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Autore: Alexa_02    21/10/2017    2 recensioni
Julianne ha tutto ciò che potrebbe mai desiderare, quando guarda la sua vita non c’è una virgola che cambierebbe. È così sicura che ogni cosa andrà nel giusto ordine ed esattamente come se lo aspetta, che quando si sveglia e trova la lettera di addio di sua madre non riesce a capacitarsene.
Qualcosa tra i suoi genitori si è incrinato irrimediabilmente e April ha deciso di scompare dalla vita dei figli e del marito senza lasciare traccia o la benché minima spiegazione.
Abbandonata, sola e ferita Julianne si rifugia in sé stessa, perdendosi. Una spirale scura e pericolosa la inghiotte e niente è più lo stesso. Julianne non è più la stessa.
Quando sua madre si rifà viva, è per stravolgere di nuovo la sua vita e trascinare lei e suo fratello nell'Utah, ad Orem, dalla sua nuova famiglia.Abbandonata la sua casa, suo padre e la sua migliore amica, Julianne è costretta a condividere il tetto con cinque estranei, tra cui l'irriverente e affascinante Aaron. Tra i due, da subito, detona qualcosa di intenso e di forte, che non gli da scampo.
Può l’amore soverchiare ogni cosa?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Aaron

 

Va sempre tutto nel verso sbagliato.

Non sono catastrofico, semplicemente molto realistico. La maggior parte delle volte che ho in mente un piano da seguire, finisco sempre per commettere una stronzata madornale. Me ne rendo tristemente conto quando la borsa di Julianne sbatte contro la portiera, mentre sfreccia come un missile di fianco alla mia auto. Non le vedo la faccia, ma sono sicuro che non ci troverei stampato sopra un bel sorriso.

Io?

Io sono nella merda.

Ci sono finito nell'esatto istante in cui ho permesso a Savannah di salire su Scarlett per parlare. Il suo parlare è finito per diventare lei che mi monta in braccio, neanche fossi un toro, e mi infila la lingua in bocca come se stessimo ancora insieme. Da bravo scemo quale sono, per un secondo mi sono lasciato distrarre e ho perso di vista il mio obbiettivo. In quel secondo ho visto il riflesso dei contorni di Julianne nello specchietto e ho capito di essermi infilato nella merda.
“Ma guarda tu che stronza” commenta Savannah ancora seduta sul mio pacco. La faccio scivolare il più lontano possibile da me e cerco di uscire dalla macchina.
“Aaron, aspetta” mi artiglia un braccio “So che le cose tra noi non sono andate nel verso giusto, ma non dobbiamo arrenderci alla prima difficoltà”. Tenta di salirmi di nuovo addosso “Ricordati cosa sappiamo fare noi due insieme” miagola.

La afferro per le braccia, cercando un po' di spazio “Mi dispiace, Savannah, ma non esiste nessun noi”. Cerca di nascondere l'irritazione e ostenta un sorriso “Tu pensaci”. Mi scocca una bacio carico di rossetto sulla guancia e finalmente esce dalla mia macchina.

Quando entro nell'edificio sono ormai quasi in ritardo e corro in classe prima di finire in punizione. Entro nell'aula di fisica con una sgommata e mi lancio nel primo banco vuoto che trovo. Mi rendo conto una volta seduto che al mio fianco c'è Henry. Siede rigido e non alza lo sguardo dal suo libro, pur sapendo che sono accanto a lui.

“Ehi, Henry...” esalo. Il professor Chase entra in classe interrompendo qualsiasi tipo di conversazione.
A lezione terminata lo blocco prima che possa andarsene “Henry”.

“Senti non mi interessa con chi ti sollazzi nel tempo libero, ma non ti avvicinare in nessun modo a mia sorella se non intendi restare. Quando nostra madre è andata via Julianne si è opacizzata e non è più stata la stessa. Non lascerò che accada di nuovo, quindi pensa bene a quello che fai”. Per la prima volta da quando l'ho conosciuto mi sembra imponente e minaccioso. Stringe i denti con forza e i suoi occhi, sempre cordiali e sorridenti, sono ombrosi e scuri come quelli di Julianne.

