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Autore: missredlights    25/10/2017    14 recensioni
Aveva perso il conto quando si era ritrovato a uccidere la sesta o la settima vittima, difficile dirlo. Una mattina, a sangue freddo, aveva fatto scorrere un cappio intorno al collo della ragazza che aveva amato e l’aveva impiccata al ramo di un albero per nascondere i segni dello strangolamento. Ne aveva squarciato le vesti mettendo a nudo la sua femminilità. L’aveva ammazzata perché sapeva che così facendo avrebbe commesso un peccato – un peccato mortale.
"4° posto al contest 'Phobos & Deimos' di Little_Rock_Angel5 sul forum di EFP"
Genere: Horror, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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cap

“Basta, smettetela! Dov’è?! Dov’è quell’oggetto infernale? Fatelo smettere!”

Nel silenzio più totale si sentiva sempre lo stesso rumore. Limpido, continuo, cristallino, un rumore che lo faceva diventare pazzo. Non sapeva di preciso quando era iniziato, si ricordava solo che le sue mani si erano mosse da sole e avevano spezzato un collo. Aveva visto la vita che abbandonava quel corpo nel momento esatto in cui gli occhi si erano girati rivelando il bianco opaco. Aveva provato uno strano senso di appagamento, ritrovandosi con la patta dei calzoni rigonfia e quell’oggetto sotto il suo piede, rompendolo in mille pezzi.

“Quanti ne hai uccisi?”

Una voce ruppe per un istante quel rumore, una frazione di secondo. Poi di nuovo quello stesso rumore.

“Smettila! Smettila o giuro che ti ammazzo!”

Non ricevette risposta se non quell’incessante rumore, un rumore che scatenava la sua furia omicida. Era una reazione che nasceva dalle viscere della sua memoria. Era stato quello stesso ticchettio che aveva sentito ogni volta che il suo patrigno aveva aperto la porta della sua stanza e aveva abusato di lui, mentre gli premeva una mano sul collo per non farlo urlare, lasciandolo agonizzante e col suo seme dentro di lui, a marchiarlo, a sporcarlo.

“Dovresti rispondermi, se vuoi che smetta.”

“Non lo so quanti ne ho uccisi!”

Aveva perso il conto quando si era ritrovato a uccidere la sesta o la settima vittima, difficile dirlo. Una mattina, a sangue freddo, aveva fatto scorrere un cappio intorno al collo della ragazza che aveva amato e l’aveva impiccata al ramo di un albero per nascondere i segni dello strangolamento. Ne aveva squarciato le vesti mettendo a nudo la sua femminilità. L’aveva ammazzata perché sapeva che così facendo avrebbe commesso un peccato – un peccato mortale.

“Oh, ma tu lo sai. Sei destinato a morire, Uriel.”

“Non potete! Non avete niente contro di me!”

“Allora perché li hai uccisi? Te lo dico io, il perché. Loro ti ricordavano il tuo patrigno, non è vero? Te lo ricordi di come abusava di te quasi ogni notte? Te lo ricordi di come si svuotava dentro di te e di come premeva la mano intorno alla tua gola quando eiaculava?”

“Tu… Tu come sai queste cose?”

Il battere martellante del suo cuore coprì per un istante quel rumore tanto odiato, mentre la paura si impossessava del suo corpo, lasciandolo immobile e col fiato sospeso. Solo una persona sapeva di queste cose: il suo patrigno.

“Ciao, Uriel. Sei pronto a morire?”

La luce della torcia illuminò per un istante il volto del suo patrigno che teneva con una mano la torcia e con l’altra un orologio. Il cardine motore della sua paura e della sua follia omicida.

“Il prigioniero ha confessato, Mastro Slayer?”

Un breve cenno del capo e Uriel venne portato via dalla sua prigione, spinto fuori e legato a due alberi piegati e poi lasciati andare. Quella sarebbe stata la sua condanna a morte. L’ultima cosa che sentì fu il ticchettio dell’orologio, mentre le funi venivano recise.

 

 

   
 
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