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Autore: Pendincibacco    23/10/2017    3 recensioni
- Non ce la facevo ad andare da solo. - ammise infine buttando fuori quella frase di malavoglia, quasi masticandola, venendo però a patti con il fatto che non si sarebbe sentito in pace con sé stesso finché non avesse fornito a Sherlock una spiegazione valida per quello che lui, era evidente, viveva come un tremendo sacrificio.
Soltanto una breve "slice of life" dei nostri due protagonisti in cui John, immerso in una situazione stressante, è portato a riflettere sul suo rapporto con i coinquilino.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Salve! Questa è la mia prima storia su Sherlock, show che amo alla follia, spero quindi di non aver scritto una schifezza insopportabile. L'idea per questa one shot è nata mesi fa grazie ad un propt proposto dalla pagina facebook "Il peggio di EFP", ovvero "bloccati all'aeroporto". Non è nulla di che, niente azione o colpi di scena purtroppo, solo un breve slice of life dei nostri due protagonisti in cui John, per via di una situazione stressante, è portato a riflettere sull'importanza del loro rapporto. Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, sia che vi piaccia sia che vi faccia schifo, per me è davvero importante! Buona lettura.

 

 

Terminal Awareness

 

 

 

Tock, tack, tock, tack, tock, tack ...

Il rumore ritmico che le scarpe in vernice del detective producevano a contatto con il pavimento del terminal dell'aeroporto di Heathrow continuava, secondo l'orologio di John Watson, da almeno un'ora, rischiando di farlo impazzire.

- Sherlock. -

L'altro non parve nemmeno sentirlo preso com'era, come aveva spiegato ormai parecchio tempo prima, nell'elencare a mente i numeri primi.

- Sherlock! -

Ancora nessuna risposta: l'uomo continuava ad andare avanti e indietro come una furia, l'espressione corrucciata. John non era particolarmente ferrato in matematica ma era abbastanza certo che i numeri primi, così come i numeri in generale, potessero potenzialemnte continuare all'infinito; fatto che avrebbe potuto rendere la loro ancora lunga attesa decisamente difficile da digerire, quantomeno per il dottore. Decise quindi di averne abbastanza e afferrò la manica del cappotto dell'amico non appena quello gli passò nuovamente davanti, arrestando la sua penosa marcia.

- Santo cielo, per l'ennesima volta Sherlock, datti una calmata! - gli intimò con tono duro ma tentando di non gridare: Rosie dormiva placisamente nella carrozzina lì affianco da un paio di ore e John sperava con tutto il cuore che non si svegliasse per molto tempo ancora. Far stare tranquilla una bimba di due anni scarsi all'interno di un aeroporto si era rivelato un compito al limite dell'impossibile e, alla fine, solo l'intervento di Sherlock e del suo violino era riuscito a placarla e a farla addormentare, cosa di cui lui era stato piuttosto invidioso. Invece era stato molto meno invidioso e, anzi, piuttosto infastidito dall'attenzione che quell'evento aveva attirato sul detective, di cui però come al solito lui non sembrava essersi nemmeno reso conto.

 

- E io ti ripeto, per quella che è precisamente la dodicesima volta, che non mi è possibile farlo. - rispose l'altro con tono palesemente infastidito, dando uno strattone per liberare il braccio dalla presa e ricominciando il suo vagabondare snervante. John sbuffò platealmente, guardandolo male.

- Ogni giorno ti vedo fare o dire almeno cinque cose impossibili a chiunque altro e sto contando solo quelle che noto prima del tè del mattino! Quindi sei più che in grado di sederti qui accanto a me, fare un bel respiro e provare a dormire un po' per ingannare l'attesa. -

- "Ingannare l'attesa" è una sciocca perifrasi per definire il "perdere tempo". - sbuffò quello, provocando uno spasmo di frustrata rabbia alla mascella del dottore.

- Sherlock, noi dobbiamo perdere tempo, non abbiamo altra scelta! Mancano ancora almeno sei ore al nostro volo, una notte intera; e durante le quattro che ci siamo faticosamente già lasciati alle spalle hai elucubrato su qualunque cosa si trovi in questo maledetto aeroporto e risolto anche il più minimo mistero, compresa la relazione omosessuale che il fidanzato della poveretta del negozio di orologi le sta nascondendo! Hai già fatto incazzare almeno quindici persone e ne hai ridotte in lacrime altre tre, non credi di poterti ritenere soddisfatto? - sbottò, per metà in realtà piuttosto divertito e per metà rabbioso e costernato per via delle situazioni che si erano venute a creare il pomeriggio precedente.

