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Autore: ChiaFreebatch    23/10/2017    7 recensioni
L'atmosfera natalizia riscalda il 221b di Baker Street...
John Watson è finalmente felice, la sua vita procede serena con la piccola Rosie ed il suo migliore amico Sherlock.
Amico? No... qualcosa di più.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“ Noel …”

 

 

John Watson si fece spazio tra la moltitudine di londinesi in uscita dalla linea della metropolitana.

Sbuffò innervosito sgomitando un paio di ragazzini con un grosso zaino in spalla e finalmente emerse in superficie.

Inspirò a pieni polmoni e si aggiustò la sciarpa celeste.

Il campanile battè  le 8 della sera  ed il dottore accelerò il passo.

L’aria gelida portava con sé l’idea di una nevicata imminente.

Sorrise al pensiero dei piedini scalpitanti di Rosie sul manto bianco.

Attraversò di corsa le strisce pedonali e si incamminò lungo Baker Street.

Le luminarie natalizie invadevano il quartiere da un paio di settimane e la cosa lo  metteva di buon umore.

Adorava il Natale.

Da sempre.

E quello sarebbe stato il secondo per la sua piccolina.

Rise tra sé e sé, occhieggiando in lontananza le finestre illuminate del 221b.

Se nei suoi anni di soldato se gli avessero predetto un futuro del genere, si sarebbe fatto una risata sino a farsi venire le convulsioni.

Alla soglia dei quaranta , con una bimba a carico, senza moglie ed innamorato follemente del suo migliore amico.

Storse le labbra.

Già, Sherlock.

Si era rivelato un perfetto baby-sitter.

Nessuno ci avrebbe scommesso un penny .

Mai.

Eppure quello splendido sociopatico trattava Rosie come se fosse sua figlia , era un perfetto genitore, persino migliore di lui.

La bimba dal canto suo la adorava e lui ne era profondamente fiero.

Spesso si ritrovava ad osservarli incantato.

Erano belli, tremendamente belli e possedevano una complicità incredibile.

Raggiunse il portoncino verde e rabbrividì un poco cercando concitatamente le chiavi nella tasca del cappotto blu.

Il profumo alla vaniglia dell’atrio lo accolse aggiunto al vociare della tv della signora Hudson.

Salì deciso gli scalini ed aprì piano la porta del salottino.

Lo trovò vuoto.

Solo il crepitio del camino e la musichina delle lucine dell’albero di Natale spezzavano la quiete.

Chiamò Sherlock senza ottenere risposta.

Inarcando un sopracciglio si infilò nel piccolo corridoio che portava alla camera del detective.

Udì la risata argentina di Rosie e si bloccò con la mano posata sullo stipite della porta socchiusa.

Sbirciò con i limpidi occhi celesti.

Li spalancò ed il suo cuore perse un battito.

Holmes era sdraiato sul piumino blu e rideva , reggeva la bimba per i fianchi sollevandola sulla propria testa ed oscillandola avanti ed indietro.

“Forza Rosie apri le braccia! Vola Rosie, vola!”

Lei rideva agitando le pallide manine , i riccioli biondi smossi dal movimento.

“Brava fatina, vola.” La incentivava.

Watson inspirò profondamente e si scostò appoggiandosi alla parete.

La risata dei due ancora nelle orecchie.

Il viso dolce e divertito dell’uomo impresso nella mente.

Si mise una mano sul cuore e si domandò se fosse lecito meritare tanta felicità.

Soffiò dalle narici in un gesto nervoso .

“Papà Watson, puoi entrare.”

La voce profonda del detective lo fece sobbalzare e sarebbe arrossito se avesse avuto qualche anno in meno.

Aprì piano la porta malandata e la prima cosa che notò furono gli occhi acquamarina fissarlo divertiti.

“Pensavi che non ti avessi sentito? Dopo tutti questi anni dovresti saperlo che non mi sfugge nulla, John.”

“Ti sfuggono un sacco di cose ad essere sinceri.” Sorrise divertito avvicinandosi al letto.

