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Autore: Redferne    27/10/2017    3 recensioni
A cosa pensa un uomo durante gli ultimi istanti della sua vita?
A che pensa, mentre si trova sul punto di morire?
Genere: Drammatico, Sportivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danpei Tange, Joe Yabuki, José Mendoza, Sorpresa, Yoko Shiraki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yoko Shiraki.

Nipote di Mikinosuke Shiraki, ex – pugile dilettante e magnate dell’imprenditoria e del commercio.

Avvenente rampolla di una delle famiglie più potenti ed influenti dell’intero Giappone, e futura erede di uno sterminato impero economico che dal suolo del sol levante si estendeva per tutto quanto il continente asiatico, dai confini con l’Unione Sovietica ed i paesi europei facenti parte del blocco comunista, fino alla Cina e alla Corea. Per non parlare delle zone arretrate e sottosviluppate nella parte del Sud – Est, dove governi senza troppi scrupoli e remore concedevano ai ricchi imprenditori permessi per lo sviluppo industriale senza battere ciglio, in cambio di ingenti somme di denaro. Un affare davvero redditizio per entrambe le parti, vista la quantità spropositata di zone incolte e facilmente edificabili, di materie prime da depredare e la manodopera a basso costo da poter sfruttare, composta da disperati e poveracci con nulla da mettere sotto ai denti e ancor meno da perdere. Del resto lo stavano già facendo gli americani, quindi, perché no? Sotto a chi tocca, gente! Ma occorreva sbrigarsi, perché gli Yankee erano rapidi, spregiudicati e sbrigativi. Ti toglievano letteralmente il terreno da sotto al sedere, se non ti davi una mossa.

Preda ambita, vezzeggiata e corteggiata da baldi giovanotti della società – bene, ansiosi e desiderosi di aumentare il proprio status sociale o di diventare ancora più ricchi di quanto già schifosamente non fossero, quella fanciulla era sempre stata la dimostrazione vivente che le donne appartengono proprio all’altra metà del nostro cielo.

QUELLA NUVOLOSA, OVVIAMENTE.

Loro due erano si erano sempre comportati come cane e gatto. Costretti ad una convivenza impossibile sotto lo stesso tetto, anche se sanno benissimo di non potersi soffrire.

A onor del vero gli toccava ammettere, seppur a malincuore, che era stato lui a cominciare. Quando, con la complicità più o meno inconsapevole dei ragazzini del quartiere, aveva inscenato una patetica farsa coinvolgendo alcuni giornalisti e montando un caso mediatico. Il ragazzo di buon cuore che si occupa di una famiglia di poveri orfanelli come se fossero i suoi fratellini. Funzionava alla grande, sempre. E mica era l’unico, ad aver avuto una simile pensata. Era roba abbastanza comune, a quei tempi. Bastava avere solo il coraggio di provarci. E lui CE L’AVEVA.

Oh, si. Ce l’aveva avuto eccome.

Bastava provarci, si diceva. Buttare l’esca e aspettare che il pesce, rappresentato dal gonzo di turno, abboccasse in pieno prendendosi l’amo con tutta quanta la lenza. Come aveva fatto lei, povera scema.

Si, scema. Proprio quello era, e null’altro. Il mondo, IL SUO MONDO, quello popolato da quelli come lui, quello dove aveva sempre vissuto e lottato, apparteneva ai FURBI. ERA DA SEMPRE APPARTENUTO AI FURBI. Ci si poteva giurare o scommettere tutto ciò che si aveva di più caro, su questo. Era la pura verità.

Chi si lasciava ingannare era destinato a PERDERE. E la colpa non era di chi ingannava, no di certo. Non era lui ad essere disonesto. Era chi si faceva fregare ad essere IDIOTA, tutto qui. E avrebbe dovuto tenerlo bene a mente e prenderlo di lezione, da quel momento in poi. E avrebbe dovuto imparare a stare molto più attento, nello scegliere di chi potersi fidare.

