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Autore: ejirella    23/10/2017    0 recensioni
Chiedo scusa ma non potrò più scrivere su questo sito poiché sono stata vittima di plagio. Se ci tenete a sapere come prosegue la storia seguitemi su https://www.wattpad.com/story/139876793-la-triade!! :)
Lui, il tipico figlio di papà. Nato e cresciuto negli agi, con hobbies costosi e con poco interesse nelle attività familiari.
Lei, di modeste origini. Una vita di sacrifici, sempre pronta a farsi in quattro per gli altri ed uno spiccato senso nel capire le persone.
Non possono essere più diversi, ma qualcosa li lega in modo indissolubile. Che cosa? Leggete e lo scoprirete.
Una storia appassionante e ricca di colpi di scena.
Piano piano i protagonisti si sveleranno ed imparerete a conoscerli.
Non vi rimane altro da fare, STAY TUNED!!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mattina seguente si svegliò prima che l'allarme suonasse. La notte l'aveva passata insonne.

Il volume della TV era rimasto alto fino a tardi ed a nulla erano valsi i suoi tentativi per cercare di addormentarsi.

E quando finalmente riuscì a chiudere occhio si gettò in un incubo. Il sogno era talmente vivido e reale che si mosse di scatto nel suo letto facendo saltare via il gatto spaventato.

Si stropicciò e si stiracchiò. Rimase distesa per qualche minuto. Si prese il suo tempo.

Sotto le coperte il mondo era lontano, distante. Talmente distante che risultava piccolo, talmente piccolo che era irrilevante, irrilevante quanto insignificante.

Quella visione era molto negativa, lo riconosceva. Da quando era morto il padre non trovava nulla per cui valesse la pena essere felice.

Neanche il suo nuovo ragazzo era riuscito nell'impresa e lo teneva a distanza. Lei non era mai stata una persona espansiva nei sentimenti, il suo volto comunicava molto più di quanto non volesse rivelare. I suoi silenzi, soprattutto nelle relazioni di coppia, portavano a domande. Domande sulla sua persona alle quali lei non voleva rispondere.

O forse non sapeva cosa rispondere perché non aveva una conoscenza di sé così approfondita. Bisogna sperimentare tante e differenti emozioni nella vita per riuscire ad affermare con totale onestà di conoscere il proprio Io. Lauren, suo malgrado, era a buon punto con le sue esperienze di vita.

Al primo approccio era una persona estroversa, ma interiormente era fatta a strati. Il primo era quello che tutti conoscevano: simpatico, gioviale, amichevole. Per quanto riguarda il secondo la questione si faceva più difficile. L'accessibilità era limitata solo a Brenda. Il secondo strato significava essere in confidenza con qualcuno e con la sua amica d'infanzia era più che naturale. Simpaticamente la chiamava Cipolla: ad ogni strato ti addentravi sempre di più nel cuore, ma ciò ti costava lacrime. Paragone buffo ma azzeccato!

Le venne in mente poi una frase che la madre le ripeteva spesso fino a qualche tempo prima “Tu sei l'ombrello della famiglia”. Lì per lì non aveva capito cosa volesse dire, le fu poi chiaro quando il padre scomparve.

La famiglia stava andando in pezzi e lei si era inconsciamente assunta l'onere di tenerla unita e di proteggerla. Ma come era possibile che il membro più piccolo della famiglia Candence avesse questa importante responsabilità? Si sentiva spesso schiacciata da questo pensiero però tirava avanti, lo doveva fare. Non poteva permettersi altrimenti.

Un raggio di sole la costrinse ad aprire gli occhi, quel suo piccolo rituale mattutino per affrontare la giornata volgeva al termine.

Lasciò la casa molto presto. Non prima di aver da lasciato abbastanza cibo nella ciotola di Hiro e di aver controllato che sua madre fosse a letto.

Prese la sua inseparabile bici e si diresse verso il centro di Brownsville.

La brezza mattutina era più pungente rispetto a quella della sera prima, in più il sole faceva fatica a farsi strada fra le nuvole segno che l'estate stava lentamente abbandonando la città.

Quella mattina il senso di apprensione non la voleva abbandonare. Si sentiva uno strano peso addosso.

Decise di non dargli importanza.

Ultimamente si sentiva spesso così, ma quella mattina c'era qualcosa di diverso. Forse era associato al fatto che non aveva dormito molto.

A lavoro si sarebbe recata più tardi. Superò la piazza centrale della città diretta in una struttura poco distante. Una volta arrivata guardò l'edificio e fece un sospiro. Non sapeva nemmeno perché si ostinasse ad andarci, ma subito una vocina allora le ricordò “Non lo fai per te, ma per una persona molto cara”.

Aprì la porta ed entrò in una sala vuota. L'arredamento era semplice ed essenziale. C'erano un tavolo tondo con una brocca d'acqua e dei bicchieri impilati. Le luci al neon rendevano il tutto più asettico ed impersonale, come la sala d'attesa in un ospedale. Lauren si avvicinò alle finestre e tirò su le tapparelle: le nuvolette di polvere che si alzarono tutt'attorno rappresentavano un chiaro segnale sull'anno in cui avevano visto uno spolverino per l'ultima volta. Soffiò per allontanarle quando intercettò uno sguardo.

“Buongiorno Lauren, oggi sei arrivata presto!” disse il terapista divertito dalla scenetta “Hai voglia di aiutarmi a distribuire questi opuscoli?”. Le passò i foglio porgendole il più radioso dei sorrisi.

Si vedeva che era una persona di cuore, a cui importava veramente degli altri. Gli ricordava un po' suo padre. Mentre le passava i depliant ci fu un secondo in cui se lo immaginò davanti a lei, ma la sensazione purtroppo durò troppo poco.

