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Autore: Applepagly    29/10/2017    3 recensioni
Il riposo è solo un pretesto per nascondere un segreto, una festa è l’occasione per svelarlo. La battaglia è finita ma non è mai finita davvero, e il male non è fuori ma dentro le mura... inizia la ricerca di ciò in cui è difficile credere. Inizia la ricerca del bello.
Genere: Commedia, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bloom, Nuovo personaggio, Tecna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Merry-go-round'
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Avvertenze: Stella&Looma fashion bloggers.
 
VI
 
Kept trying hard to mend
The pieces of my broken heart
And I spent oh, so many nights
Just feeling sorry for myself
I used to cry
I will survive, Gloria Gaynor
 

Si svegliò di soprassalto, la maglia del pigiama madida di sudore.
Prese a respirare affannosamente, come se fosse stata in preda ad una di quelle crisi asmatiche che assalivano spesso sua madre quando ancora lei era piccola. Gli occhi sgranati, fissi in un punto imprecisato della stanza immersa nella penombra, Bloom ripercorreva con la mente ciò che aveva visto nei suoi sogni.
Nei miei incubi…
Erano sempre più frequenti, in quel periodo.
Visioni confuse di Sky, e di bambini che giocavano a nascondino; immagini che, per qualche ragione, la turbavano sempre profondamente. E allora tremava, di notte, e lo scintillio sottile della Luna, che silenziosa s’insinuava oltre le tende, non faceva altro che aumentare le dimensioni di quelle ombre che lei poteva percepire intorno a sé.
In qui momenti, sentiva la terra tremare appena, seguita dall’eco di una risata bassa, metallica, graffiante. Si domandava se Flora avvertisse quelle scosse e se Musa udisse gli stessi terribili suoni.
Forse sono io, ad immaginarmi tutto…
Forse sto impazzendo. Forse sono impazzita.
Quella mattina, aveva deciso di mandare al diavolo ogni impegno e riflettere.
Tornare a Fonterossa dopo quello che era successo le sembrava impensabile, per ovvie ragioni; ma fu ciò di cui aveva bisogno a venire da Fonterossa fino ad Alfea. Mentre si godeva il timido calore della luce che filtrava tra gli alberi del giardino, scorse Helia da lontano.
Bloom era ormai abituata a vederlo nei paraggi – talvolta spendevano addirittura i loro pomeriggi tutti e tre insieme, loro due e Flora.
«Che ci fai qui fuori a quest’ora? Non hai freddo?» le domandò con un sorriso, mentre si avvicinava. «O la fata del fuoco è immune anche a questo?»
Lei gli rispose con una linguaccia, profondamente contenta di vederlo.
Talvolta si sorprendeva di come lui e la sua amica sembrassero essere lo specchio l’uno dell’altra e, allo stesso tempo, di come la loro sensibilità estrema si risolvesse in modalità completamente differenti. Le parole di conforto di lei; i silenzi comprensivi di lui.
Helia la capiva perfettamente; perché anche lui vedeva quei bambini, nei suoi sogni. Anche lui vedeva strascichi di un passato che non avrebbe mai più ricordato.
«Cosa fai, quando succede?» gli aveva chiesto una volta.
«Abbraccio Flora»
Quella mattina, scoprirono di aver fatto lo stesso sogno.
Dei bambini che giocavano a nascondino; Solo; Solo che ridacchiava davanti ad un armadio chiuso. E poi altre sequenze confuse, e quella risata come un sibilo graffiante.
«Cosa credi che significhi?» sospirò Bloom. «Perché entrambi sogniamo Solo? Pensi che voglia dirci qualcosa?»
«Penso che stia per succedere qualcosa» mormorò lui.
Lei si stiracchiò, pensosa. Forse si era trattato solo di una coincidenza.
«Ho un brutto presentimento, riguardo alla festa» ammise Helia. «Dobbiamo rimanere cauti. Flora mi ha raccontato tutto»
La ragazza annuì, con uno sbuffo impercettibile.
Aveva lo stesso presentimento.
 
«…E, come al solito, non riesco a trovare proprio nulla!»
«Su, su… ho già trovato una soluzione, quindi non lagnarti» fece Stella, agitando la mano. «Tu, piuttosto, sai già cosa indosserai?»
