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Autore: FatSalad    25/10/2017    4 recensioni
Spartaco è giovane, bello, spiritoso, laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con un “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dall'altra parte dello schermo'
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Se c'era una cosa che Spartaco aveva capito attraverso la sua discreta esperienza con il gentil sesso era che le donne sono complicate.
Aveva avuto la fortuna di farne esperienza da vicino fin dall'adolescenza, più precisamente da quando sua sorella aveva raggiunto l'età della pubertà. Avere in casa un esemplare di adolescente femmina che poteva cambiare umore da un momento all'altro, passando da una risata a uno sbattere di porte, era stata una grande lezione di vita. Aveva imparato, per esempio, che a volte una ragazza può scoppiare a piangere senza motivo apparente, che può accogliere un banale complimento come il più atroce degli insulti e soprattutto che anche stando in silenzio nella sua mente si possono agitare così tanti pensieri che potendoli srotolare su una pergamena sarebbero sufficienti a circondare il globo.
L'adolescenza di Giulia era stata la sua palestra e anche se con il tempo alcune delle sue stranezze erano scomparse o si erano quantomeno attenuate, una cosa non era cambiata: sua sorella era complicata. Il punto focale del problema di Giulietta e, per estensione, delle donne era sempre nei pensieri. A volte le donne si aspettavano che Spartaco capisse qualcosa senza che gliel’avessero detta, altre volte il ragazzo aveva imparato ad insistere per farsi dire qualcosa che solo apparentemente una donna non voleva rivelare e cose del genere.
Insomma, avere a che fare con una donna poteva essere piuttosto... stancante. Niente a che vedere con il rapporto che aveva con gli amici, con uno come Michele, per esempio. Lui non aveva problemi a tirare fuori ciò che pensava e quando (in rari casi) stava in silenzio, voleva semplicemente essere lasciato in pace e non c'era da preoccuparsi per il suo benessere. Con un amico poteva alzare la voce e brontolare e bastava stringersi la spalla dopo il litigio per dirsi “scusa”. Chiaro, logico, semplice.
Lunedì, quando Spartaco si svegliò e accese il cellulare, capì che era così che si sentiva: stanco. Stanco nonostante avesse dormito quasi otto ore, come non gli capitava da tempo. Stanco come se stesse correndo una staffetta da solo contro delle squadre e si vedesse sfilare davanti agli occhi tutti i corridori avversari con il testimone in mano. Si sentiva stanco e perdente ed era una sensazione alquanto nuova per lui.
Lilla, infatti, si era fatta finalmente sentire, dopo una serie di messaggi di poco più di una parola l'uno.
«Scusa Spartaco, sono stata un po' impegnata ultimamente, ti va di vederci sabato pomeriggio?» Rilesse Spartaco sul display del cellulare.
Controllò l'orario in cui l'aveva inviato e si chiese se il suo essere molto impegnata significasse che solo di notte trovava il tempo per parlare con lui.
«Ma proprio sabato?!» mormorò, affranto.
Ci pensò un po', scrisse e cancellò qualche frase, poi finalmente si decise e inviò.
«Scusa, sabato pomeriggio non posso, mi libero per la sera. Altrimenti venerdì? Domenica?» rilesse tra sé, come per convincersi di aver fatto una buona scelta. Si coprì gli occhi con un braccio e sospirò. Possibile che di tutti i giorni della settimana lei gli avesse chiesto di vedersi proprio quando era occupato?
Il suono lontano di un clacson gli ricordò che doveva prepararsi per andare a lavoro e si decise ad alzarsi da letto, rimuginando sulla propria scelta. Forse Lilla non sarebbe stata contenta di sapere che aveva declinato il suo invito per vedere un'altra ragazza, ma d'altra parte non si trattava di un appuntamento galante, e, a dirla tutta, anche se lo fosse stato non sarebbe stato grave, dato che loro due non stavano insieme, non più, o non ancora. E poi era una questione di principio: non poteva deludere Irene. Se lo ripeté mentre si lavava il viso, ravvivò i capelli con una noce di gel, squadrò il proprio riflesso allo specchio e decise che era troppo tardi per radersi. Uscito dal bagno afferrò le chiavi dell'auto e guidò per raggiungere l'ufficio e per tutto il tragitto non fece che ripetersi che non poteva deludere Irene.