Holmes inarcò un sopracciglio incuriosito e si mise a sedere.

Rosie urlò allungando le mani verso il padre.

“Jooooooo!” Si aggrappò al suo collo.

Il dottore la strinse a sé, baciandole il capo .

Sfiorò con il naso la testa ricciuta e sorrise.

Proprio non ci riusciva a chiamarlo papà.

Ad essere sinceri nemmeno ci provava.

Jo era l’unico modo in cui gli si rivolgeva-, quanto a Sherlock, beh... Celloc erano le sei lettere che biascicava al suo indirizzo.

“Stavi giocando? “ Le aggiustò il maglioncino sgualcito.

“Sì, gioco co Celloc.” Annuì, giocherellando con i bottoni del colletto di John.

“Dì a papà cosa stavamo facendo.”

La voce profonda del detective lo fece sobbalzare.

Si voltò un po’ troppo rapidamente trovandosi a tu per tu col torace dell’altro.

Deglutì, scostandosi.

Rosie portò gli occhi azzurri identici a quelli del dottore verso il detective.

“Uhm..” Fece pensierosa “Volo!”

“Stavi volando?” Si finse stupito, incamminandosi verso il salotto.

“Sììì, vola Rosie!”

“E dimmi: ti piace volare?” Chiese, sedendosi sulla sua poltrona.

Holmes prese posto sulla propria e li fissò silenzioso.

“Sì, cetto. Solo con Celloc, però.” Posò il capo, accoccolandosi sul suo torace.

John volse gli occhi verso quelli dell’altro.

Un bel sorriso sul volto stanco.

Il detective tossicchiò, imbarazzato.

“Ordino cinese?” Batté le mani.

“Ma certo,” annuì. “e questa bimba?”

“La signora Hudson l’ha fatta mangiare un’oretta fa.” Afferrò il cellulare per chiamare il ristorante.

“Hai mangiato la pappa?” Le sussurrò all’orecchio.

“Tutta.”

“Non mentire, piccola Watson.” Sospirò l’altro, alzandosi in piedi  “Il pollo non l’hai nemmeno toccato.”

Il dottore ridacchiò stringendosela al petto.

“No piace pollo, Rosie.” Borbottò contro il collo del padre.

La voce di Sherlock al telefono giunse ovattata dalla cucina.

Il biondino si chinò, cospiratorio, sulla figlia.

Un sospetto lo attanagliava da diversi giorni.

Holmes seguitava a ricordargli che la signor Hudson faceva mangiare la piccola, ma lui era convinto che fosse lo stesso detective a darle la pappa ogni santo giorno dopo che la loro padrona di casa l’avesse cucinata.

 “Senti Rosie, chi ti ha dato la pappa?”

La bimba scese dalle sue ginocchia, sgambettando verso l’albero.

“Celloc!” Rispose secca.

Watson ridacchiò.

“E dove hai mangiato la pappa?” Si sedette sul tappeto natalizio proprio accanto all’albero.

“In cucina.” Giocherellò con le palline rosse appese in basso.

“In cucina della zia Martha?”

“Nooo, cucina di Celloc.” Scosse la testolina.

Il dottore annuì, incrociando le gambe e sfiorandosi il naso con l’indice.

Il detective sulla soglia della cucina prese a studiarlo attentamente

Ne osservò le spalle tese sotto il maglioncino scuro

Il ciuffo brizzolato a sfiorare la fronte pallida illuminata dalla luce calda del camino

Sherlock si morse un labbro, avanzando piano.

“Tra mezz’ora saranno qui con l’ordine.” Decretò, afferrando il violino.

John sollevò il capo, fissando la sua figura longilinea stretta nella vestaglia blu.

“Bene.” Annuì raccogliendo un pupazzetto a forma di riccio.

“Nooo, Jooo!” Urlò Rosie.

I due sobbalzarono, Holmes con l’archetto a mezz’aria.

“Che c’è?”

“No toccare iccio!” Glielo strappò di mano.

“Perché no?” si incuriosì.

“Iccio è di Celloc!” corse verso il detective, allungando il pupazzetto verso l’alto.

