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Autore: Knuckster    30/10/2017    1 recensioni
Evento Argus. Il fenomeno che ha sradicato dal suolo di Mobius un'intera civilizzazione, che ha intrappolato il Clan di Nocturnus nei meandri di Twilight Cage, che ha sconvolto il mondo come lo si conosceva in maniera del tutto imprevista. Ma è davvero solo questo? Sonic the Hedgehog e i suoi compagni, per la prima volta, si ritrovano ad affrontare forze universali ed eterne molto più grandi di loro. Un gruppo di membri eletti di un pericoloso Cenacolo sta preparando il terreno per l'arrivo della misteriosa entità Argus... ed una cosa è sicura: dopo il suo avvento, nulla sarà più come prima.
Sonic e il suo gruppo hanno davvero quello che ci vuole per fermare questa nuova immortale minaccia?
01/03/2019 - STORIA COMPLETATA. A partire da adesso, ci sarà una revisione completa, capitolo per capitolo, con correzioni al contenuto e al layout, riassunte volta per volta in note a piè pagina. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno seguito questa storia gigantesca per tutti questi cinque anni!
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sonic the Hedgehog: A Blue Bolt Saga'
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Il volto di Necronomica (Terza parte)

    Non è facile per nessuno doversi adattare, di punto in bianco, alle regole di un mondo che non è più il proprio, nonostante per certi versi ne abbia ancora l’aspetto. Essere catapultati sulla Terra ed imparare a convivere con creature che all’inizio non hanno fatto altro che perseguitarci ha richiesto un notevole sforzo a tutti i mobiani coinvolti nell’Evento X. A me in maniera particolare…

    Su Mobius ricoprivo il ruolo di coordinatore delle forze di polizia, carica che qui, se non erro, chiamano “commissario” o qualcosa del genere. E’ perfettamente logico, quindi, che, una volta sulla Terra, mi fosse affidato l’incarico di scegliere, reclutare e addestrare i soggetti più promettenti della nostra specie per formare una squadra di forze speciali anti… crimine? Anti Robotnik? E’ difficile trovare un nome per ciò che dovevamo fare. Diciamo solo che il nostro compito era di monitorare le attività del dottor Robotnik, nostro nemico numero uno in quella nuova realtà, ma anche di preservare l’armistizio tra mobiani e umani che, a quei tempi, era ancora molto flebile e incerto.

    Diventare sergente istruttore di questo gruppo era un incarico di alta responsabilità, che richiedeva severità e vigilanza costante. Non penso mi si possa fare una colpa se, ad un certo punto, ho sentito l’esigenza di svestire per un attimo quelle spoglie di pietra per concedermi il lusso di fare amicizia con qualcuno, o comunque di stringere un rapporto che andasse oltre la sfera professionale, o per meglio dire, militare.

    Forse è per questo che mi avvicinai a Geoffrey e Sheila. Erano senza dubbio i cadetti più promettenti di tutti, ma avevano anche quel modo spensierato, ma responsabile, di affrontare la vita al centro, quell’aria così tremendamente amichevole e gentile che faceva sembrare il tutto molto meno serio. Fu una mia scelta deliberata quella di eliminare le formalità e di creare con loro un rapporto di fiducia quando li chiamai per la prima volta nel mio ufficio. Sentivo l’esigenza di stringere un legame solido con qualcuno che allentasse la pressione che gravava sulle mie spalle. Non avrei potuto scegliere persone migliori.

    Erano così diversi l’uno dall’altra, eppure andavano così d’accordo. Dapprincipio pensai che non ci fosse posto per me nel loro duetto già così ben amalgamato, ma in breve tempo mi dimostrarono il contrario. Il tempo che trascorrevamo a lavorare sui piani d’azione che di lì a poco avremmo dovuto mettere in pratica era anche tempo dedicato alla costruzione di una splendida amicizia. Le battute non mancavano, le frecciate scherzose erano all’ordine del giorno e quel poco tempo libero che avevamo lo trascorrevamo spesso insieme, fuori dal centro.