L’aveva fregata? Beh...tanto peggio per lei.

Era filato tutto liscio come l’olio. Aveva fatto appena in tempo a sentire già il frusciare degli Yen nuovi di zecca sulle sue mani, quando il vecchio guercio si era accorto dell’inghippo ed era andato letteralmente fuori dai gangheri. Lo aveva riempito ben bene di botte e lo aveva consegnato agli sbirri, che lo avevano impacchettato come un salame e fatto finire in guardina in attesa del processo. Che era avvenuto per direttissima, visto l’alto lignaggio delle persone che aveva danneggiato con il suo raggiro.

E lei era là, all’udienza. A guardarlo dritto in faccia. Con tutti che biascicavano scuse e si genuflettevano al suo cospetto, mentre si esibivano in salamelecchi e facevano a gara di esibizioni di sincero cordoglio per lo spiacevole accaduto. Tutti tranne LUI.

Non aveva fatto una sola piega, mentre lo conducevano al riformatorio speciale a suon di calci, insulti e spintoni, dicendogli che era senza cuore se non provava almeno un minimo di vergogna per aver così ignobilmente approfittato di quella poverina dall’animo così sensibile, delicato e disinteressato.

Poverina. Tsk, ma per favore. Disinteressata UN CORNO. Li conosceva bene, quelli e quelle come lei. Abbastanza da sapere che non fanno mai NULLA per disinteresse. Quando decidono di muovere il culo per aiutare un povero cristo, lo fanno con il chiaro e preciso scopo di vedere quest’ultimo sciogliersi in lacrime di gratitudine e commozione. Detto e sentito così, pare proprio la più classica delle ovvietà. Peccato che non abbia alcun senso. E come se una famiglia decidesse di prendersi cura di un viandante sperduto e, dopo averlo rifocillato a dovere e sentito dire VI SONO GRATO, AVEVO FAME E MI AVETE DATO DA MANGIARE, AVEVO SETE E MI AVETE DATO DA BERE rispondessero in coro e belli giulivi SAPEVAMO CHE CI AVRESTI RINGRAZIATO.

E’ proprio qui che sta la gran cazzata. LORO NON DOVREBBERO SAPERLO.

Molto meglio un NON RINGRAZIARMI, IN REALTA’ NON SO BENE NEMMENO IO PERCHE’ HO DECISO DI COMPORTARMI COSI’. LA MIA MANO DESTRA NON SAPEVA QUEL CHE COMBINAVA LA SINISTRA. L’HO FATTO PERCHE’ MI ANDAVA DI FARLO, TUTTO QUI. SE CI TIENI TANTO A RINGRAZIARE QUALCUNO, RINGRAZIA LA SORTE CHE TI HA FATTO VENIRE QUI DA ME OGGI CHE MI SENTIVO IN BUONA. FOSSI VENUTO DOMANI, TI AVREI CACCIATO VIA DA QUI A CALCI E BASTONATE, A TE E A QUEGLI STRACCI SPORCHI E PUZZOLENTI CHE PORTI ADDOSSO.

Brusco e spiccio, é vero. E brutale. Ma anche spontaneo, schietto e sincero.

Questa era la vera solidarietà, dal suo modesto punto di vista. Fare le cose senza aspettarsi nulla. Se ti aspetti ringraziamenti o qualcosa d’altro in cambio, non é più beneficenza.

Diventa FALSA CARITA’.

DIVENTA IPOCRISIA BELLA E BUONA.

E sia, comunque. Era sempre stato più che disposto a volerlo ammettere. Era senz’altro stato lui ad incominciare, senza alcun dubbio. Ma era stata la cara signorina a continuare imperterrita.

Da quel giorno se l’era ritrovata sempre in mezzo, ovunque andasse. Peggio di uno spirito maligno o di un fantasma vendicativo. Gliel’aveva giurata, ecco come stavano le cose.