Il detective, incredibilmente, gli si fermò di colpo di fronte, osservandolo con vago astio decisamente mal celato.

- Come potrei mai essere soddisfatto in una situazione di tale noia? Dieci ore di ritardo, dieci! - sbraitò, infilando le mani in tasca con fare stizzito.

- Abbassa la voce ... - gli ricordò John, occhieggiando la figlia che si muoveva debolmente, probabilmente infastidita dal rumore.

- Saranno almeno due ore che non ho nulla di interessante da fare, nulla di utile a cui pensare! -

- Sherlock! Abbassa la voce, ora! - ringhiò a denti stretti indicando la carrozzina. Sherlock si accigliò, ma una volta che ebbe seguito con lo sguardo la direzione indicata sgranò leggermente gli occhi, sospirò mestamente e taque.

A quella vista John dovette nascondere con un colpetto di tosse la mezza risata che si era lasciato scappare: Sherlock poteva giocare a fare il sociopatico insensibile quanto voleva ma era palese che adorasse Rosie, nonostante si ostinasse a chiamarla "giovane Watson" e a parlarle con una terminologia assolutamente inadatta ad una bambina così piccola. Quel pensiero per qualche motivo scaldava sempre l'animo del dottore come poche cose al mondo erano state in grado di fare da quando era tornato dall'Afghanistan.

 

Notando che l'amico ancora torreggiava su di lui, finalmente fermo ma con l'espressione di chi sta attendendo il patibolo, fu il suo turno di sospirare.

- Non potresti almeno fare qualcosa da seduto, se proprio non vuoi dormire? E, prima che tu lo proponga, ti vieto categoricamente di sparare alle pareti. -

- Non essere sciocco John, non porterei mai una pistola in aeroporto, non avrebbe passato i controlli. -

- Hai finto una caduta da un palazzo di considerevole altezza, devo davvero credere che non riusciresti ad introdurre una pistola qui se lo volessi? - puntualizzò alzando gli occhi al cielo.

Sherlock rilassò la bocca in una risata breve e leggera, una di quelle tipiche di quando gli si faceva notare qualsiasi cosa che avesse a che fare con il suo intelletto; John non aveva ancora capito con certezza se esprimesse modestia o compiacimento.

- Ammetto che, se lo volessi, potrei farlo in effetti. In tre ... no, quattro modi diversi. Ma sfortunatamente non credo avremo bisogno di armi da fuoco dove stiamo andando. - concluse, stringendo il viso in una smorfia vagamente meditabonda e lasciandosi finalmente cadere sul posto accanto a quello del dottore.

L'amico sorrise leggermente senza poterselo impedire: solo Sherlock poteva considerare una sfortuna il fatto che una pistola non si rivelasse necessaria in determinate situazioni.

- In genere, salvo rare eccezioni che noi ben conosciamo, i matrimoni non sono così movimentati, no. -

 

Il detective a quelle parole parve come spegnersi: l'accenno di ilarità che aveva stirato le sue labbra sparì repentino come era comparso e l'espressione sul suo viso ritornò ad essere quella cupa e torva di qualche minuto prima.

John, ancora una volta, si ritrovò a sospirare e ad appoggiare la fronte sulle proprie mani giunte, i gomiti ancorati saldamente alle ginocchia nel tentativo di non crollare sotto al peso della stanchezza, del nervosismo provocato dalla frustrata iperattività di Sherlock e, al tempo stesso, della sensazione di star facendo al suo coinquilino un torto madornale.

 

- Sherlock, so che ti stai annoiando, davvero, lo so. E mi dispiace per questo casino del volo in ritardo, però vorrei farti notare che non è colpa mia. - gli fece dunque presente, con un tono che suo malgrado sapeva di scuse. Sherlock si esibì in uno di quei gesti stizzosi così tipici di lui, come se stesse tentando di scacciare via fisicamente un'idea stupida.