    Fu proprio quando stavamo preparando la prima grande offensiva contro le forze del dottor Robotnik, però, che qualcosa in me cambiò. Geoffrey era un ottimo amico, ma il rapporto che avevo con Sheila stava rapidamente mutando in qualcos’altro, almeno da parte mia. Il suo fascino era così innegabile, così magnetico. La sua personalità era così intrigantemente esuberante, ma allo stesso tempo affettuosa nei momenti di bisogno, che mi stupiva non avesse un nutrito gruppo di spasimanti alle sue calcagna.

    La carica che ricoprivo, sia prima che dopo l’Evento X, non mi aveva mai dato tempo né modo di pensare all’amore, ma mi resi conto che l’amore non era qualcosa che si poteva pianificare o prevedere. Mi ritrovai fortemente infatuato di Sheila Foster, ma non ebbi mai il coraggio di confessarle i miei sentimenti. Per lei ero soltanto Morrison, come lei mi aveva ribattezzato, un buon amico nei momenti di pausa, il suo sergente istruttore nei momenti di lavoro.

    In più di mezzo c’era anche Geoffrey. Non potevo esserne del tutto sicuro, ma sospettavo che anche lui provasse qualcosa per lei. E come potergli dare torto? Volevo bene a Geoffrey, ma non posso negare che averlo come potenziale rivale in amore era un pensiero che mi turbava. Tuttavia, il destino aveva già in serbo qualcosa di totalmente diverso per me. Non dovetti aspettare molto prima che questa situazione si evolvesse, in un modo che mai avrei creduto possibile. Tutto cambiò durante la nostra prima, e ultima, grande missione sul campo…



    Geoffrey Van Marten decise di estrarre dal portafoglio la foto più cara che avesse e di mostrarla a Sonic, Amy e gli altri compagni. Non aveva più segreti ormai con loro e tanto valeva andare fino in fondo.

    - Questi sono Morrison e Sheila - spiegò, tendendo la fotografia sgualcita in modo che tutti potessero vederla.

    L’espressione di Amy era intrisa di una dolcezza affranta e Geoffrey avrebbe potuto giurare che persino Sonic, che aveva deciso di affrontare la situazione con burbera ostinazione, si fosse ammorbidito almeno un po’. Anche Tails esibiva un’aria di rispettosa comprensione, quasi alla pari di quelle di Silver, Mighty e Blaze.

    - Questa foto è stata scattata durante la nostra prima missione sul campo. Alcuni informatori ci avevano riferito che il dottor Eggman si era rifugiato in una base segreta nella giungla delle Mystic Ruins, dove stava mettendo a punto una nuova tecnologia di cui, però, ancora non sapevamo molto. Di certo non poteva essere niente di buono, per cui ricevemmo l’ordine di recarci sul luogo e di sabotare le sue operazioni. E’ successo tutto qualche mese prima dell’allagamento di Station Square. Azzardo l’ipotesi che sia stato proprio il nostro intervento a spostare l’attenzione del dottore da quella nuova tecnologia al dio della distruzione -

    - Sì, Eggman ce ne ha parlato - intervenne Tails, ricordandosi di quando Eggman aveva raccontato loro delle analisi fatte sul corpo di Morrison a sua insaputa - La prima volta in cui ha incontrato Morrison, quando lui gli ha suggerito di avvelenare Sonic, ha scoperto che il suo corpo è fatto con una tecnologia che lui stesso aveva perfezionato e poi abbandonato. Ed è successo prima che scoprisse le tavolette di Chaos e decidesse di attaccare Station Square -

    - In realtà non aveva abbandonato quella tecnologia per sua scelta - precisò Geoffrey, sospirando piano - Siamo stati noi a costringerlo, facendo saltare in aria il suo covo… o almeno pensavo che fossero andate così le cose -

    - Continua il tuo racconto - lo incoraggiò Amy, con un sorriso - Forse insieme riusciremo a capirci di più -

    - Sì, vai avanti - le fece eco Sonic, in tono pacato, prima di aggiungere: - Se te la senti -

    Quell’improvvisa gentilezza del riccio blu infuse Geoffrey di una piccola bolla di sollievo, tanto che si sentì un po’ più rincuorato quando riprese il suo racconto.


