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Autore: Jane41258    29/10/2017    0 recensioni
Scritta per l'evento di Halloween di We're out for Prompt.
Prompt: "quello specchio rimandava solo immagini che nessuno avrebbe mai voluto vedere."
Dello specchio si diceva che poteva mostrare soltanto immagini che nessuno avrebbe mai voluto vedere, anche se dando credito a storie parallele, poteva anche essere la porta per l'Inferno, un oggetto che catturava l'anima di chi fosse tanto avventato da guardarlo e una finestra sul futuro che rivelava il momento della propria morte. I più razionali sostenevano che fosse un comune specchio del diciannovesimo secolo e che la proprietaria lo custodisse con tanta gelosia perché era una persona sola e anziana con un disturbo dell'accumulo e manie ossessive. Nessuno si azzardava tuttavia a ipotizzare che non esistesse, l'esistenza dello specchio era un dogma a Sant'Angelo.
Gianni F. era giunto in paese la mattina del 30 ottobre, con uno zaino sulle spalle aveva camminato per un chilometro dalla fermata dell'autobus e si trovava alle dieci in piazza Santa Maria, che era quella principale, su cui dava il municipio. Aveva intenzione di fare colazione, sfruttare il bagno del bar che avrebbe scelto e dirigersi subito al castello.
Genere: Drammatico, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve!
Questa storia è scritta per l'evento di Halloween del gruppo Fb We're out for prompt , il prompt è "horror: quello specchio rimandava solo immagini che nessuno avrebbe mai voluto vedere."
Non so nemmeno se questa storia sia considerabile horror LOL. Ah contiene religione, ma non è propaganda, io stessa sono atea, è che soggetti religiosi hanno un ruolo nell'universo della storia! 



Nei paesi di montagna la superstizione è un collante sociale; le leggende urbane intrattengono tanto i giovani, che ne discutono ridendo nei parchetti e nei bar stringendo con noncuranza una birra nella mano destra, quanto i bambini che ascoltano i loro genitori in cucina, dopo cena, e che rielaboreranno quei racconti scambiandosi opinioni sottovoce nelle camerette dopo che è stata spenta la luce, e quanto gli anziani che narrano aneddoti come se li avessero vissuti personalmente e spesso proclamando di averlo fatto, durante lunghe salutari passaggiate in compagnia, tra i campi.
Le storie superano i confini della cittadina in cui nascono per diventare motivo di vanto e di competizione tra comuni limitrofi e generano un turismo locale che diventa la fonte principale di guadagno del paese. Poco conta che la natura di queste superstizioni sia pagana, occultista new age o cristiana ed irrilevante è se chi le diffonde ci creda davvero o meno, queste storie sopravvivono finché sono utili. Nel paese di Sant'Angelo, undicimila abitanti, tre piazze, due chiese, un castello, case di un secolo, cento ettari di boschi, c'era la leggenda dello specchio. Se ne parlava come se esistesse da sempre, ma nessuno poteva dire con certezza a quanto risalisse perché le origini dello specchio erano sconosciute. L'ipotesi più accreditata lo vedeva proveniente da un viaggio dall'Oriente, quando ancora esistevano le Repubbliche Marinare. Tutti sapevano che fosse nel castello, ma nessuno poteva verificarlo coi propri occhi perché il sito era chiuso all'accesso pubblico e la proprietaria, che ne abitava una piccola parte, negava che lo specchio esistesse. Nessuno le credeva e periodicamente qualche banda di teppistelli cercava di irrompere alla ricerca dello specchio, senza alcun successo. Un uomo si diceva fosse riuscito a vederlo, era stato amante della signora del castello quarant'anni prima, ma all'epoca dei fatti che verranno narrati era un pazzo vagabondo che molestava le ragazze e delirava sui morti che camminano sulla terra e non era possibile cavargli di bocca una frase sensata. L'impossibilità di vedere lo specchio non frenava il turismo e migliaia di persone provenienti dai paesi limitrofi ogni anno erano più che soddisfatte nel limitarsi a fotografare il castello.