Ripensò al sabato sera passato. Mentre la ragazza gli parlava di Filippo era concentrato sul racconto, solo una volta tornato a casa aveva rimesso insieme i pezzi. Gli erano tornate alla mente le parole che lei gli aveva detto tra un singhiozzo e l'altro il giorno in cui aveva confessato di essere Kilowatt.
«Credevo che tu fossi come lui. Credevo che tu fossi un cretino troppo innamorato di se stesso per fare attenzione alle altre persone, che tu fossi un egocentrico che non si cura dei sentimenti degli altri perché si crede un gradino sopra a tutti.»
Era quella l'impressione che aveva avuto di lui, dunque? Di un ragazzo che, come aveva raccontato di Filippo, è gentile ed espansivo con tutte le ragazze solo per la propria vanagloria?
Per istinto Spartaco aveva scosso la testa.
“No, io non sono così!” si era detto.
Eppure la sua sicurezza aveva cominciato a tentennare.
«Spartaco... Non so come tu sia abituato, ma per me tutto ciò che hai appena elencato: il fatto che tu passassi tutti i venerdì, che discutessimo dei nostri videogiochi preferiti, che tu fossi sempre così dannatamente gentile con me... beh, per me significava un interesse da parte tua. Mi sbagliavo? Va bene, chiudiamo il discorso.»
Di colpo il ricordo delle parole di un'altra amica gli erano tornate alla mente e aveva sentito uno strano disagio, come quando si ritrovava sotto la pioggia battente e i vestiti gli si appiccicavano fastidiosamente addosso, impacciandolo.
Forse, si era detto quel sabato sera, le due ragazze avevano ragione. Forse il suo modo di fare era troppo socievole quando si trattava dell'altro sesso. Forse ciò che lui considerava gentilezza si spingeva troppo oltre la buona educazione, a volte.
In effetti, quando ci aveva pensato, solo poche ore prima si era trattenuto, di fronte alla collega.
Se fosse stato con un'altra ragazza, se Irene non gli avesse appena raccontato un ricordo doloroso riguardo ad un ragazzo troppo espansivo, probabilmente Spartaco l'avrebbe abbracciata, una volta che avesse finito di parlare. Si era imposto di non farlo ed era stato quello il momento esatto in cui, pur senza dirlo a parole, i due avevano sancito un patto di “sola amicizia”. Nonostante le bugie che si erano detti, nonostante gli errori, nonostante quel bacio che era scappato per sbaglio, volevano essere amici come prima, più di prima.
Avevano ripercorso in silenzio la strada al contrario per tornare alla twingo di Irene, ancora parcheggiata poco distante dal pub in cui si erano dati appuntamento. Quando erano giunti a destinazione erano ancora persi ciascuno nei propri pensieri.
«Credo di doverti una bevuta.» aveva detto Spartaco, che si sentiva tremendamente in colpa per la cattiva riuscita della serata.
«Non so, in teoria ero io ad avere un debito, ricordi? Le due ore che hai passato al bar... che ne dici se facciamo un altro tentativo? - aveva proposto Irene improvvisamente ispirata – Sabato: ti aspetterò al “Coffee Time”.»
Spartaco aveva messo le mani in tasca con aria pensierosa, come se stesse valutando l'ipotesi.
«Accetto solo se mi prometti di indossare quella stessa minigonna a fiorellini.»
«No, quella non me la rimetto... mi metterò un'altra cosa e ti assicuro che ti piacerà un sacco!»
Spartaco l'aveva guardata di sottecchi, interrogativo, non sapendo come interpretare quel tono sbarazzino ed era così che si erano salutati.