- Naturale che non lo sia, Watson, non ho mai pensato che tu avessi la volontà e il potere di far ritardare un volo di dieci ore o di rendere lo staff così idiota da non comunicare il ritardo ai passeggeri prima che essi passino i controlli. Senza contare che rimanere bloccato al terminal di un aeroporto con una bambina al seguito non penso rientrasse nei tuoi piani. -

- Ma nonostante queste tue brillanti deduzioni continui a sbuffare mentre mi guardi storto. -

- Non siamo bloccati qui nel tentativo di prendere un volo per la Francia per andare al matrimonio di mia sorella, giusto? - buttò lì lui con un tono apparentemente casuale che però di casuale, John lo capì subito, non aveva un bel niente. Assunse quindi la sua espressione più sconcertata e irritata, finalmente pronto a litigare nel bel mezzo di uno stramaledetto affollato aeroporto.

- Oh, quindi secondo te è colpa mia se Harry ha deciso di celebrare la cerimonia in Provenza? Non l'ho certo obbligata io a fidanzarsi con una tizia francese, santo cielo! Nemmeno mi piace la Francia! Ma è il suo matrimonio, ha il diritto di celebrarlo dove le pare e io devo e voglio esserci, sono suo fratello! - sbraitò, raddrizzandosi sul sedile di plastica in quella che Sherlock avrebbe definito "la sua posa da militare".

"Sono così felice che abbia smesso di bere, almeno per il momento, che avrei acconsentito a farle da testimone anche se la cerimonia fosse stata organizzata ad Hong Kong." fu il sottotesto che preferì non forzare ad uscire dalla propria bocca e che si limitò a pensare. Tanto, ne era sicuro, Sherlock lo sapeva perfettamente.

- Il fatto che tu voglia e debba esserci non spiega perchè tu abbia deciso di trascinare anche me al lieto evento. Rimanendo a Londra avrei di certo trovato un modo per distrarmi anche in assenza di casi da risolvere. Invece ora mi ritrovo bloccato da ore in questo inutile e noioso aeroporto, in attesa di salire su un noioso aereo che ci condurrà ad un'altrettanto noiosa cerimonia. Dunque, a ben guardare, in effetti la mia noia mortale è colpa tua, John. -

Pronunciate quelle parole Sherlock incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo altrove in un modo che lo faceva assomigliare ad un bambino capriccioso.

 

A quell'ultima dichiarazione, che pure aveva assunto un tono tremendamente polemico e infantile, John Watson reagì con un misto fra un certo stupore e una nuova vampata di quella rabbia che stava aumentando esponenzialmente fin dal principio di quella maledetta conversazione, assumendo un'espressione sbigottita ma soprattutto ormai del tutto offesa. Come aveva già detto sapeva bene che Sherlock trovava tutta quella situazione noiosa e fastidiosa, tuttavia non credeva davvero che sarebbe nata una discussione del genere a causa di tre miseri giorni da passare in Francia.

- Se la cosa ti disturba così tanto perchè diavolo hai accettato di accompagnarci? Era chiaro che non saresti stato entusiasta, lo immaginavo ancor prima di chiedertelo, però non mi sembra di averti trascinato di peso! -

Sherlock stette in silenzio per un tempo piuttosto lungo, abbastanza a lungo da far pensare al dottore di star combattendo una battaglia persa. "Oh, al diavolo" pensò, e stava quasi per alzarsi e andare a fare due passi per sbollire la rabbia quando la voce bassa dell'amico lo raggiunse, così leggera che in quel contesto tanto affollato e rumoroso rischiò quasi di non sentirla.

- Hai detto "per favore". -

 

Il detective mormorò quelle parole, sempre guardando altrove, e la rabbia di John si sgonfiò di colpo, come un palloncino a cui viene strappato il legaccio che intrappola l'aria all'interno.

- Io ho ... cosa? Che c'è di strano nel chiedere un favore? -

- Il punto non è che tu mi abbia chiesto un favore ma la scelta delle esatte parole. Tu non chiedi quasi mai "per favore" e se lo fai è sempre per semplice esasperazione. Però non era questo il caso. Dunque ti accompagnerò perchè è evidente che la cosa ha una qualche rilevanza per te, tuttavia non pretendere che io ne capisca il motivo o che la cosa mi faccia piacere. - spiegò lui quasi tutto d'un fiato, come se non avesse voluto soffermarsi troppo a pensare alla questione.