Non sapendo come rifiutare, iniziò a lasciarne uno su ciascuna delle sedie disposte a cerchio. Non appena ebbe finito la porta si aprì nuovamente ed entrarono una dozzina tra ragazzi e ragazze.

“Bene direi che ci siamo tutti” annunciò il terapista dopo qualche minuto.

C'erano tutti e Lauren fu grata che mancasse una persona.

“Eccomi, scusate il ritardo!” disse l'ultimo membro del gruppo alle spalle di Lauren del quale, suo malgrado, riconobbe subito la voce.


 

“Allora a chi tocca?”

Tutti guardarono nella direzione di Colin che era impegnato a costruire un aeroplano di carta con l'opuscolo informativo. Aveva fatto giusto lo sforzo di leggerne il titolo: "Condividere, rendere gli altri partecipi dei propri sentimenti è il primo passo all'apertura verso mondo".

“Ah tocca a me?” Domandò più a se stesso che agli altri.

Gli venne in mente la risposta data dalla ragazza difronte a lui nel cerchio e ne dedusse la domanda.

Fabbricò una risposta al volo.

“Mi sento male quando vedo una persona davanti a me che è indecisa su che cosa fare della propria vita, che non sa dove sbattere la testa. Perché in realtà è proprio così che mi sento”. Accompagnò la frase con un gesto teatrale portandosi le mani sul viso e finse di essere commosso.

La risposta funzionò perché la ragazza che aveva puntato si portò le mani alla bocca completamente rapita dalle sue parole. Peccato che neanche la metà si avvicinasse seriamente a quello che provava.

Il terapista guardò Colin con un sorriso, soddisfatto della risposta. Ma soprattutto fiero del fatto che finalmente, dopo una presenza poco costante e per nulla produttiva, avesse condiviso qualcosa.

Almeno per un po’ Colin non si sarebbe dovuto sforzare di inventare delle risposte convincenti e commoventi.

Il terapista guardò l'orologio appeso al muro e chiuse il taccuino.

“Bene ragazzi, ci vediamo la settimana prossima. Stesso posto, stessa ora”.

Qualcuno rise alla sua battuta, ma non Colin. Non vedeva l'ora che tutta quell'enorme pagliacciata finisse.

A quelle sedute era costretto ad andare perché la sua famiglia non riusciva ad «inquadrarlo», come aveva sentito dire ai suoi genitori mentre non sapevano che stesse origliando.

All'uscita la ragazza rapita dalle sue parole strappa lacrime gli lasciò un biglietto e gli mimò il gesto di chiamarla. Lui le fece l'occhiolino in risposta.

“Funziona sempre?” Le parole le sfuggirono di bocca prima che il cervello imponesse il blocco.

Colin si girò in direzione della voce femminile, pensava di essere rimasto l'ultimo nella stanza.

“Intendo dire tu dici qualcosa di toccante così le ragazze ci cascano e rimedi numeri di telefono?”

Colin la squadrò per mezzo secondo, il suo viso le sembrava familiare. Aveva grossi occhi blu nei quali si perse per un momento, ma poi tutto il resto lo fece desistere dal suo intento iniziale. Portava un orrendo cappello di lana, un maglione dello stesso tiro e dei pantaloni troppo larghi per la sua corporatura.

“Con chi ho il piacere di parlare?”

“Non hai risposto alla mia domanda”. Continuò ferma lei, ignorando la strana sensazione provata alla base del collo.

“E tu non hai risposto alla mia”. La ragazza era un osso duro, si vedeva che non era come quelle con lui era solito uscire. Si arrese e decise di fare il suo gioco.

“Solitamente le adesioni sono del 100%, nessuna si lamenta”. Rispose con un sorriso beffardo infilandosi la giacca di pelle.

“Sono quasi commossa dalle tue parole, ma al tempo stesso mi dispiace che al genere femminile di cui faccio parte, basti così poco per cadere tra le braccia di qualcuno e più precisamente delle tue”. Le ultime parole le pronunciò con uno sdegno piuttosto marcato.

Colin incassò il colpo, ma non aveva intenzione di chiudere lì il discorso.

“A quanto pare non riesco a convincere tutte con le mie parole eh?”. Mentre parlava si avvicinava piano alla sua preda.

Lei non arretrò di un passo e lo guardò con aria di chi capisce qualcosa dopo tanto tempo.

“Allora non sei poi così stupido ed io che pensavo il contrario!”

Ma Colin non si diede per vinto, voleva vincere la partita. Trovava stimolante quel battibecco, molto più appagante delle conversazioni che era solito fare con le ragazze.

Lei intanto si chinò a prendere la borsa. Nel farlo, il cappello finì per terra e liberò una cascata di capelli rosso fuoco. Per la seconda volta in pochi minuti Colin rimase a bocca aperta, ma di nuovo non lo diede a vedere e continuò per la sua strada.

“Sono convinto che se mi lasciassi tentare potrei convincere anche te...”

Lei raccolse il berretto e gli si avvicinò all'orecchio. Da quella vicinanza inaspettata Colin apprezzò il profumo di fiori che emanava e le lentiggini che le costellavano il viso.

Quei pensieri lo turbarono, ma tornò presto in sé. Interpretò quello scatto verso di lui come una resa ed era convinto di averla in pugno.

“Ti consiglio una cosa mio caro, vedi di abbassare il tuo indice di vittorie conquistate con questo metodo e visto che ci sei abbassa di uno le iscritte al fan club di Colin Futol”.

Detto ciò uscì dalla stanza senza dargli la possibilità di controbattere.

  
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