Dello specchio si diceva che poteva mostrare soltanto immagini che nessuno avrebbe mai voluto vedere, anche se dando credito a storie parallele, poteva anche essere la porta per l'Inferno, un oggetto che catturava l'anima di chi fosse tanto avventato da guardarlo e una finestra sul futuro che rivelava il momento della propria morte. I più razionali sostenevano che fosse un comune specchio del diciannovesimo secolo e che la proprietaria lo custodisse con tanta gelosia perché era una persona sola e anziana con un disturbo dell'accumulo e manie ossessive. Nessuno si azzardava tuttavia a ipotizzare che non esistesse, l'esistenza dello specchio era un dogma a Sant'Angelo. 
Gianni F. era giunto in paese la mattina del 30 ottobre, con uno zaino sulle spalle aveva camminato per un chilometro dalla fermata dell'autobus e si trovava alle dieci in piazza Santa Maria, che era quella principale, su cui dava il municipio. Aveva intenzione di fare colazione, sfruttare il bagno del bar che avrebbe scelto e dirigersi subito al castello. Non credeva che lo specchio fosse stregato, ma non dubitava che esistesse, come chiunque in zona. Avrebbe voluto portare anche il suo ragazzo, ma la sua proposta era stata seccamente rifiutata quasi con derisione. 
"Non ho intenzione di assecondarti in queste cazzate e francamente mi stupisce che uno sveglio come te perda un giorno di tempo dietro a una leggenda urbana"
Gianni non se l'era presa per il tono brusco del rifiuto, era abituato allo snobismo con cui Martino -era questo il nome del ragazzo- trattava tutto ciò che non rientrasse nella definizione di scienza di Popper e anzi aveva trovato adorabile e stranamente sexy la ruga di disapprovazione tra le sue sopracciglia. L'aveva baciata e aveva risposto: "Allora andrò da solo" e aveva sorriso.
Sorrise ripensando alla scena mentre era seduto ad un tavolino del Bar dello Sport, in piazza Santa Maria, davanti a un thé bollente e ad un cornetto gigante ripieno di marmellata d'arancia. Il pensiero del suo ragazzo lo scaldava più del thé che stava bevendo e provò il desiderio di contattarlo, così gli mandò dei cuoricini su Whatsapp. Vennero visualizzati senza risposta.
"Beh" pensò Gianni F., divertito, "Questa cosa dello specchio deve triggerarlo di brutto."
Alzò lo sguardo e seduta davanti a lui c'era una ragazza.
Aveva un aspetto normale, un viso carino e delicato, lunghi e lisci capelli castani, una corporatura media e un abbigliamento casual ma non trasandato. Gianni F. trovò leggermente strano solo che non fosse truccata e che, ovviamente, si fosse seduta al suo tavolo senza motivo.
"Scusa?" chiese cercando di essere gentile "Posso fare qualcosa per te?"
"Posso fare io qualcosa per te." rispose lei.
Il ragazzo sollevò di scatto le sopracciglia, turbato dall'approccio e si chiese se fosse una prostituta e se lui avesse la faccia da cliente che pagherebbe per fare sesso.
"Sono gay." rivelò schiettamente, sperando che bastasse per essere lasciato in pace. Alcuni suoi amici trovavano avventato che rivelasse il proprio orientamento sessuale a chiunque senza temere alcuna ripercussione, Gianni F. riteneva che fosse il coraggio minimo per condurre un'esistenza dignitosa. Aveva rivelato la sua omosessualità in famiglia appena aveva capito di essere attratto esclusivamente dai ragazzi, cioè a 12 anni, e la notizia aveva reso furioso il padre e spaccato il rapporto tra i genitori che si erano separati un anno dopo. A tredici anni era anche l'ultima volta che Gianni aveva visto suo padre, ma non si era mai pentito del proprio coraggio. La madre la pensava come lui e ogni giorno gli diceva quanto ne fosse fiera e quando stessero meglio senza il padre. Anche Gianni era fiero di sua madre e le rispondeva che aveva preso il proprio coraggio da lei.
"Non parlavo di sesso."
La ragazza si avvicinò leggermente.
"Si vede che cerchi lo specchio, voglio aiutarti."
"Da cosa si vede?"