John fissò lo sguardo sulle proprie scarpe prendendo un profondo e rumoroso respiro, reggendosi la testa con le braccia puntellando i gomiti sulle ginocchia. A volte gli sembrava di non aver fatto altro in quegli ultimi mesi: sospirare ad evitare lo sguardo del suo coinquilino; e forse era proprio così.

La verità era che, per quanto Sherlock potesse trovarsi in imbarazzo nell'affrontare la questione, il dottore ci si trovava almeno dieci volte tanto. Come il detective pareva aver notato era un argomento delicato che tirava in ballo sentimenti difficili e complessi che nell'ultimo periodo lui non aveva fatto altro che tentare di tenere a bada, per evitare che schiacciassero quella parvenza di normalità e serenità che con tanta fatica era riuscito a ristabilire nella sua vita.

Anche dopo la faccenda di Eurus, quando le acque si erano infine calmate, John aveva evitato ogni tipo di discorso troppo impegnato con il suo coinquilino e, in particolar modo, ogni riferimento agli eventi legati al suo ritorno a Baker Street con la figlia. Non tanto per via della tristezza o della rabbia, quelle dopo qualche mese erano diventate un amaro ricordo di sottofondo, quanto piuttosto per la vergogna: faticava a perdonarsi per aver incolpato e fisicamente colpito Sherlock e, soprattutto, per averlo costretto a rischiare la vita pur di scuoterlo dal suo torpore catatonico. Sapeva, naturalmente, che l'amico non serbava rancore nei suoi confronti e che, anzi, aveva compreso che le sue erano state reazioni dettate unicamente dal suo stato emotivo devastato; tuttavia ancora non era riuscito a trovare la serenità che solo affrontare di petto l'argomento, lo sapeva, gli avrebbe portato. Il matrimonio di Harry gli era parso l'occasione giusta per farlo, anche solo da lontano, eppure fino ad allora il coraggio gli era sempre venuto meno.

 

- Non ce la facevo ad andare da solo. - ammise infine buttando fuori quella frase di malavoglia, quasi masticandola, venendo però a patti con il fatto che non si sarebbe sentito in pace con sé stesso finché non avesse fornito a Sherlock una spiegazione valida per quello che lui, era evidente, viveva come un tremendo sacrificio. L'altro riportò finalmente lo sguardo su di lui dopo quelli che gli erano parsi minuti infiniti, osservandolo però con ironico sdegno e pestando poco elegantemente un piede a terra in segno di impazienza.

- John, per quanto io asserisca spesso che tu non sia solito sfruttare appieno le tue facoltà intellettive, ti ritengo ragionevolmente capace di prendere un volo senza bisogno di supervisione. -

- Ad un matrimonio, Sherlock. Non me la sentivo di andare da solo ad un matrimonio, non dopo... sai, Mary. -

Nell'udire quella confessione il detective non disse nulla, si limitò a rimanere immobile per qualche secondo continunado a guardarlo, le sopracciglia corrugate in un'espressione seria ma stranamente predisposta all'ascolto. John lo interpretò come un segnale positivo e deglutì una volta, giusto per darsi la forza di continuare.

- Negli ultimi mesi io sono... noi siamo riusciti a tirare avanti praticamente solo grazie a te. Il che da fuori sembra assurdo, perchè a volte avere a che fare con te è come avere in casa due bambini, come quando finisci il latte senza dirmelo e poi ti rifiuti di passare a comprarlo. Ma per me, lo sai, queste cose non hanno davvero importanza, non l'hanno mai avuta. Da quando... beh, da allora, io non sono stato proprio al mio meglio... ma che dico, sono stato l'ombra di me stesso per un sacco di tempo e tu, tu che in genere ti lamenti di una decina di cose diverse al minuto, non so come ci sia riuscito ma non me l'hai mai fatto pesare. Nonostante quello che è successo all'ospedale. -

 

A quel punto del discorso si fermò un attimo, la voce frantumata sotto il peso di un senso di colpa più grande di lui, chiedendosi che espressione avesse il coinquilino in quel momento: non aveva modo di saperlo dato che non riusciva a sollevare lo sguardo dalle proprie ginocchia, dove l'aveva puntato giusto per non sembrare un idiota disperato che passa le ore a fissarsi i piedi.