Watson sbatté le palpebre, perplesso.

Holmes tossicchiò afferrando con un gesto secco l’animaletto e posandolo sul tavolo.

“E perché quello sarebbe di Sherlock??” Gesticolò indicando entrambi.

Rosie si voltò con le manine sui fianchi.

Gli occhi grandi spalancati.

“Jo è di Celloc.” Saltò sul posto.

Sherlock prese a tossire ed arrossì un filo sugli zigomi.

“Piccola Watson, questo è un riccio, non è tuo padre!” puntualizzò stizzito.

Il dottore non seppe bene come reagire.

Si massaggiò la nuca e fissò i due perplesso.

“Nooo! Iccio è Jo!” Urlò.

“Tesoro. hai chiamato il riccio come papà?” Prese in mano la situazione.

La bimba corse verso di lui e lo fissò seria negli occhi.

“Celloc dice che iccio è uguale a Jo.”

Le sopracciglia dell’uomo si inarcarono vertiginosamente, scostò il capo sbirciando oltre la bimba puntando gli occhi sull’amico.

“Io assomiglierei ad un riccio?” sorrise, divertito.

 “Era solo uno stupido gioco.” borbottò cercando di riposizionare il violino sotto il mento.

Gli zigomi rossi non sfuggirono all’altro che assottigliò gli occhi, sospettoso.

“E dimmi: perché Jo è di Sherlock?” Seguitò a domandare rivolto alla bambina.

Holmes levò gli occhi al cielo e sbuffò imbarazzato.

E la cosa onestamente lo divertì parecchio.

Rosie additò a braccio teso il detective.

“Jo è di Celloc!” urlò frustrata.

“ Jo il riccio?” allungò le gambe sul tappeto.

“Jo iccio e Jo tu.“ lo spinse sulla spalla.

Sherlock Holmes maledisse il momento in cui aveva avuto la brillante idea di dire alla bambina che quello stupidissimo riccio era identico a suo padre.

“Oh, capisco..” Sorrise ampiamente alzandosi in piedi.

Con lentezza raggiunse il detective.

La bambina, finalmente soddisfatta, si chinò a recuperare il proprio bambolotto e prese a mostrargli le lucine dell’albero.

Holmes gettò un’occhiata veloce al piccolo uomo che gli aveva rubato il cuore anni addietro.

Lo fissava con sguardo strafottente , le mani nelle tasche dei jeans troppo grandi.

“Se io assomiglio ad un riccio...” Attaccò, avanzando ulteriormente.

Sherlock si ritrasse un poco, schermandosi con il violino.

“Tu sei una lontra mancata.” Puntualizzò ad un palmo dal suo viso.

Si fissarono per pochi istanti.

Il detective si accorse di aver trattenuto il fiato solo quando l’altro, con un ghigno divertito, retrocedette.

“Io... Io non sono una lontra!” sbottò in maniera infantile.

“Oh, sì!” Si diresse in cucina per apparecchiare.

Gli occhi acquamarina si assottigliarono ed un grugnito abbandonò quelle belle labbra piene.

Le note di Merry Christmas invasero il 221b.

.

Sabato pomeriggio la neve aveva coperto con il proprio soffice manto ogni cosa.

John e Sherlock decisero di portare Rosie a fare un giretto al Regent’s Park per permetterle di giocare con la neve in sicurezza e sfoggiare i suoi nuovi stivaletti di gomma con il faccione di Olaf stampato sul lato.

Trascorsero un’ora abbondante tra palle di neve e pupazzi piuttosto orrendi a detta di Sherlock.

Rosie era esageratamente felice.

Le gote rosse, gli occhi luminosi ed il ciuffo biondo sfuggito al cappellino rosso.

L’immagine della pura felicità.

Correva come una matta e si rotolava nella neve ben più del necessario, tanto che John, da padre premuroso, ma ancor prima da buon medico, dovette rimproverarla diverse volte.

Holmes partecipava ai giochi con discrezione, non aveva mai amato troppo la neve.

Troppo umida e fredda.