    Ero molto nervoso il giorno della nostra prima missione in esterna, nel cuore della giungla per di più. Il nostro obiettivo era rintracciare il covo segreto del dottor Robotnik e sabotare tutte le sue attrezzature diaboliche.

    - Sappiamo con esattezza cosa sia questa nuova tecnologia che sta mettendo a punto? - domandai a Morrison, durante la marcia per raggiungere il punto che avrebbe costituito il nostro campo base.

    - Le informazioni che abbiamo ricevuto non dicono molto - mi spiegò lui, serio - Si ipotizza che possa essere una versione più avanzata del suo processo di robotizzazione. Hai presente? -

    - Quello con cui ha sempre trasformato gli esseri viventi in robot al suo servizio? - chiese Sheila, che marciava insieme a noi immediatamente al mio fianco - Su Mobius non si parlava d’altro, anche se non ho mai avuto modo di vedere uno di questi robot di persona -

    - Ha dato prova anche qui di ciò che è in grado di fare con i suoi robot - continuò Morrison - Se ha davvero messo a punto qualcosa di peggio, prima lo fermiamo e meglio è. Abbiamo già abbastanza problemi ad ambientarci e a sistemarci in questo mondo, senza che lui ci metta lo zampino -

    - Certo che è proprio una crudeltà costringere qualcuno in un corpo di latta - commentò Sheila, pensierosa - Io non vorrei mai dover subire una cosa del genere -

    - Non c’è rischio che accada - dissi io, per alleviare la tensione - Nessuna lattina potrebbe mai contenere il tuo caratterino -

    Era piacevole essere con loro in quella situazione. Rendeva tutto più leggero. Sapevo che in qualunque situazione di pericolo mi fossi trovato ci sarebbero stati loro a guardarmi le spalle.

    C’era bisogno di essere coraggiosi, come mai prima di allora. Mi ero ripromesso, come ulteriore incentivo a portare a termine la missione, che al nostro rientro avrei confessato a Sheila i miei sentimenti, a prescindere da quella che sarebbe potuta essere la sua reazione. Se ero in grado di affrontare una missione come quella e ad uscirne vittorioso, non dovevo temere in alcun modo di rivelare ciò che provavo.

    Raggiungemmo il punto della giungla dove avevamo deciso di stabilire il campo base. Insieme a noi c’erano altre reclute, anche se non molte per non rischiare di lasciare tracce del nostro passaggio. Dovevamo essere quanto più possibile veloci e silenziosi, si trattava pur sempre di una missione in incognito.

    Quella sera, dopo aver allestito il campo e aver terminato i preparativi per l’alba del giorno dopo, il momento in cui avremmo colpito, feci una scoperta che mi scaldò il petto. Sheila aveva portato con sé la sciarpa che le avevo regalato. L’avevo trovata ad indossarla mentre preparava la sua tenda e il suo sacco a pelo.

    - Non fa freddo qui, siamo nella giungla - fu ciò che mi venne in mente di dire, anche se avrei preferito che non suonasse come una critica.

    - Comunque non sono mai stata freddolosa - rispose lei, in tono leggero - E’ più un portafortuna per me, a dire la verità -

    Quelle parole riuscirono a regalarmi una piacevole sensazione di calore al petto. D’un tratto mi ero completamente dimenticato di trovarmi nel bel mezzo della giungla, con la prospettiva di affrontare una missione rischiosa l’indomani. Mi trovavo a galleggiare tra le nuvole, immerso in una squisita sensazione di gioia.