Non poteva deluderla, adesso, darle buca per vedere Lilla era fuori discussione, perché sapeva che Irene si fidava di lui, gliel'aveva detto esplicitamente e lui aveva già rischiato di rovinare il loro rapporto.
“Siamo solo amici,” pensò risoluto “veri amici”.
Quando quel sabato pomeriggio raggiunse il Coffee Time e la trovò ad aspettarlo ad uno dei tavolini all’interno, non poté fare a meno di scoppiare a ridere. La ragazza indossava un paio di jeans logori e una t-shirt anonima, ma un dettaglio era piuttosto appariscente.
«Allora, ti piace?» chiese Irene sorridendo e sistemandosi i capelli con una mano non appena Spartaco le fu davanti.
«Ti prego dimmi che hai comprato questa cosa quando avevi otto anni.» disse lui sfiorando il cerchietto che aveva indossato la ragazza, con un enorme fiocco rosso applicato.
Intuì subito che dovesse trattarsi di quello che Kilowatt gli aveva promesso di indossare quando si erano accordati per incontrarsi, per riconoscersi.
«Ne avevo più o meno diciotto.» fu la risposta di Irene.
«Per un cosplay.»
«Perché è carino!»
Spartaco ebbe un nuovo attacco di ridarella.
«Cosa vi porto, ragazzi?» chiese una voce squillante, interrompendo la risata di Spartaco.
Irene, colta impreparata cominciò a pensarci su, ma Spartaco le impedì di parlare, appena si fu calmato definitivamente.
«Ti proibisco di prendere un’altra cioccolata calda. – disse, puntandole contro un indice accusatore – Portaci un caffè freddo e una di quelle coppe di gelato con le fragole sopra.»
«Soliti gusti?»
Spartaco parve pensarci su.
«Facciamo yogurt e nutella.»
«D’accordo, arrivo subito.» disse la barista con un gran sorriso.
Spartaco stava per ricambiare, poi si ricordò di tutte le promesse che si era fatto di non essere come Filippo e si voltò verso Irene, di colpo turbato.
«Allora… - cominciò a caso, per togliersi quella brutta sensazione di dosso – mi spieghi come mai l’altra volta hai preso una cioccolata calda?»
Irene sbuffò. Non era affatto contenta del fatto che Spartaco avesse ordinato senza consultarla.
«Perché mi giravano, ok?» rispose.
«E tu, quando ti girano, trangugi bevande fuori stagione?»
«Di solito no, solo quando mi girano di brutto.»
Spartaco non trattene un sorrisetto: non demordeva, la ragazza!
«Allora dimmi: perché ti giravano?»
«Perché quando sono arrivata a una cinquantina di metri da questo bar ho visto un paio di scarpe giallo fosforescente, orribili tra l’latro, ed ero sicura che il loro proprietario fosse un mio vecchio amico. Avvicinandomi, invece, mi sono accorta che le suddette erano collegate al corpo di un mio collega di lavoro rompipalle.»
Spartaco sentì i muscoli facciali bloccarsi, non sapeva davvero se mettersi a ridere o a protestare.
«La prima cosa che ho fatto, allora, è stata cacciare in borsa il mio bellissimo cerchietto, spostarmi sull’altro lato della strada e passare davanti al bar un paio di volte, nella speranza di vedere altre paia di scarpe di pessimo gusto. Constatato che non ve ne fossero, ho girato le chiappe e sono andata per i fatti miei scrivendo al mio amico Corto che non ce l’avevo fatta. Ad entrare nel bar, intendevo. Ad affrontarti, insomma.»
Si erano guardati negli occhi per tutto il tempo e Spartaco si accorse che era il resoconto più sincero che avesse potuto fargli di quel giorno. Forse era per questo che faceva anche un pochino male.
«Perché alla fine hai deciso di entrare comunque?» chiese il ragazzo.