Se ne era stato per buona parte del tempo seduto elegantemente su una panchina a fissarli sorridendo.

Fu quando il sole iniziò a calare che decisero di rientrare.

Rosie si sbadigliò levando le manine guantate al cielo.

“Braccio! Braccio!”

“Ti avevo detto di portare il passeggino. ma tu no. Hai fatto la matta per voler camminare e adesso vuoi venire in braccio.” Le pizzicò il naso John.

Lei ridacchiò, saltellando e rimarcando la richiesta a gran voce.

“Dai, vieni.” Tese le braccia verso di lei.

“No!” Urlò

“No?” Sbatté le palpebre perplesso.

La bimba scattò verso destra, aggrappandosi al ginocchio del detective.

“No tu. Voglio papà Celloc!” Alzò i grandi occhioni verso l’alto.

Watson spalancò gli occhi, portandoli poi verso l’alto diretti al viso perfetto dell’amico.

Sherlock era rigido come uno stoccafisso.

L’ultima ed unica volta in cui lo aveva visto con quell’espressione sul viso era stato il giorno in cui gli aveva chiesto di fargli da testimone di nozze.

“O- Ok.” annuì il dottore.

Holmes si riebbe, scuotendo il capo.

“Piccola Watson, non è me che devi chiama...”

La mano di John gli strinse l’avambraccio, fermando la sua frase a metà.

Gli occhi acquamarina incrociarono quelli blu.

“Va bene, Sherlock.”

Il sorriso che gli rivolse fece aumentare fastidiosamente il battito del cuore dell’ex  sociopatico.

Arrossì un poco sugli zigomi  e tentò di replicare.

Le sua labbra si aprirono piano, senza tuttavia emettere alcun suono.

“Va bene.” replicò l’altro.

Rosie urlò, richiamando la loro attenzione.

Holmes allora si piegò sulle ginocchia, portando il suo viso all’altezza di quello piccolo e paffuto.

“Vuoi venire in braccio, piccola Watson?” Le sfiorò con l’indice una guancia.

“Sì, papà Celloc!” Gli gettò le braccia al collo.

La figura longilinea tornò in posizione eretta con la bimba appesa a sé come fosse una scimmietta.

John sospirò soddisfatto e posò una mano sulla schiena dell’altro.

Holmes si voltò e gli sorrise.

Un sorriso piccolo.

Di quelli sinceri che riservava solo al biondino.

Riprese a camminare lungo il vialetto.

Gli occhi blu del medico fissarono il suo incedere elegante.

Rosie sbirciò oltre l’ampia spalla, ridendo ad indirizzo del padre.

John agitò il palmo, qualche passo indietro, salutandola con una smorfia.

Holmes si voltò di nuovo alle risate della piccola.

Inarcò un sopracciglio corvino, gli occhi brillarono.

Il sorriso sghembo prese posto sul volto pallido.

Watson si morse con forza il labbro inferiore mentre Sherlock tornava a dargli le spalle.

Il suo cuore batté con forza.

Aveva una dannata voglia di baciarlo.

Tossicchiò e, accelerando il passo, gli si mise accanto.

.

Quella sera dopo cena, Rosie pretese il tanto promesso lecca-lecca.

Se mangi tutta la pappa , le avevano detto.

E la bimba aveva ripulito il piatto di farfalle al sugo.

Ci aveva passato persino l’indice lasciando una scia a zig zig  e se lo era poi portato alla bocca, soddisfatta.

Fu così che, con un sorriso, John cedette e le passò quel grosso cuore rosso di zucchero.

“Sììì!!! Lecca-lecca!!!” Saltellò.

Sherlock, accoccolato sulla propria poltrona, sorrise gettandole un’occhiata oltre il libro che stava leggendo.

Il dottore si stiracchiò prendendo posto sulla poltrona.

La radio accesa trasmetteva di sottofondo canzoni natalizie e lui chiuse gli occhi, poggiando il capo alla spalliera scozzese.

Rosie parlava tra sé e sé, giocando con la propria bambola preferita mentre si gustava il suo premio.

