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Autore: _Frame_    22/10/2017    3 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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145. Chi hai davanti e Chi non vuoi vedere

 

 

20 maggio 1941,

Aeroporto di Megara,

Attica, Grecia

 

Romano chiuse un pugno e portò le nocche a stropicciarsi gli occhi che bruciavano di stanchezza. Strofinò in mezzo alle palpebre, spremendosi fuori qualche lacrimuccia sgorgata dal gonfiore che gliele anneriva, e grattò via la sensazione di avere addosso uno strato di sabbia che gli impediva di tenerli aperti, appannandogli la vista. Sbadigliò tappandosi la bocca e inspirò a fondo l’aria della notte che odorava di metallo e carburante. Scosse il capo. Scintille bianche rotearono attorno alla sua testa, lampeggiarono davanti agli occhi socchiusi e lo stordirono, facendogli incrociare due passetti sbilenchi, senza equilibrio. Romano si diede due schiaffetti alle guance e sgranò un occhio alla volta, forzò le spalle a rimanere erette e riprese a camminare dritto sul suolo terroso. Le perline di lacrime che gli erano rimaste incollate alle ciglia dopo lo sbadiglio traballarono e si dissolsero. Le scintille acquose finirono sostituite da quelle più gialle e ferme che brillavano attraverso le finestre degli edifici di cemento armato e dei magazzini costruiti attorno alla pista di volo. I fasci di luce gettati dai proiettori fendevano l’aria della notte, velata da una soffice nebbiolina che rimaneva incollata alla pelle rendendola umida e ghiacciata, e cadevano sulla pista come quelli di un palcoscenico.

Le luci si specchiavano sulle superfici degli aerei ancora fermi sulla pista, scintillarono sulle ali, sui musi e sulle eliche. Le ombre dei soldati e dei meccanici si spostavano attorno ai bombardieri e agli alianti che occupavano il campo di volo, i profili degli uomini erano fantasmi neri che ondeggiavano dentro la nebbiolina e sotto i riflettori di luce.

Quattro uomini erano raccolti attorno a uno dei Junker. La cabina di pilotaggio era aperta. Uno di loro era chino sui comandi e le sue spalle si muovevano, mentre il suo compagno gli faceva luce con una torcia. Ai piedi del bombardiere, altri due soldati erano seduti a gambe incrociate, ripiegavano i paracadute all’interno degli zaini poggiati al suolo, gonfi e alti quanto le loro schiene. Uno dei due si sporse a indicare il paracadute dell’uomo che gli sedeva affianco. “Sistemalo così, guarda.” Gli fece spostare una delle funi che attraversavano la stoffa e annuì. “Sì, esatto, torna a piegarlo in quella maniera.” Dietro il bombardiere, un aliante DFS-230 se ne stava in silenzio, dormiente, in attesa di essere agganciato al Junker.

Romano superò una fila di altri cinque Junker spenti, fermi uno affianco all’altro sui bordi della pista, e giunse davanti a un gruppo di altri soldati che parlavano alla luce di uno dei riflettori, accanto a uno degli Heinkel di scorta, spento anche quello. “Serviranno serbatoi supplementari?” L’uomo che aveva parlato si strofinò le mani con un panno sporco di olio di motore, il suo fiato faceva condensa sotto il fascio di luce proiettato sulla pista di terra.

L’uomo accanto a lui scosse il capo, si passò una mano fra i capelli massaggiandosi il viso cinereo di sonno, e rivolse lo sguardo alla cima dell’Heinkel. “In linea d’aria non sono nemmeno quattrocento chilometri, dovremmo farcela con un solo serbatoio pieno.” Camminò accanto all’aereo e gli diede due colpetti sulla fusoliera.

I passi di Romano sulla pista battuta sollevarono soffici e spumose nuvolette di sabbia che si sciolsero in una sottile scia tracciata dalla sua camminata. Scrosci d’acqua picchiarono contro la lingua di terreno che formava la pista di decollo, tre uomini tirarono il tubo della pompa che tenevano sotto le braccia e annaffiarono la sabbia troppo secca, creando una scia di terra più scura e compatta. Agli scrosci dell’acqua gettata dalla pompa si unirono i ronzii delle eliche, i rombi dei motori che stavano riscaldando, e altre voci che sfilarono accanto a Romano formando brusii che si persero assieme ai passi degli uomini. “In addestramento non ci siamo mai lanciati da una quota così bassa.” Lo superarono un gruppo di soldati, tutti con gli zaini gonfi sulle spalle e le giacche chiuse fino all’ultimo bottone. Si dirigevano verso le luci dell’hangar. “E se gli inglesi fossero davvero già piazzati ad aspettarci?”

“Ci spareranno non appena toccheremo terra,” aggiunse un’altra voce, “e in più noi abbiamo solo un armamento leggero, mentre loro saranno pieni di piombo fin sopra ai capelli, con tutte le artiglierie che avranno trasportato fin là.”

Romano si fece superare dai soldati, dai paracadutisti e dai meccanici, e si lasciò alle spalle il clangore degli strumenti incastrati nelle ali degli aerei, nelle budella dei motori, e il ronzio di qualche elica che lo stava perseguitando come una risata cavernosa e gracchiante soffiata dietro il suo orecchio.

Un primo capogiro di stanchezza e di agitazione arrivò come una martellata sul cranio, sollevò uno squillo nelle sue orecchie simile a quello di una campana, e gli fece esplodere uno sciame di stelle davanti agli occhi. Brividi di freddo e di paura si infilarono sotto i vestiti e gli aggredirono la pelle in una tempesta di morsi. L’umidità penetrò fino alle ossa, indurendogli le giunture dolenti e facendole diventare di cemento. Il battito del cuore accelerò, il respiro gli soffocò la gola, e la visione degli aerei pronti a decollare gli riempì il cuore di una pesante sensazione di ansia che era come un mattone incastrato fra le costole.

Romano si strofinò le braccia e le spalle, rabbrividì, e finì abbagliato da una delle luci più fioche che uscivano dall’edificio dell’hangar dove era entrato il gruppo di soldati. Sollevò lo sguardo dal suolo di terra e sabbia, e l’occhio gli cadde su una figura rannicchiata ai piedi della struttura. La schiena al muro, le spalle chine, e le braccia raccolte attorno alle gambe piegate contro il petto. La fronte riposava sulle ginocchia, i capelli castani cadevano davanti agli occhi e gli nascondevano il volto, le dita sottili e bianche di tensione si tenevano aggrappate alla stoffa dei pantaloni. Una spalla toccava il rigonfiamento dello zaino appoggiato al muro accanto a lui, come una larga ombra silenziosa che vegliava sulla sua piccola figura rannicchiata.

Romano si fermò. La vista di Italia gli trasmise un senso di conforto e di calore che sciolse tutti i brividi di freddo e di angoscia che si erano spalmati sulla sua pelle. Rilassò la tensione dei muscoli, smise di strofinarsi le spalle, e lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Si avvicinò a lui entrando nel sottile fascio di luce artificiale proiettato dalla finestrella superiore dell’hangar, soffiò un’umida nuvoletta di condensa che si sciolse subito. “Ehi.”

Italia tirò su di colpo la testa dalle ginocchia. Sgranò gli occhi appannati di sonno e cerchiati di grigio, scavati nel viso smagrito e infossato dal buio delle ombre, e sbatté tre volte le palpebre prima di riuscire a incrociare lo sguardo di Romano. Flesse il capo di lato, sollevò l’estremità di un sopracciglio, e gli rivolse un’espressione ancora intontita dal sonno, spaesata e annebbiata dalla stanchezza che gli rendeva la pelle più pallida. Lo guardò come se non lo avesse riconosciuto.

Romano gli si avvicinò di altri tre passetti, ammorbidì lo sguardo e abbassò la voce tanto da non fare nemmeno condensa. “Che fai?” gli chiese. “Dormi in piedi?”

Italia sciolse le dita dalla stretta sui pantaloni e si strofinò gli occhi, distese la gamba. “Ehm, n-no, no, stavo...” Si stropicciò entrambi gli occhi, si mise a gambe incrociate e si scansò i capelli dal viso. Gli occhi appena sfregati apparvero ancora più gonfi e lucidi come dopo un pianto. “Stavo solo, uhm,” si strinse le caviglie, ingobbì di nuovo la schiena e tirò su col naso, “riposando un po’ prima di partire,” disse con voce fioca.

Romano aggrottò un sopracciglio, percorse con lo sguardo il corpicino rannicchiato di Italia, i capelli in disordine sulle guance sbiancate, le palpebre gonfie e nere, e le labbra sottili, piatte e silenziose. Sembra che non abbia chiuso occhio da almeno una settimana. Di nuovo quella pungente sensazione di disagio gli corse sulla pelle come una serie di goccioline ghiacciate. Una sensazione diversa da quella calda e avvolgente che provava quando era affianco a suo fratello. Quel freddo lo avvolse in un abbraccio di pietra, lo colse con un guizzo di paura spremuto dal cuore.

Romano scosse il capo, gli camminò affianco appoggiando una spalla alla parete di cemento, e si lasciò anche lui scivolare a terra, sedendosi nel freddo, in mezzo all’odore di polvere. Tornò a squadrare Italia con occhi sottili e sospettosi. Che gli sarà preso?

Italia si scansò per lasciargli più spazio e finì schiacciato contro il suo zaino. Vi appoggiò il capo sopra, come un cuscino, e sul suo volto tornò quell’espressione dagli occhi lucidi e smarriti, gonfi della stessa tensione che gli teneva le braccia e le gambe rigide in quella stretta solitaria.

Romano sospirò e guardò il cielo, oltre i riflettori dell’aeroporto sotto i quali si condensava la nebbiolina che precedeva l’alba. Non è il primo assalto che affrontiamo, ragionò. Poi non avrebbe nulla di che preoccuparsi, noi siamo al completo, siamo in sette, mentre Grecia è ancora dietro le sbarre e non può contribuire in nessuna maniera alla difesa. Non c’è pericolo che perdiamo. Strinse le dita sui pantaloni, irrigidì anche lui, e tornò ad abbassare lo sguardo. Il viso si corrugò in un’espressione poco convinta. O almeno lo spero. “Be’, cerca di darti una mossa e di tirarti su,” gli disse, “perché fra meno di un’ora comincia a partire la prima ondata.” Piegò il capo in avanti e si strofinò la nuca, la mano scese a massaggiare il collo, a far scricchiolare le giunture irrigidite all’altezza della spalla. Romano soffiò un sospiro stanco e trascinato. “Se solo il crucco ci avesse messo nel gruppo di questo pomeriggio forse saremmo riusciti a riposare di più.”

Italia rispose senza smuovere quello sguardo di vetro. “Ci vuole vicino.” Tornò a stringersi, a rannicchiarsi con le ginocchia contro il petto, e si fece più piccolo contro la parete dell’edificio. Si estraniò rivolgendo gli occhi nel vuoto. Occhi così lucidi e scuri da poterci annegare. “Germania ci vuole vicino, per questo anche noi atterreremo a Maleme assieme a lui.”