Musa si strinse nelle spalle. «Nemmeno io ho trovato molto. Forse cercherò di nuovo questo pomeriggio… ma niente di troppo impegnativo. Casual»
La principessa scosse energicamente la testa, lanciandosi poi in una lunga argomentazione in favore della necessità di procurarsi un vestito ad hoc. Insomma, una come Musa, invischiata nella sua prima relazione sentimentale, non poteva certo presentarsi in jeans e maglietta, a quella festa!
«Perché no, scusa? Casual significa…»
«Comfort, certo» la interruppe, trascinando sia lei che Bloom su per le scale della sua stanza. «Espressività personale; ma non trascuratezza. Sicuramente, quel bisbetico del tuo fidanzato apprezzerebbe comunque… credo» continuò. «Ma penso apprezzerebbe ancor di più se potesse intravvedere il tuo corpicino non soltanto quando indossi il costume da fata»
Stranamente, Musa si ammutolì. Stella riusciva sempre a dar voce ai suoi dubbi peggiori.
«Forza, magari riesci a trovare qualcosa che ti piaccia, tra i miei vestiti. Certo, la taglia è decisamente diversa, ma si può aggiustare» proseguì. «Oh, come sono magnanima, oggi. Dovrebbero farmi una statua»
«Ora il problema principale è…» fece, concentrata. «…trovare un vestito adatto per me»
Musa e Bloom scossero la testa. Stella non si smentiva mai.
Benché avesse comprato dei nuovi abiti appena la settimana prima – posto che il suo armadio non potesse certo dirsi manchevole di qualcosa, anzi – la principessa avvertiva l’esigenza di acquistarne di nuovi.
Girare per i negozi, scrutare le vetrine, osservare il modo in cui determinate stoffe cadevano sui manichini, verificarlo su se stessa e confrontare modelli, tagli, colori; la sua non era solo una smodata ossessione per le compere, né una banale mania da spendacciona.
La sua era una pura e semplice mania per tutto ciò che riguardava la moda.
Sin da quando era ancora una bambina, sin da quando era stata sua madre a sistemarle i nastri tra i capelli, Stella aveva appreso l’importanza di ciò che appariva al di fuori; ne aveva, più che altro, compreso la bellezza.
Non ricercava nulla di eccessivamente appariscente; forse desiderava che fosse singolare, un capo unico ed adatto solo alla sua figura; e questo la spingeva a cercare e vagare per qualsiasi negozio.
Il modo in cui si poneva, nel complesso e nel singolo contesto dell’abbigliamento, dimostrava ciò che si voleva comunicare; un linguaggio diverso, un diverso modo di esprimere il bello del mondo.
Era questo, che rendeva lei e quella pazza di Looma così simili.
Era stata la sua prima vera amica, ad Alfea.
Ricordava che, il suo secondo giorno, disceso l’ultimo gradino della scala che conduceva nella sala grande, quella fata aveva esclamato di sorpresa di fronte a quel semplice e chiaro vestito che la principessa aveva indosso.
Ne avevano vissute di ogni e l’unico motivo per cui le era dispiaciuto dover ripetere il primo anno era stato non poter più condividere tutto allo stesso modo. Poi anche l’altra era stata rimandata e questo le aveva riavvicinate un po’.
Looma era così: spontanea, amichevole e piena di meraviglia; così come piene di meraviglia erano le sue creazioni. Forse, ragionò Stella, era l’unica che condividesse appieno il suo punto di vista.
Di soppiatto, gettò una rapida occhiata alle sue spalle.
Le sue due amiche attendevano che si decidesse, l’una impaziente e l’altra vagamente annoiata. Sorrise, scuotendo il capo impercettibilmente.
Non si aspettava che capissero davvero.
«Ho pensato a qualcosa a tema. Com’è che lo chiamate sulla Terra, Bloom? Babbo Natale?» riprese, immaginando uno di quei goffi costumi rossi che aveva visto un paio di volte alla televisione terrestre.
Bloom annuì. «Però non credo che una cosa del genere sia adatta. Dopotutto, nessuno conosce quella tradizione. Anzi…» ridacchiò. «Non credo che qualcuno conosca nemmeno la tradizione dell’albero. Di chi è stata, l’idea di piazzarcelo?»
Quando Stella fece il nome di Sem, con sua grande soddisfazione, l’amica trasalì. Dopo quella sorta di discussione che avevano avuto, le succedeva ogni volta.
Certo, lui aveva vissuto sulla Terra, era naturale che ne conoscesse le usanze. Eppure…
Aveva sempre pensato a lui come ad uno ben lontano da simili tradizioni. Quasi come se avesse sempre creduto che lui le considerasse infantili.