Holmes gli gettava occhiate sfuggenti, temendo d’esser colto in fallo.

John gli piaceva, così tanto dal vergognarsi di se stesso.

I sentimenti non sono un vantaggio, diceva Mycroft.

Sì, ok.

Però adesso viveva con Greg ed era il ciccione più pomposo e felice del mondo.

Scosse il capo ed il ciuffo corvino gli solleticò un occhio.

Lo scostò con uno sbuffo prima che un tornado piccolo e biondo gli piombasse addosso.

“Ahia!” gemette preso alla sprovvista.

Watson spalancò gli occhi spaventato, rilassandosi però immediatamente alla vista di Rosie appollaiata sulle ginocchia dell’amico.

“Co fai?” Indagò.

“Leggevo, prima che ti arrampicassi quassù come un animaletto.” Sospirò.

“No sono animaletto, sono Rosie.”

Sherlock ridacchiò, accarezzandole il capo.

“Dai Rosie, lascialo un po’ in pace. Vieni qui da me.”

“No!”

“Non importa John” Scosse il capo

“Sì, invece.” Sospirò “ Rosie!”

“Io do lecca-lecca.” Sorrise, appoggiando con forza il cuore appiccicoso sulla faccia del detective.

L’uomo borbottò, arricciando il naso mentre Watson scattò in piedi.

“Ma cosa fai??”

La bimba lo fissò preoccupata.

“Non si fa!!” Si chinò verso di lei.

Holmes tossicchiò e John voltò il viso incrociando i suoi occhi.

“Guarda che roba.” Ridacchiò “Aspetta, prendo un fazzolettino umido.”

“sì, sarebbe il caso.” Annuì.

Rosie si artigliò alla vestaglia blu con la manina libera.

“Scusa papà.” Mugugnò.

Al dottore si strinse il cuore.

“Non fa nulla piccola Watson.” Le fece l’occhiolino.

John con mano poco ferma estrasse un paio di fazzolettini e si avvicinò all’amico.

La guancia appiccicosa.

Così come la bocca e la punta del naso.

Ridacchiò iniziando a pulirlo.

“Posso fare da solo” arrossì un filo.

“No, hai già questa peste addosso. Ci penso io.” Posò la mano sinistra sotto il suo mento e gli tenne fermo il viso.

La pelle di Sherlock era delicata e totalmente priva di imperfezioni.

Non era la prima volta che lo toccava sul viso, anche se sino a quel momento erano state unicamente medicazioni,  ma mai si era soffermato a tastarne la consistenza.

Perfetta.

L’opposto della propria, si rammaricò.

Il detective tenne gli occhi fissi sul viso dell’altro, cercando di respirare in maniera regolare.

Con scarsi risultati, in effetti.

“Co fai?” Domandò la piccola.

“Tu che dici?” Sorrise sfiorando lo zigomo con un sospiro.

“Pulisci papà Celloc?”

Watson appallottolò il fazzolettino e non si trattenne dallo scostare il ciuffo corvino con delicatezza.

“Sì, papà pulisce papà.” Annuì portandosi le mani sui fianchi.

Holmes sobbalzò serrando i denti.

John lo guardò con la coda dell’occhio e si compiacque di quegli zigomi nuovamente coloriti.

Batté le mani e prese in braccio la figlia.

“Adesso ci mettiamo il pigiamino ed andiamo a nanna.”

“Nanna lettino.” Gli passò il lecca-lecca .

“Dì buona notte.” La voltò verso il detective.

“Notte, papà...” Bisbigliò.

Sherlock si levò in piedi, avvicinandosi piano.

Le posò un bacio sulla fronte, soffermandosi per qualche istante.

I suoi capelli mossi sfiorarono il naso dell’amico.

“Buonanotte, piccola Watson.”

Sparirono al piano superiore.

Holmes si sedette al tavolo del salottino ed aprì il PC.

.

Mezz’ora dopo John scese con la piccola trasmittente tra le mani, posandola sul basso tavolino.

La ninna nanna del peluche di Rosie giungeva ovattata dalla scatola metallica.