Romano finì di nuovo punto da quel brivido di malessere che si conficcò fino alle ossa, accapponandogli la pelle. Sbatté le palpebre, e i suoi occhi si riempirono del buio che avvolgeva Italia, di un’ombra estranea appiccicata al suo corpo come un mantello. Romano percorse di nuovo il suo profilo con lo sguardo, corrugò un sopracciglio, e gli rivolse un’occhiata storta. “Stai bene?” Un fremito gli attraversò la voce.

Italia si girò, lo sguardo ancora spaesato e i segni di stanchezza infossati nel pallore del viso, e ricambiò l’espressione interrogativa. “Cosa?”

“Se stai bene?” ripeté Romano, con uno sbuffo. “Hai una faccia...”

Una prima scossa fece vacillare lo sguardo di Italia, lo riportò a galla con un sussulto. “S-sto bene.” Italia girò il viso e lo rintanò contro la spalla per non farsi vedere negli occhi. Sfregò la stoffa delle maniche, si dondolò avanti e indietro. “Sto bene, davvero,” mormorò. “Non ti devi preoccupare.” Scosse il capo e i suoi occhi tornarono a perdersi, come laghi di buio. “Non c’è niente che non va.”

Romano aggrottò la fronte, e il groviglio di disagio che ristagnava nel petto si scaldò di rabbia. Il bruciore risalì fino al viso, scottò all’altezza delle guance gonfiandogli una cupa espressione da offeso. Credi di darmela a bere? “Che ti ha detto?”

Italia girò la coda dell’occhio, lo guardò da sopra la spalla e sollevò l’estremità di un sopracciglio, rimanendo in silenzio, immobile come una bambola.

Romano si girò a guardare in mezzo ai soldati radunati attorno agli aerei – avevano steso un sottile materasso sotto il portellone aperto di un Junker, e i paracadutisti si stavano esercitando nei lanci di prova, gettandosi con le braccia in alto e gli zaini sulla schiena. Si voltò a guardare anche al di là dell’edificio dell’hangar, dove i borbottii di altri uomini si confondevano con i ronzii delle eliche e dei motori che stavano scaldando, e sbirciò verso i gruppi in fila radunati davanti ai musi dei bombardieri. Niente Germania all’orizzonte. Romano strisciò accanto a Italia fino a toccargli il gomito e gli sussurrò da sopra la spalla. “Quella volta all’Acropoli, quando ti ho lasciato solo con lui.” Rinnovò il broncio. “Che ti ha detto, si può sapere?”

Italia si rifece buio in volto, freddo come il cielo che si stendeva sopra di loro. La risposta arrivò rapida e secca come uno schiaffo. “Nulla.” Tornò a girarsi, a schivare quello sguardo accusatorio, e si strinse nelle spalle chiudendo le mani contro le ginocchia. Fece tamburellare le dita, i polpastrelli scivolarono all’indietro e sfiorarono la croce di ferro che gli usciva dallo spacco della giacca. L’indice si annodò alla catenina, sfregò il profilo del ciondolo con movimenti rapidi e nervosi. “Io sto bene,” ripeté Italia. “Germania non mi ha detto niente, smettila di pensare che lui c’entri sempre qualcosa con quello che faccio.” Strinse la croce dentro la mano, inghiottendola fra le dita, e chinò la fronte per appoggiare le labbra sulle ginocchia. Anche lui parlò con tono da offeso. “Io so decidere da solo.”

Romano fece schioccare la lingua fra i denti e tornò a rilassare le spalle contro la parete, buttò il capo all’indietro restando poggiato con la nuca e rivolse la fronte al cielo. “E cos’è che avresti deciso, sentiamo.”

Italia inspirò, trattenne l’aria, e la sua voce uscì fredda e dura. “Di essere più forte.”

Romano sussultò, ruotò lo sguardo su di lui e rimase immobile, sentendosi di nuovo annegare nel buio di quegli occhi che non sapeva come affrontare.

Italia si girò e poggiò le mani a terra per darsi la spinta e rialzarsi. “Io non ho più paura,” disse. “Non sarò più debole come lo sono stato durante tutta la guerra.” Si alzò appoggiandosi al muro, diede la schiena a Romano, e si strinse la spalla. Si strofinò il braccio, fino al gomito, e le dita strizzarono il tessuto della manica. “Io so difendere il nostro paese.” Poggiò un passo in avanti, oscillò, si staccò dalla parete, e camminò via, lento e silenzioso come uno spettro che sparisce nella notte.

Romano gli tenne lo sguardo incollato fino a che non lo vide scomparire, senza riuscire a sbattere le palpebre o a chiudere le labbra rimaste congelate in quell’espressione allucinata. Ma che cazzo...

Scrollò la testa, si grattò la nuca, e tornò a far riposare le spalle contro l’edificio di cemento.

Altri uomini in uniforme passeggiarono lungo la lingua di terra appena bagnata, fra le due file di bombardieri allineati sulla pista di volo. Uno di loro tese il braccio e indicò la formazione di Junker, pronunciò parole che Romano non udì, le sue frasi finirono nascoste dal ronzio di eliche che stava aumentando di intensità. In mezzo al gruppo, lo sguardo di Germania seguì le indicazioni dell’ufficiale e annuì di rimando. Rispose anche lui con parole che si persero nel brusio che aleggiava nel campo di volo.

Romano schiacciò i pugni contro le gambe. Il solito e familiare conato di odio lo fece rabbrividire e lui tornò scuro in volto, nonostante la luce dei riflettori. E lui non c’entrerebbe con quello che sta succedendo a Veneziano? Tutte stronzate. Aprì anche lui una mano a terra e si alzò tenendosi con la spalla alla parete e lo sguardo lontano dalla presenza di Germania. Conosco mio fratello, lo conosco trecento volte meglio di quanto non lo conosca il crucco. Sa decidere da solo, quello scemo? Ma per favore. Si diede una spolverata alla giacca e marciò in direzione opposta da quella che prima aveva imboccato Italia. I pugni ancora serrati sui fianchi e le spalle strette, le suole a sgranocchiare il terreno appena annaffiato. Se Veneziano cambierà per colpa sua, se diventerà qualcuno che non dovrebbe solo per compiacere quel bastardo... Scosse il capo. Non glielo perdonerò mai.

Il motore di un altro aereo si accese, seguito dal ronzio sottile delle eliche, da un singhiozzo metallico, da un borbottio più basso accompagnato dalle voci di due uomini, e dal ruggito di un altro motore ancora. Romano si girò di scatto, ghiacciato dal rumore improvviso che gli aveva fatto schizzare il cuore in gola, e scivolò di un passo all’indietro grattando il terreno con la suola.

Una nube di polvere si gonfiò attorno alle sagome dei bombardieri e degli alianti, nascondendoli dietro la coltre, e scivolò lungo la pista investendo anche gli uomini che sbracciavano per guidare la formazione.

Romano sgranò gli occhi, e la luce dei riflettori si specchiò fra le sue palpebre. Stanno già cominciando a partire? Deglutì, e gli parve di ingoiare un pugno di monetine. Così presto? Si strinse la giacca all’altezza del cuore e strizzò il battito che era accelerato. Lo colse un altro capogiro di terrore che si mise a ronzargli attorno alla testa. Che cosa dovrò aspettarmi da questa battaglia? Che cosa dovrò aspettarmi da Veneziano, dopo tutto quello che è successo da quando siamo in Grecia? Spostò lo sguardo dove la sagoma di suo fratello era scivolata via, e il brivido si rinnovò, tornò a solleticarlo dietro l’orecchio e lungo la nuca. Potrò ancora fidarmi di lui?

Un soffio d’aria polverosa e dall’odore di carburante bruciato gli sbatté in faccia, lo costrinse a strizzare gli occhi e a girare il viso, attirando il suo sguardo verso la porzione di cielo a est, dove la linea d’orizzonte stava lentamente schiarendo. Romano provò una fitta di tristezza e nostalgia che lo fece sentire smarrito, aprendo dentro di lui un vuoto di solitudine. Nonno. Tornò a chiudere gli occhi e si concentrò sulla voce nella sua testa, cruda e supplicante. Nonno, ti prego, anche se non t’importa niente di me, ti prego... La fitta di dolore tornò a stritolargli il cuore, ad annodargli le palpitazioni in gola. Non farci succedere nulla. Non lasciare che questa guerra ci separi o che ci cambi. Ti prego... Rivolse gli occhi al cielo, levò quella preghiera fino alle nuvole color indaco che si ammassavano nella distesa color inchiostro. Stacci vicino.

All’orizzonte, verso est, il primo filo di luce bordò la curva che divideva la terra dal cielo. I primi raggi dell’alba sorsero a splendere su quella nuova giornata che già puzzava di guerra, sangue e morte.

 

♦♦♦

 

20 maggio 1941,

Maleme, Isola di Creta

 

Sfrecciate di Junker in formazione ruggirono attraverso il cielo terso che si affacciava sull’Isola di Creta, seguiti da altrettanti alianti che volavano in direzione parallela. Si allontanarono come stormi di uccelli, scuri e piccoli contro la linea d’orizzonte, e scaricarono altre ondate di paracadutisti prima di svanire dietro le colonne di fumo sorte dai bombardamenti. Macchie bianche sbocciarono contro l’azzurro sporcato dal grigio della foschia e discesero come lenti e giganteschi fiocchi di neve, circondati dai vapori delle esplosioni che salivano dal suolo della vallata. I ronzii dei bombardieri si allontanarono, sorsero i tuoni, i boati che scuotevano il terreno e che soffiavano rigetti di fumo contro il cielo. Gli spari delle mitragliatrici neozelandesi e inglesi scrosciarono come manciate di grandine contro le curve della valle, piovvero addosso alla carica di soldati tedeschi che stava risalendo le strade di terra battute srotolate in mezzo ai campi, e illuminarono il paesaggio con una raffica di lampi.

Nuova Zelanda restrinse il campo visivo del binocolo, concentrò i segmenti perpendicolari sulla linea ricurva di uno dei colli, si soffermò sulle colonne di fumo rigettate dal verde dei campi di ulivi, e portò la vista lungo la strada gremita di tedeschi in corsa. Altri fischi piovvero dal cielo. Altre esplosioni di sabbia e terra dilatarono muri di fumo color ocra che gli tapparono la vista. Nuova Zelanda sollevò il binocolo facendo scivolare l’inquadratura fuori dal muro dal fumo, e gli ovali sezionati dalle linee perpendicolari racchiusero una porzione di cielo sbavata di fumo inclinato dal vento. Un’altra formazione di Junker sfrecciò attraverso gli ovali del binocolo, svanì portandosi dietro il rombo degli aerei, e un’altra serie di fischi accompagnò la caduta delle bombe che si schiantarono al suolo. Scoppi a ripetizione scossero il terreno sotto lo stomaco e i gomiti di Nuova Zelanda, spezzarono il suo respiro che gli rimase incastrato in gola.