Forse gli era solo parso un modo come un altro per decorare l’ambiente.
Sì, era senz’altro così. Non poteva certo essere uno che provasse emozioni nell’appuntare delle scintillanti sfere agli aghi di un abete o che si fermasse, durante le notti insonni, ad osservare incantato quel tripudio di colori.
Uno come Sem non aveva sicuramente mai avvertito nulla, sotto pelle, che ricordasse anche solo vagamente la magia del Natale.
Per un attimo, pensò di star esagerando con tutta quella sua durezza.
«Ora che ci penso, non hanno ancora finito di sistemarlo. Potresti andare a dare una mano» suggerì la bionda, ammiccando.
«Oh, sì… scommetto che Bloom muore dalla voglia di avere a che fare con Sem» commentò Musa, sarcastica.
L’altra la ringraziò mentalmente, contenta che almeno una delle sue amiche fosse dalla sua parte. Detestava quando Stella vedeva cose che non esistevano.
Né esisteranno mai. Soprattutto dopo che…
«Gli farà piacere certamente, e anche a lei» insistette.
«Non me ne potrebbe importare di meno, di Sem» fece la fulva, irritata.
Stella corrugò la fronte, non credendo davvero a quelle parole che pretendevano di lasciar trapelare fermezza. Nessuno poteva darla a bere proprio a lei.
Non proseguì nel discorso, richiamando con un gesto della mano tutti i migliori vestiti dalla sezione per le grandi occasioni del suo armadio. Abiti dai mille colori sfilarono sotto gli sguardi sbalorditi delle altre due; alcuni superarono la prima selezione, mentre gli altri finirono in un angolino.
«Le hai mai messe, tutte queste cose?» chiese Musa, studiando una lunga gonna plissettata. «Sembrano appena uscite da un negozio»
«Aspetto solo l’occasione giusta per farne sfoggio. Per intanto, è meglio assicurarsi di averle, no?» replicò, con ovvietà. Aveva tra le mani un corto vestito a righe, l’unico che fosse effettivamente adatto ad una piccola festicciola.
Storse il naso, decidendosi a provarlo nuovamente, sapendo però che non lo avrebbe comunque indossato; non per quell’evento. Corse dentro al camerino, scivolando dentro la stoffa pesante.
Musa scosse la testa, domandandosi perché fosse ancora lì. «Io me ne vado. Sono stanca di vedere tulle e seta svolazzare a destra e a manca» fece. «Ciao»
«Aspetta!» urlò Stella. «Tu hai bisogno di un vestito! Musa!»
Quella rise, lasciando il guardaroba. Bloom scoppiò a ridere, zittendosi subito dopo.
«Hai ben poco da ridere, cara Bloom» riprese, sistemandosi le maniche. «Se davvero non t’importa di Sem, allora non avrai problemi ad aiutare con l’albero»
Le si mozzò il fiato per la frecciatina appena ricevuta. Per qualche istante, la principessa quasi si pentì di averla provocata.
Infatti, la sua risposta furibonda non tardò ad arrivare. «Lo farò senz’altro, così potrai finalmente convincerti che tutto quello che vedi lo vedi solo tu!» tuonò, facendo per andarsene.
Mentre scendeva per le scale, nervosa, quasi si scontrò con Looma. «Oh, Bloom! Cercavo proprio te!» trillò, senza badare al malumore di quella.
Il sorriso della ragazza bastò a farle sbollire momentaneamente la rabbia. «Dimmi tutto»
«Beh, Stella mi ha detto che non riesci a trovare un vestito» fece. «Perciò, ho pensato che… se ti va… potrei fartene uno io»
Oh…
Che cara persona, quella Looma. Era venuta fin lì apposta? «Io… non voglio farti perdere tempo, Looma. Insomma… non mi va mai bene nulla e rischieresti solo di… uscirne pazza» protestò, imbarazzata.
Per Bloom era sempre difficile riuscire a piacersi davvero con… beh, con qualsiasi cosa indosso. In genere, prendeva le prime cose che le capitavano sotto il naso e che erano abbastanza decorose da non fare a pugni; ma quando si trattava di gonne svolazzanti e altre cose più elaborate, perdeva la testa.