Tossicchiò mettendosi le mani in tasca ed avvicinandosi un poco all’amico.

“Papà Sherlock, eh?” lo canzonò con un sorriso.

Holmes sollevò gli occhi dallo schermo del PC.

“John. Se ti da fastidio io...”

“Fermati !”  Sollevò un palmo, zittendolo  “Ti ho già detto questo pomeriggio che mi va bene così e, se la cosa può farti stare meglio, poco fa ha finalmente chiamato papà anche me. E' il giorno delle novità” Ridacchiò, accostandosi alla finestra.

Baker Street era silenziosa .

Il detective si picchiettò lentamente le dita sulle labbra.

“Non pensi che la cosa potrebbe crearti problemi?” Lo fissò, serio.

Il dottore si voltò verso di lui con la testa leggermente protesa in avanti.

“P-problemi?” Chiese, perplesso.

“Se tu ti trovassi un’altra compagna, potrebbe disapprovare.” Distolse lo sguardo, riprendendo a digitare al computer.

I grandi occhi azzurri si spalancarono ed una mezza risata riempì il salottino.

“Stai scherzando, vero?”

“Sai bene che non sono incline allo scherzo.“ Replicò senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

Watson si avvicinò piano, posando entrambi i palmi sul tavolo, le braccia tese.

“Sherlock,“ inspirò “non ho assolutamente intenzione di trovarmi una compagna.“

Gli occhi color acquamarina si levarono verso l’alto.

La luce del portatile rendeva il loro colore ancora più surreale.

Le palpebre sbatterono velocemente , le ciglia nere sfarfallarono.

“Non puoi sapere cosa ti riserverà il futuro.” fu la replica lapidaria.

Il medico retrocedette.

Strinse la radice del naso tra pollice ed indice serrando gli occhi.

“Senti” attaccò “questa cosa... Io, te e Rosie...” sospirò “se ti crea problemi...”

“Non essere ridicolo!” sibilò.

Il biondino tornò a guardarlo, silenzioso, per diversi istanti.

Si passò la lingua sulle labbra e scosse il capo.

“Io ho bisogno di sapere se a te sta bene.” sussurrò terribilmente serio.

Holmes deglutì ed aprì piano le labbra per replicare.

Gli occhi dell’altro si persero qualche istante su quella bocca perfetta.

“John...”

“No, dico davvero. Vedi, io ho ben chiaro i miei desideri circa il mio futuro. Sono cristallini.” si schiarì la voce “Vorrei che tu facessi chiarezza sui tuoi.”

Holmes sussultò, aggrottando le sopracciglia.

L’altro gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla.

Strinse un poco.

La consistenza del raso sotto le proprie dita.

Le dita scivolarono via, leste, e Watson si allontanò.

“Buonanotte.”

.

Il detective serrò con forza le dita.

I pugni posati sulle cosce.

Lo sguardo corrucciato.

Si voltò fissando per diversi istanti il punto in cui l’amico era sparito.

John non era stato sufficientemente chiaro per i suoi gusti.

Stava parlando di sentimenti??

Si alzò in piedi, chiudendo il PC.

Dio, non era proprio il suo campo quello .

Una morsa allo stomaco lo bloccò.

Fece una smorfia e si ritirò in camera propria.

Doveva sdraiarsi e rinchiudersi nel suo palazzo mentale.

Doveva assolutamente fare ipotesi, vagliare teorie.

Si stese, chiudendo gli occhi ed inspirò profondamente.

Come prima cosa doveva cercare di regolarizzare il suo battito cardiaco.

Calma, Sherlock.

Calma.

Inspirò ed espirò lentamente.

Quando si fece un po’ più quieto prese a vagare per il proprio Mind Palace.

.

John Watson sospirò nell’oscurità della propria camera.

Le fastidiose luci rosse della radiosveglia segnavano le 3.

Il respiro di Rosie era regolare nel lettino accanto.

Si sedette, gettando un’occhiata alla bimba.

Sorrise, notando il corpicino raggomitolato sul fianco sinistro.