Nuova Zelanda abbassò il binocolo dal viso sudato e sporco di terra, guadagnò una forte boccata d’aria che gli compresse le costole contro il suolo, e alzò la voce per farsi sentire sopra le mitragliate e i bombardamenti. “Arrivano altre ondate!” Strisciò all’indietro urtando una gamba di Inghilterra, lasciò ciondolare il binocolo in mezzo alle braccia piegate a terra, e sbatté gli occhi per riabituarsi alla vista nuda. Le immagini dei paracadutisti continuavano a piovere e a fioccare dal cielo come scaglie di neve, corsero fra le sue palpebre sgranate, e si adagiarono lungo le curve della vallata verde, gremita dai campi spogli color ocra e da quelli di ulivi. Nuova Zelanda rimase a bocca aperta. Il cuoricino a martellare di emozione e di paura. “Ce ne sono tantissimi!” Altri bombardieri sfrecciarono sopra le loro teste, innalzarono una zaffata di vento che gli fischiò nelle orecchie, agitò i capelli sulle guance e contro le labbra.

Inghilterra girò una levetta dell’apparecchio radio che teneva fra le gambe incrociate e richiuse la valigetta, fissò gli agganci con due schiocchi e annuì. “Già, proprio come previsto.” Si sfilò le cuffie dalle orecchie, le lasciò ricadere sul collo, e si strofinò i capelli inumiditi e già sporchi di polvere. Soffiò uno sbuffo inasprito, la bocca si corrugò in un broncio seccato. “Atterrati proprio a ovest di Maleme.” Chinò le spalle anche lui lasciando ricadere il corpo del fucile lungo la sua schiena, puntò i gomiti accanto a quelli di Nuova Zelanda, urtando il tripode della Vickers che aveva già divorato metà caricatore, e posò una mano sulla maniglia esterna della mitragliatrice per tenersi in equilibrio. I suoi occhi si strinsero, racchiusero i fianchi della vallata dove brillavano gli spari mitragliati dal loro battaglione. Inghilterra emise uno sbuffo di consolazione. “Ma almeno hanno davvero seguito lo schema che avevano prestabilito e stanno attaccando in tutti i punti su cui ci eravamo preparati.” Le schegge di luce piovvero in mezzo alle gambe dei tedeschi, altri bombardamenti si schiantarono al suolo, le colonne di fumo tapparono le ombre dei nemici che crollavano e che non si rialzavano più. Inghilterra ghignò. “Sono perfettamente caduti nella trappola che gli abbiamo teso.”

“Però...”

“Testa bassa!” Inghilterra schiacciò la mano fra i capelli di Nuova Zelanda e gli fece premere la fronte a terra. Un’esplosione tuonò più vicino, arrivò come un pugno nelle orecchie, e il suolo sobbalzò sotto di loro, fece cadere sul fianco l’apparecchio radio e fece trillare il nastro di proiettili contro il corpo della mitragliatrice. Inghilterra scosse il capo per scrollarsi di dosso la polvere sollevata dallo scoppio, tenne la mano aperta sopra la testa di Nuova Zelanda, senza farlo rialzare, e scivolò più avanti. Squadrò di nuovo la vallata a occhio nudo. Altri soldati tedeschi corsero lungo il campo velato dalla nebbia di fumo, lampi esplosero anche dalle loro armi, grida di incitamento si alzarono al di sopra delle esplosioni e degli scoppi. I loro corpi sempre più vicini, più numerosi, i loro passi sempre più vibranti e le loro voci sempre più tonanti. Inghilterra strinse i denti. “Si avvicinano troppo.” Si rizzò sulle ginocchia, raccolse la mano di Nuova Zelanda, lo fece alzare assieme a lui, e si piegò a imbracciare la mitragliatrice, senza staccarla dal tripode. “Vieni, cambiamo postazione!” Diede una spallata al fucile e se lo sistemò fra le scapole. Il cavo delle cuffie ancora attorno al collo gli diede uno strattone verso il basso e gli fece ricordare di sollevare anche l’apparecchio.

Corsero via a spalle basse, riparati dai muri di ciottoli che seguivano le curve del pendio, e passarono dietro ad altri soldati neozelandesi sdraiati accanto alle mitragliatrici che continuavano a gettare raffiche di spari sui nemici.

Nuova Zelanda strinse la mano di Inghilterra, sistemò il suo fucile sulla spalla, e compì delle falcate più lunghe. Gli si accorciò il fiato, le guance arrossirono per la fatica, rivoletti di sudore gocciolarono dall’attaccatura dei capelli. “Però forse avremmo fatto meglio ad andare a difendere il fiume!” Una bomba esplose verso la cima del colle e lo fece sussultare. Nuova Zelanda che spremette la mano di Inghilterra per sopprimere il guizzo di paura. Tossì, scrollò il capo per sciogliere dalla pelle la sensazione bruciante del vento appena esploso, e guardò verso l’orizzonte, dove sapeva che il fiume scorreva oltre i campi di ulivi. “È là che ci sono le batterie contraeree, e se...”

“Più importante è mantenerli lontani dal campo di volo.” Inghilterra continuò a correre e sciolse l’indice dalla presa della mitragliatrice che reggeva con una mano sola. Ne rivolse la punta verso il basso, indicando i loro passi. “E l’unica maniera per tenerli lontani dall’aeroporto è proteggere questa quota.”

“Oh!” Nuova Zelanda compì un rimbalzo che gli fece scivolare il fucile giù dalla spalla. Lo tornò a sistemare e i suoi occhi si illuminarono, fiammeggiarono di entusiasmo come una delle esplosioni. “E se io andassi al fiume mentre tu...”

“Toglitelo dalla testa!” Una scossa di tensione attraversò anche la mano che Inghilterra teneva stretta alla sua. Le esplosioni li inseguirono, altre sfrecciate di bombardieri passarono sopra le loro teste e gettarono le ombre degli aerei lungo la vallata. Quel velo di buio rese il viso di Inghilterra ancora più scuro e contratto di tensione. “Sto già cominciando a pentirmi di avere lasciato da solo Australia a Rethymno, quindi non ti ci mettere anche tu. Non permetterò più che vi succeda qualcosa.”

Nuova Zelanda soppresse un guizzo di emozione che gli imporporò le guance.

Inghilterra scattò prima che lui potesse parlare. “Per il bene della campagna, non per voi, ovvio!”

Nuova Zelanda alzò gli occhi al cielo e nascose il sorrisetto. “Okay, okay.”

Uno scoppio dietro di loro creò un’ondata d’aria che li travolse come un enorme colpo d’ala rovente. Inghilterra sollevò il braccio con cui reggeva sia la mitragliatrice sia l’apparecchio radio incastrato con la cinghia nel gomito, e si riparò dal bruciore della sabbia soffiata negli occhi. Il fumo si ritirò, scoprì un’insenatura scavata sotto un tetto di rocce e nascosta da sterpaglia e da piante grasse che emergevano da terra come tante zampe verdi e spinose. Inghilterra strinse la mano a Nuova Zelanda. Accelerò, nonostante il peso della Vickers che gli stava intorpidendo braccio e spalla e nonostante l’apparecchio radio che continuava a sballottargli contro il fianco, e si buttò al riparo assieme a lui.

Altri soldati neozelandesi erano già riparati sotto l’ombra della sporgenza di roccia. I loro fucili continuarono a sparare, la voce di uno di loro finì coperta dai gracchi dei caricatori che venivano sostituiti, dagli schiocchi degli otturatori, dai trilli dei bossoli vuoti che colpivano le pietre. I soldati scivolavano fuori dalle rocce e dagli arbusti con le spalle, puntavano i fucili a valle, i colpi esplodevano uno dietro l’altro, come schiocchi, e tornavano indietro a ricaricare. Nessuno si accorse di loro due.

Inghilterra avanzò strisciando sulle ginocchia. Si girò subito sul fianco, sporcandosi di quella terra secca e farinosa, staccò la mano diventata rossa e gonfia dalla Vickers, sistemò il nastro caricatore che si era arrotolato attorno alla maniglia esterna, e passò tutto a Nuova Zelanda. “Sistema questa,” gli gridò, “io controllo che sia tornato il segnale radio.”

Nuova Zelanda annuì, sistemò il suo fucile sulla spalla, tenendoselo stretto, e si occupò della Vickers. Srotolò il nastro caricatore, allineò i proiettili che si erano girati, e lo lisciò sulle gambe piegate a terra. Alzò anche lui la voce per farsi sentire sopra le fucilate che continuavano a sparare accanto a loro. “Secondo te come si sarà suddiviso l’Asse? Intendo...” Si strinse nelle spalle continuando a reggere il nastro di proiettili, e piegò uno sguardo interrogativo. “Loro sono in otto, e le zone di Creta da conquistare sono quattro. Due di loro per ognuna?”

Inghilterra girò due manopole della radio, diede un colpetto all’apparecchio tenendo accostato all’orecchia solo un padiglione delle cuffie. “La mia opinione...” Uno scoppio più vicino investì gli arbusti e le piante grasse che tappavano il loro nascondiglio. Il soffitto di roccia tremò, briciole di pietra piovvero e scricchiolarono al suolo, contro gli elmetti degli altri soldati che continuarono a sparare sui tedeschi in avvicinamento. Inghilterra sollevò lo sguardo, aspettò che l’eco si ritirasse, e anche lui si girò a guardare Nuova Zelanda. “La mia opinione è che Germania coordinerà i due gruppi che attaccheranno questa mattina, e Prussia quelli del pomeriggio. O viceversa.” Riagganciò il ricevitore della radio che continuava a non prendere il segnale, si sfilò le cuffie e si trascinò accanto a lui. “In qualche maniera saranno sicuramente separati, in modo da distribuire equamente la loro forza. In ogni caso...” Si sporse in un punto dove non c’erano rocce, poggiò il fianco della mano a terra, lo fece strisciare come un colpo di pennello, e lisciò uno strato di terra secca. Con l’indice scavò un disegno che ritraeva il profilo allungato del’Isola di Creta, vi segnò quattro buchi accanto alla costa – le quattro città obiettivo dei tedeschi – e indicò quelli sulla parte ovest dell’isola. “Sicuramente avranno intenzione di congiungere i primi due gruppi, ossia quello di La Canea e quello di Maleme,” puntò i due segni a est, “con quelli che arriveranno questo pomeriggio su Rethymno ed Heraklion. Dobbiamo impedirglielo, perciò...” Un altro scoppio tuonò nelle loro orecchie. Qualcuno dei loro soldati gridò. Altri uomini entrarono nel riparo, schiacciarono le schiene contro le rocce, ricaricarono i fucili, e altri scoppi risuonarono fra le pareti di pietra. Inghilterra si strofinò l’orecchio, spazzolò via la polvere dai capelli, e tornò a rivolgersi a Nuova Zelanda. “Chiunque di loro ci sarà qua a Maleme rimarrà a Maleme. Catturarli, ferirli...” Scosse le spalle senza nascondere il fremito che gli attraversò il sorrisetto. “O ucciderli. A questo punto poco importa.” Strisciò per sporgersi dal nascondiglio e restrinse lo sguardo verso la vallata che si apriva sotto il panorama montuoso. I suoi occhi rabbuiarono, le dita strinsero sulle rocce, la voce si fece profonda e cavernosa. “Giuro che non completeranno mai questa missione.” Scoppi esterni gli illuminarono il viso lucido e sudato, brillarono nei suoi occhi ristretti, e fecero oscillare le ciocche di capelli impolverati sulla fronte. Inghilterra si tastò la cinta, trovò la pistola, trovò il fodero del pugnale, le tre bombe a mano, la tasca con le munizioni, e strinse la presa attorno alla cinghia del fucile che gli passava sulla spalla. “Scendiamo.”