Gianni F. le sorrise, ma solo perché Martino si ostinava a non rispondere e voleva riempire il tempo in cui faceva colazione parlando con qualcuno.
"Ce l'hai scritto in faccia e chi verrebbe qui con uno zaino nel periodo di Halloween? Uno interessato allo specchio."
"Ok" le concesse "Diciamo che sia interessato allo specchio. Cosa puoi fare per me?"
"Posso portartici."
Gianni divenne scettico, inoltre la sua colazione era quasi terminata quindi anche il suo desiderio di chiacchierare.
"Nessuno lo ha mai visto, com'è che te puoi portarmici?"
"Non hai chiesto alle persone giuste, altri lo hanno visto e li ho portati io."
"Ok" 
Gianni F. si accinse a chiudere la conversazione.
"Rifiuto la tua offerta, grazie lo stesso."
Lei lo seguì alla cassa e attese che lui avesse pagato il conto. Appena varcata l'uscita del bar, il ragazzo si girò, pronto ad usare parole brusche per mandar via la disturbatrice ma lei lo anticipò.
"Stai andando al castello, giusto? Lascia che venga con te. Una volta lì, suonerai al cancello, fai parlare me, la signora ti aprirà e ti farà vedere lo specchio."
"Mi sembra shady as fuck." protestò il ragazzo ma la sua curiosità ormai aveva acceso la sua fantasia che già si immaginava nel castello, davanti allo specchio magico, unico tra tutti quelli che conosceva ad esserci riuscito. Poteva fare una foto mentre la vecchia era distratta e imporla allo sguardo sconfitto di Martino per il resto della loro vita.
"Puoi perquisirmi se vuoi." Lei stava flirtando un po', lui restò indifferente.
"Ascolta, questa è la mia carta di identità."
"Non è nec..."
Prima che Gianni potesse finire la frase lei gli stava porgendo il documento.

Cognome DI GENNARO
Nome ALESSIA
nato il 25-03-1995
(atto  n 201 P 3 S B)
a ROMA (RM)
Cittadinanza ITALIANA
Residenza SANT'ANGELO (RI)
Via ETRURIA N. 18
Stato civile Libero
Professione -
CONNOTATI E CONTRASSEGNI SALIENTI
Statura 1,65
Capelli Castani
Occhi Verdi
Segni particolari -

Gianni la osservò un poco, le firme e la foto sembravano autentiche e somigliava in tutto a una normale carta d'identità. 
"Puoi fotografarla e inviarla a una persona di cui ti fidi, se vuoi."
Gianni avrebbe rifiutato di solito, ma qualcosa in quella situazione era anormale e non si lasciò sfuggire una facile precauzione. Scattò una foto fronte e una retro e le inviò a Martino e ad una sua amica, scrivendo "Sto andando con questa tizia al castello, se scompaio è colpa sua XD"
Si avviarono sulla via per il castello. Bastarono dieci minuti per uscire dal centro abitato, ma la strada continuava in salita attraverso la campagna. Gianni non era un marciatore allenato e dopo mezz'ora cominciò a sentire la fatica, la sua compagna di viaggio sembrava invece a suo agio. Volendosi fermare senza ammetterlo, Gianni chiese "Sei stanca?"
"No", rispose lei sorridendo "Ma tranquillo, siamo quasi arrivati."
E infatti svoltarono a sinistra, oltre un gruppetto di conifere e si ritrovarono davanti al castello.
Era più piccolo di quello che Gianni s'aspettava: un palazzo alto una decina di metri e largo trenta, affiancato da due torri alte e grigie. Era circondato da un giardino piuttosto grande abbandonato e invaso dalle erbacce, quindi era difficile vederlo con nitidezza ma sembrava anch'esso diroccato. 
Gianni guardò il cancello che aveva davanti, alla ricerca del citofono e si stupì che a differenza dell'ambiente circostante fosse curato. Il ferro smaltato di nero era lucido e brillava al sole. Mentre lui era perso nei propri pensieri, la ragazza gli indicò il citofono con lo sguardo e anticipandolo, suonò.
"Chi siete?"