Tornò a stendersi, stropicciandosi gli occhi.

Aveva sonno, ma non riusciva ad addormentarsi.

Il suo cellulare si illuminò, facendo sì che strizzasse gli occhi, infastidito.

“Ma che...”

- Sei sveglio? SH -

- Sì JW -

- Scendi. Devo dirti una cosa. SH -

Il dottore sbuffò con un sorriso.

- Non puoi dirmelo domani ? JW -

- No, scendi. SH -

- Smettila di fare il bambino. JW -

- Una volta mi avresti accontentato SH -

Watson rise. Quando ci si metteva, Sherlock era veramente un bimbetto viziato.

- Una volta non avevo una bimba di 2 anni nel letto accanto al mio, potrebbe svegliarsi. JW -

- Giusto. A proposito del discorso di prima... SH-

Il biondino si mise a sedere grattandosi la nuca

- Dimmi. JW-

- Ciò che mi hai detto sul futuro, Sul fatto che tu abbia le idee chiare. SH -

Stava tergiversando. Brutto segno, si morse il labbro John.

- Vieni al dunque. JW -

- Stavi cercando un modo carino per dirmi che te ne vuoi andare? SH -

L’ex fuciliere fu seriamente tentato di cacciare un’imprecazione a voce alta. Si trattenne solo per Rosie.

Posò il telefono e si strofinò con forza i palmi delle mani sul viso.

Con lentezza esasperante si trascinò fuori dal letto, afferrando la trasmittente e, in punta di piedi, raggiunse la porta.

Lasciò andare il fiato solo quando arrivò sul pianerottolo.

“Dannato idiota.” Scosse il capo, scendendo le scale a piedi nudi.

Il salotto era vuoto , il camino spento.

Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente davanti alla camera dell’altro.

Il cuore gli batteva con forza nel petto.

La faccenda andava chiarita una volta per tutte.

Senza troppe cerimonie aprì la porta.

L’oscurità lo avvolse.

“John!”

La voce allarmata di Sherlock arrivò dal grande letto matrimoniale.

La poca luce dei lampioni filtrava leggermente attraverso le tende, illuminando a tratti la figura longilinea seduta sul materasso.

I piedi a terra.

Watson si chiuse la porta alle spalle e ridusse la distanza che li separava.

Le sue ginocchia avvolte dai pantaloni scuri sfiorarono quelle dell’altro.

“Sei un idiota. Un grande, grandissimo idiota.” Sussurrò.

Holmes si morse un labbro, sollevando il viso verso quello dell’amico.

La t-shirt bianca del dottore baluginava un poco.

John allungò la mano sinistra verso il viso dell’altro ed afferrò saldamente la sua nuca.

I ricci corvini gli solleticarono il polso.

Si chinò.

Fronte contro fronte.

Sherlock chiuse gli occhi e trattenne il respiro.

“Come diavolo ti è passata, per quel tuo dannatissimo cervello, l’idea che io me ne voglia andare?”

“Non- non ho altre ipotesi. Sono tutte impossibili.” Replicò, fingendosi stizzito.

Watson ridacchiò, staccandosi un poco.

Le sue mani risalirono con lentezza lungo il collo del detective per raggiungere il suo viso.

Le guance sotto i suoi palmi.

“Com’è quella bella frase che spesso ami citare? “

Holmes spalancò le iridi cristalline.

L’altro non riuscì a vederlo, ma poté avvertire l’irrigidirsi della postura.

“Una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.” Sussurrò.

Il silenzio calò implacabile carico di parole non dette

Il detective deglutì.

Allungò le mani davanti a sé, posandole sul torace dell’amico.

Strinse con forza la stoffa candida tra le dita.

“John.”

“Sì?”

“Lo sai che sono uno schifo in questo genere di cose.” Sputò fuori a fatica.

“Con 'cose' intendi i sentimenti?” Prese ad accarezzandogli il collo.

Il detective tirò con forza la maglietta dell’altro tanto da farlo vacillare.

Affondò il viso contro il suo addome ed inspirò.

“Sì, quelli.” Un mugugno sussurrato.