“Eh?” esclamò Nuova Zelanda. “Scendere? Ma...” Guardò di nuovo in basso, corrugò un’espressione scettica, e si strofinò la testa. “E dove?”

“Ad accoglierli.” Inghilterra si aggrappò alle rocce per aiutarsi a rimettersi in piedi. Rimase con le spalle piegate, lo sguardo attento e gli occhi tesi, e un leggero fiatone a scuotergli la schiena e a fargli vibrare la bocca. “L’Asse e i suoi soldati sono muniti di un armamento minimo, dato che non potevano trasportare qualcosa di più pesante con gli aerei.” Si premette il pollice sul petto. “Noi siamo avvantaggiati, non potranno mai batterci in un testa a testa. Andiamo a cercarli...” Stese le labbra e incurvò un ghigno che fremeva di eccitazione e che già si pregustava il sapore dolce e amaro della battaglia. Un sapore squisito. “E facciamogli vedere che siamo ancora in piedi per vendicare Grecia.”

Quella vampata di entusiasmo travolse anche Nuova Zelanda, gli attraversò il cuore come una saetta, e gli accese lo sguardo che già bruciava dalla voglia di buttarsi a combattere. Nuova Zelanda sorrise e annuì con un gesto deciso. “Sissignore!” Tese il braccio verso Inghilterra, si fece stringere la mano, si lasciò raccogliere da terra, ed entrambi si buttarono verso la tempesta della battaglia che infuocava sul suolo di Creta.

 

.

 

Un vento di fuoco e sabbia soffiò addosso a Romano, gli graffiò la faccia sudata e rossa di fatica, gli travolse le gambe che correvano lungo la piana di terra curvata attorno alle pendici della quota montuosa, e gli fece scivolare in gola tutto il sapore rovente e asfissiante delle esplosioni che gli tuonavano attorno. Romano strinse le mani attorno alle due pistole che reggeva fra le dita, vi fece stridere le unghie sopra, e sottili rivoletti di sudore gli gocciolarono dai polsi, da sotto le maniche della giacca, mescolandosi alle polveri che gli macchiavano la pelle. Compì un salto oltre una dunetta, riatterrò sullo sterrato che tagliava la piana d’erba, e le bombe a mano che aveva agganciato alla cinta sobbalzarono contro i fianchi.

Le sfrecciate di una formazione di Junker appena volati sopra la sua testa gli fecero sollevare lo sguardo da terra.

Gli occhi di Romano, arrossati per quell’aria rovente e impolverata, caddero sull’orizzonte della piana, lungo la curva che delineava il confine con il cielo. I bombardieri scivolarono dietro le curve dell’altura, seguiti dall’eco delle eliche e dei motori ronzanti. La carica dei soldati tedeschi avanzò lungo il terreno, accolta dai lampeggi sparati dalle armi inglesi e neozelandesi, e circondata dai vapori che scivolavano fuori dai crateri scavati dalle bombe piovute dalle nuvole. Il frastuono della corsa, delle bombardate, e degli spari scoppiati dalle bocche dei fucili, era un martellare continuo sulle tempie e dentro il petto.

Romano sgranò le palpebre, e un soffio di incredulità gli appesantì il petto. “Non è possibile.” Scosse il capo, si riparò il viso con un braccio, senza smettere di correre, e gettò lo sguardo più lontano, verso i punti bianchi che maculavano il cielo: i paracadutisti appena lanciati dagli alianti. “Non è possibile,” gridò di nuovo alla presenza che sentiva correre dietro di lui, “come hanno fatto gli inglesi a mettere su una difesa del genere nonostante tutti i nostri bombardamenti preliminari? Per di più proprio...”

“Inghilterra deve averlo previsto.” Germania gli corse di fianco, lo superò assieme a Italia, e gli fece un cenno con il mento, indicandogli il riparo. “Di là!” Lo scoppio li sorprese davanti a loro. Germania afferrò sia Romano che Italia, li portò dietro una cinta di ciottoli che seguiva la curva della stradina, e mise tutti e due al sicuro. Riprese fiato, si passò una mano fra i capelli sudati, soffiò pesanti e rauchi boccheggi che gli scossero i muscoli in tensione. “Non era difficile da immaginare il fatto che avremmo deciso di attaccare proprio i campi di volo e le postazioni dove hanno installato le batterie antiaeree. Sono sicuro che anche lui avrebbe fatto lo stesso.”

Anche Romano soffiò un rauco ansito che gli fece riprendere fiato, e le sue spalle tremarono contro la parete di pietre. “E il fiume?” Un fischio e un’esplosione, poi di nuovo lo scroscio della terra e dei frammenti di roccia che piovevano al suolo dopo essere saltati in aria. Romano gridò più forte per farsi sentire. “Anche là si stanno difendendo meglio del previsto.”

“Si stanno difendendo grazie alle artiglierie alla foce,” ribatté Germania, “e allo stesso tempo impediscono che noi gliele sottraiamo.” Levò gli occhi oltre il confine del muro dietro il quale si erano riparati, e un soffio di fumo scivolò contro il suo viso, appannò il colore degli occhi che brillavano di un azzurro intenso contro il cielo fresco del mattino. Germania prese ancora fiato. “È normale che vogliano impedirci di costruire una testa di ponte per facilitare i trasporti e gli attraversamenti del territorio.”

“S-sì, ma...” Romano ignorò una raffica di spari partita da sopra di loro. “È tutto così...” Si morse il labbro, strinse le dita sulle sue pistole, e assaggiò quella parola sentendo la bocca diventare amara e pastosa. “Puntuale.”

Un barlume di stupore si accese anche negli occhi di Germania. Aggrottò un sopracciglio, e il suo viso si tese, colto da quella scintilla di allarme. “Cosa vuoi dire?”

Romano guadagnò altri tre respiri pesanti, spinse le spalle all’indietro gettando lo sguardo verso la cima della vallata, e fece correre le dita fra le ciocche sudate, togliendosele dalla fronte. “Vuoi farmi credere che si siano messi in posizioni così perfette con così poco preavviso, solo una volta avvistati i nostri stormi in arrivo? È quasi come...” Corrugò la fronte, tornò scuro in volto, e la sua voce suonò più bassa e cupa. “Come se lo avessero sempre saputo.”

Germania ammutolì, e sul suo viso rimase stampata una piega di indecisione che lo fece esitare.

Altre raffiche di spari piovvero dai fianchi della cima, piccoli scoppi fischianti si schiantarono contro il loro riparo, le pallottole sfregiarono le rocce spruzzando roventi scintille bianche.

Germania strinse la giacca di Romano e lo tirò indietro. Lo spinse al riparo contro Italia, e si sporse lui con le spalle in avanti, gettò lo sguardo verso il cielo che si stava riempiendo di fumo. Strinse i denti. “Verdammt.” Espulse la cartuccia dalla semiautomatica con uno schiocco, la lasciò cadere a terra, trovò la tasca delle munizioni nella cinta, accanto alle bombe a mano, e ne estrasse una nuova. La infilò dentro il calcio e diede un colpo di palmo per incastrarla. Crack! “Romano, è inutile pensarci adesso, non nel mezzo di una battaglia.”

Romano digrignò la mandibola e le sue guance bruciarono di frustrazione, divennero ancora più rosse. “Di una battaglia che noi siamo costretti ad affrontare solo con stupide pistole del cazzo!”

“Non preoccuparti per quello.” Germania scivolò di un passo in avanti, ma altre raffiche di spari lo fecero tornare indietro, con la spalla contro il muro. I suoi occhi limpidi continuarono a scrutare il campo, a cercare uno spazio libero in mezzo al fumo. “Inghilterra forse sarà avvantaggiato per quanto riguarda le armi, ma noi lo siamo per le comunicazioni. I nostri reparti atterrati alla Baia di Suda hanno già fatto saltare tutte le loro reti radio e quelle telefoniche. Da adesso in poi, la loro difesa non riuscirà a coordinarsi e a funzionare bene com’è stato finora.”

“Me lo auguro.” Anche Romano scivolò in avanti e tornò a sporgersi da dietro il fianco di Germania. Sollevò un sopracciglio. “Perché a me sembra che stiamo fottutamente perdendo.”

“Non perderemo, te lo prometto.” Lo sguardo di Germania scivolò all’indietro. “Solo...” Superò il profilo di Romano e si soffermò su quello di Italia, immobile e silenzioso dove lo aveva fatto mettere quando si erano riparati. Germania sbatté le palpebre, un barlume di confusione gli appannò gli occhi. “Italia?”

Anche Romano si girò, senza aspettare risposta, e lo stesso lampo di spavento colse anche il suo cuore. “Ohi.” Si sporse e colpì Italia con una spallata. “Ci sei?”

Italia sobbalzò, ingoiò un ansito e sgranò gli occhi lucidi verso il suolo. “S-sì.” Scosse il capo, si passò una mano fra i capelli senza spostare gli occhi da terra, soffiò un sospiro che gli fece vibrare le labbra, e rabbrividì. “Ci sono.” Nel suo sguardo tornò a balenare quell’ombra estraniante che risucchiò tutta la luce dal suo volto. Una piccola scintilla brillò su una punta della croce di ferro già sporca di terra, fine come l’abbaglio che luccica in cima alla lama di un coltello.

Romano non ci badò, non volle pensarci, non volle rivivere la stessa sensazione che aveva provato all’aeroporto prima di partire. Schiacciò di nuovo la schiena al riparo di pietre e scivolò contro il fianco di Germania per guardare fuori a sua volta. “Inghilterra sarà qui?”