- Tu mi hai tenuto in piedi, Sherlock – proseguì, non seppe nemmeno lui con quale coraggio - non so nè come nè per quale motivo tu ti sia sforzato di farlo, però ci sei riuscito e non so come avrei fatto altrimenti, con Rosie, il lavoro e tutto il resto. Quindi ho bisogno della tua presenza, a questo matrimonio. Non penso ce la farei da solo, ma ci tenevo ad andare, quindi... ti ringrazio. So quanto ti costa tutto questo, volo in ritardo, attesa, Francia e tutto. Grazie. - concluse strizzando gli occhi e stringendosi la radice del naso fra due dita come faceva sempre quando era nervoso.

 

Sherlock non era, nel modo più assoluto, fatto per discorsi sentimentali di quel tipo e John si chiese quanto sarebbero state immensamente imbarazzanti ed ingessate le tante ore di attesa che ancora li aspettavano.

Dopo pochi attimi, però, si ritrovò ad aprire gli occhi e a voltare il viso verso il detective, finendo con l'osservarlo dal basso, per via dell'inaspettato contatto che aveva percepito: Holmes gli aveva posato una mano sul ginocchio destro e lo stringeva delicatamente, in un contatto leggero ma rassicurante.

- Dovere, John. - commentò l'amico, guardandolo dritto in faccia con uno sguardo così intenso e carico di qualcosa, qualcosa che il medico non avrebbe saputo descrivere, che per lui fu davvero difficile non voltarsi per evitarlo.

 

Nonostante l'imbarazzo una sensazione di ingombrante comprensione cominciò a farsi strada dentro di lui, spinta alla luce da quell'espressione così carica di significato. Non era nulla che John in cuor suo già non sapesse, stava lì dentro di lui da chissà quanto tempo, appoggiata distrattamente in un angolo e coperta da uno spesso strato di polvere: sempre presente eppure quasi invisibile, non considerata. Di colpo, però, era come se qualcuno vi avesse soffiato lievemente sopra quel tanto che bastava perche potesse brillare chiaramente sotto alla luce della sua consapevolezza.

Si tolse una mano dal viso e la posò su quella di Sherlock, stingendola brevemente e sentendosi un perfetto imbecille: da quanti anni ignorava l'enorme elefante che li seguiva in ogni stanza? Decisamente troppi.

Indirizzò un sorriso incerto all'amico, un sorriso dal basso verso l'alto che diceva tutto ciò che forse non era ancora il momento di dire. Sherlock non si scompose più di tanto, del resto non era un sentimentale, tuttavia l'angolo sinistro della sua bocca si incurvò lievemente in una posa che John classificò come compiaciuta ma anche piuttosto enigmatica.

"Oh, beh" si disse, riflettendo sul fatto che, dopotutto, di tempo ne avevano molto davanti. Avrebbero capito tutto ciò che andava capito con calma, una deduzione alla volta, come sempre.

- Ad ogni modo mi sento in dovere di avvertirti. -

La voce del detective interruppe repentinamente i suoi pensieri e lo indusse a rivolgergli uno sguardo interrogativo a cui, in risposta, il sorriso di Holmes si allargò in un ghigno.

- Questa volta la gente parlerà davvero. - affermò con un tono solenne che cozzava incredibilmente con la sua espressione e che spinse definitivamente una risata liberatoria fuori dalla gola del dottore.

- Oh, non ne dubito! A zia Margaret prenderà un colpo. -

- Penseranno che sia un vizio di famiglia. -

- Harry probabilmente coglierà al volo l'occasione per deridermi raccontando che fin da bambino l'ho sempre voluta imitare in tutto. -

Ridevano ormai entrambi, in modo tremendamente disdicevole per due adulti con una bambina al seguito bloccati da ore al terminal di un aeroporto in mezzo ad una marea di persone.

Però a John non importava ed evidentemente nemmeno a Sherlock.

 

- Potrai sempre dire di averla superata: io sono più affascinante di qualsiasi francese, ne sono abbastanza certo. -

John continuò a ridere come un ragazzino, tuttavia nella sua mente considerò seriamente la questione per un momento: Sherlock era davvero così attraente?

"Che domande, certo che lo è" si rispose quasi immediatamente, dandosi dello stupido per averci dovuto riflettere anche solo per un attimo.