L’aveva ritrovata al riformatorio, dove aveva scoperto che veniva a fare spettacoli e volontariato insieme al sua compagnia di teatro intinerante. Una congrega composta da figli di papà che non sapevano come impiegare il loro tempo. E dove aveva scoperto che veniva adorata ed idolatrata al pari di una regina. Persino dalle guardie. E naturalmente dai ragazzi. DA UNO, IN PARTICOLARE.

Dal tizio per cui aveva praticamente smesso di pensare a qualunque cosa non fosse la Boxe. Fosse stato solo per il vecchio, avrebbe passato il resto della vita a prenderlo per il culo fingendo di allenarsi, e andando in giro a rubare e a truffare il prossimo mentre lui era a spaccarsi la schiena per ramazzare quattro miserabili spicci.

TOORU RIKIISHI.

La amavano tutti quando c’era. E la sognavano tutti quando non c’era. Tutti TRANNE UNO, come sempre. Vai ad indovinare un po' di chi si trattava. E questo, lei non lo aveva mai sopportato. E non lo aveva mai sopportato nemmeno Rikiishi.

Loro due si erano accapigliati sin da subito. Logico, Tooru doveva essere stato sicuramente al corrente di quello che lui aveva combinato fuori di lì alla sua bella Yoko. Lei doveva averlo imbeccato ed indottrinato a puntino. Ed inoltre, era il suo pupillo. Suo e di suo nonno. Una volta scontata la pena lo avrebbero rilanciato nel pugilato professionistico, facendone un campione. Ed un campione lo era davvero. E tutti ne erano consapevoli, di questo. E ne riconoscevano il talento ed il valore. Tutti, ovviamente, TRANNE UNO.

SEMPRE LO STESSO, TANTO PER CAMBIARE. SEMPRE LUI.

A quei tempi avrebbe preferito farsi ammazzare piuttosto che essere disposto ad ammettere la sua superiorità. Per forza. Durante il loro primo scontro, quel tanghero lo aveva sconfitto con UN SOLO PUGNO. L’unica cosa che gli era rimasta da fare era non dargli la minima soddisfazione.

Yoko lo aveva intuito al volo. E ne aveva approfittato subito, finendo per metterli l’uno contro l’altro.

Prima in un incontro farsa davanti a tutta la popolazione carceraria, con Tooru nel ruolo di protagonista e lui a fare da buffone e vittima sacrificale. Per lavare l’onore ferito della principessa che era lì in tribuna d’onore, a godersi lo spettacolo.

Ma, grazie ad una provvidenziale dritta del vecchio pugilomane, le cose non erano andate affatto come lei aveva previsto. Si era concluso tutto quanto in un pari e patta che non aveva lasciato soddisfatto nessuno dei due.

A lui non piaceva lasciare le cose in sospeso. E nemmeno a Tooru, come avrebbe purtroppo scoperto in seguito. In questo erano davvero più simili di quanto avessero mai potuto immaginare.

Soprattutto Rikiishi l’aveva messa veramente sul personale. Doveva essersi messo in testa che il mondo del pugilato era troppo piccolo per entrambi. Che la sua stessa presenza doveva essere un autentico insulto nei confronti dell’intera disciplina. Un’anomalia, da cancellare all’istante per riportare l’ordine.

Da quel giorno era scoppiata un’autentica faida, che era continuata persino oltre le mura del carcere. E che si era protratta fino alle più estreme conseguenze, oltre la logica ed ogni buon senso. Fino a sfociare dritta sul ring, in un match che non avrebbero mai e poi mai dovuto disputare. Con Rikiishi che si era ridotto ad uno scheletro per rientrare nei limiti di peso della sua categoria. Per combatterlo e sconfiggerlo ad armi pari, e non lasciare addito ad alcun dubbio.

Alla fine aveva ottenuto la vittoria. Anzi, di più.