Durante la sua ricerca era riuscita a far esasperare perfino Flora, pochi giorni prima…
«Questo è impossibile! E poi, sarà disegnato e cucito su misura per te. Ti piacerà per forza!» esclamò l’altra, con fermezza. «Dai! Vieni da me, questa sera. Così possiamo già prendere le misure»
Bloom sospirò, chinando il capo. «Non so come ringraziarti, Looma… se c’è qualcosa che posso fare per sdebitarmi…»
«Sdebitarti di cosa? Siamo amiche, no?» rise di cuore, prendendole le mani. «A più tardi, allora. Adesso, se non ti spiace, devo chiedere a Stella alcune cose»
«Potrei tardare un po’, però… dovrei… ecco…» come dirglielo? «Dovrei andare a dare una mano con le decorazioni dell’albero»
Looma sorrise ancora, aspettandoselo. «È per quello che ti ho detto di venire questa sera!»
La vide scomparire oltre la soglia del grande guardaroba, da dove proveniva il fitto chiacchiericcio tra la proprietaria della stanza e la sua immagine allo specchio. Bloom sospirò; forse aveva esagerato…
Però… quando si parlava di Sem, inspiegabilmente, i nervi si facevano tesi. Beh, come aveva ricordato Stella, per dimostrare che non rappresentava minimamente un problema, non avrebbe dovuto avere alcuna difficoltà a presentarsi là, quel giorno.
Si trattava solo di dare una mano per qualcosa che attendeva anche lei, in fondo. Un impegno in cui era coinvolta direttamente. Qualcosa che faceva per il Soldì. Un dovere morale, insomma.
Che importanza aveva, essere sola con quel pezzo di granito?
Sarà un normalissimo pomeriggio. Ci si comporta come persone civili. No problem.
Tuttavia, Bloom tendeva spesso a trascurare quella che era la sua fortuna, una donna orribile che si faceva beffe di lei; e, quel pomeriggio, ne ebbe nuovamente la prova.
Come mise piede nella sala sotterranea di Fonterossa, avvertì le membra paralizzarsi. Il salone era vuoto, eccezion fatta per il grande albero nel mezzo ed un ragazzo, in cima ad una scala a libretto.
Ai piedi della struttura lignea, una piccola radiolina cantava pacata, accompagnando il timido motivetto che intonava lo Specialista.
Ondeggiava lievemente il capo, scuotendo appena quei capelli color cioccolato, perennemente arruffati. Vedere Sem così, semplice, senza veli, in uno dei lati più intimi di sé, le fece una curiosa impressione.
Restò ad osservarlo a lungo, per minuti, forse. Non riusciva ad allontanare lo sguardo da lui, per qualche ragione.
Giunse alla conclusione che le piaceva, vederlo così.
Qualcosa, in lei, mutò; perché non poteva negarlo. Non poteva.
Come negare che facesse tenerezza? Come negare che avrebbe voluto poter passare una mano tra quei riccioli, per arruffarli ancor di più?
Come negare la voglia di abbracciare quel bambino che premeva per uscire dal corpo ormai adulto e che, per farlo, canticchiava?
Bloom aveva sofferto abbastanza da non volersi avvicinare nuovamente così a qualcuno, non con il rischio che quel qualcuno potesse avere problemi a causa sua. La ferita che Sky aveva lasciato era ancora lì, visibile, e si riapriva ogni volta che lei metteva piede in quella scuola.
Però… anche Sem aveva sofferto, anche Sem aveva perso molto di quel poco che aveva. Eppure era lì, e aveva provato a condividere quello che gli era rimasto proprio con lei.
Mentre lei… lei si era sempre e solo dimostrata scostante; forse perché i modi di lui erano strani, così… diversi da quelli di Sky…
Non aveva mai davvero provato a capire quel ragazzo, a comprendere che dietro a tutta quella freddezza nascondeva un bisogno spasmodico di affetto. Tutte le accortezze di Alan nei confronti del fratello, tutte le occhiate sospettose che il biondo le rivolgeva; quegli avvertimenti incomprensibili…
Bloom aveva paura di rimanere ferita, ma forse sapeva che lo sarebbe stata molto meno di Sem che, al contrario, fuori si dimostrava duro. Alan lo conosceva e voleva proteggerlo da…
Da me?
«Sei lì da molto?» persa nelle sue elucubrazioni mentali, non si era accorta che il ragazzo era sceso dalla scala ed aveva spento la radio.
Con gli occhi fissi sul pavimento, vagamente rosso sulle gote, Sem non poté sembrarle niente se non adorabile. «Sono appena arrivata» mentì.