Non mi lascia replicare e se ne va senza aggiungere altro.
Mi trascino verso l'aula successiva e una volta raggiunta mi rendo conto che è quella di francese. Sulla soglia riesco a scorgere Julianne seduta al nostro banco. Disegna concentrata su un blocco per appunti e si rigira nel dito una ciocca scura. La raggiungo il più lentamente possibile, cercando di avvertirla della mia presenza prima di sedermi. Non alza mai lo sguardo verso di me, ma so che sa che sono qui. Stringe la matita con più forza e si morde l'interno della guancia. Le siedo accanto e prendo aria, pronto al mio discorso di scuse. “Mi dispiace per ieri sera e per stamattina”. Lei non si scompone. “Mi sono comportato da stronzo e vorrei spiegarti cos'è successo, non sono un doppiogiochista o qualcosa del genere. Io volevo solo...”

“Non so a cosa tu ti riferisca” dice piatta.

Aggrotto la fronte confuso e abbasso la voce. “Ieri sera mentre lavavamo i piatti...”.

“Non so di cosa parli”. Chiude il quaderno e infila le sue cose nella borsa.
La signora Bernard fa il suo ingresso in classe “Bonjour étudiants”.
Julianne si alza e raggiunge la cattedra. Sussurra qualcosa in francese alla professoressa e lei annuisce indicandole la porta. Julianne esce dall'aula lasciandomi solo e confuso.

Forse è andata in bagno.

Anche se dopo un quarto d'ora sono ormai certo che non torni più, ogni volta che dei passi risuonano nel corridoio spero che la porta si apra e lei torni a sedersi accanto a me.

Finita l'ora, Julianne non è tornata e io ho finito per fare un casino assurdo con le coniugazioni dei verbi. Non ha ascoltato nulla di quello che cercavo di dirle. Ha fatto finta che fosse tutto normale e che non ci fossimo divorati a vicenda contro il lavandino della cucina. Non ci credo che non ha sentito quello che ho sentito io quando ci siamo toccati. Un'energia indomabile a cui non avevo intenzione di resistere.
Il tempismo dei miei amici ha rovinato l'attimo e Savannah ha fatto il resto. Devo rimediare. Assolutamente.

Cammino verso trigonometria scrutando la folla nel tentativo di scorgerla. Anche se brilla di luce propria, non riesco a vederla nel mare di gente. Mi rifugio in classe e la lezione passa troppo lentamente. Corro verso biologia e occupo un banco vuoto, sperando che resti solo il posto libero accanto a me. Matt e Nicole entrano in classe mano nella mano e si siedono davanti a me, come sempre. Julianne fa il suo ingresso con i libri sotto il braccio e rigirando l'orario sotto sopra, tutta concentrata. Il giorno prima, durante francese, ho sbirciato il suo orario e so che abbiamo in comune più corsi di quanto creda. Non si liberà così facilmente di me.

Nicole sbuffa e si lamenta silenziosamente. Matt balza in piedi e le va incontro. “Julie” la chiama. Lei alza i suoi bellissimi occhi indefiniti e gli sorride. Sento l'impulso irrefrenabile di colpire il mio migliore amico proprio in faccia. “Vieni a sederti con noi. Io mi siedo vicino ad Aaron, tu puoi stare accanto a Nicole, così fate amicizia”.

“No” rispondiamo all'unisono Nicole ed io. Lei arrossisce, io inchiodo Julianne con lo sguardo. “Puoi sederti vicino a me” do una pacca sulla sedia accanto alla mia. Lei mi fissa con il fuoco nello sguardo. Se potesse mi avrebbe già incenerito.
Valuta i pro e i contro di entrambe le situazioni e alla fine si lascia cadere vicino a me con un sospiro. Appoggia i libri sul tavolo e nasconde il viso dietro una cascata di capelli scuri.
Non le basteranno certo per tenermi lontano.

“Allora...” comincio. Mi pianta l'indicine davanti alla faccia “Sai, non mi piace stare seduta vicino a chi prova a fare conversazione durante la lezione” si alza “Credo che cercherò un posto...”.

“Oh, no, no, no” la trascino con di nuovo giù “Starò muto come un pesce, parola di scout” Chiudo una serratura immaginaria lungo le labbra e lancio la finta chiave oltre le sue spalle. Julianne alza gli occhi al cielo e scrolla le spalle. Sistema i libri sul tavolo e apre il quaderno degli schizzi.

“Quindi...” ricomincio. Le mi guarda male. “La lezione non è ancora iniziata”.

Riporta l'attenzione sui suoi disegni, ma non obietta e lo prendo come un invito a continuare.