«Perché tu hai deciso di aspettare.»
Spartaco aprì la bocca per aggiungere qualcosa.
«Ecco qua: caffè freddo e gelato.»
I ragazzi si voltarono verso la barista che stava spostando gli ordini dal vassoio al tavolino.
«Grazie» disse Irene.
Spartaco, invece, decise di non guardare nemmeno negli occhi la ragazza, lasciando un po’ perplessa Irene, che si chiese come mai fosse improvvisamente così scortese.
«Cosa preferisci?» chiese Spartaco, con la voce allegra di sempre.
«Credevo che il caffè fosse per me.»
Spartaco scrollò le spalle.
«Io ho preso quello che mi andava: scegli pure ciò che vuoi.»
Irene arricciò il naso, poi, mordendosi il labbro inferiore per non farsi sfuggire un sorrisetto, tirò verso di sé la coppa di gelato formato gigante. Sembrava una bambina di fronte alla propria torta di compleanno e Spartaco si ritrovò a sghignazzare a quella vista.
«Come immaginavo.» mormorò tra sé.
«Cosa? Che avrei scelto il gelato?»
«Sì, immaginavo che il caffè non ti piacesse tanto.»
«Sì che mi piace!» protestò lei.
«Allora come mai quando lo prendi a lavoro me ne rovesci almeno metà addosso?»
«Oh, andiamo… sarà successo una volta…»
Spartaco sollevò un sopracciglio.
«Forse un paio…» si corresse lei, vaga, poi allontanò lo sguardo dal collega e si portò un altro cucchiaio di gelato alla bocca.
Mentre parlavano del più e del meno Spartaco si ritrovò a confrontare l’atteggiamento di Irene con quello che aveva tenuto solo una settimana prima in presenza dei suoi amici. Era davvero difficile collegare la ragazza buffa e rilassata che aveva davanti, con il suo cerchietto sulla testa e un angolo della bocca sporco di gelato, con quella del sabato prima, che sembrava aver ingoiato una scopa con tutto il manico.
Irene non riuscì a finire tutto il gelato e Spartaco si offrì di farlo al suo posto. Non gli sfuggì il modo in cui la ragazza s’irrigidì nel vederlo usare il suo cucchiaino. Stava per dirle “Ti ricordo che ci siamo già baciati”, ma capì che non era il caso e si trattenne. D’altra parte aveva capito, tra le altre cose, che Irene non gradiva il contatto fisico, allora parlò d’altro, cercando di distrarla dal pensiero del cucchiaino e in qualche modo riuscì a farla rilassare di nuovo.
Quando arrivò il momento di pagare Spartaco pagò per entrambi, sostenendo che aveva consumato quasi tutto lui e dopo qualche protesta Irene desistette perché in effetti il ragazzo aveva ragione.
Rimase un attimo imbronciata mentre lo osservava uscire dal bar.
«Devi essere una ragazza speciale: oggi ha cambiato gusti di gelato.» le disse la barista.
«Mh? Perché, di solito che gusti prende?» chiese lei dopo un attimo di smarrimento.
«Bacio.» rispose la ragazza con un sorrisetto malizioso.
Irene serrò la mascella ed uscì salutando a stento.
«Allora – cominciò Spartaco non appena la collega fu davanti a lui – con queste due ore ritengo di aver saldato il debito.» disse controllando l’orologio.
«Non avevamo decretato che la debitrice fossi io?»
«Quel che è.» concesse Spartaco facendo un gesto con la mano.
«Aspetta, hai detto due ore?» proruppe Irene sgranando gli occhi.
«Più o meno… perché? Dovevi andare da qualche parte?»
«No, devo solo fare attenzione a non perdere l’autobus.» disse Irene controllando l’orario sul cellulare.
«Ok, andiamo: ti accompagno alla fermata.»
«Non ti devi disturbare, non ce n’è bisogno.» protestò Irene.
«Io dico di sì, invece. Se non ci sono più autobus ti riporto a casa, forza!» le disse con tono di rimprovero.