AVEVA VINTO PER L’ETERNITA’. PER SEMPRE. Ma a quale prezzo...

L’aveva vista bene, subito dopo. Era letteralmente sconvolta. Rannicchiata in un angolo, davanti al corpo senza vita di Rikiishi, steso su di un lettino. Con un espressione beata sul volto. E con una strana smorfia sulle labbra, simile ad un sorriso che sembrava aver indugiato, essere proseguito oltre la sua stessa morte. E proprio per questo ancora più terribile a vedersi.

Aveva poi detto che negli ultimi periodi anche lei si nutriva poco per cercare di condividere almeno in parte i suoi tormenti.

STRONZATE. Nient’altro che pure e semplici stronzate. Se le fosse importato veramente qualcosa del suo nobile cavaliere senza macchia e senza paura, gli avrebbe impedito quella dieta scriteriata. Gli avrebbe impedito di fare quella FOLLIA. Ed invece aveva fatto sigillare persino i rubinetti dei lavandini e delle docce per non farlo nemmeno bere, mentre lui pativa le pene dell’inferno. Perché la verità e che anche lei aveva voluto che finisse così. Aveva voluto che andasse fino in fondo. Che il suo principe azzurro lo battesse a tutti i costi.

Dal giorno della tragedia, il comportamento di Yoko si era fatto ancora più incomprensibile. Sembrava che fosse diventata una banderuola. Cambiava con l’alzarsi e l’abbassarsi del vento. Un attimo prima gli sembrava fosse sul punto di incensarlo e metterlo su di un trono, per poi scaraventarlo a terra e volerlo schiacciare sotto ai suoi piedi l’istante successivo. Non riusciva a capirla, quella ragazza. Certe volte gli pareva schizofrenica. Come scissa in due parti. Una composta di affetto e l’altra di puro disprezzo, che non erano mai riuscite ad amalgamarsi completamente. E che erano in perenne conflitto, senza mai un vincitore.

Un angelo e un demone che convivevano nello stesso, fragile corpo. Alle volte era uno, alle volte era l’altro.

A onor del vero, in certi casi gli era tornata davvero utile. Come quando aveva deciso di tornare sul quadrato, per poi scoprire di non aver ancora superato il trauma della scomparsa del suo rivale. Nel peggiore dei modi possibili. Non riuscendo più a colpire l’avversario al volto. Oppure mettendosi a zampillare vomito dalla bocca peggio di un idrante le poche volte che ne portava a segno qualcuno, per caso o per disperazione.

Una vera manna dal cielo per i capoccia della federazione, che tramite passaparola avevano provveduto a rendere pubblico il suo punto debole, in modo da costringerlo al ritiro. Perché davano un gran fastidio, lui ed il vecchio. A loro e ai loro pugili. Gli avevano sempre rovinato la piazza.

E la cara signorina cosa aveva fatto? Aveva ingaggiato e fatto arrivare in tournée, direttamente dal Venezuela, nientepopodimeno che il celeberrimo Carlos Rivera detto IL RE SENZA CORONA, futuro aspirante al titolo mondiale dei pesi Bantam. Quest’ultimo, nel giro di poche settimane, aveva fatto piazza pulita dei tre pugili più forti della categoria: KOJI NANGO, RYU HARAJIMA e, dulcis in fundo, TIGER OZAKI. Guarda caso gli stessi che, in rapida successione, lo avevano ignominiosamente battuto sfruttando il suo handicap. E senza usare nemmeno un briciolo della sua reale forza. E alla fine, prima di ripartire alla volta del Sud America dove, nel frattempo, il campione aveva accettato la richiesta di mettere in palio la sua cintura, aveva dichiarato di voler combattere ancora un match: contro di lui.

Proprio così. Gli aveva lanciato una sfida.

Ed era finita in parità, al termine di quindici riprese combattutissime.

Se l’era giocata al suo stesso livello.

