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Autore: matmatt98    28/10/2017    0 recensioni
‘Fin dalla nascita ti educano al rispetto, all’audacia e all’amore. Ti raccontano di essere speciale e ti raccomandano di essere forte, di non arrenderti mai. Ti dicono di non preoccuparti, che dopo una sconfitta ci si rialza sempre, che dopo la tempesta il sole spunta inevitabilmente ad asciugare i fiori.
Poi maturi e scopri che sei cresciuto nell’ipocrisia. Perché la pioggia non cessa praticamente mai – almeno non dentro –, perché tutti in fondo cercano di vivere al meglio delle proprie possibilità e non c’è nulla di speciale nel sopravvivere. Perché le persone che dovrebbero dare un esempio ed esserlo, quelle che hanno il compito di elevare l’amore e donarlo al prossimo senza risparmio, quelle che dovrebbero difenderti dalle brutture dell’universo, sono proprio quelle che il loro prossimo lo calpestano e additano perché umano ed, in quanto tale, incapace di rifiutare i propri sentimenti.
Ti è sempre stato detto d’amare, fino a svuotarti di ogni cosa, ma poi, quando improvvisamente spalanchi la mente e con le braccia ti apri le costole per donare il tuo cuore decidendo di guardare al di là di una futile distinzione di sesso, cultura ed età, all’improvviso qualcosa cambia. ‘
M/M
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Give Me Love

Scosse il capo afflitto, sapendo che già in partenza che con lui sarebbe stata sempre una partita persa. «Perché hai scelto Give me love?»
Quando aveva accettato di duettare si era scordato di chiedere cosa avrebbe dovuto cantare, ma dannazione, di certo non si aspettava Ed Sheeran. Era quasi convinto che la Rossi l’avesse fatto apposta. Quella donna aveva qualcosa di strano, sul serio. Con quei suoi anelli e i capelli troppo rossi.
Carlo, seduto sull’orlo del letto si sistemò la chitarra sulle gambe lunghe. Aveva un fisico da atleta. «Ma ti devi lamentare di ogni cosa?»
«E’ una canzone d’amore» ribatté lui, facendo spallucce.   
Le labbra carnose del biondo si allungarono, prendendo la forma di una mezza luna sdraiata. «Stai tranquillo che nessuno dubiterà mai della tua sessualità».
«Non intendevo questo».
«E allora cosa?»
Carlo era bello, bello da far schifo. Perfino con addosso una felpa sgualcita e l’apparecchio ai denti. «Tu sei gay».
«Oh, salve Capitan Ovvio, io sono Carlo Bellarin».
Francesco sospirò e si lasciò andare contro lo schienale della sedia girevole. Aveva scelto di accomodarsi lì e non sul letto perché la vicinanza con il veneto lo confondeva più di quanto fosse consentito. «Lascia stare» sbuffò, riprendendo a leggere il testo della canzone.
I versi erano semplici, il ritmo interessante e la versione acustica che stava adattando Carlo era veramente molto armoniosa.
«Tu fumi, giusto?»
Give me love like her, 'cause lately I've been waking up alone. «Sì».
«Se vuoi puoi fumare, basta che apri la finestra».
Francesco tirò un sospiro di sollievo. Aprì le ante senza farselo ripetere due volte. La vista sul giardino lasciava piuttosto a desiderare. «Perché hai pensato a me?» chiese, poggiando i gomiti sulla rientranza della finestra.
Il plettro toccò una corda, producendo un suono basso. Poi un’altra e un’altra ancora. «Hai una bellissima voce».
«Anche Michele però».
Carlo ridacchiò e Francesco inspirò la prima boccata di nicotina, riempiendosi i polmoni. Sua madre lo riprendeva spesso, ma ormai ne era dipendente.
Tutti hanno qualcosa, una dipendenza. C’è chi la mostra, chi ci convive e chi ci combatte ogni giorno.
«E’ così importante per te saperlo?»
«Sì» espirò fumo grigio. Diede le spalle al vuoto e con gli occhi tracciò il profilo del veneto, intento a memorizzare il pentagramma. «Sì, voglio saperlo».
«Gli altri potranno anche essere chiusi nel loro mondo distorto e cieco, ma io ci vedo Fra. E lo so che mi guardi a lezione, che ti piace il mio profumo e che non sei uno zero della scala Kinsey[i]».
Francesco inarcò inevitabilmente un sopracciglio. «Eh?»
«Perché hai accettato? Lo sai che ci sono altri modi per potere avere crediti facilmente. Magari non così semplici, ma non sei così idiota come vuoi far credere».
«Carlo?» lo richiamò. Non era importante dire il suo nome in quel momento, ma il semplice fatto di avere la sua completa attenzione su di sé lo mandava su di giri.
Il biondo lasciò perdere la chitarra e alzò il mento. Le sue iridi erano chiarissime, le sue gote rosse. Parlare così liberamente lo agitava.  
«Mi stai dando del gay?»
Carlo strabuzzò gli occhi, dopodiché la sua risata prese a riempire il silenzio. «Non arrabbiarti, dico solo che è strano. Tutto qui».
«E’ strano che io abbia accettato di duettare con te o che io ti guardi?»
«Entrambe le cose, direi».
«Per me è strano che tu abbia chiesto a me, che sono amico di Vito, e non a quel frocio di Michele» borbottò Francesco, buttando giù dalla finestra la sigaretta ancora a metà. «Quindi?»
Carlo scrollò il capo e si fece sfuggire un sorriso timido, il primo, dopo tutti quelli sfrontati di prima. «Quindi sono passati venti minuti e non abbiamo ancora provato niente».
«Allora cominciamo».