“Hai scelto a quali club iscriverti?” domando. Di certo non parleremo di ieri sera mentre le orecchie di Nicole sono nella stanza.

“No” grugnisce. Traccia con la penna i contorni di un viso senza identità.

“Hai almeno qualche idea su cosa fare?”.

Serra la mascella. “No”.

“Sei di cattivo umore, Julie?” chiede Matt voltandosi verso di lei.
Lei gli regala un sorriso da capogiro, che fa innervosire me e sbuffare Nicole. “Assolutamente no, è solo che non ho ancora la minima idea di cosa fare”. Ho capito il tuo gioco, principessa.

Lui ricambia il sorriso “Potresti entrare nella banda. Suoni ancora il violino, vero?”.

“Sì, la banda mi sembra perfetta per te” cinguetta Nicole, con un luccichio perverso nello sguardo. È un modo velato per insultarla, ormai non prova più nemmeno a fingere. Solo gli sfigati della scuola sono nella banda. E poi non ce la vedo Julianne nella divisa oro e blu della banda, con tutti quegli alamari e con le spalline rigide.

Julianne la guarda con indifferenza e con un pizzico di fastidio. Come se guardasse un moscerino nella zuppa di carote. “Sì, lo suono il violino. Ma n, non voglio fare parte di nessun tipo di gruppo. Il lavoro di squadra non è il mio forte”.

“Allora ti sconsiglio le cheerleader” si affretta a dire Nicole. Il solo pensiero che possa fare parte del team la fa assomigliare ad un fantasma. Comunque non ce la vedo nemmeno a fare la ragazza-pompon, anche se la loro divisa le starebbe uno schianto.

“Si” esclama Matt “Durante le medie eri il capitano della squadra”. È fastidioso come continui a snocciolare informazioni e a vantarsi di tutte le cose che sa di lei.

“Ne è passata di acqua sotto i ponti da allora” asserisce criptica. So che in quell'affermazione c'è più di quanto voglia far intendere.

“Beh, comunque non te lo consiglio, dopo un po' di anni si perde la forma per quel tipo di sport” le dice Nicole. Julianne la fissa incarnando un sopracciglio, incerta a mio parere se risponderle a tono o ignorarla. Il professor Smith entra il classe scegliendo per lei.

“Buongiorno studenti” declama solare “Oggi diamo ufficialmente inizio al corso di biologia di base di quest'ultimo anno scolastico. O almeno si spera sia l'ultimo”. Tutta la classe ridacchia educatamente. Il signor Smith posa la sua valigetta di pelle sul tavolo e fa scattare la serratura “Il nostro amato corso oggi da il benvenuto ad una nuova studentessa dell'ultimo anno. È una novità per questa scuola avere una matricola dell'ultimo anno”.

Sì, la nostra città è una noia.

Julianne cerca di ridurre le sue già minute dimensioni accartocciandosi contro il tavolo. Non ama dare spettacolo e credo abbia intuito che il professore è uno che ama l'interazione durante la sua lezione. Lui inforca un paio di occhiali fuori moda da almeno trent'anni e prende in mano una manciata di fogli “Julianne? Julianne Roux?” strizza gli occhi verso gli studenti alla ricerca della ragazza. Tutta la classe, che ormai conosce la faccia di Julianne nel dettaglio, si volta a guardarla. Lei alza debolmente due dita e il professore la inquadra. “Eccoti lì!” tuba “Avanti, vieni qui vicino a me e presentati al resto della classe”. Lei resta immobile, come un cervo davanti ai fanali di un furgone. “Avanti!” la sollecita.

“Forza, Fanali, presentati” borbotta qualcuno sul fondo. Non so chi sia ma vorrei strozzarlo. Lei espira lentamente, come se stesse contando mentalmente fino a dieci, poi alza fieramente la testa e raggiunge il signor Smith. Calza un'espressione indifferente e fredda come il ghiaccio.

“Allora cara Julianne, perché non ci racconti qualcosa di te” la sprona.

“È davvero necessario?” gli domanda, implorante. Se il professor Smith non fosse così lento a cogliere i segnali, noterebbe subito che sta forzando una situazione potenzialmente dannosa.

“Credo che sia un ottimo modo per farti conoscere e fare amicizia con i tuoi coetanei”. Si crede un esperto educatore.

“Io in realtà...” riprova, cocciuta.