John sorrise e lo abbracciò stretto, posando il mento sul suo capo.

Gli sfiorò poi i capelli con la punta del naso e sospirò.

“Non è vero che sei uno schifo in queste cose, solo non ci sei abituato.”

Le dita si serrarono con più forza.

I lembi di cotone irrimediabilmente stropicciati.

“Ho solo bisogno che tu mi dica che per te va bene,” si morse la lingua “ io, te e Rosie.”

“John... Tu sei sempre andato bene. Per me. E Rosie... Beh, lei è splendida.” Concluse, sollevando un poco il viso.

La moltitudine di eventi a cui la vita lo aveva messo dinnanzi aveva indurito il cuore del capitan Watson.

Tuttavia quelle poche parole del detective ebbero la forza di sciogliere completamente la scorza che lo avvolgeva da anni.

Arricciò il naso ed espirò con forza.

Maledisse solo l’oscurità che non gli permetteva di vedere quelle splendide iridi puntate nelle sue.

“Ok, Sherlock. Ok...” Sussurrò, passandosi la lingua sulle labbra.

Il silenzio tornò a palesarsi pesante.

Troppo pesante.

Holmes serrò i denti e per un istante sentì la propria testa girare.

Non ci era abituato a quella moltitudine di sensazioni.

Era tutto... Troppo.

Troppo per un sociopatico iperattivo come lui.

Sbuffò scuotendo i ricci corvini.

L’incertezza era persino peggio.

Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa.

La risata di John lo colse alla sprovvista.

“Gesù! Non pensavo ci saremmo mai arrivati.” Si passò la mano destra sugli occhi.

La lunga mano del detective agì rapidamente prima che il coraggio lo potesse abbandonare.

Si sollevò, afferrando la nuca di John, e con un gesto secco lo tirò verso il basso.

Il dottore sussultò, posando le mani sulle spalle dell’altro per non perdere l’equilibrio.

La bocca sottile impattò contro quella carnosa con fin troppa forza.

Denti su denti.

Watson sorrise, scostandosi appena.

Apprezzò l’iniziativa dell’altro, l'apprezzò decisamente.

Accarezzò con lentezza le spalle ampie di Sherlock, sfiorando ripetutamente la clavicola prima d’impossessarsi delle labbra del detective con maestria.

La bocca di Sherlock era esattamente come se l’era immaginata.

Dannatamente morbida e dolce.

La lingua maliziosa lambì le labbra piene, intrufolandosi con lentezza.

La risposta dell’altro fu immediata ed inaspettatamente sapiente.

Tanto dal farlo vacillare.

Si accostò con forza, spingendo Sherlock contro il materasso senza interrompere il bacio.

Il piumino era soffice sotto la sua pallida schiena.

I ricci neri affondarono nella stoffa blu.

La sue mani artigliate alla schiena di John.

Del suo John.

Gemette sonoramente, avvertendo la mano dell’altro insinuarsi con lentezza sotto la propria t-shirt.

Quell’inutile stoffa stava iniziando ad irritarlo.

Si staccò inspirando a pieni polmoni e levandosela con stizza.

Watson ridacchiò.

Le ginocchia affondate nel materasso a sfiorare i fianchi del detective.

Stoffa bianca lanciata nell’oscurità.

Due mani grandi sulle proprie spalle.

Una spinta decisa.

Holmes aveva ribaltato le posizioni.

“Sul serio Holmes? sul serio mi hai messo schiena a terra?” Sbuffò, divertito, afferrandogli l’elastico dei pantaloni.

Il detective rise.

Chinando il viso sino a sfiorare l’altro.

“Sì, Watson,“ soffiò sulle sue labbra “potrei stupirti, sai?”

“E allora stupiscimi.“

Lo strinse a sé, distraendolo con l’ennesimo bacio.

Un colpo di reni.

John tornò al comando.

“Ehi. non volevi che ti stupissi?” Protestò Holmes

“Domani, soldato!”  La lingua scivolò lentamente sul lobo.

Sherlock gemette.

“Sì capitano , domani.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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