    - C’è qualcosa che non va? - mi chiese lei, aggrottando la fronte - Hai una faccia strana -

    Mi riscossi immediatamente da quella specie di trance in cui dovevo essere piombato e cercai di contenere quel palloncino di felicità che mi si era gonfiato in petto.

    - Sheila, io… - dissi piano, quasi balbettando come un idiota - Io devo dirti una cosa… -

    Ero consapevole di aver promesso di aspettare fino a dopo la missione, ma sentivo che se non le avessi confessato in quel momento ciò che provavo per lei sarei potuto esplodere. E poi, volevo che sapesse quanto lei era importante per me prima dell’indomani. Sarebbe potuto succedere di tutto e non volevo rischiare di perdere l’occasione per confessarmi. E non mi interessava quale sarebbe stata la sua risposta. Volevo solo che sapesse.

    Lei ricambiava il mio sguardo con aria incuriosita, attendendo con pazienza che riuscissi a trovare le parole. Purtroppo per me, in quel momento, sentimmo un fruscio alle nostre spalle. Era Morrison, che si faceva strada verso di noi con aria stanca e preoccupata. Era venuto ad assicurarsi che fossimo pronti per l’alba del giorno successivo e a darci la buonanotte.

    Si trattenne più del necessario e io persi l’occasione per intavolare la confessione che più mi stava a cuore. Non avevo altra scelta che rimandare a dopo la missione, non sapendo che non ne avrei mai più avuto modo.


    Non appena cominciò ad albeggiare, noi tre e le altre reclute ci addentrammo nel fitto della vegetazione, fino ad arrivare all’ingresso segreto dello stabilimento di Robotnik. Fortunatamente, avevamo studiato per bene il piano, in modo da non rischiare di trovarci faccia a faccia con il dottore in persona. Le fonti di Morrison riportavano che, in quel momento, si trovava a miglia di distanza e ci avrebbero avvertito via radio di ogni suo spostamento. Questo, però, non significava che quella base fosse priva di pericoli.

    Morrison ordinò alle reclute di rimanere di guardia all’esterno, mentre noi tre ci avventuravamo in avanscoperta. Lo scopo della missione era semplice: piazzare in punti strategici del covo delle cariche esplosive, per mettere fuori uso qualunque diabolica macchinazione si stesse preparando lì dentro.

    La base era situata diversi metri sottoterra. Non fu difficile trovare e forzare il portellone di accesso. Evidentemente, il dottore non pensava che qualcuno avrebbe potuto scoprire la posizione del suo covo ed essere così sventato da andargli a rompere le uova nel paniere. Credeva che fossimo ancora tutti disorientati e disorganizzati, in seguito all’Evento X, e che l’unica sua preoccupazione dovesse essere Sonic the Hedgehog.

    Percorremmo per diversi minuti un lungo corridoio, illuminato da luci al neon, che si addentrava nelle profondità della terra, lasciandoci alle spalle la sicurezza dell’aria aperta.

    - Il dottore si è dato molto da fare in poco tempo - commentai, ammirando l’ampiezza della base che si apriva di fronte a noi.

    - E’ facile quando puoi far fare tutto il lavoro ai tuoi giocattoli meccanici - replicò Sheila.

    Morrison ci faceva strada. Oltrepassammo una lunga passerella metallica sospesa su un baratro buio. Dalle eco che provenivano dal basso ipotizzai che lì in fondo, inghiottita dalle tenebre, ci fosse la sala macchine, con tutti i motori che alimentavano l’intero stabilimento.

    Forzammo un altro portellone e ci ritrovammo nel cuore della base. Eravamo circondati da ogni genere di meccanismo ad alta tecnologia e notai subito come Sheila strabuzzò gli occhi. Portata com’era lei nel manovrare e destreggiarsi con ogni diavoleria meccanica che si trovava sotto mano, lì dentro c’era davvero da sbizzarrirsi, se ne avesse avuto il tempo e la voglia. Schermi giganti, console piene di pulsanti e leve, teche di vetro sorrette da bracci meccanici… ce n’era davvero per tutti i gusti.