“Avanti, ti farà solo bene” conclude. Julianne sembra sul punto di commettere un omicidio, ma alla fine sospira e annuisce. “Mi chiamo Julianne, vengo da San Diego, in California”.

“Che liceo frequentavi prima?”.

San Diego High School”.

“Ne ho sentito parlare molto bene. Come mai ti sei trasferita?”.

Lei si morde l'interno della guancia e stringe i pugni dentro le tasche della camicia. Deve parlare di sua madre davanti ad una classe di estranei e sono sicuro che le costi uno sforzo enorme.

“Sono andata a vivere con mia madre”. È tutto quello che riesce a scucirle al riguardo.

“April Raisman, giusto?” domanda cauto.

Julianne annuisce, rigida come un tronco. Il signor Smith diventa rosso come un pomodoro e si sistema convulsamente il nodo della cravatta. È un fatto noto che April sia una donna bellissima e il suo arrivo in città aveva attirato l'attenzione di tutti gli scapoli. Ma a lei non erano mai interessati, l'unico uomo con cui è mai uscita, da quello che so, è mio padre. Certo non cambia il fatto che sia una donna bellissima e che i single ancora sperino ancora nella loro separazione.

“Tua madre è uno schianto” ringhia un'altra voce sul fondo.

“Silenzio!” lo richiama il professore.

Julianne si dondola sulle gambe inquieta “Posso sedermi ora?”.

“Certo vai pure” si asciuga il viso con il fazzoletto da taschino e cerca di ricomporsi “Allora iniziamo ufficialmente la lezione”. Julianne si rituffa nella sedia e cerca di ignorare le occhiate furtive.

“Spero che abbiate scelto con accuratezza il vostro compagno di banco...” Smith inizia a scrivere sulla lavagna, mostrando inavvertitamente una macchia di sudore alla classe, che sghignazza alle sue spalle “...perché sarà questa la disposizione dei banchi per tutto il trimestre. E questo significa che ogni ricerca, presentazione o laboratorio vario sarà fatto con queste coppie”.

La testa di Julianne sbatte con forza sul banco di metallo, producendo un suono sordo. Guaisce e si lamenta in silenzio. Io d'altro canto non sono mai stato così contento.

 

Per tutta la lezione, non faccio altro che toccarla e andarle addosso di proposito. Ogni volta che le devo passare il microscopio le sfioro le dita di proposito. Cambio posizione sulla sedia toccandole per sbaglio le gambe nude. E per la cronaca, quella gonna andrebbe bandita dal suo guardaroba.

Da tutto l'Utah.

Da tutto il fottuto pianeta.

Ha le gambe snelle, bianche come la neve e dall'aspetto assolutamente tonico. Quando si è alzata per recuperare un vetrino le ho guardato attentamente il sedere fasciato dalla stoffa di jeans. Ha un culo pazzesco. E lo so perché l'altra sera, durante il nostro momento, gliel'ho ispezionato a dovere. Tutto ciò che può offrire non ti può bastare una volta sola. Ho intenzione di farle capire che quello che è successo non sarà un episodio isolato. Succederà ancora. E ancora. E ancora. Finché non sarà dipendente da me, come io lo sono diventato da lei dopo un solo assaggio. Non se la caverà con un non so di cosa parli. Neanche fossi una ragazza appiccicosa dopo una scopata da ubriachi. Non se ne parla. Di Aaron non ci si dimentica. Mai.

Mi sporgo in avanti verso gli oculari del microscopio, invadendo il suo spazio personale e posandole delicatamente una mano sull'interno della sua coscia nuda. Il contatto della sua pelle fredda contro la mia bollente mi provoca un brivido. So che le succede lo stesso perché sobbalza sulla sedia e si ritrae. Mi molla una calcio nello stinco “Smettila!” bisbiglia rabbiosa. Vederla arrossata e senza fiato è una visione paradisiaca.

“Di fare cosa?” chiedo con innocenza e cercando di nascondere il dolore.

Lei sbuffa infastidita “Lo sai benissimo cosa stai facendo. Non fare il finto tonto con me!”.

“Io veramente sto solo completando il compito per entrambi, visto che tu sembri alquanto distratta”.

Spalanca la bocca, offesa “Non sono affatto distratta. Tu piuttosto non fai altro che infastidirmi”.