Germania annuì. “È probabile.” Aspettò che il boato di una bombardata si ritirasse, resistette al lampo di luce restringendo le palpebre e trattenendo il fiato per non inalare i vapori. Anche lui si rivolse a Romano e gli indicò il cielo, nella direzione dove la cima montuosa terminava proteggendo il territorio attorno al campo di volo. “Questa è sicuramente la pista di decollo più importante di tutta Creta, data la vicinanza con il fiume e anche con il centro abitato. Se Inghilterra si trova qua, non ci resta che stanarlo ed eliminarlo una volta per tutte.” Un ennesimo scoppio gonfiò una barriera di fumo. Germania la puntò prima che si dissolvesse, scattò con un piede fuori dal riparo, e chiamò i fratelli con un cenno del capo. “Dietro di me, svelti! Non lasciamoci dividere.”

Romano annuì. Acchiappò una manica di Italia, lo attirò a sé, ed entrambi inseguirono la corsa di Germania.

 

.

 

Nuova Zelanda frenò la corsa contro la strada che curvava lungo il profilo del pendio, richiamò il fucile al petto, spingendo la volata contro la spalla, e gettò lo sguardo verso il fondo della vallata, dove la massa di soldati tedeschi emersi dal verde dei campi d’ulivi si disperdeva fra i pennacchi di fumo e in mezzo alla foschia di terriccio esploso che si era gonfiato in uno strato galleggiante. Le scie lasciate dai Junker appena volati via si stavano dissolvendo. Le macchie bianche dei paracadutisti appena lanciati dagli aerei stavano già per toccare la linea d’orizzonte, svanendo dietro le frastagliature del terreno brulicante di vegetazione. Nuova Zelanda rimase immobile, con il vento che gli soffiava attorno, pregno dell’odore della polvere da sparo e della terra bruciata, e davanti agli occhi fece correre le immagini che gli erano già passate davanti allo sguardo durante la prima fase dell’assalto. Mani tedesche che impugnavano pistole, dita che sganciavano gli aghi delle bombe a mano, che rilasciavano le leve delle sicure, e le loro braccia che si impennavano per scagliare gli ordigni. E niente fucili sottobraccio.

Nuova Zelanda sgranò le palpebre, la sua voce scivolò in un sussurro fra le labbra congelate da quella scossa di realizzazione. “Solo pistole e bombe a mano...”

Inghilterra rallentò la corsa sullo sterrato, girò lo sguardo, trovò Nuova Zelanda fermo, con gli occhi sbarrati e rivolti ai piedi della quota, e si bloccò anche lui. “Che c’è?” Storse un sopracciglio, lo squadrò di traverso, già punto da una spina di cattivo presagio.

Nuova Zelanda scosse il capo, come destato da un sogno, e si strofinò i capelli. “N-no, niente.” Mosse un passo, schiacciò il terreno sotto la suola facendolo scricchiolare, e tornò a fermare la camminata. Guardò di nuovo in basso. “Ho...” L’idea gli trapassò la testa come una saetta, affondò radici nel suo cervello e il germoglio esplose, travolgendolo con un’ondata di entusiasmo fiammante. Negli occhi sgranati si accese un lampo di eccitazione, il suo sorriso si allargò e andò a infossarsi nelle guance rosse e sporche di terra. “Ho un’idea!”

Inghilterra accolse quell’ondata di entusiasmo con un brivido. Tirò un piede all’indietro, sottraendosi, e sul suo viso comparve una ruga di scetticismo. “Che idea?” L’odore lontano di esplosivo si trasformò in un’acre puzza di guai che gli diede la nausea.

Nuova Zelanda lasciò il fucile, strinse i pugni davanti al petto, e rimbalzò sul posto. “Un’idea geniale!” Si rimboccò la cinghia, compì un altro saltello sul posto, e allungò una prima falcata fuori dalla stradina, immergendosi nel pendio. “Devo trovare Germania!” esclamò. “O anche Prussia, non importa, uno dei due, comunque!”

Inghilterra si sporse e lo acchiappò per la cinghia del fucile con un gesto fulmineo. “Per cosa?” Lo tornò a trascinare indietro, lo piantò di nuovo a terra davanti al suo sguardo, stringendogli le spalle, e lo fissò con occhi duri e inquisitori. “Quale idea?”

Nuova Zelanda spostò rapidamente il peso da un piede all’altro, in una piccola corsetta sul posto, e posò la mano sopra un braccio che Inghilterra teneva teso verso la sua spalla. “Ascolta,” gli disse, “non sappiamo ancora chi ci sarà qua, ma devi distrarre tutti gli altri in modo che io riesca ad arrivare vicino o a Germania o a Prussia senza che se ne accorga e...”

C-cosa?” Inghilterra strabuzzò uno sguardo incredulo e le sue dita strinsero sulle spalle di Nuova Zelanda. Gli occhi divennero lucidi d’ansia. “No, no, aspetta, aspetta un istante.” Diede una scrollata alla testa e tornò scuro in volto. La fronte aggrottata, la presa più salda attorno alle sue spalle, per non lasciarlo scappare via, e il tono di voce più graffiante. “Credi davvero che io ti permetta di buttarti da solo addosso a Germania?”

Devo farlo,” ribatté Nuova Zelanda. “è necessario!” Nei suoi grandi occhioni verdi, abbagliati di traverso dagli spari che esplodevano nel campo di battaglia sotto di loro, brillò una luce calda e rassicurante, ma ardente di coraggio. “Fidati di me.” Qualcos’altro scoppiò nella vallata sotto di loro e gettò una scia di fumo che gli passò attraverso, scompigliandogli i capelli sulla faccia sudata.

Inghilterra strinse i denti, soppresse un ringhio. Si strofinò una mano sulla nuca per grattarsi via quel brutto presentimento che gli si era incollato addosso come un prurito. “Non possiamo separarci,” scosse il capo, “sarebbe folle.”

“Allora guardami le spalle,” esclamò Nuova Zelanda, “ma permettimi di attaccarlo.” Raccolse la mano di Inghilterra posata sulla sua spalla e la strinse fra le sue, gettando una scossa di calore fino al suo corpo. Un altro fremito di eccitazione ed entusiasmo bruciò nel sangue di entrambi. “Ti prego.” Quei grandi e dolci occhi verdi tornarono a luccicare, più larghi e imploranti, irresistibili come gemme smeraldine. “Ti prometto che ce la farò, ma tu lasciami provare. Giuro che sarò bravissimo.”

Inghilterra si morse la bocca, azzannando il calore che gli si era infiammato sulle guance, e il suo sguardo vacillò di indecisione. La sua mano irrigidì sotto la presa di Nuova Zelanda, e un primo brivido di cedimento gli fece traballare le ginocchia. Schiuse le labbra tremanti. “E...” Altri spari provenienti dal campo di battaglia che infuocava sotto di loro lo fecero sobbalzare. Inghilterra si girò, guardò la marea di tedeschi che correvano lungo i pendii, in mezzo al fumo, ai lampi degli spari che si incrociavano come un tessuto di luce, e fissò di nuovo le mani di Nuova Zelanda spremute sulla sua. Strizzò gli occhi per sottrarsi a quello sguardo di supplica, e inspirò una forte inalata di aria di guerra. Bruciò fino ai polmoni. “E va bene, andiamo!” Acchiappò un polso di Nuova Zelanda e si precipitò ai bordi della stradina sterrata. Zolle di terra e pietre sdrucciolarono sotto le sue suole, lo fecero scivolare più in basso, caricando una martellata di peso sulle ginocchia doloranti, e la loro corsa accelerò, tirata dalla pendenza.

Inghilterra aggiustò il fucile contro la spalla, saltò oltre una dunetta di terra, e resistette ai fischi d’aria che gli gridavano contro le orecchie. “Separiamoci subito,” urlò, “prima che ti notino!”

Nuova Zelanda annuì. “Sì!” Schiuse per primo le dita, e le loro mani si divisero. Inghilterra si girò solo per trovarsi davanti al suo profilo che svanì dietro una soffiata di fumo e terra polverosa. Il turbine inghiottì la sua presenza in un fitto vortice di grigio e ocra.

Inghilterra rallentò, rimbalzò di altri tre passetti in pendenza, seguito dal rotolare di alcuni sassi fra le caviglie, e si fermò a riprendere fiato. Si portò la mano davanti alla bocca e tossì a occhi strizzati, brucianti per la terra che gli era arrivata in faccia assieme al calore. Quanta dannata polvere. Tossì altre due volte, si passò il dorso della mano sulla bocca e sugli occhi, asciugandosi dal sudore, e il suo sguardo volò nel paesaggio attorno, scavò fra le increspature del fumo, fra le ombre stese e addensate dai tuoni dei bombardamenti che continuavano a schiantarsi a terra.

L’energia di una presenza diversa da quella di Nuova Zelanda, più fredda e ostile, pungente come un alito ghiacciato che respira dietro il padiglione dell’orecchio, soffiò alle sue spalle, graffiandogli la nuca.

Inghilterra si girò di scatto, tirò su la volata del fucile, mirando in mezzo al fumo, e quell’energia lo sorprese come uno schiaffo elettrico. Questa presenza... Irrigidì, trattenne il fiato. Passi pesanti scricchiolarono dietro il fumo, e quel suono lo fece sudare freddo. Che sia davvero...

“Chi si rivede.”

Inghilterra ghiacciò, e quella voce gli si conficcò dentro come un chiodo nel cuore. Lui? Tornò a girarsi proteggendosi con il corpo del fucile, e si ritrovò davanti a due canne di pistola che avevano appena forato lo strato di fumo. Si avvicinarono assieme ai passi estranei sempre più pesanti e profondi nel terreno scricchiolante.

Romano emerse dalla nebbia di sabbia, tese le braccia per avvicinare le pistole a Inghilterra, e i suoi occhi apparvero scuri e profondi come le bocche delle due armi, ugualmente minacciosi. “Non ti muovere.” Flesse gli indici dentro i grilletti, si udì un cigolio, e la sua voce si fece più bassa, elettrica come l’aria che li circondava. “Immobile o ti faccio saltare la testa.”

Inghilterra irrigidì come se avesse già avuto le canne delle pistole schiacciate sul collo, ad alitare fiato di zolfo contro la gola. Romano? I suoi occhi volarono verso la cima della quota montuosa, poi verso valle, dove si stendeva la piana di campi, e il suo orecchio si tese in cerca di altri passi, di altri respiri, di altri cigolii di armi cariche. Quanti saranno qua a Maleme? Se c’è Romano deve esserci per forza Italia. E se c’è Italia, allora dovrà pur esserci anche... Nella sua testa esplose l’immagine di Germania materializzato davanti a loro, Nuova Zelanda davanti a lui, grande la metà, e completamente ingoiato dalla sua ombra. Una martellata di pentimento gli si fracassò sul cuore, fermandogli il battito, e gli tolse il respiro fino a farlo sbiancare. Dov’è finito Nuova Zelanda? Inghilterra tornò a gettare lo sguardo attorno a lui, ignorando Romano. Se gli succedesse qualcosa dopo che l’ho lasciato andare e... Tornò a incrociare gli occhi con quelli di Romano, con le bocche delle due pistole che lo tenevano sotto tiro, e una scossa di vita e di calore gli attraversò le mani ancora strette al fucile. Ma che sto facendo? Inghilterra guardò l’arma fra le sue mani, strizzò le dita fino a sentire le falangi scricchiolare. Non posso perdere tempo! Mollò il fucile sul fianco, buttò le spalle verso il basso, aprì una mano a terra e raccolse un pugno di terriccio secco e polveroso. Allungò un passo contro Romano, stando a testa bassa, e gli soffiò la terra in faccia, scagliandogli una nuvola di bruciore contro gli occhi.