Si avvicinò, scrutando l’albero. Calde sfere di cristallo le rimandavano il riflesso di sé, stupito; doveva ammettere che il ragazzo ci sapeva fare, con le decorazioni.
Senza dire una parola, raccolse alcune palline blu da uno scatolone. Sembravano dipinte a mano.
«Quelle vanno lì» disse lui, indicando alcuni spazi lasciati appositamente vuoti.
Bloom annuì, facendo per salire sulla scala.
Sem non le chiese perché non usasse la magia. Non ne aveva bisogno.
«Accendi un po’ la radio?» gli domandò. «Mi piaceva, la canzone che stavi ascoltando»
Lo Specialista assentì, dubbioso.
Presto, per la grande sala si diffusero nuovamente le stesse note di prima, a volume più alto. Bloom pensò a come fossero belle, scandite dalla voce bassa di Sem.
Perché non cantava più?
Sa di averlo fatto di fronte a me.
Ma al diavolo; perché lei non si lasciava un po’ andare? Lui lo aveva fatto già abbastanza, e ne era solo rimasto scottato. Adesso era il suo turno di provarci.
Non era mai stata abbastanza spigliata, quando azzardava qualche passo di ballo era sempre un ciocco di legno e, in generale, aveva la grazia di un elefante.
Non aveva la movenza naturalmente elastica di Musa, né la disinibizione che Stella mostrava anche in quei contesti; non aveva l’eleganza di Flora, o la rigida compostezza che mostrava Tecna ondeggiando a tempo, facendola apparire una che non amava ballare, piuttosto che una che non lo sapeva fare.
Ma aveva importanza?
Lui la assecondò.
Era strano; ballavano talora vicini, talora insieme; talvolta come fosse stato uno di quei valzer impacciati che ad Alfea piacevano tanto.
Risero, azzardando qualche passo più deciso, con movenze che cercavano di imitare quelle di una danza più calda, intima, che a loro riusciva in una specie di ironica parodia.
Eppure, in tutte quelle risate, quei piedi pestati e quei gesti, non c’era proprio nulla di grottesco.
La canzone iniziò a placarsi, lasciando sfumare anche quell’attacco di ilarità che li aveva assaliti. In qualche modo, era bello lasciarsi cullare dalla spensieratezza che ne derivava.
Ne avevano bisogno, entrambi.
Ondeggiarono, lei tenendosi accostata a lui, le piccole mani strette sulla sua nuca, a solleticare i suoi bei riccioli. Adesso, però, tornavano a galla i pensieri, le preoccupazioni.
Sem si sentì mancare; dovette aggrapparsi a lei, per non cadere.
Le dita corsero sulla sua vita, artigliandovisi nel tentativo di ritrovare stabilità, di poter restare così per sempre. Cercò il suo sguardo, come a volerglielo chiedere.
Anche se non ne aveva bisogno.
Bloom restò immobile fino a che il brano finì. Poi, con sorpresa da parte di entrambi, in verità, lasciò scorrere le braccia oltre, cingendolo più a fondo.
Lo abbracciava.
«Mi dispiace per… quello che ho detto. Non lo sapevo; io… se avessi saputo…»
Si strinse a lei. Era morbida, acerba, piccola; spariva tra le sue braccia.
«Lo so» sussurrò, affondando il naso tra i suoi capelli.
Tutto quel rosso sapeva di pulito e di fresco, come una splendida gardenia appena sbocciata. «Dispiace anche a me»
La sentì ridere piano e, altrettanto lentamente, la avvertì allontanarsi. Ora ricambiava il suo sguardo.
Una spruzzatina di lentiggini sotto gli occhi acquamarina; il piccolo naso un po’ all’insù… eppure, era così diversa da Vesela…
«Non è colpa tua» gli disse. «Sono io che…»
«No» la interruppe, con decisione. «È colpa di tutti e due. Avrei dovuto evitare di reagire in quel modo»
Adesso stava a loro decidere se passarci sopra e fare un tentativo o meno.
Bloom era ancora lì, a specchiarsi nei suoi occhi; e questo bastò perché lei rimanesse a rimuginarci su per tutto il resto della giornata.
Una volta fatto ritorno ad Alfea, si accorse di essere troppo spossata per unirsi alle altre a cena. La sola idea di ingerire qualsiasi cosa le metteva lo stomaco in subbuglio.