«Ti ripeto che non ce ne sarà bisogno: sono perfettamente in orario!»
«D’accordo, allora ti accompagno alla fermata e basta.»
Irene parve sul punto di protestare, ma Spartaco agì d’anticipo e si incamminò. Alla collega non restò altro che seguirlo.
«Anche tu hai qualche orario?» gli chiese poco dopo.
Spartaco negò scrollando le spalle.
«Allora devi essere nomofobico
«No-che? Sentiamo, cosa vorrebbe dire quest'insulto?»
«Non è un insulto! Nomofobia viene dall'inglese “no mobile” fobia: la paura di perdere il cellulare. Tu avrai controllato lo schermo una ventina di volte in queste ore, devi essere nomofobico!»
Spartaco rise, poi puntò lo sguardo verso il vuoto.
«Sto aspettando un messaggio, veramente.» spiegò, con in mente il volto di una ragazza che non vedeva da troppo tempo.
Irene lesse il suo umore e non indagò.
Procedettero in silenzio per qualche metro, poi Spartaco si accorse della presenza di Irene alla sua destra e si voltò verso di lei, riprendendo a parlare come se niente fosse di film, ricordi d’infanzia, lavoro o progetti per il futuro.
Ad un certo punto il ragazzo rallentò ed allungò una mano verso la testa di Irene.
«Dai, regalo natalizio, togliti quel fiocco adesso!» le disse.
«Ma a me piace davvero...» borbottò lei mettendo su il broncio e sistemandosi meglio l’acconciatura.
La sua espressione unita a quell'accessorio e al lieve profumo di pesca che emanava la faceva somigliare ancora di più ad una bambina, Spartaco non poté trattenersi dall'allungare una mano e stringerle il mento tra indice e medio per lasciarle un buffetto.
«Dai! Che fai?!» lo sgridò lei.
«Onestamente mi hai stupito: sei imprevedibile.» confessò Spartaco abbassando la mano e scuotendo il capo.
«Lo prendo come un complimento.»
«Forse lo è.»
Irene stava per ribattere qualcosa, ma una voce la chiamò facendola arrestare con le labbra socchiuse.
Anche Spartaco si fermò e cercò il proprietario di quella voce alle loro spalle. Non sapeva dove, ma era sicuro di averla già sentita.
«Renetta!» ripeté la voce.
“Oh, sì” pensò Spartaco mettendo a fuoco il suo proprietario “l’ho sentita eccome…”
 
 
Una settimana prima, 9 luglio, ore 22: 10:
- Irene, devi smetterla di chiamarmi SpartaCorto, dico sul serio!
- Perché? A me piace!
- Perché non sono “corto” per niente, ok?
- …non riesco a credere che tu abbia scritto una cosa del genere. Non dirmi che è solo una questione di orgoglio maschile perché non voglio crederci! Possibile che voi uomini siate costantemente preoccupati per la buona fama dei vostri attributi?! Allora non ti chiamerò più SpartaCorto...
- Oh! Era l'ora!
- ...Ti chiamerò Cortissimo!
- Stronza
- Che posso farci? Se sei tanto sensibile all'argomento... Non posso mica cambiare sulla fiducia
- Non starai mica dicendo...?
- Non credo a nessuna notizia senza aver verificato le fonti. Ma non ti preoccupare, non svelerò a nessuno il tuo piccolo segreto.
- Irene! Kilowatt aveva più pudore!
- Corto non si lamentava per come lo chiamavo!
- Ma Spartaco preferisce essere chiamato Spartaco, a Irene non piace?
- Le piace tantissimo.
 
 
Il mio angolino:
Finalmente... Spartaco is back!
Vi ringrazio di cuore per la pazienza e la comprensione.
Se vi interessa questo è il link alla mini long con cui sto partecipando ad un contest:
https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3715051&i=1
Incrocio le dita e a presto,
FatSalad
   
 
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