Ah!” Romano scattò all’indietro e si tappò il viso con le braccia, strinse i denti sopprimendo un lamento di dolore.

Inghilterra portò la mano alla cinta, estrasse la pistola, tese il braccio verso il petto di Romano, infilò l’indice nell’anello del grilletto, e mirò allo sterno.

Tre spari trafissero il fumo. Un proiettile esplose ai suoi piedi, un altro gli volò dietro la schiena, e un terzo gli sfrecciò sopra la spalla, fischiò nell’orecchio bruciandogli una ciocca di capelli.

Inghilterra impallidì e si sottrasse senza aver sparato neanche un proiettile. “Ah!” Perse l’equilibrio, barcollò di due passi in avanti e cadde addosso a Romano. Finirono entrambi a terra, e Romano continuò a sfregarsi gli occhi con le braccia, ringhiando imprecazioni gorgoglianti a denti stretti.

Inghilterra gettò lo sguardo sbarrato e incredulo a destra e a sinistra, dietro e davanti a lui, oltre le spalle di Romano. Da... da dove...

Un’altra ombra si dilatò nel fumo di terriccio e di esplosivo, camminò dietro Romano, e i suoi contorni si definirono assieme al corpo lucido della pistola che gli stava puntando contro. “Non ti muovere.” Un altro scricchiolio di terriccio calpestato, e due bui e freddi occhi nocciola emersero dalla foschia, squadrandolo dall’alto. Italia compì un altro passo, camminò affianco al corpo di Romano ancora disteso e con le braccia davanti agli occhi infarinati di terra, e lo protesse con la sua ombra.

Inghilterra gettò le spalle all’indietro con un gesto inconscio, e sbatté sul suo stesso fucile scivolatogli dal fianco. Italia? Spinse le suole a terra, girò il torso senza staccare gli occhi da quelli di Italia, così diversi ed estranei, magnetici, e scattò in piedi. No, non può essere stato lui a spararmi, i proiettili venivano da... Girò la faccia e si trovò con un’altra pistola puntata sulla fronte. La bocca nera e tonda mirò in mezzo agli occhi e gli scaricò un brivido di gelo sul cranio.

“Immobile.” La voce di Germania fu un pugno allo stomaco, arrivò fredda e dura come la punta della pistola che premeva sulla sua fronte. “Sei in trappola, Inghilterra.” Il suo sguardo di ghiaccio forò la foschia in cui si era appena materializzato e premette sugli occhi sgranati di Inghilterra.

Inghilterra soffocò un ansito in fondo al petto, dove il cuore si era pietrificato. Allora Germania è davvero qui! Strisciò di un passo all’indietro, sottraendosi alla pistola di Germania puntata alla testa, e venne fermato da quella di Italia puntata sulla sua schiena. Sudò freddo. La sua testa continuò a ronzare, gonfia dei pensieri che brulicavano come l’orda di tedeschi in assalto. E questo vuol dire che nei due settori di Rethymno ed Heraklion ci sarà Prussia a guidare...

“Non ti muovere.” Il tono di Germania tornò a scaricargli un violento brivido lungo la schiena, gli fece di nuovo voltare lo sguardo su di lui. “Getta l’arma e...”

Un’ombra volò addosso a Germania, precipitando come quelle delle bombe che cadevano dalle pance degli aerei, e gli si aggrappò alla schiena, allacciando braccia e gambe attorno al torso. “Preso!”

Germania sbalzò di lato, spinto dal peso che gli era precipitato addosso, ed ebbe solo il tempo di gettare la maschera di minaccia per denudare uno sguardo tramortito da quel colpo. Anche Italia trasalì, gemette di paura, e la maschera cadde anche a lui. Gli occhi tornarono larghi e chiari, impauriti e carichi di tensione, gli occhi di sempre. Romano sobbalzò, finì con le spalle addosso alle gambe di Italia, “Ma che cazzo...”, e non riuscì ad alzarsi da terra.

Inghilterra inquadrò la scena e ghignò. Era fatta.

Nuova Zelanda strinse la presa di gambe e braccia attorno al corpo impietrito di Germania, incrociò il suo sguardo che si era girato di scatto a cercare la presenza che gli si era appesa alla schiena, e gli sorrise. “Sei in trappola.” Schiacciò di più la pressione sul suo ventre, e si tenne stretto solo con la forza delle gambe intrecciate. Sciolse le mani, calò le braccia lungo i fianchi di Germania, e si appese alle sicure delle bombe a mano allacciate alla sua cinta. Click, click! Strappò due aghi alla volta, per due volte di seguito, e gettò le braccia al cielo. “Fatto!”

Inghilterra si lanciò su di loro, “Salta via!”, spalancò le braccia già tese in avanti, e acchiappò al volo il corpicino di Nuova Zelanda che si era buttato lontano da Germania. Lo strinse – pesava più del previsto e per poco non finirono a terra tutti e due – ma non riuscì a trattenere un’esclamazione di entusiasmo che gli fece vibrare il cuore. “Bravo!” Lo sistemò contro la spalla, lasciandosi abbracciare attorno al collo, e sfrecciò via passando sotto gli sguardi attoniti delle altre tre nazioni che avevano assistito alla scena.

Romano boccheggiò, riprese fiato dopo lo spavento, e strinse le mani a terra. Tirò su lo sguardo, in cerca di Italia. Gli occhi di Italia lo scavalcarono e si posarono sul corpo di Germania, ancora rigido e sbilanciato dopo essersi liberato del peso di Nuova Zelanda. Italia impallidì di colpo, sgranò gli occhi, e la realizzazione di quello che era appena successo lo trafisse come un proiettile nel cranio. Germania era agganciato a una cintura di quattro bombe a mano che stavano per esplodergli addosso.

Il viso di Italia tornò buio, gli occhi spalancati si gonfiarono di terrore e di rabbia. “No!” Scattò verso Germania, lasciò cadere a terra la pistola, raggiunse il fodero al suo fianco, estrasse il pugnale d’assalto, e glielo infilò sotto la cinta. Diede tre strattoni prepotenti con le mani che sudavano e tremavano, e la lacerò. Italia lanciò via la cinta, si tappò le orecchie con i palmi, e si ritrovò avvolto dal braccio di Germania che lo fece voltare per ripararlo contro di sé.

Le quattro bombe esplosero assieme in una tuonata ruggente che parve gonfiare un secondo sole sul campo di battaglia. Anche Romano si riparò con un braccio e dovette girarsi, investito dall’ondata di luce, calore e altra terra sputata direttamente nei suoi occhi e contro il suo corpo.

Il boato si ritirò spandendo uno scricchiolio di sassi e zolle di terra che si dispersero al suolo, sotto il tappeto di fumo. Gli spari, le sfrecciate dei bombardieri, le corse dei soldati e le urla lontane degli uomini riempirono il silenzio che era calato dopo l’esplosione.

Italia ricominciò a respirare, stretto nell’abbraccio tremante di Germania che gli avvolgeva le spalle, e si aggrappò con le dita alla sua giacca. Soppresse contro il suo petto gli ansiti di tensione, di fatica e di paura, che gli accelerò i battiti del cuore.

Germania allontanò gli occhi dalla nuvola nata dall’esplosione, il suo sguardo volò su Romano, ed entrambi si scambiarono un’espressione smarrita, appannata di confusione e scossa dallo stesso brivido di paura che aveva colto tutti e due ancora prima dello scoppio della bomba. Germania compì un passo all’indietro, strinse la spalla di Italia e gli cercò il viso. “Italia...”

Italia era bianco in volto, rauche boccate d’aria passavano attraverso le labbra ingrigite, e lo facevano rabbrividire a ogni respiro. Le mani si serrarono contro la giacca di Germania, come per non cadere, e le ginocchia presero a tremare. Lo sguardo perso dove Germania non riusciva a raggiungerlo. “Volevano ucciderti...”

Germania esitò. Guardò di nuovo Romano ed entrambi restarono a bocca aperta, senza fiatare.

Romano tornò con gli occhi sconvolti su suo fratello. Che diavolo sta...

Italia scosse la testa, si staccò da Germania, e rimise il pugnale nel fodero. Gli occhi già lontani, al di là del fumo dove Inghilterra era sparito portandosi dietro Nuova Zelanda. “Dobbiamo inseguirli!” Corse a riprendere la pistola che gli era caduta quando l’aveva sostituita con il pugnale, e superò Romano, lasciandosi sia lui che Germania alle spalle. “Stanno scappando, non possiamo lasciarli andare!” Svanì in mezzo al fumo, e la sua sagoma rimpicciolita finì inghiottita dal suono degli spari che lampeggiavano lungo il pendio del campo che risaliva il fianco della cima montuosa.

Romano lo vide sparire tenendo gli occhi sbarrati, ancora sporchi e rossi per la polvere che Inghilterra gli aveva soffiato in faccia, e tremò anche lui. Una soffocante e gelida morsa di panico gli stritolò il cuore, accelerò i battiti cardiaci facendogli pulsare il sangue contro le tempie. Sentiva la testa fischiargli. Ma che merda gli è successo? Perché è... Strizzò le dita sulla terra. È...

Passi più lenti ma pesanti gli si avvicinarono, una figura si chinò su di lui e gli raccolse il braccio. “Ti ha ferito?” Germania lo aiutò ad alzarsi.

Romano si lasciò tirare in piedi, barcollò, si resse la testa, e balbettò un mormorio ancora scosso. “N-no, ma...” Il tocco di Germania sulla sua spalla gli trasmise la solita scossa di rabbia e disgusto che schioccò fino al cervello. Romano se lo scrollò di dosso. “Mollami.” Calpestò un passo in avanti, ondeggiò, ne pestò un altro, e riprese l’equilibrio. Accelerò la corsa e inseguì Italia. “Veneziano!” Svanì anche lui in mezzo al fumo. “Veneziano, rallenta, idiota, non dobbiamo separarci!”

Germania rimase da solo e finì investito da un’altra folata di vento che lo fece girare, spingendolo a guardare nel punto dell’esplosione. Il fumo cominciò a calare, sfrigolò lasciandosi dissolvere dal vento, e il bruciore di quello scoppio gli pizzicò il viso, penetrò il suo corpo arrivando a trafiggergli il cuore come una corona di spilli. Germania strinse i pugni, divenne di pietra. Anche io ho quegli occhi? Il cuore batté pesante, duro e freddo, e gli fece tremare i muscoli delle gambe. È questa la paura che Italia prova quando sono io a trovarmi in quello stato?