Si recò direttamente nel loro appartamento, lanciandosi sulle coperte del suo letto, a fissare il soffitto. Cercava di non pensare a nulla; o forse solo al tempo che sperava trascorresse, che lasciasse arrivare il momento in cui Looma avrebbe fatto ritorno dalla sala da pranzo e si sarebbe cimentata a farle da stilista.
Pregava che i minuti corressero e le distogliessero la mente da Sem, dalle sue mani che la stringevano e che la facevano sentire bene. Lo aveva voluto; si sentiva sporca, perché avrebbe dovuto richiamare a sé tutta la sua fermezza e ricordare Sky; ma aveva voluto che Sem la cullasse nel suo abbraccio.
Si mise a sedere di scatto, quando udì le voci delle compagne di stanza.
«Oh, eccoti» fece Flora, come mise piede nella stanza. «Dov’eri finita?»
«Non avevo molta fame» replicò, semplicemente. «Cosa c’era, a cena?»
L’altra sospirò, impugnando una spazzola. «Purea di rose rosse e altro cibo che non sono riuscita a mangiare. Le rose rosse sono abbastanza pesanti» commentò, passandosi le setole tra i capelli. «Sei sicura di non voler mangiare nulla? Hai una brutta cera… è successo qualcosa?»
Era successo qualcosa?
Forse sarebbe stato peggio se non fosse successo…
Devo solo realizzare il tutto. Abituarmi.
Sì, lo farò; e poi verrà più facile.
«No, sto bene. È andato tutto bene» replicò, alzandosi definitivamente. «Dico davvero. Vado da Looma»
Sapeva perfettamente che Flora non le aveva creduto; e, d’altronde, non si era aspettata nulla di diverso, da lei.
La sua spiccata sensibilità le impediva di fermarsi all’apparenza, al velo delle rassicurazioni. Ma, allo stesso tempo, quella stessa spiccata sensibilità le impediva di indagare, per non correre il rischio di essere indisponente.
Bloom corse giù per le scale, impaziente. Looma l’avrebbe aiutata a distrarsi; senz’altro.
L’aspettava in pigiama. Uno di quei morbidi pigiamoni di pile che rendevano la piccola figura della fata ancor più minuta; in un certo senso, era sorpresa di vederla così.
Si sarebbe aspettata una di quelle vestaglie di Stella, al massimo della moda e della sensualità anche laddove forse non erano necessarie.
«Oh eccoti qui!» esclamò, battendo le mani.
Di sfuggita, Bloom intravvide una compagna di stanza di Looma scomparire dietro la porta della camera. Si guardò un po’ intorno; non era stata lì se non un paio di volte, in cui comunque si era trattato di qualche minuto appena.
«Non so ancora come ringraziarti, Looma» fece, sorridendole.
«Ancora con questa storia? Su, non perdiamo altro tempo» rise l’altra. «Sali qui sopra»
La fata fece materializzare una sorta di piedistallo, su cui Bloom salì. In un lampo, una sfilza di nastri e di taccuini presero a vorticare attorno a lei, appuntando tutto ciò che registravano e che Looma diceva loro.
«Come lo vorresti, il vestito? Con le maniche? Lungo? Scollo a cuore?» prese a domandare. «Hai già presente un modello? Uno spezzato, forse? Il materiale? Per non parlare del colore! Quest’anno sono molto in voga i colori cangianti e…»
«Looma» la interruppe. «Io non ho la più pallida idea di… beh, di nulla. Ho cercato di capire come potessi volere questo dannato vestito ma… io non…»
«Oh, sta’ tranquilla, allora. Non è un problema, abbiamo ancora un bel po’ di tempo» la rassicurò. «Per intanto, che ne dici di provare qualche modello che ho in cantiere? Li ho studiati appositamente per le ragazze di bassa statura come noi!»
Bloom annuì e subito l’altra ragazza le pose sotto il naso una serie di abiti di ogni colore e stoffa. La bellezza di ciascuno di essi era innegabile, ma nessuno sembrava fare al caso suo.
«Che ne dici di provare una gonna con qualcosa sopra? Se ho ben inteso i tuoi gusti… beh, con uno di questi rischieresti di sembrare troppo sofisticata, vero?» propose. «Ecco. Prova questi»
Looma le lasciò tra le mani una gonna scarlatta ed una camiciola candida, che si apprestò a descrivere accuratamente.