Risultato? Aveva superato finalmente il suo blocco psicologico e si era ritrovato proiettato all’improvviso sulla scena mondiale. Evento più unico che raro visto che si parlava di uno che, almeno per ciò che riguardava il Giappone, non era da considerarsi nemmeno più tra i primi dieci in classifica!

Pazzesco. Davvero pazzesco.

Alle volte lo aiutava. Altre, invece, gli metteva i bastoni tra le ruote riempiendolo di ansie, dubbi e timori inopportuni. Ad esempio mentre era intento a sottoporsi ad un regime a dir poco spartano a base di digiuni, saune a non finire e addirittura donazioni di sangue pur di affrontare il detentore del titolo asiatico: RYUHI KIM. Il suo corpo era ormai cresciuto, e la categoria Bantam aveva cominciato ad andargli stretta. Ma non aveva voluto abbandonarla, nonostante fosse più saggio e sensato passare a quella superiore. Gli sarebbe sembrato di fare un grave torto a Rikiishi, agendo così.

Anche in quell’occasione il suo intervento era stato provvidenziale. Nel senso che il suo sermone all’angolo al termine della quinta ripresa lo aveva fatto incazzare talmente tanto che, al suono del gong, si era avventato sul coreano e lo aveva massacrato di colpi fino a scaraventarlo fuori dal ring.

Kim era una macchina da combattimento ormai, non più un uomo. E lui, in quanto ancora umano, aveva fatto quello che tutti gli esseri umani fanno con le macchine quando perdono la pazienza: lo aveva smontato a suon di cazzotti. E lo aveva fatto volare fuori dalla finestra. Con buona pace sua, del suo allenatore – comandante, del suo stomaco che si era ristretto come quello di un bambino, del CHOM – CHOM e di suo padre disertore che aveva accoppato a pietrate sulla zucca per fregargli il cibo.

E VAFFANCULO.

Che poi uno non dovrebbe andarsene a raccontare i cazzi propri ad un perfetto sconosciuto che non ha mai visto prima in vita sua, per quanto brutti che siano stati. Non é naturale. A meno che il tipo in questione non sia un fottuto pazzo psicopatico. O che non abbia secondi fini.

Ecco, era proprio questo il punto. Anche quando gli dava una mano, Yoko sembrava avere sempre un secondo fine. Imperscrutabile, il più delle volte.

Quando si erano incontrati alle Hawaii, mentre lui aveva difeso la cintura per la prima volta contro uno degli idoli locali, tale PINAN SARAWAKI, lei aveva incontrato nientemeno che il campionissimo José Mendoza. In privato ed in via del tutto riservata. Ed al termine di una trattativa delicatissima, aveva ottenuto il privilegio di essere l’unica detentrice dei diritti televisivi e di quelli legati allo sfruttamento della sua immagine e della sua persona. Relativi al suolo nipponico. Un’esclusiva che equivaleva alla promessa di recarsi presto in quel paese per affrontare il suo pugile più rappresentativo. Inutile dire chi fosse. Così come era inutile aggiungere che era ben più di una promessa, giunti a quel punto. Era una certezza.

Andava tutto quanto in discesa, dunque.

Peccato che, al ritorno in Giappone, la cara miss Shiraki aveva deciso di negare l’esclusiva alla federazione pugilistica, voltando il sedere e mettendosi di traverso. Avrebbe cambiato idea solo in cambio di un favore: fargli combattere un ulteriore incontro, prima di quello valido per il titolo mondiale. Contro un avversario di sua scelta.

Aveva presentito subito odor di grane in arrivo. E le aveva previste giustamente.

Gli era toccato partecipare ad un match a dir poco assurdo, una baracconata da fiera con un malese, un essere mezzo uomo e mezza scimmia che si esprimeva unicamente a versi e a grugniti, e che nemmeno il più fantasioso degli esperti avrebbe potuto definire pugile. Un autentico selvaggio che aveva uno stile tutto suo a base di balzi, capriole, piroette e giravolte. E che si era rivelato più combattivo ed ostico del previsto.