Scrollò la testa, si girò dando le spalle alla nube dell’esplosione, e anche lui ricominciò a correre, a inseguire le ombre che si stavano allontanando. Il bisogno di tornare ad allacciarsi a Italia, di aggrapparsi al suo solito calore familiare, gli scottò sulla pelle come un secondo scoppio. Perché devo capirlo solo in questa maniera? Socchiuse gli occhi, e una gettata di sconforto gli precipitò sulle spalle, rallentando la sua corsa. Proprio vedendo anche lui ridotto come me...

 

.

 

Inghilterra serrò le braccia attorno al corpo di Nuova Zelanda ancora aggrappato al suo busto, gli diede una spintarella per farlo aderire al suo fianco – ignorando lo schiocco di dolore che gli frustò le vertebre della schiena –, e lasciò che anche lui chiudesse di più la presa delle braccia attorno al suo collo. Gettò lo sguardo all’indietro, verso la nube di fumo che si erano lasciati alle spalle, e annaspò sentendo la gola in fiamme. “È esploso?” Altri scoppi tuonarono attorno a loro, sotto i piedi in corsa di Inghilterra, e investirono entrambi con l’odore e il calore graffiante del fumo. “Ha funzionato?”

Nuova Zelanda abbassò la mano che aveva teso davanti alla fronte per aguzzare la vista, si aggrappò anche con quella alle spalle di Inghilterra, e gonfiò un broncio seccato che lo fece sbuffare. “No, uffa,” si lamentò, “Germania è riuscito a sganciarsela ed è esplosa in aria.” Strinse i pugni, incrociò le braccia contro la spalla di Inghilterra, e nei suoi occhi luccicò un lampo di frustrazione che gli chiazzò le guance di rosso. “E io che pensavo fosse un piano perfetto.”

Inghilterra scosse il capo. “Non importa.” La polvere delle esplosioni tornò ad addensarsi attorno a loro, come nebbia, e lo costrinse a fermare la corsa. Inghilterra riprese fiato, il sapore salato del sudore gli scivolò fra le labbra secche, allentò la presa attorno al corpicino di Nuova Zelanda che cominciava a pesare sulle ossa e a fargli tremare i muscoli affaticati, e lo fece scivolare dal suo busto, posandolo a terra. “Ottimo colpo comunque,” commentò. Boccheggiò ancora, la gola gli bruciava, e si asciugò fronte e palpebre dal sudore. “Almeno li abbiamo distanziati.” Lo sguardo gli cadde sulla giacca di Nuova Zelanda, e un istinto primordiale gli impose di spolverargli le spalline che si erano sgualcite e di sistemargli il bavero che si era ribaltato. Davanti agli occhi di Inghilterra ricomparve l’immagine piccola e scura che saltava fuori dal fumo e che si appendeva al torso di Germania, poi le sue braccia calate lungo i fianchi e le mani che si aggrappavano agli aghi d’innesto delle bombe, facendole scattare con secchi strattoni. Inghilterra non riuscì a contenere un ghigno di compiacimento. “Da dove diavolo ti vengono certe idee, eh?”

Nuova Zelanda salì sulle punte dei piedi, spinse il petto all’infuori esibendo un sorriso d’orgoglio, e si premette il pollice sullo sterno. “È solo perché sono...”

Due spari si piantarono nel suo braccio piegato, un terzo proiettile gli colpì la schiena appena sotto la spalla e gli fece contrarre il busto spingendolo di un passo in avanti. Gli schizzi di sangue sfrecciarono davanti agli occhi di Inghilterra, e fra le sue palpebre sgranate si riflesse il corpo ferito di Nuova Zelanda, spinto in avanti dalla prepotenza dei tre colpi che gli avevano trafitto la carne.

Inghilterra ebbe solo il tempo di ingoiare un ansito, di impallidire sentendo la testa ghiacciarsi, e di sentire il petto andare in fiamme, riaccendendo il battito cardiaco che si era congelato. Scivolò in avanti, gettò le braccia su Nuova Zelanda e lo afferrò al volo prima che potesse cadere. “Ti tengo, ti tengo, respira.” Riuscì ad avvolgerlo nel momento in cui le sue ginocchia avevano già toccato terra. Nuova Zelanda strinse la faccia in una smorfia di dolore, singhiozzò una boccata di fiato, e il suo corpo tornò a contrarsi, gettando tre violenti spasmi. I primi rivoli di sangue colarono fra le dita di Inghilterra, macchiarono di nero la stoffa carbonizzata della giacca.

Inghilterra si chinò per farlo stendere, rallentò il respiro, e la sua voce tornò ferma e calma, pulita dallo spavento. “Rilassa le gambe, non ti lascio cadere.” Sdraiò Nuova Zelanda a terra tenendogli la testa sulle sue gambe, gli posò una mano sulla fronte già imperlata di sudore gelido, gli scostò i boccoli dalle palpebre, e lo guardò dritto negli occhi. “Respira, respira piano, va tutto bene,” lo rassicurò. “Resisti, tieni gli occhi aperti e respira. Non irrigidire i muscoli.”

Il corpo di Nuova Zelanda tremò e si contrasse di nuovo, e sul suo viso stropicciato dal dolore ricomparve quella smorfia che gli fece strizzare le palpebre. “Mhf. Ahio.” Tirò su il braccio che non gli avevano colpito e raggiunse la spalla opposta, si aggrappò alla manica forata dagli spari, già fradicia di sangue.

Inghilterra sovrappose la mano alla sua, gli lasciò un’impronta di sangue sulla pelle, e i suoi occhi gli corsero lungo il fianco, in cerca di altre ferite. “Ti ha colpito solo al braccio?”

Nuova Zelanda soppresse un lamento più breve fra i denti e riaprì le palpebre. “S-schiena.” Ruotò la spalla senza riuscire a girarsi, tornò nella posizione di prima.

Inghilterra sollevò lo sguardo nel punto da dove erano arrivati gli spari, e si ritrovò davanti a una serie di lampeggi che esplosero dietro il fumo. Quel colore acceso si riflesse contro gli occhi infossati nel nero della terra, bruciò di rabbia attorno al suo cuore. “Merda.” Tolse la mano dalla fronte di Nuova Zelanda e raggiunse una sua gamba stesa a terra. Gli spremette un pizzicotto prima sulla coscia e poi sul polpaccio, sopra l’orlo dello stivale. “Senti le mie dita?”

Nuova Zelanda strizzò di nuovo gli occhi e annuì, in viso era tornato a sbiancare. “S-sì.”

Inghilterra insistette e gli diede due colpetti sulla caviglia. “Muovi le gambe, fammi vedere se riesci a muoverle.”

Nuova Zelanda stese le ginocchia e spinse i piedi in mezzo alla terra, lasciando due profonde grattate scure. Un altro piccolo spasmo gli corse attraverso i muscoli, e i piedi tornarono immobili.

Inghilterra trasse un lieve sospiro di sollievo, e il peso che gravava sul petto si alleggerì. “Almeno non ci sono lesioni alla spina dorsale.” Altre bombardate scossero il suolo sotto le sue ginocchia premute a terra, risalirono fino al suo cuore, e pulsarono assieme al battito, facendolo accelerare. Doveva sbrigarsi. Inghilterra si passò le braccia di Nuova Zelanda attorno al collo, gliele fece stringere attorno alle sue spalle, e gli piegò le gambe per caricarselo di nuovo contro il petto. “Reggiti.” Lo sollevò di peso ignorando le fitte alla schiena e il sangue che continuava a gocciolargli fra le dita, soffiò una boccata di fiato dopo lo sforzo, e guardò a destra e a sinistra. Si gettò a correre dove gli spari erano meno intensi. “Ti tengo in braccio io e vedrai che...” Un altro sparo trafisse il fumo, schizzò davanti al suo sguardo e si piantò in mezzo ai suoi piedi, aprendo un foro fumante nella terra.

Inghilterra sobbalzò, all’indietro, gemette di paura, e la voce di Italia tornò a comparire, lo sorprese come quando se l’era trovato davanti poco prima. “Resta immobile.”

Inghilterra strinse a sé Nuova Zelanda, si allontanò di un altro passo dal foro scavato dal proiettile, e si voltò verso la figura di Italia che era di nuovo emersa dalla foschia di terra polverosa. Sgranò le palpebre, incredulo, e rimase a bocca aperta. È stato lui a sparargli? Si girò per trovarsi subito davanti alla figura di Italia che avanzava verso di loro. Il braccio teso, la pistola carica e puntata dritta, e due occhi estranei a fissarlo dal buio. Inghilterra deglutì, dovette sopprimere un brivido. Che gli è preso? si chiese. È da quando abbiamo cominciato a combattere qua a Creta che mi sembra un’altra persona. Arretrò di un passo, si girò per proteggere Nuova Zelanda, e scrutò meglio quegli occhi bui, quell’ombra diversa ma anche familiare, quell’atmosfera di gelo che lo circondava come una nube. Ma da quando il suo sguardo è diventato così... “Finalmente, Italia.” Inghilterra sciolse la sensazione di freddo e timore che gli si era cristallizzata sulla pelle, e piegò un ghigno provocatorio. “Finalmente tu e Germania avete gli stessi occhi. Sarà proprio fiero di te, adesso.”

Italia sussultò, aggrottò la fronte accendendo quella luce estranea fra le palpebre annerite dall’ombra, e calpestò un altro passo. La mano irrigidì attorno alla pistola e l’indice tornò a flettersi contro il grilletto, esitando.

Inghilterra reagì facendo cadere il ghigno, tornò truce in volto. “Non ci provare.” Resse Nuova Zelanda con un braccio solo e puntò la sua pistola contro Italia. Anche i suoi occhi si vestirono di una luce ostile, alimentata da quel grumo di rabbia che si era annidato nel suo cuore quando aveva sentito il sangue di Nuova Zelanda colargli fra le dita. “Non provare nemmeno a toccarlo.” Schiacciò le dita sull’arma, il fumo delle esplosioni gli arrochì la voce. “Non permetterò che ci facciate fare la stessa fine di Grecia.”

Un primo brivido di esitazione scosse lo sguardo di Italia, lo fece vacillare. I suoi occhi caddero a terra, nascosti dall’ombra dei capelli, in un gesto di fuga. “Tu non c’entri nulla con Grecia.” Anche la sua mano tremò, ma la pistola rimase alta, sempre puntata su Inghilterra. “Tu non sei mai c’entrato nulla con questa guerra.”