“Non lo chiamerei affatto fastidio”. Mi piace pungolarla. Le sue sopracciglia si inarcano in modo adorabile quando è arrabbiata. Infilo una scarpa tra le gambe della sua sedia e lentamente la tiro più vicino al microscopio in mezzo a noi. I nostri gomiti tornano a toccarsi. “Devi vedere bene se no ti perdi i passaggi della divisione cellulare”.

“Qualsiasi mossa da playboy pensi di usare su di me non funzionerà, non cambierò idea. Perciò torna pure a spupazzarti una cheerleader” grugnisce velenosa. Gelosia. Che sentimento eccitante. Beh, solo se riguarda lei. Perché personalmente odio essere geloso di qualcosa.

“Se menti, il tuo bellissimo, minuscolo, nasino crescerà e ci toccherà appenderci sopra i cappotti” le sfioro la punta del naso.

“Non mento proprio su nulla” brontola scacciando la mia mano.

“Quando dici di non ricorda nulla di ieri sera stai mentendo, principessa” sussurro guardandola nei suoi occhioni indefiniti. C'è un sentimento strano che le galleggia tra le pupille, un misto di incertezza e diffidenza. Come se non fosse sicura se fidarsi di me o no.

“Sai cosa mi ricordo di ieri sera?” sussurra avvicinandosi, leccandosi le labbra e facendomi eccitare. Schiudo le labbra.

“Che mi hai mollata da sola a finire di lavare i piatti” si allontana lasciandomi in sospeso come un'idiota. “Non ti aspettare il mio aiuto la prossima volta”. La ragazza sa quello che fa.

Al suono della campanella sospira estasiata e scappa letteralmente fuori dalla classe. Non c'è nulla che possa salvarla, può correre quanto vuole.

 

L'ora successiva la passo insieme a Lip nella noia più totale. Letteratura americana mi fa salire il latte alle ginocchia ogni anno. Oltretutto, ogni trenta secondi, Savannah si gira e mi strizza l'occhio o fa scivolare l'orlo della divisa ben oltre il limite imposto dal codice scolastico. Non accetta un no come risposta. D'altro canto nemmeno io. Vorrei dirle che ormai non c'è nessuna possibilità che torni sui miei passi. Se c'è una cosa che non faccio con le ragazze sono le corna. Se sto con una ragazza sono concentrato solo su di lei e su nessun altro. Nel mio mirino c'è Julianne e la cosa non cambierà in tempi brevi.

Cerco di ignorarla e di prendere uno straccio di appunto. Alla fine dell'ora sento la testa pesante e le palle che strusciano sul pavimento. Quando la campanella suona, volo fino in mensa e aspetto il suo ingresso, ingozzandomi di carne e patate al forno. Ignoro gli sproloqui di tutti e fisso l'ingresso.

“Capitano, stai bene?” chiede Matt. Devo sembrare un folle, visto che fisso la porta a doppio battente da almeno dieci minuti di fila. “Alla grande” bofonchio.

Lip scuote la testa “Per caso stai aspettando qualcuno?” inclina un sopracciglio color pompelmo.

Lo guardo male e continuo a mangiare “No, nessuno”.

Scrolla le spalle “Certo... Matt hai deciso che attività non sportiva fare quest'anno?”.

“Come tutti gli anni, il club Model U.N” sospira.

“Ancora quella stronzata di simulazione sulle assemblee dell'ONU?” domanda.

Matt fissa corrucciato la sua pasta “Mio padre crede che sia un'ottima esperienza da aggiungere al curriculum per Stanford”. Ogni frase di Matt che comincia con mio padre crede che sottintende che suo padre gli ha ordinato di fare qualcosa e che lui non ne è felice. Il signor Carter è un uomo esigente che si aspetta solo il meglio da suo figlio e che se non lo ottiene diventa silenzioso e anaffettivo. Matt subisce molta più pressione di quanta ne faccia vedere. Se fossi in lui sarei già uscito di testa.

“Cos'è successo al suo piano di mandarti ad Harvard?” chiedo smettendo di fare la guardia all'entrata. Si gratta il petto, proprio in mezzo ai pettorali. È un tic nervoso che si porta dietro da quando i suoi voti hanno iniziato ad essere la priorità di suo padre “Ha deciso che Stanford è più adatta a me, con Harvard puntavamo troppo in alto”. In altre parole, secondo il signor Carter, Matt non è abbastanza intelligente. Gli stringo la spalla “In qualsiasi college verrai preso sarai di sicuro il più cervellone e anche quello con più ragazze”. Mi sorride grato, ma nei suoi occhi c'è ancora un velo di tristezza. “Tu cosa farai questo trimestre?” tenta di distogliere l'attenzione dai suoi problemi, come se non fossero importanti. Non ama lamentarsi.