Roba buona giusto per il circo. E alla fine lo avevano pure squalificato per pessima condotta di gara e per le troppe scorrettezze. Più che ovvio visto che quella bestia, dopo che l’aveva messa con le spalle al muro, si era dapprima messa a scappare correndo qua e là per il ring, dandogli le spalle e arrivando persino a ripararsi dietro ad uno sconcertato arbitro. E poi aveva iniziato a tirare calci, gomitate, ginocchiate e persino MORSI. Ma almeno aveva fatto in tempo a levarsi la soddisfazione di rompergli quel suo muso sudicio e deforme, prima che lo rispedissero nella foresta insieme a Baloo, Bagheera, Shere Kahn e compagnia bella a quattro zampe.

Tutto finito, dunque? Ma neanche per sogno.

Giusto una settimana prima del incontro valido per il titolo, aveva avuto la bella pensata di inviare una lettera alla loro palestra dove farneticava che a ridurre il povero Carlos ad un semi – demente in grado a malapena di parlare e camminare non era stato lui. Ma José. Il tutto coadiuvato da radiografie e dal resoconto di un luminare, un’eminenza grigia della neurochirurgia, tale KUKLINSKI o DOWALSKI o come accidente si chiamava. Ah, no. KINISKY, ecco come si chiamava. Aveva sfatato la sua leggenda. E aveva fatto capire a tutti la pericolosità dei pugni di Mendoza. Proprio quel che che occorreva, per alzare il morale in vista di un momento tanto delicato.

E non solo. Aveva iniziato a tempestare l’ufficio del vecchio di telefonate. Per decine di volte al giorno. Telefonate a cui lui non si era nemmeno preso il disturbo di voler rispondere.

Ormai non riusciva più a comprenderla. Sul serio.

Che cosa le frullava, in quella sua testa?

Che cosa diamine voleva?

CHE DIAMINE VOLEVA DA LUI, ORMAI?

Qualunque cosa avesse da dirgli, aveva deciso di non volerla sentire. Non gli interessava.

O forse...AVEVA PAURA DI SENTIRLA.

E quando se l’era vista piombare nello spogliatoio di soppiatto, aveva capito che le cose stavano veramente così.

Yoko sapeva tutto. AVEVA SCOPERTO OGNI COSA.

“...Cosa ci fai, qui? Che ci sei venuta a fare? E’ buona regola non disturbare un atleta poco prima di una gara importante. Dovresti saperlo anche tu.”

“Perdonami, Joe. Ma...visto che non riuscivo più a parlarti, nemmeno per telefono, ho...ho pensato che questa fosse l’unica...L’ULTIMA OCCASIONE. E ho deciso di giocarmi tutto su questa eventualità. Noi...dobbiamo parlare.”

“Non abbiamo proprio NIENTE da dirci, io e te.”

“Si, invece. E SUBITO, anche.”

“Se proprio devi...”

“Si, devo. Adesso. ORA.”

“Parla, allora. Ma spicciati.”

“Ascolta, Joe...non combattere contro Mendoza. NON CI DEVI COMBATTERE, MI HAI CAPITO?!”

“Ma che stai dicendo?”

“Non...non ti devi preoccupare. So bene...so bene che ci sono delle penali. Volevo dirti che pagherò tutto quanto io. Mi occuperò io di ogni cosa...”

“Smettila con queste sciocchezze, e fammi uscire.”

“Joe, ti prego...ascoltami, per favore! Solo per questa volta! Non affrontarlo! Hai visto quanto é forte! Hai visto come ha conciato Rivera, con i suoi colpi! Non gettare al vento la tua vita così, ti scongiuro! E poi tu...tu non sei più al massimo della tua forma, ecco la verità.”

“Ti sbagli. Non sono mai stato così bene, invece.”