«La gonna parte da appena più in sotto delle costole, ed è a ruota; arriva fino al ginocchio, per questo forse dovresti lasciare di fuori la camicia, che è a mo’ di poncho» spiegò, storcendo un po’ il naso. «Però… aspetta, forse ho qualcosa di più carino, per te. Quella nera… sì, forse…»
Le rubò la gonna, abbandonandola su una sedia; corse verso uno dei cassettoni disposti appena sotto la finestra e prese a frugare al suo interno. «Ma dove l’avrò messa… uff» sospirò, sconsolata.
Bloom rise. Da una parte, però, era sorpresa che Looma fosse riuscita ad individuare e, soprattutto, risolvere così abilmente il problema principale.
«Eccola!» esclamò, esibendo una gonnella in jeans nero. «Ora puoi provarle. La camicia va dentro e… tieni anche questa. Una cintura è immancabile»
Un separé si stese accanto alla porta d’ingresso, dando modo alla fata di cambiarsi. Mentre lei si vestiva, l’altra parlava.
«Allora… alla fine oggi ci sei andata, a Fonterossa?» ah, domanda meno appropriata, da porre proprio a lei.
«Sì. C’era solo Sem» disse.
Il silenzio che seguì fu abbastanza eloquente. Looma sorrise tra sé e sé.
«Sai, c’è una cosa che non ti ho detto» iniziò. «Insomma, per un motivo o per un altro ho sempre dovuto rimandare e lo stesso vale per Sem ed Alan»
Bloom rimase in ascolto, litigando con il vestito che, come previsto, le cadeva stretto attorno al busto. «Ti ascolto»
«Beh, noi tre siamo amici d’infanzia» disse.
Oh.
Ecco perché sembrava conoscere così bene i due fratelli. Ecco perché aveva tutta quella familiarità con Sem.
Ecco perché i rapporti tra lei ed Alan sono strani.
«Non sono cresciuti sulla Terra, come me?» chiese, confusa.
«Non proprio. Sono rimasti sul nostro pianeta natio fino a quando hanno compiuto otto anni» specificò. «Fino a che la loro madre non ci ha lasciati»
Oh…
Come riusciva a parlarne così?
Alan e Sem avevano perso un pezzo di loro già da bambini e lei lo diceva con una simile leggerezza? «Looma, non credo che…»
«Alan pianse molto, quel giorno. Credo di non averlo mai visto così, nemmeno quando era caduto dalla sua prima bicicletta» continuò imperterrita. «Neppure quando ha capito di avere qualcosa di… diverso. Di non riuscire a sbavare dietro alla ragazza di Brandon quanto sbavava dietro a lui»
Oh…
Alan, che sembrava sempre così irruento ed impulsivo…
A volte la parte più difficili dell’essere innamorati è ammetterlo? Accettarlo?
Per lei valeva lo stesso?
«Alan piangeva, ma Sem no» proseguì. «La sua faccia non lasciava trapelare la minima emozione. Sem è sempre stato un tipo piuttosto riservato, ma vederlo impassibile è stato ugualmente insolito. Era solo un bambino. Alan lo ha odiato, per questo»
Sem non piange mai…
«Nessuno capiva che stava davvero troppo male, per dimostrarlo. Avevano bisogno di essere forti, ma nessuno ci riusciva; nemmeno suo padre. E, con due bambini ed una figlia di appena qualche anno, sarebbe stato impensabile, no?»
Sem aveva voluto essere forte anche per loro.
«Sulla Terra c’erano i genitori di suo padre. Non ho più visto Sem e Alan fino a tre anni fa, quando ci siamo ritrovati qui» sorrise, quando Bloom ricomparve da dietro il separé.
Looma le si avvicinò, estraendo degli spilli da un contenitore che teneva lì vicino. S’inginocchiò, appuntandone uno sull’orlo della gonna. «Sem era ancora più chiuso di prima, ma sorrideva, di tanto in tanto»
La fece voltare, per ripetere la stessa operazione. «Fino a che, la scorsa estate… beh, sai com’è andata. Vesela era riuscita ad ammorbidirlo un po’» proseguì, abbozzando un sorriso amaro.
Vesela…
Capitava che la ricordassero spesso; eppure, di lei sapeva poco.
Era una compagna di stanza di Looma, una studentessa di Alfea brillante; la prima ragazza di Sem. O meglio, era stata.