Provarono per mezz’ora, fino a che Francesco non ebbe bisogno di bere ancora.
Quando Carlo tornò di sopra con un altro bicchiere pieno di limonata, l’altro si stava divertendo a strimpellare con la sua chitarra.
Sapeva un solo motivo e faceva pure schifo a suonarlo.
Il più piccolo lasciò il bicchiere sulla scrivania del computer e andò a sedersi accanto a lui, a una decina di centimetri dalla sua coscia. Rimase lì accanto a guardarlo, senza chiedergli di smetterla seppur stesse facendo solo un gran casino e Francesco si sentì strano.
Strano come si era sentito quando suo padre l’aveva trovato in camera sua a baciarsi con Federico, un anno più piccolo. Federico poi si era trasferito a Roma.
«Ascolta Fra-» si interruppe così, Carlo, mordicchiandosi nervosamente il labbro.
«Cosa?»
«Se ti dicessi che l’ho fatto apposta a chiedere di te come la prenderesti?» sorrise malinconico a qualcosa che Francesco non poteva vedere, ma che dinanzi a lui si stava formando nitidamente.
Era come quando pensi a qualcosa di bello, che però non puoi avere e ti senti un’idiota, ma non riesci a smettere. E’ che il desiderio e la speranza superano sempre le cicatrici di vecchie delusioni. E’ un circolo vizioso, non si può smettere di volere. Non si può smettere di sperare.
Non si può smettere di essere se stessi, o l’ombra di se stessi. Mettetela come volete.
Francesco posò la chitarra sul materasso. «Cioè?»
«Voglio baciarti, okay?»
Senza permettergli di elaborare la domanda inclinò il capo e, sorprendendolo per l'ennesima volta, lo prese per il colletto della camicia di jeans attirandolo a sé. L’altro non riuscì a fermarlo in tempo e le labbra del più piccolo, poco prima di incollarsi alle sue, sorrisero sornione.
Il cuore fece tre capriole, sbatté contro i polmoni ancora infuocati e rotolò giù, infilandosi nello stomaco, mentre la lingua del biondo sbatteva contro i suoi incisivi perfetti per poi superarli senza alcuna difficoltà.
Ci vollero diversi secondi prima che Il più grande sei due si rendesse davvero conto che gli aveva lasciato il libero accesso.
Le dita candide del biondo si sollevarono e sfiorarono la barba mal rasata sulle sue guance magre. Le sue invece si posarono sulle spalle larghe del veneto, ma invece di respingerlo come avrebbero dovuto lo attirarono più vicino, per poi obbligarlo a stendersi sotto al suo corpo.
Il modo in cui Francesco gli salì a cavalcioni e Carlo gli morse le labbra sembrò una reazione a catena.
Bruciava tutto ovunque, come tizzoni. Ogni zona sfiorata dai polpastrelli o dalla bocca del biondo prendeva fuoco divorandolo dall’interno.
Si baciarono a lungo, troppo a lungo, finché la ragione non prese il sopravvento sul sentimento del moro risvegliandolo da quello stato di trance.
Si staccò dalle labbra dell’altro e separò i loro toraci ansanti fino ad allora incollati uno sull’altro come se avesse appena preso una scossa elettrica. Scavalcò la coscia del biondo e si mise in piedi, sconvolto.
«E questo che- che cazzo era?» bisbigliò, con la voce strozzata. Aveva il fiatone.
Carlo si stropicciò i capelli. «Vai a casa Francè» disse, fissando il soffitto bianco. «Per oggi le prove sono finite. Vai a casa».
Francesco rise di rabbia mentre recuperava la giacca che aveva lasciato sulla sedia quasi un’ora prima. Bevve rapidamente la limonata e andò verso la porta senza neanche salutare.
Quando al piano di sotto incontrò Marley le grattò le orecchie e poi gli ordinò di non muoversi, mentre usciva sbattendosi alle spalle la porta d’entrata
  
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