“Non ne ho idea” In realtà sì, ma il mio piano al momento è un segreto. “Farò qualcosa a caso come sempre”. Lip sghignazza “Come lo scorso trimestre che hai fatto economia domestica, neanche fossi una donnetta del cazzo”.

“Parla quello partecipa al club di fotografia” lo accuso.

“Ehi! La mia è una tecnica. Il club di fotografia è pieno di bellissime artiste piene di sentimenti da esprimere e desiderose di una spalla su cui piangere. E poi la fotografia è di sicuro più mascolina della cucina”.

“Ad economia domestica ci sono solo ragazze, brutto scemo. Perché credi che mi ci sia iscritto?” mi difendo. In realtà mi piace parecchio cucinare e lo trovo molto rilassante, ma Lip questo non lo deve sapere.

Cambia espressione di colpo e smette di ridere “In effetti, ora che ci penso la cosa ha un senso” vedo gli ingranaggi del suo cervello che valutano la cosa “Non so neanche tostare il pane, ma sono sicuro che troverò qualche bella ragazza che mi aiuti a far montare il mio soufflé” dice, facendo ondulare le sopracciglia.

“Mi dispiace deluderti, ma i lavori sono rigorosamente individuali” lo informo.

Lui si sgonfia “Allora credo che resterò al club di fotografia, almeno quel corso sono sicuro di passarlo e di scopare”.

“Ottima scelta” concorda Matt. Da questa conversazione si individuano bene le priorità di Lip.

“Dov'è Tyson?” chiedo. Anche se di solito resta in silenzio oggi che siamo solo noi ragazzi avrebbe detto qualcosa sulle idee di rimorchio di Lip.

“Dopo fisica è andato nel teatro con i suoi amici. Stanno già organizzando lo spettacolo d'inverno” ci informa Matt.

“E la mia dolcezza?” chiede Lip. Si, gli piacerebbe che Julianne fosse la sua dolcezza.

“Se intendi Julianne è spartita anche lei dopo fisica. Oggi è particolarmente strana.” Sono piuttosto sicuro di essere io la causa. “Comunque ti consiglio di non chiamarla così mentre è presente, una volta l'ho vista rompere il naso ad un ragazzo che l'ha chiamata bambola” lo avverte.

“Pagherei per vederlo” ridacchia compiaciuto Lip.

 

A pranzo concluso Julianne non si è fatta vedere e sono alquanto deluso.
Camminiamo per i corridoi verso un club a caso in cui passare la prima settimana di prove gratuite. Finché possiamo passiamo il pomeriggio a cazzeggiare insieme.

“Che ne dite del club di scienze?” azzarda Matt “Potete far esplodere qualcosa”.

“Preferisco fare il cheerleader piuttosto” si passa le mani lungo gli addominali “In effetti sarei uno schianto con la divisa”.

“Il club degli scacchi allora” ritenta Matt. Camminiamo in schiera superando aule vuote e ragazzi che cercano anche loro qualcosa da fare.

“Perché le tue proposte sono sempre così noiose?” domando.

“Perché voi non proponete nulla!” si giustifica scuotendo la testa.

Lip alza la mano e saltella “Io! Io! Perché non andiamo al club di cinema? Ci guardiamo un film o dormiamo nelle ultime file”. Per ora è la proposta migliore.

“Per me va bene” concordo. Lip agita il pugno in aria in segno di vittoria.

“Potremmo fare qualcosa di produttivo invece” si oppone Matt. Mettere d'accordo tre teste completamente diverse è un'impresa titanica.

“Siamo due contro uno, abbiamo deciso” si impunta. Mentre attraversiamo il corridoio delle aule di musica qualcosa attira la mia attenzione. Le note di un piano forte invadono lo spazio che stiamo percorrendo. Una voce risuona lungo le pareti e attraverso l'aria. Inchiodiamo tutti e tre contemporaneamente e zittendoci all'unisono.
 

We all got nightmares in our dreams

We look for someone to believe in us and show us the way

And make it okay.