    - Non perdiamo altro tempo - disse Morrison, richiamandoci all’attenzione - Piazziamo le cariche e togliamo il disturbo. Finora siamo stati fortunati a non trovare sorveglianza, ma potrebbe non durare -

    Il sergente istruttore si tolse di spalla il pesante zaino che portava ed estrasse i quattro esplosivi a tempo. Erano piccoli quanto potenti, per cui andavano piazzati con cura nei punti nevralgici della struttura per causare il massimo danno possibile. Mentre lo aiutavo nella procedura, Sheila sembrava essere stata rapita da quello che leggeva su uno degli schermi della sala.

    - Guardate, qui spiega tutto il procedimento - ci disse, quasi completamente affascinata - Se ho ben capito, Robotnik sta cercando di trasformare i tessuti epidermici in titanio puro al cento percento -

    - C’era da aspettarselo da uno come lui - commentai, mentre piazzavo con cura una carica sotto alla console principale.

    - Non è una cosa negativa, però - insistette lei, mettendosi a studiare gli schemi ancora più a fondo - Certo, dubito che lui abbia intenti nobili, ma pensate se questa tecnologia avesse un’applicazione medica. Si potrebbe essere immuni a qualunque ferita. Gli organi interni sarebbero protetti meglio che in una cassaforte -

    - Sheila, non siamo qui per ammirare il lavoro di Robotnik - la riprese Morrison, con una punta di impazienza - Siamo qui per sabotarlo -

    - Che spreco - commentò lei, mordendosi il labbro e andando di malavoglia ad aiutare - Una mente del genere potrebbe fare grandi cose -

    Senza ulteriori indugi, piazzammo tutte e quattro le cariche, impostando il timer per il tempo sufficiente a permetterci una fuga rapida. Credevamo di aver portato a termine la missione senza intoppi ed eravamo già pronti a congratularci con noi stessi, quando la sala si riempì di una luce rossa lampeggiante e di un’assordante sirena di allarme.

    - Cos’è successo? - gridai, coprendomi le orecchie con le mani.

    - Dobbiamo aver fatto scattare qualche sensore nascosto! - urlò Sheila di rimando.

    - Dai, tagliamo la corda! - ci intimò Morrison - Non abbiamo tempo per fermare tutti i timer! -



    - E poi cosa è successo? -

    Amy Rose ascoltava il racconto con il fiato sospeso. Da un certo punto di vista a Geoffrey faceva piacere avere un pubblico così coinvolto. Peccato che non facesse altrettanto piacere rivivere quell’esperienza drammatica. Anche Sonic e gli altri stavano ascoltando con molta attenzione. Tails, in particolare, era così preso dalla storia tanto da avere la bocca semiaperta, cosa di cui probabilmente non si rendeva neanche conto.

    - Credevamo che lo stabilimento fosse incustodito, ma ci sbagliavamo di grosso. Non appena scattò l’allarme, i robot del dottore ci furono addosso in un lampo. Credo che voi li chiamiate Badnik. Ce n’era un’orda intera -

    - Bè, non sarà stato difficile farli fuori e uscire di lì in un lampo, no? - intervenne Sonic, impaziente.

    Geoffrey sorrise mestamente.

    - Non è così facile abbattere i robot del dottore - gli ricordò con garbo - Per chi è dotato della tua velocità immagino sia un giochetto da ragazzi, ma sono pur sempre fatti di metallo e noi non avevamo a disposizione delle armi efficaci contro di loro. In ogni caso, riuscimmo a sfuggire alle loro grinfie con molta fatica e con un po’ di astuzia. L’unica cosa che non avevamo considerato era che le bombe stavano per esplodere -

    - E come avete fatto ad uscirne vivi? - chiese Silver, stupito.