"Sono Alessia, ho con me il ragazzo che voleva vedere lo specchio."
Gianni entrò in allarme e si chiese come la signora potesse capire che si parlava di lui, si sentì in una trappola da film e chiese immediatamente alla sua compagna di viaggio come la proprietaria sapesse chi fosse "Il ragazzo".
"Le ho mandato un sms"
La ragazza rise e mostrò lo smartphone.
Gianni lesse.
"Ho incontrato un giovane turista che vuole vederlo, sembra a posto, ci sto facendo colazione. Possiamo venire? Ti prego <3 "
Rilassò le spalle e si sentì uno stupido per essersi lasciato suggestionare. Lui nemmeno non credeva allo specchio, si ripeté.
Il cancello venne aperto e i due giovani percorsero il viale, circondati da erba alta e gramigna. Il castello era diroccato da vicino quanto lo sembrava da lontano, alcune parti del palazzo erano crollate e le torri erano coperte interamente di edera e altri rampicanti. Non c'erano finestre. Il complesso era circondato da un fossatello pieno di fango e di cespugli spinosi ma non c'erano ponti levatoi per superarlo, bensì un ponticello in legno.
Il ragazzo fu incuriosito dall'architettura insolita e si ripromise di chiedere alla proprietaria la storia del castello.
Una volta attraversato il ponte, i viaggiatori si ritrovarono davanti ad un portone, grande e intimidatorio, in ferro battuto. Era socchiuso e quando si avvicinarono si aprì ulteriormente. La proprietaria li salutò.
Era una donna sorprendentemente normale, di circa settant'anni, coi capelli ricci corti dipinti di rosso, il viso tondo, le mani grassocce, le unghie smaltate di rosso, un vestito di lana blu, un grembiule di fiandra bianca, calzini di cotone neri e ciabatte marrone, in legno.
"Entrate, prego. Se avessi saputo prima che c'erano visitatori avrei fatto dei dolci, ma... temo dovrete accontentarvi dei biscotti di ieri."
La ragazza accolse l'invito per prima, con passo sicuro, come se fosse abituata, Gianni la seguì, riluttante.
L'interno era moderno e pulito, non sembrava nemmeno parte di un castello e somigliava più ad una villa. C'era un ingresso con pareti dipinte di bianco, due mensole che ospitavano chiavi e brutti gattini di porcellana, il salotto attiguo era luminoso, piuttosto spazioso e ammobiliato ordinatamente in stile shabby chic, con mobili di legno bianco, poltrone foderate in verde chiaro, un tavolino basso di noce al centro, uno ancora più piccolo, nero, addossato alla parete, che serviva a sostenere un televisore piatto di quaranta pollici. Lo sguardo di Gianni fu colpito da una vetrina ricolma di oggetti d'oro, ammassati nei ripiani disordinatamente. Sembrava l'unico angolo caotico della stanza.
Sul tavolo di noce c'erano due piattini con dei biscotti, bicchieri di vetro puliti una bottiglia di Coca-Cola e una di whiskey.
I ragazzi si sedettero.
"Prego, prendete quello che volete, poi, ragazzo, potrai vedere quello per cui sei venuto."
Gianni F. aprì la bottiglia di Coca-Cola perché era intatta e quindi si fidava maggiormente rispetto a dei biscotti fatti in casa -aveva visto troppi film horror con vecchiette assassine che abitavano in case nei boschi- e si versò un bicchiere, lo bevve e si rilassò contro la spalliera morbida del divano.
La ragazza, Alessia, si versò due centimetri di whiskey e gli sorrise.
Anche la proprietaria gli sorrise.
"Uhm."
Gianni F. era più tranquillo sulle intenzioni delle due donne, ma non apprezzava i silenzi e sentiva il bisogno di parlare.
"Qual è la storia di questo castello?"
La vecchia scosse il capo.
"È troppo lunga affinché possa raccontartela adesso e poi perderesti interesse. Ti mostrerò lo specchio."
Continuava a sorridere in modo affabile.
Gianni si chiese perché i suoi amici di Sant'Angelo la odiassero, gliel'avevano descritta come una vecchia squilibrata che si vedeva in paese due volte l'anno e che gridava contro chiunque le rivolgesse la parola, invece gli poteva sembrare in quel momento una professoressa in pensione.