“All’inizio.” Inghilterra sistemò il peso di Nuova Zelanda che cominciava a scivolargli dal braccio e a intorpidirgli la spalla, e anche lui si strinse di più al suo collo, rannicchiò le ginocchia nascondendo contro il suo petto una smorfia di dolore proveniente dalle tre ferite che continuavano a spandere sangue, macchiando entrambi. “Hai ragione,” riprese Inghilterra, dopo aver guadagnato fiato, “all’inizio per me era solo una questione di strategia. Ma ora non lo è più.” Il peso del pugno di terra che batteva dentro la sua tasca e il peso della terra che sentiva respirare sotto i suoi piedi gli trasmise una scossa di vita, riaccese la rabbia che aveva provato al porto, davanti ai profili delle navi che salpavano con i loro eserciti, con quello che rimaneva dei loro uomini. “Se sono ancora qui è perché voglio vendicare Grecia,” disse Inghilterra, “perché voglio dare un senso a tutto il male che avete causato a lui e alla sua nazione.”

“T-tu...” Italia scosse il capo tenendo lo sguardo basso, il suo braccio tremò e la mano stretta alla pistola divenne bianca per lo sforzo. “Tu non sai niente di quello che è successo fra me e Grecia. Non hai il diritto di...”

“Ah, davvero?” Anche Inghilterra sgranchì le dita attorno alla sua arma, e il sangue formicolò bruciandogli la pelle. “E invece ti sbagli, Italia, è perfettamente nel mio interesse impedire che vinciate questa guerra, perché poi le conseguenze travolgeranno tutti.” Sollevò un sopracciglio, e sul suo volto tornò quella sfrontata piega di sfida. “Te compreso.”

Italia tenne lo sguardo al buio e voltò la guancia. La sua voce assunse un tono più grave, da offeso. “Conosco i miei rischi.”

Inghilterra rise, acido, facendo vibrare anche il corpicino di Nuova Zelanda rannicchiato al suo petto. “Non prendermi in giro. Non prendere te stesso in giro.” Le sue labbra tornarono piatte, gli occhi seri, e il suo sguardo si soffermò sul volto di Italia. Lo squadrò con aria dura e ingrossò la voce, come a rimproverarlo. “Guardati, Italia. Guardati in faccia e prova a giurare che è questo quello che volevi diventare quando ti sei alleato di nuovo con Germania.”

Italia si morse il labbro. “S... stai zitto.” Qualcosa esplose all’esterno del fumo che li circondava. Italia tentennò e scosse la testa, ignorando il rumore. “Voi non sapete niente di Germania. Niente.” Il braccio che impugnava la pistola riprese a tremare, la voce suonò rotta come prima di un pianto. “Voi sapete di lui solo quello che volete sapere, solo quello che volete vedere.” Strinse i denti. “Germania ha tutto il diritto di fare quello che fa per la sua nazione e per la mia.”

Inghilterra sbuffò, oscillò di un passo per rimettersi in equilibrio. “Giustificare le sue azioni non lo farà di certo diventare una nazione migliore di quello che è, o la nazione che tu vorresti che fosse.”

“Io voglio che Germania rimanga quello che è,” esclamò Italia, “e non che diventi quello che voglio io!”

“E tu lo sei?” ribatté Inghilterra. “Sei davvero la nazione che vorresti essere?” Nuova Zelanda cominciò a pesare, il braccio di Inghilterra tremò, e la spalla cedette chinandosi di lato. Inghilterra dovette dargli un’altra spintarella per non lasciarlo cadere. Prese due respiri più profondi, per riguadagnare fiato, e nella sua voce tornò a insinuarsi quel timbro provocatorio, fine e aspro come un dente avvelenato. “Sei davvero la nazione che tuo nonno si aspettava di lasciare a comando della sua terra?”

Ci fu uno scoppio. Il ruggito dell’esplosione, come un fulmine schiantatosi dal cielo, dilatò una fitta nube di terra alle spalle di Italia e lo rivestì d’ombra, facendo diventare nera la sua sagoma controluce.

Italia tirò su gli occhi, le ciocche di capelli si divisero scoprendo il riflesso delle iridi ristrette e infossate nel nero. Quell’abbaglio improvviso brillò di una luce più profonda e penetrante, dalle sfumature antiche e sanguinose, cariche di forza e dolore. Fu come se avesse strappato via da Italia un mantello di cui tutti ignoravano l’esistenza, mettendolo completamente a nudo.

Inghilterra ne rimase fulminato, investito da quella improvvisa vampata di pericolo che gli gridava di scappare. La sua presa irrigidì attorno a Nuova Zelanda, i suoi piedi si sottrassero scivolando di un passo all’indietro, e una morsa di panico gli addentò il cuore facendolo gemere di stupore. Fu la prima volta che provò paura davanti a Italia.

Una seconda figura si precipitò su Italia, e lo scossone improvviso gli strappò di dosso il velo di quell’ombra estranea. Un lampo di confusione gli attraversò gli occhi, li fece tornare chiari e acquosi, dissolse tutta la foschia che lo aveva circondato.

Romano gli si aggrappò a una spalla e dovette urlargli nell’orecchio per farsi sentire sopra i tuoni che continuavano a schiantarsi sul campo di battaglia. “Non perdere tempo e raggiungi la cima, maledizione!”

Italia scosse il capo, si allontanò di due passi portandosi dietro anche Romano, ancora appeso alla sua spalla, e sbatté le palpebre. “Che...” Lo guardò con occhi smarriti, ancora abbagliati dal precedente lampo di confusione che lo aveva trafitto. “Che cosa...”

Romano lo fece voltare e lo spinse via. “Sali la quota,” gli gridò, “raggiungi Germania, altrimenti sarà stato tutto inutile!”

Italia scattò come se gli avesse conficcato uno spillo in fondo alla schiena, e allungò una prima falcata di corsa. “S-sì.” Inciampò, cadde sulle ginocchia, si diede una spinta con il gomito, e tornò a partire.

Una raffica di spari si rovesciò alle spalle di Inghilterra, lo risvegliò dallo spavento che gli aveva addormentato il cervello, e lo fece di nuovo voltare verso una via di fuga. Non posso farcela da solo contro di loro. Strinse a sé Nuova Zelanda che continuava a buttare sangue dalle tre ferite, bagnandogli i vestiti e le mani. Non con Nuova Zelanda in questo stato. Lanciò la coda dell’occhio verso Romano e allungò già una gamba per affondare il primo passo di corsa lontano da lui. Devo andarmene prima che riescano a bloccarmi. Riparò la testolina di Nuova Zelanda con una mano insanguinata, chinò il capo, e corse via schiacciando zolle di terra fumante sotto le suole.

Romano seguì quella corsa a sguardo basso e ancora velato di rabbia e tensione. Le ciglia socchiuse e l’espressione piatta di chi fa finta di non vedere. L’ultima volta. Diede le spalle all’ombra di Inghilterra che si stava allontanando, estrasse la pistola dal fodero, e corse nella direzione opposta. Gli lanciò un ultimo pensiero, come una monetina buttata in un pozzo. Questa è la prima e ultima volta che ti lascio andare, ricordatelo. Si lasciò risucchiare dall’energia scottante ed elettrica della battaglia, tornò a combattere con un peso nel cuore.

 

.

 

La prima cosa che Italia vide, quando riprese a correre fuori dall’ambiente di fumo, fu il braccio di Germania teso verso di lui, la sua mano spalancata e sporca di terra che gli veniva incontro, e i suoi occhi azzurri che lo cercavano dalla foschia. “Italia!”

Italia si lasciò guidare da quel guizzo al cuore che lo aveva colto quando Germania lo aveva chiamato. Sentì la sua corsa in pendenza farsi più rapida e leggera. Tese il braccio anche lui, le due mani si raggiunsero, le dita umide di sudore e fango scivolarono, si contrassero, tornarono a tendersi, e si aggrapparono stringendosi forte. Unirono i palmi l’uno sull’altro.

Italia corse, accelerò, saltò oltre un avvallamento del terreno, e proseguì la risalita in mezzo al frastuono degli spari e dei bombardieri che avevano ripreso a sfrecciare sopra di loro. Strinse la mano, e la presenza di Germania lo infiammò con il suo calore. È questo che significa essere forti? La croce di ferro rimbalzò contro il suo petto, emise una serie di squilli contro un bottone della giacca, e quel peso che premeva e che si ritirava gli ricordò la punta di una Spada di Damocle rivolta direttamente sul suo cuore già cicatrizzato. È questo che devo fare per meritare la sopravvivenza? Se è così...

La presa delle sue dita, unite a quelle di Germania, cominciò ad allentarsi, e le loro mani scivolarono. Italia allungò le falcate di corsa, sentendo i muscoli bruciare e i piedi volare sulla terra, e lo superò.

Allora non mi tirerò più indietro. Se in cambio di tutto questo dolore potrò mantenere vivo il legame con Germania, allora lo accetto. Si staccò da lui, affrontò i ruggiti degli spari, le vampate d’aria bollente spante dai bombardamenti, gli scossoni che facevano sobbalzare il suolo sotto i suoi piedi, e si lanciò verso la quota.

Germania sentì i suoi piedi congelarsi a terra, tutto il calore morirgli dentro, succhiato via dalla mano che si era staccata da quella di Italia, e rallentò fino a fermarsi. Aveva ancora il fiatone che gli bruciava i polmoni. Stette con lo sguardo alto, vuoto e impotente, a guardare la schiena di Italia che si allontanava e che si rimpiccioliva sempre di più. Quella visione gli strappò un battito dal cuore, lo fece per la prima volta sentire piccolo e impotente nel mezzo di una battaglia.

Italia non si fermò, continuò a correre con il vento in faccia, a denti stretti e con occhi puntati verso la cima, dove le nubi di fumo si addensavano e le scie tracciate dagli aerei vi finivano inghiottite. Un improvviso peso di tristezza e rassegnazione gli schiacciò il cuore, gettando altro buio sul suo volto. Germania ha ragione. In guerra non esiste pietà. Strinse gli occhi per sopprimere il dolore, per contenere il bruciore di quelle lacrime ingiuste e rabbiose che pulsavano contro le palpebre. Nessuno avrà pietà di me, e io non devo avere pietà del nemico, se voglio sopravvivere e se voglio proteggere me stesso, mio fratello e i miei alleati. Si aggrappò con la mano alla croce di ferro che continuava a sobbalzare, si appese alla scossa di sicurezza e conforto che emanava quel metallo già caldo del suo sudore. Siamo in guerra. La guerra è spietata. Strizzò la mano attorno al ciondolo, e i bracci della croce gli bucarono la carne del palmo. Schizzi di sangue fiorirono negli spazi fra le dita, come fili di perle rosse, e gli rigarono le nocche. E devo imparare a esserlo anch’io.

Italia mollò la croce. Il ciondolo sbatté di nuovo sul suo petto, le gocce di sangue scivolarono lungo i bracci neri e argentati, ne percorsero il profilo lasciandolo macchiato di rosso e caricandolo di tutto il dolore che lo avrebbe perseguitato fino al termine della guerra.

   
 
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