    - Non ne siamo usciti vivi… almeno non tutti -



    Stavamo correndo a perdifiato lungo il corridoio che ci separava dalla passerella sospesa sulla sala macchine. Eravamo riusciti a superare lo sbarramento dei robot, mettendo in pratica tutte le tattiche di battaglia che avevamo appreso durante l’addestramento. Con un po’ di furbizia, avevamo ostacolato la loro vista bionica con degli sbuffi di fumo chimico di una tubatura che avevamo danneggiato.

    Il tempo era agli sgoccioli. Avevo i muscoli doloranti e il cuore che martellava come un tamburo nel petto. All’improvviso si udì un fortissimo boato e il suolo sotto i nostri piedi tremò così forte da farci finire a gambe all’aria. Attorno a me si era scatenato un fracasso infernale, in un turbinio di polvere, calcinacci e clangore metallico. La prima carica era esplosa e non rimaneva ancora molto prima che anche le altre detonassero.

    - State tutti bene? - domandai allarmato, rimettendomi in piedi.

    Ero miracolosamente illeso. Sheila era accanto a me, con un taglio all’altezza del sopracciglio sinistro, ma senza altri danni visibili. La aiutai a rialzarsi e la strinsi in un veloce abbraccio, sollevato nel vederla sana e salva. Ci voltammo verso Morrison e ciò che vedemmo ci gelò il sangue nelle vene.

    Era disteso a terra, con un’enorme trave di metallo e un blocco di cemento che gli bloccavano le gambe. Stava tentando di spingere con tutte le sue forze, ma non ce l’avrebbe mai fatta da solo.

    Corremmo immediatamente al suo capezzale e cominciammo a sollevare la trave, nel tentativo di liberargli un passaggio sufficiente perché scivolasse via dall’impaccio. Era tutto inutile, però. Ci sarebbero volute almeno altre cinque persone per avere abbastanza forza.

    - Lasciate perdere, non serve a niente! - esclamò lui, con la voce rotta - Pensate a mettervi in salvo! -

    - No! Noi non ti lasciamo qui! - ribattei, risoluto, anche se una vocina nella mia testa mi suggeriva che non c’era poi molto da fare.

    - Tra poco esploderanno le altre cariche, non avete tempo da perdere! -

    - Dobbiamo solo… riuscire a farti… uscire da qui… - disse Sheila, contratta per lo sforzo di sollevare la trave.

    - Datemi retta, non ce la farete mai in tempo! Andate! - insisté Morrison, madido di sudore e con la voce affannata.

    - Siamo una squadra, Morrison - replicai - Noi non… -

    - ANDATE! E’ UN ORDINE! -

    Un altro rombo. L’eco della seconda esplosione. Le pareti vibrarono e sopra di me sentii il sinistro stridio di altre travi pericolanti. Dall’altro capo del corridoio sentivo i pesanti passi metallici dei robot in avvicinamento. Con un nodo alla gola, acchiappai Sheila per un braccio e la trascinai lontano di lì, lasciandoci il nostro sergente istruttore alle spalle.

    Continuammo a correre. Correvamo come non avevamo mai corso in vita nostra. Facemmo appena in tempo a raggiungere la passerella sospesa, quando ci arrivò l’impatto della terza esplosione. Quella fu più intensa della seconda. Tutt’intorno a noi piovevano detriti e pezzi di metallo dal soffitto, quasi completamente incrinato.

    Dentro di noi sapevamo che se fosse arrivata la quarta esplosione, quella della bomba che avevamo piazzato sull’impianto elettrico, le nostre speranze di salvezza sarebbero state meno di zero. L’intero stabilimento sarebbe potuto saltare in aria.

    - Andiamo, Sheila, dai! - urlai, spronandola a continuare.