«Da allora, si è rintanato nei suoi silenzi anche più di prima. Sem è uno di poche ma buone parole, eh?» si allontanò un po’, per poter osservare meglio l’effetto del suo operato. «Tu sei la prima che sia riuscita a farlo sorridere di nuovo. Ma questo te l’ha già detto Alan, vero?»
«Beh» riprese, dopo qualche istante di silenzio. «Io la vedo diversamente. Sei la prima e l’unica che sia riuscita e che riesca a farlo sorridere ogni volta»
Oh…
Riesco a farlo sorridere? Eppure, a me sembra solo più triste di prima…
«Bloom» la guardò dritto negli occhi, con un’espressione comprensiva in viso. «So che è un tipo difficile»
Bloom sospirò, chinando il capo.
«Non è difficile, di per sé. È difficile stargli accanto, ora… ricordando cosa è successo. Ricordando che potrei fargli del male, più quanto ne abbia fatto l’ultima volta» replicò, cercando di spiegare quegli intricati pensieri che non riusciva ad esprimere come avrebbe voluto.
«Sem… lui non merita di stare male a causa mia e… non voglio che corra rischi» oh, era complicato. «Non sono stata in grado di proteggere chi avrei voluto difendere e con delle semplici parole l’ho ferito più che con qualsiasi altra cosa. Non credo di meritare… niente di ciò che potrebbe offrire»
«È la stessa cosa che pensa lui di sé. Ma, Bloom…» sorrise. «non conta tanto l’esserci riusciti o meno»
Appuntò l’ultimo spillo.
«Conta l’averlo voluto. Questo fa la differenza» disse. «Sem lo ha capito; è per questo che vuole provarci di nuovo»
Averlo voluto…
«Direi che stai d’incanto. Devo solo accorciare appena la gonna. Ovviamente, cucirò un modello apposta» fece, cambiando completamente tono. «Datti un’occhiata»
Le indicò uno specchio. Bloom sgranò gli occhi, non credendo di essere finalmente riuscita a trovare qualcosa che le piacesse.
«Se non ti piace possiamo pensare a qualcos’altro, ovviamente» disse Looma, con ovvietà. Comparve dietro di lei, scrutandola. «Anche se credo ti si addica. È proprio quello che mostri così, che vuoi mostrare anche di fronte agli altri?»
La fulva si osservò, soppesando quelle parole. Come sembrava?
Una bambina. Come quel Natale, tanti anni fa.
Avevo una gonna simile, i capelli raccolti in due codini e… un paio di scarpette di vernice rossa…
Una bambina un po’ più grande; forse solo il riflesso di quell’allegria vivace e rumorosa di quando saltava dentro le pozzanghere con le galoche, o di quando preparava i biscotti con la madre.
Una ragazza dall’aria sbarazzina, vestita del suo vero io. Voleva davvero mostrarsi per ciò che era realmente a… beh, a tutti? Ai suoi amici?
A Sem?
«Fa sempre paura, mostrare il proprio lato più debole» continuò Looma.
Ed era vero.
Eppure, rifletté Bloom, Sem glielo aveva fatto vedere. Dapprima inconsciamente ed involontariamente, quasi come se lei avesse rubato un momento che non lo riguardava; ma poi glielo aveva mostrato di nuovo, e allora non ci furono più dubbi.
Un velo alla volta, giusto una maschera che sarebbe caduta frammento per frammento; né troppo veloce nella sua caduta né, come era accaduto con Sky, troppo lenta. E allora, forse, avrebbe avuto modo di riprovarci per davvero.
«Va bene così, Looma» fece, decisa.
Looma sorrise.
«Passa da me domani pomeriggio!»
 
Take me out tonight
Take me anywhere, I don’t care
I don’t care, I don’t care
And in the darkened underpass
I thought oh God, my chance has come at last
But then a strange fear gripped me and I just couldn’t ask
There Is A Light That Never Goes Out, The Smiths

 
Nella mia testa, quei due ballavano qualcosa di malinconico.
Sono un po’ scemi ed insicuri, e non si sa chi lo sia di più. Ma passerà, passerà.
Looma è un po’ uno di quei folletti che appaiono sempre spensierati e frivoli e che, in verità, sono dotati di un ottimo spirito di osservazione ed immedesimazione; e dove sarebbe, Bloom, senza di lei?
Beh, certamente senza un vestito…
Stella non avrà di questi problemi, e Musa se la caverà. Ho fiducia in lei.
E così… arriva il giorno della festa (ovvero, per noi, il 12 novembre)!
7th
  
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