria storia, di mettere a nudo ciò che era davvero, e aveva trovato in Leia l’unica persona in grado di capirlo appieno.
“Tu mi interessi, Han” gli assicurò. “Io tengo molto a te, e sarò sempre pronta ad ascoltarti.”
“Vieni qui” sussurrò il ragazzo. La accolse fra le braccia e la strinse forte a sé. Era piccola e minuta rispetto a lui, eppure i loro corpi si incastravano alla perfezione, come due tessere di uno stesso puzzle, come se fossero stati creati per stare insieme.
Rimasero abbracciati per qualche momento, finché Leia non si svincolò dalla sua stretta, quel tanto sufficiente a guardarlo negli occhi. “C’è una cosa che devo dirti” mormorò severa.
“Dimmi.”
“Ieri sono stato a casa tua e…ho saldato il tuo debito con la padrona di casa.”
Il giorno precedente, Leia aveva preso la macchina di suo fratello ed era andata a casa di Han, approfittando del fatto che lui era a lavoro, e aveva fatto una chiacchierata con la sua padrona di casa: all’inizio si era finta sua sorella, per giustificare la sua intenzione di saldare gli affitti arretrati, ma era stata presto smascherata dalla vecchia – che la sapeva assai lunga – e alla fine aveva preferito essere sincera e dirle la verità. Aveva fatto la babysitter e delle lezioni di doposcuola durante l’anno scolastico, e aveva messo da parte un po’ di soldi che aveva deciso di destinare a quell’affitto. Quella chiacchierata con la padrona le era stata molto utile per capire qualcosa di più di come vivesse davvero Han e di quali fossero le sue abitudini: la vecchia al riguardo le aveva fornito informazioni dettagliate e aveva dimostrato di avere una memoria inossidabile – a dispetto della sua età. Le aveva parlato delle molte ragazze che erano salite alla mansarda in quegli anni – ma che stranamente erano diventate sempre meno frequenti negli ultimi tempi; le aveva detto che non riceveva mai visite, aldilà di quelle femminili, ma che ogni tanto – più o meno ogni mesetto e mezzo, con regolarità – lasciava l’appartamento per due o tre giorni senza dare spiegazioni, e che in quei giorni era lei ad occuparsi del gatto; infine, le aveva confidato ciò l’idea che si era fatta di lui in quegli anni: un ragazzo dal carattere orribile, che ci teneva inspiegabilmente a mantenere una pessima reputazione, ma che in fondo aveva un cuore d’oro. In effetti, la descrizione che aveva fatto la vecchina corrispondeva all’idea che si era andata formando nella mente di Leia in quegli ultimi giorni, nei quali aveva finalmente approfondito la conoscenza di Han – che fino ad allora era rimasto un enigma irrisolto. Aveva pagato i due mesi arretrati e voleva dare anche un anticipo sul mese in corso, ma la vecchia non aveva voluto prenderlo: lei era una donna paziente – aveva detto sorridendo – e i soldi di quell’affitto non le servivano per vivere.
“Che cosa hai fatto?!” esclamò Han.
“Ho pagato i mesi di affitto che avevi arretrati.”
Il ragazzo era allibito. “Ma…perché?”
“Per aiutati, per darti una mano” rispose Leia, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Non dovevi farlo!”
“E perché no? Eri in difficoltà, e ho pensato di contribuire alle tue spese. Ho lavorato durante quest’anno, avevo dei soldi da parte, e…”
“Non dovevi spendere quei soldi per me” rispose Han frustrato. Era arrabbiato, non tanto con Leia ma quanto con se stesso, per essersi lasciato sfuggire quel particolare sulla sua situazione economica quando era stata a trovarlo. “Ascoltami bene, Leia, perché voglio che sia ben chiaro questo fatto. Io non sto uscendo con te perché sei ricca, perché volevo sfruttarti economicamente.”
“Lo so. Sono stata io a volerti aiutare, perché sapevo che ne avevi bisogno” disse la ragazza.
“Io…non voglio farti pena, e non voglio la tua carità. Ce la posso fare benissimo da solo – ce l’ho sempre fatta.” Era stato abituato a non a ricevere aiuto da nessuno, e a far forza solo sulle proprie braccia per risolvere i propri problemi. Sbuffò e abbassò lo sguardo, profondamente a disagio. Non voleva che lo giudicasse un pezzente, uno squattrinato bisognoso dei suoi soldi – ma in effetti quella descrizione corrispondeva alla realtà: lui non aveva nulla da offrirle, e non meritava di stare con lei.
Leia lo accarezzò sulla guancia e lo costrinse a guardarlo. “Non è un crimine accettare un aiuto da qualcuno, una volta ogni tanto.”

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NOTE DELL'AUTRICE
Finalmente il Primo Appuntamento! 
E' un capitolo al quale ho lavorato molto, cercando di indagare la personalità dei protagonisti e di scavare nel passato di Han...spero di non essere stata banale: non volevo un convenzionale primo appuntamento con rose, cioccolatini e altre smancerie - mi auguro che lo apprezziate :-D

 
   
 
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