"Va bene..." Sorrise anche lui per guadagnarsi la benevolenza della padrona di casa "Posso portare il cellulare? Voglio fare una foto e inviarla al mio ragazzo."
Attese segnali di disapprovazione da parte della signora, pronto a combatterli con il coraggio che -secondo lui- contraddistingueva la propria vita, ma lei non mostrò alcuna reazione negativa e anzi annuì.
Si alzarono e imboccarono un coridoio laterale che Gianni inizialmente non aveva notato, la signora aprì una porta in fondo al corridoio e continuarono percorrendo una scalinata. Il ragazzo pensò fosse la classica scalinata che qualcuno immagina nei castelli, mediamente buia, stretta, con alti gradini in pietra, senza corrimano. Per completare lo stereotipo, l'aria era fredda e umida e insopportabilmente odorante di polvere e acqua stagnante. 
Guardò il cellulare e si stupì che ci fosse linea, inviò un messaggio trionfante al fidanzato "Sto per vedere lo specchio coi miei occhi, baciami il culo a vita." Giunsero abbastanza presto alla fine, c'era una svolta a gomito e una porta in legno. La porta fu aperta e il gruppo entrò in una stanza larga e bassa, illuminata da una calda luce gialla, lo specchio era al centro.
Il primo pensiero di Gianni F. fu che la luce nella stanza non proveniva da alcuna fonte, non c'erano finestre, né fuoco, né luci elettriche. Ricordò mortificato che anche il salotto era un ambiente luminoso senza alcuna fonte possibile di luce e di nuovo si diede dell'idiota per non averlo notato.
Il panico s'inerpicò nei suoi muscoli e gli fece girare la testa, il cuore accelerò tanto che gli sembrava di poterlo sentire, si voltò di scatto verso la porta ma la fuga gli era impedita dalla ragazza -Alessia, Alessia? Probabilmente il documento era falso. Probabilmente era tutto falso, lì- e lui era certo di non poterla superare.
"Perché io?" chiese tristemente. Era palese che fosse stato scelto, tra centinaia di turisti.
Nonostante le emozioni tumultuose che lo sconvolgevano, le due donne restavano calme e non mostravano sintomi di agitazione o aggressività.
"Allora, Gianni, vuoi vedere cosa fa lo specchio?" chiese la più anziana.
Il ragazzo non trovò nemmeno strano che lei sapesse il suo nome.
"No" rispose in un disperato tentativo di spavalderia "Vorrei andarmene se possibile."
"Te ne andrai, ma sei qui per lo specchio." gli disse la ragazza.
La padrona si diresse verso l'oggetto, Gianni decise di seguirla, con l'intenzione di scattare verso l'uscita non appena anche la ragazza si fosse mossa.
Come aveva previsto, la giovane lo seguì, liberando il passaggio tra lui e la porta. L'adrenalina gli diede la forza di scattare e raggiunse la porta, afferrò la maniglia e la scosse con energia. La maniglia non si mosse, la porta non vibrò nemmeno sotto i suoi movimenti. Prese a colpirla e forse stava gridando, nel panico non capiva nemmeno cosa stesse facendo, si aggrappò alla maniglia e vi appoggiò tutto il suo peso. Non successe nulla.
Le due donne lo guardavano con un'espressione che poteva somigliare a una rassegnata, se Gianni vi avesse fatto caso. Comunque erano tranquille e aspettavano soltanto che lui smettesse di agitarsi.
"Ok" sospirò lui "Ok"
Sorrise e decise di fare buon viso a cattivo gioco per qualche secondo, per il tempo di chiamare qualcuno. Martino non avrebbe risposto perché era arrabbiato con lui -Gianni F. lo mandò cordialmente al diavolo nella sua testa-, così scelse sua madre. 
"Se vedo questo specchio, potrò andarmene?"
"Siete così impazienti di vederlo e poi volete sempre fuggire quando arriva il momento." commentò la ragazza. Sembrava quasi stanca, gli occhi bassi, le braccia stese sul suo ventre e le mani giunte.