 

La voce più bella che io abbia mai sentito ci circonda, avvolgendoci e intrappolandoci nella sua magia. Canta ogni nota perfettamente, con un timbro caldo e leggermente roco.

 

The world can be dangerous

There's something so rare in your veins

Not a single thing I would change.

 

Restiamo incantati e senza fiato. Matt inclina la testa confuso, come se cercasse di ricordare dove ha già sentito la voce. Simultaneamente, come schiavi di un incantesimo marciamo verso la melodia. La porta dell'aula di canto a cappella è socchiusa e la voce sembra provenire dal suo interno.

 

And oh, if you only knew how I see you

Would you come alive again, alive again?

I, I need you to understand

 

Lentamente Lip afferra la maniglia e apre del tutto la porta. Entriamo cautamente nella stanza, cercando di non emettere suoni. Seduta di spalle al pianoforte a coda c'è Julianne. Sfiora i tasti con delicatezza, tenendo gli occhi chiusi e oscillando leggermente insieme alle note. Appoggiato al leggio per gli spartiti c'è un diario logoro e dalla copertina nera ricoperta di scritte.

 

I don't mind your shadows

Cause they disappear in the light

I don't mind your shadows

Cause they look a lot like mine

 

Non ho mai sentito questa canzone e sono alquanto sicuro che sia stata lei a scriverla. Mentre canta sembra fragile, vulnerabile e priva delle mura che di solito la isolano dal mondo. Sta esponendo i suoi demoni e non sa di essere osservata.
Non avevo idea che sapesse cantare così. Non avevo idea che sapesse cantare in generale. Pensavo che suonasse solo il violino.

 

And listen to me, it's okay to be afraid

Just walk like you're never alone

I don't mind your shadows, your shadows

Baby, I don't

 

È meravigliosa. Se pensavo di essere fregato prima, ora sono proprio fottuto.

Suona l'ultima nota e si lascia andare ad un sospiro carico di sollievo. Come se si fosse tolta un peso dalle spalle suonando quella canzone. Scribacchia sul quaderno ai lati del testo e giocherella con un bottone della camicia. A questo punto dovremmo girarci e andarcene cercando di non fare rumore. L'abbiamo vista mentre esponeva la sua anima e quando se ne accorgerà sarà parecchio incazzata.

Matt mi guarda e lentamente indietreggiamo cercando di trascinare Lip, che invece fa la cazzata della storia. Si mette a battere le mani. Julianne balza in piedi come un fulmine e fa ruzzolare a terra lo sgabello. Ci guarda spaventata e si affretta a chiudere il diario. “Meravigliosa” sbraita Lip, continuando ad applaudire “Che dire dolcezza, sei una sorpresa continua”. Non ha tutti i torti.

“Philip” lo richiama Matt. Julianne stringe al petto il diario come uno scudo e si nasconde dietro la sua consueta espressione indecifrabile. “Dio! Ma che razza di guardoni! Non vi hanno insegnato cos'è la privacy?”. Raccoglie le sue cose, pronta alla fuga.

“Julie sei eccezionale. Non sapevo scrivessi ancora canzoni...” Matt tenta di rabbonirla. Non funziona. “La porta era chiusa. Non sapete come si bussa?”.

“Veramente era socchiusa...” la corregge Lip. Gli mollo una gomitata, ma rimango in silenzio. Sono assolutamente senza parole. Lei mi guarda e io non so cosa dire.

“Julie” riprova Matt.

“No”. Si butta in spalla lo zaino e si affretta verso la seconda porta dell'aula.

“Aspetta”. Lei però non si ferma e sparisce, lasciandoci confusi e sottosopra.

 

Alla fine passiamo il pomeriggio nel club di cinema accontentando Lip. Ne io ne Matt siamo in vena di discutere con lui. Mentre lui russa stravaccato nelle ultime file dell'aula, io e il mio migliore amico sediamo rigidi e in silenzio fino al suono della campanella. Vorrei dire qualcosa, ma nella testa sento risuonare solo la voce melodica di Julianne e rivedo il modo aggraziato con cui si è abbandonata alla musica. Sembrava del tutto un'altra persona.
Matt sembra turbato quanto me, come se in quell'aula avesse rivisto un fantasma.

Una volta liberi ci salutiamo e io mi dirigo alla mia macchina. Appoggiato alla portiera del passeggero c'è solo mio fratello Andy. “Henry e Julianne si sono fatti dare un passaggio da un'amica” mi informa prima che possa chiederglielo.