“No! Non é vero! Le tue condizioni non sono più ottimali. Ed é già così da parecchio tempo!!”

“Piantala, Yoko. Non attacca, con me.”

“E’ così, ti dico! Alle Hawaai...quando hai fatto quella passeggiata con me sulla spiaggia, al chiaro di luna...ANDAVI TUTTO STORTO! Camminavi...camminavi a zig – zag, e a te é sembrato di procedere in linea retta! E quando...quando hai ritrovato Carlos, dopo l’incontro con Harimao, non...non riuscivi nemmeno ad allacciargli i bottoni della camicia! Per non parlare di quando sei andato di corsa verso gli spogliatoi...hai perso l’equilibrio e sei caduto! Ma non perché sei inciampato, tutt’altro! TU NON STAI BENE! DEVI...DEVI AVERE SICURAMENTE DEI DANNI CEREBRALI...E GRAVI, PER GIUNTA!! NON PUOI AFFRONTARE IL CAMPIONE COSI’ COMBINATO!!”

“Toh...si direbbe proprio che tu abbia scoperto l’acqua calda.”

“C – come dici?! Vuoi dire...vuoi dire c – che tu...tu già lo...”

“Pensi di avere a che a fare con un cretino, Yoko? E’ del mio corpo, che si sta parlando. Tutti i sintomi che mi hai appena descritto li avevo notati anch’io. Ne ero già al corrente, di ogni cosa.”

Già. Non gli aveva raccontato proprio nulla di nuovo, per quanto fosse sempre sgradevole tirare in ballo l’argomento. Ma la vera sorpresa, quello che non si sarebbe mai aspettato era ben altro. Quello che gli avrebbe confessato di lì a poco.

 

“NON...NON ANDARE, JOE!!”

“DEVI SAPERE CHE...CHE IO...IO TI AMO!!”

“IO TI AMO, JOE!!”

 

Oh, cazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!

E alla fine é arrivata Yoko…

In un capitolo che temo farà arrabbiare non pochi lettori.

Beh...se accadrà, lo accetterò. Fa parte del gioco. E dei rischi.

E di rischi da quando ho iniziato a scrivere su questo sito ne ho presi parecchi, ve lo posso assicurare. Basti vedere cos’ho combinato nell’altra mia long tutt’ora in corso...

D’altra parte non mi ritengo una persona che ama le scelte facili.

Il motivo di una possibile arrabbiatura lo avrete sicuramente intuito dopo aver finito di leggere.

Di come la povera Miss Shiraki viene dipinta veramente a tinte fosche. FOSCHISSIME.

No, sul serio. Il quadro generale é veramente IMPIETOSO, nei suoi confronti.

Il fatto é che non ho una visione molto benevola, di questo personaggio.

Certo, fa sicuramente parte del suo fascino ambiguo. Ma non posso fare a meno di averla considerata, spesso e volentieri, una FREDDA, CINICA E SPIETATA MANIPOLATRICE.

In parte la ritengo responsabile di ciò che é accaduto a Rikiishi. E a Carlos. E naturalmente a Joe.

Ma non per questo la odio.

Ritengo che tutti abbiano diritto ad una seconda possibilità. E poi...il confronto tra i due non é ancora terminato.

Anzi...dopo QUELLA FRASE, direi che IL BELLO VIENE ADESSO!!

Proprio così: da bravo carognone, ho deciso di suddividere l’episodio in due parti.

E aggiungo che il boccone più gustoso me lo sono tenuto per quella successiva!

Abbiate ancora un po' di pazienza. I piaceri vanno centellinati a piccole dosi, dopotutto.

Ringrazio intanto innominetuo, Devilangel476 e kyashan_luna per le recensioni del secondo capitolo. E quest’ultimo per averla messa anche tra le seguite.

E un grazie a chiunque leggerà la storia e se la sentirà di lasciare un parere.

 

Alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

   
 
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