"Beh"
Gianni non sapeva cosa dire, intanto premeva a memoria i tasti del numero di sua madre. O sarebbe più esatto dire che li toccava e vi spingeva, ma lo schermo del suo smartphone non reagiva, indifferente alle sue azioni quanto la porta. 
Si scagliò contro lo specchio, non gli importava nulla di cosa avesse visto, la sua intenzione era di romperlo e di usare i frammenti di vetro per difendersi dalle due arpie.
Almeno non credeva che gli fosse importato, ma davanti all'immagine che lo specchio gli restituì, le gambe smisero di muoversi.
Non era il suo riflesso, né quello della stanza, si trattava di un posto che conosceva, la Stazione Centrale di Roma, la città in cui studiava e in cui viveva con Martino. Il punto di vista dal basso verso l'alto, poteva vedere le gambe dei numerosi passanti sfilare davanti a lui. Nella parte sinistra dello specchio poteva vedere una ragazzina di circa diec'anni, che non sembrava italiana ma poteva essere ROM secondo i tratti del viso, stesa sul pavimento gommoso della stazione, aveva gli occhi socchiusi ed era evidentemente cosciente perché il suo viso era contratto per l'angoscia, che fosse dolore fisico o disperazione Gianni F. non poteva dirlo, ma voleva aiutare la bambina e tastò lo specchio, inutilmente.
"Sta succedendo adesso?" chiese alla vecchia, dimentico del terrore che lo attanagliava qualche secondo prima.
Lei non rispose ma rivolse lo sguardo verso lo specchio e Gianni seguì l'esempio, continuando a guardare. Si vide, vide se stesso nello specchio, camminò tra gli altri passanti sfiorando quasi la bambina con i piedi, la guardò -era uno sguardo infastidito, noto Gianni F. tremando di orrore- e continuò per la sua strada.
"Non sono io quello. Cosa significa?"
Sapeva di mentire, perché ricordava quella scena. Era il giorno di San Valentino, aveva comprato una clessidra a Martino da "Polvere di Tempo" e una scatola di cioccolatini per la loro coinquilina, era felice e stava tornando a casa. Ricordò di aver notato la bambina, vestita di stracci e agonizzante, di essersi mentalmente lamentato del degrado in cui versava la città con il sindaco di allora e di aver continuato rimuovendo la scena dai suoi pensieri dopo qualche secondo.
La scena sullo specchio si ripeté e lui si vide una seconda volta.
Distolse lo sguardo, pieno di vergogna ma non riusciva nemmeno a guardare le due donne, temendo di leggere il giudizio sui loro volti per la persona che era. Guardava a terra.
"Non ti preoccupare, Gianni." lo rassicurò la vecchia "Siamo abituate a queste scene."
"Che significa?"
Gianni avrebbe dato tutto per tornare in quel momento e cambiare il proprio comportamento, rendendo onore alla persona altruista e coraggiosa che supponeva di essere.
"Lo sai che ci si vede più belli di quelli che si è agli specchi, in generale? Succede perché la maggioranza degli umani è narcisista e adora vedersi migliore di quello che è." La ragazza parlò avvicinandosi a lui e gli posò la mano sul braccio. Era gelida.
"Chi sei?"
Gianni si rivolse alla vecchia, perché aveva già un'idea di chi potesse essere la ragazza e ne temeva la risposta.
"Non ho un nome con cui chiamo me stessa." rispose la proprietaria del castello "Altri mi chiamano in molti modi: penso che il più familiare per te sia "Il Diavolo"."
"Non lo merito." rispose Gianni F. improvvisamente, riacquistando coraggio ed essendo orgoglioso di se stesso per il proprio comportamento, considerando che si trovava davanti all'infinito.
"Davvero?"
La vecchia ora sembrava seccata.
"Questo specchio è l'unico in tutto il mondo a funzionare. Ti mostra quello che sei. Questa scena non è un evento della tua vita, è l'evento che la rappresenta interamente e che racchiude la tua identità."
"Sono un essere umano!" protestò il ragazzo alzando la voce "Tutti sbagliamo."
"Non osare cercare di raggirarmi."