“Quale amica?”. Sono a scuola da due giorni, come fanno a fidarsi di qualcuno e andarci in macchina insieme?

“Peyton qualcosa. La ragazza dell'ultimo anno che indossa le parrucche” mi spiega Andy accomodandosi davanti. So chi è. Non è male, una tipa a posto. Un po' stranetta, ma chi non lo è.

Infilo le chiavi nel quadro e accendo il motore. “Mi accompagni al negozio di elettronica? Mi serve un nuovo cavo USB” mi chiede Andy mentre faccio la retro per uscire dal parcheggio.

“Non può accompagnarti qualcun altro? Non sono un fottuto taxi” brontolo burbero. Andy si acciglia, corrucciando le labbra. È l'espressione che fa quando qualcosa lo ferisce. “Si, certo” mormora accendendo la videocamera. Mi sento un fratello terribile. Me la prendo con lui perché lei ha preferito la tipa delle parrucche alla mia macchina. Sono davvero senza speranza.

Gli appoggio una mano sulla testa “Scusa, Andy, è stata una giornata lunghissima. Ti ci porto, ma cerca di fare in fretta, okay?”.

Ritrova il sorriso “Certo”.

 

Dopo il giro a TechnoCity, torniamo a casa e finalmente mi lascio cadere sul letto, esausto. Henry mi osserva dal suo, circondato da libri e quaderni. Dopo due giorni è già pieno di appunti, questo ancora non so spiegarmelo. Mi guarda circospetto e con l'aria di chi la sa lunga.

“Fammi indovinare: ti ha ignorato tutto il giorno?”. Non mi sorprende che sappia tutto.

Annuisco infilando le mani tra i capelli.

“Non mi meraviglia” asserisce continuando a scrivere. Rotolo giù dal letto e mi avvicino “Che devo fare? Sai, per tornare nelle sue grazie”.

Henry mi guarda infastidito “Non è una ragazza che il giorno prima puoi far entrare nel tuo letto e il giorno dopo buttare fuori. Non abbasserà ma più la guardia con te dopo la doccia fredda che le hai dato stamattina. Sei vuoi una scopata facile smetti di cercarla da mia sorella. Se vuoi entrare nelle sue grazie ci vuole pazienza e determinazione. Per buttare giù i suoi muri ci vuole tempo e sopratutto ci vuole costanza, se avrà il sentore che stai per allontanarti ti scaccerà. Se non è veramente qualcosa che vuoi non ci provare nemmeno, perderesti solo del tempo”.

Mi fissa dritto negli occhi “Se è una distrazione quella che cerchi, lei non fa per te. Julianne ti entra dentro e una volta che sarà in te, non sarai più capace di farla uscire. È questo quello che vuoi?”. Smette di guardarmi e ritorna ai suoi appunti.

È questo quello che voglio?

Dio, non lo so.

L'unica cosa di cui sono sicuro è che non sono uno che si arrende e che voglio sapere cosa nasconde sotto la corazza di ghiaccio che la circonda.

“L'ho sentita cantare oggi, in sala musica. Si è arrabbiata parecchio”. Non so perché ma parlare con Henry è la cosa più facile del mondo.

Lui alza lo sguardo e mi scruta, come se cercasse qualcosa. Quando lo trova sorride e scuote la testa “Sei fottuto. Lei ti è già entrata dentro”.

Sì, lo so. Sono fottuto. Ora ne sono certo.

“Sentirla cantare è qualcosa di unico al mondo. È dal divorzio dei nostri genitori che non canta più”.

“Stava cantando una canzone bellissima...”.

“Scriveva canzoni prima di tutto quanto. Ora non suona neanche più il violino...” mormora tristemente. “Se oggi ha cantato significa che qualcosa è cambiato e, se sei riuscito a creare una piccola breccia, ti conviene infilartici prima che la cementi di nuovo”.

Sono d'accordo. Mi alzo in piedi, pronto a rimettere in atto la missione. “Qualche altro consiglio?”.

“Adora il cibo piccante, qualsiasi cosa dolce e il caffè. Non ti arrendere ai primi no e soprattutto non toccare l'argomento mamma se non è lei a farlo”.

“Grazie” mi avvio verso la porta.

Henry mi ferma “Aaron”.

“Sì?”.

Si storce un polsino della felpa “Non farle del male, ti prego”.

“Mai”. 

   
 
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