- Purtroppo, anche se te lo meriteresti, non sono nelle condizioni di poter dissentire. Sempre molto modesto, eh? - rispose, decidendo di getto di essere palesemente sincero. "Al diavolo gli scrupoli".

Il detective gli rivolse un'occhiata obliqua, stiracchiata dal ghigno che ancora gli arricciava le labbra e che non accennava a svanire.

- Ho ragionevoli motivi per credere che la modestia sia stata inventata dalle persone poco attraenti. -

constatò semplicemente, con quel tono che chiunque avrebbe considerato borioso ma che John sapeva essere assolutamente neutro. Semplicemente, Sherlock era sempre convinto della veridicità delle proprie affermazioni e, in effetti, per quanto potesse risultare imbarazzante o inopportuno nella maggior parte dei casi non gli si poteva dar torto.

Il dottore si lasciò andare ad un'ultima risatina, una di quelle risate un poco stanche ma che ancora ti fanno brillare gli occhi, che si impigriscono a poco a poco fino a scomparire in una calda sensazione di agio e spensieratezza. Stringeva ancora la mano dell'amico che, incredibilmente per i suoi standard, non sembrava particolarmente infastidito.

Si prese un momento per analizzare l'enormità della cosa, quindi si domandò se non fosse davvero il caso di dire qualcosa sulla sua neonata consapevolezza. Ma dopo non più di un paio di secondi strinse le labbra, scosse lievemente la testa e ricacciò giù lungo la gola l'incipit del discorso che stava lentamente prendendo forma nella sua mente. Non era codardia, nè particolare insicurezza. Semplicemente, sentiva che non era quello il momento giusto.

 

- Forza, finchè Rosie ancora dorme vediamo di fare qualcosa per la tua noia! - esclamò quindi, dando una breve stretta alla mano di Sherlock per poi lasciarla andare e cominciare a girarsi a destra e a sinistra per quanto il piccolo sedile di plastica glielo permettesse.

- A meno che tu non nasconda un cadavere sotto al cappotto dubito che qualunque cosa tu abbia in mente possa funzionare. - commentò l'altro, una ruga profonda ad increspargli le sopracciglia in una smorfia perplessa, mentre John continuava a guardarsi intorno con aria concentrata.

- Nulla di così eccitante, temo, solo il solito gioco delle deduzioni. -

Il detective sbuffò, scoccandogli un'occhiata di pura sufficienza.

- John, ho già dedotto tutto il possibile su ognuna delle persone intorno a noi ormai ore fa. -

- Oh, ma stavolta lo facciamo al contrario: io tento di dedurre e tu mi lanci occhiatacce e mi fai notare i milioni di sottigliezze che non ho colto. Che ne dici? -

A quella proposta Sherlock reagì esattamente come John aveva sperato, ghignando spudoratamente e spostando la mano dal ginocchio alla spalla del coinquilino, spingendolo lievemente in una certa direzione, gli occhi che brillavano di liquida soddisfazione all'idea di potersi mettere in mostra ancora un po'.

- Dico che è il caso che tu cominci dalla signora con il vestito a fiori laggiù a sinistra, quella incredibilmente sudata: è la più semplice. -

 

John prese un bel respiro, preparandosi mentalmente a quello che sapeva già si sarebbe rivelato un gioco estenuante; tuttavia non si pentiva di averlo proposto: qualunque cosa potesse lenire la noia di Sherlock e prolungare quel momento di confortante complicità si trovava in cima alle sue priorità.

Improvvisamente, nonostante i contrattempi e le paure iniziali, era davvero felice di prendere quell'aereo e di andare al matromonio di Harry. Ma, soprattutto, non vedeva l'ora di tornare infine a Baker Street e attendere nel caldo confortevole di casa loro che il momento giusto arrivasse.

E sarebbe arrivato abbastanza presto, ne era certo.

 

- Ottimo. Allora, vediamo un po' ... -

 

 

 

 

 

Note finali: Non ho un beta reader e la mia versione di Open Office si rifiuta da mesi di segnalarmi errori di battitura e quant'altro, quindi perdonatemi se troverete qualche svista nel testo. Se avrete voglia e tempo di segnalarmelo vi prometto che correggerò tutto al più presto! Grazie.

  
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