Il Diavolo parlò freddamente e nei suoi occhi ardeva una furia infinita. L'affabilità che l'aveva caratterizzata fino a quel momento sembrava non essere mai esistita. 
"Citami una sola scena diversa da quella che hai visto."
Gianni F. provò a ricordare ma era troppo agitato per pensare lucidamente. Il disgusto lo travolse al pensiero che quello che cercava potesse non esistere.
Cercò aiuto, nella disperazione nera in cui si trovava si rivolse a Dio, anche se era sempre stato un agnostico.
"Ti prego."
Cadde in ginocchio piangendo, le mani giunte si stringevano talmente forte che tremavano.
"Padre nostro che..."
"Per cortesia." sbottò Satana ed apparve al suo fianco, gli afferrò un polso e Gianni si accasciò sul pavimento con la testa tra le gambe, un dolore immenso bruciava in ogni muscolo del suo corpo.
"Sto solo facendo il mio lavoro ed è esattamente la Volontà di nostro Padre, non può più aiutarti adesso."
Gianni voltò gli occhi lacrimosi verso la Morte.
"Quando sono morto?"
Perché poteva essere vigliacco e ignavo, ma non era stupido e si accorse che non aveva alcun ricordo della scorsa settimana a parte la discussione con Martino, che gli pareva ora artefatta, non ricordava il momento in cui aveva deciso di visitare Sant'Angelo, né il perché. Non ricordava nulla a parte il diverbio col fidanzato, che naturalmente mai avvenuto, prima di scendere dall'autobus che lo aveva portato a Sant'Angelo.
"Lo sai." rispose lei.
Sì, lo sapeva. Ripercorse con rassegnazione l'ultima sera della sua vita. Avevano bevuto, lui e Martino. Erano usciti da un locale dove si ballava, completamente ubriachi. Avevano fumato marjuana. Poi si erano messi in macchina per tornare a casa. Gianni F. era alla guida. Mentre guidavano, era venuta loro l'idea di scattarsi una fotografia. Avevano sorriso, compiaciuti della loro bellezza, avevano sentito i freni di altre macchine, Gianni F aveva realizzato che avevano imboccato una strada contromano, poi c'era stato lo schianto, un istantaneo dolore alla testa e poi Gianni F. si era svegliato sul bus che lo aveva portato a Sant'Angelo.
"Ho pagato la colazione." contestò debolmente "Ho mangiato."
"Allucinazioni." rispose la Morte. 
Almeno Martino non aveva mai visualizzato i suoi messaggi senza rispondere, perché lui non li aveva mai scritti. 
"Martino, lui è vivo?"
"In terapia intensiva, ce la farà." rispose la Morte.
Gianni F. ne fu invidioso e si sentì abbandonato, da solo verso la morte. I suoi pensieri si riflessero sui volti delle donne che lo guardarono con disprezzo.
"Ora, come ti avevamo promesso, puoi andartene." gli disse infine la ragazza.
"Il tuo posto è l'Inferno." sentenziò la vecchia, con un cenno verso lo specchio, superfluo perché Gianni aveva già capito quale fosse il suo destino.
Gianni si alzò e si diresse verso lo specchio. Lo attraversò e gli sembrò di cadere, il suolo improvvisamente assente sotto i suoi piedi.
Respirò a fatica, stupendosi che potesse ancora respirare e si guardò intorno. Era a Roma, in stazione, disteso sul pavimento. Un dolore quasi insopportabile squarciava il suo basso ventre dall'interno e il suo intero corpo, la testa in particolare, bruciava per la febbre; non riusciva a muoversi, come se fosse paralizzato. A malapena poteva respirare, anche girare gli occhi era faticoso. Come s'aspettava dagli eventi precedenti, era stato condannato ad essere la bambina che aveva ignorato, per sempre. Pensava che la sua situazione non potesse peggiorare, poi vide se stesso camminare e vide lo sguardo di disgusto che aveva rivolto. Si detestò. Lui passò oltre e il tempo si riavvolse e Gianni F. si rivide. Si detestava e detestava Dio che lo condannato per l'eternità ad affrontare se stesso.

 
   
 
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