    Eravamo quasi arrivati dall’altro lato della passerella, quando una trave gigantesca piovve dal soffitto e la distrusse in un sol colpo. Sentii mancarmi il terreno sotto ai piedi e feci appena in tempo, con un balzo, a raggiungere l’estremità opposta. Il respiro mi mancò quando la mano di Sheila scivolò via dalla mia.

    La passerella stava precipitando verso il gorgo buio sotto di noi e Sheila fece appena in tempo ad appigliarsi al bordo della piattaforma metallica sulla quale ero saltato.

    Sarei riuscito a salvarla, lo sapevo. L’avrei tirata su e saremmo andati via insieme da quell’inferno. Doveva essere così.

    - Coraggio! - esclamai, mentre tentavo di tirarla su.

    Avevo i muscoli delle braccia a pezzi ed ero costretto a sollevare tutto il peso del suo corpo perché non aveva un appoggio per i piedi per poterlo scaricare. Il suo viso era deformato in una maschera di terrore, un’immagine che sapevo mi sarei portato dentro fino alla fine dei miei giorni.

    - Non… ce la faccio… - mormorò lei - Troppo… stanca… -

    - No! Non è vero! Ce la fai! Ce l’hai sempre fatta! Sei sempre stata la migliore di tutti! -

    Sentii una fitta al braccio e, con estremo orrore, persi la presa della sua mano. Senza il minimo ritegno per la mia vita, mi sporsi in avanti, cercando di afferrarla con entrambe le braccia. Con la forza della disperazione, trovai una presa. Era la sua sciarpa. La sciarpa che le avevo regalato. Lei era appesa all’altro lato.

    - Ti tirerò su! Ti tirerò su, te lo prometto! - ripetevo, con la voce rotta dal pianto, ben consapevole che la sciarpa non avrebbe retto a lungo il suo peso.

    Sheila oscillava nel buio, appesa con tutte le sue forze al mio regalo di compleanno.

    - E’ un portafortuna, ricordi? - le dissi d’istinto, con i muscoli che bruciavano per il dolore e le lacrime che mi rigavano il volto.

    - Allora… spero che ne porti di più… a te - mi rispose.

    La mia presa stava scivolando, quindi mi sporsi ancora di più oltre il barato, ben consapevole che, senza un punto d’appoggio, il peso di Sheila avrebbe finito col trascinarmi giù con sé. Non mi importava.

    - Non farlo, ti prego! - la implorai, intuendo cosa stava per fare - Io… ti devo dire una cosa… -

    - Mettiti… in salvo, Geoffrey - mormorò, quasi impercettibilmente, spezzata dalla fatica - Corri! -

    Sheila abbandonò la presa e la vidi scivolare verso il buio, inghiottita dall’oscurità, che spariva per sempre dalla mia vista e dalla mia vita.


    Un silenzio di tomba seguì le ultime parole di Geoffrey. Gli era costato molta fatica arrivare fino a quel punto del racconto, scavare così a fondo nei suoi ricordi più dolorosi e metterli a parole. Aveva smesso di guardare i suoi interlocutori negli occhi, preferendo concentrare la sua attenzione su un punto morto del soffitto, con le pupille lucide di lacrime.

    Nessuno proferì parola, rispettando il momento di sofferenza della lince e aspettando con pazienza che fosse lui a proseguire. Ci vollero un paio di minuti prima che Geoffrey ritrovasse la forza di concludere la storia.

    - Riuscii a mettermi in salvo appena in tempo prima che la quarta carica esplodesse. Io e le altre reclute ci allontanammo in fretta e sentimmo dalla distanza il boato della base che saltava in aria sottoterra. Quando tornammo al centro raccontai tutto quello che era successo e mi offrirono di prendere il posto di Morrison come sergente istruttore. Però non mi importava. Rimasi il tempo sufficiente a prendere parte alle onoranze funebri di Morrison e Sheila, poi abbandonai per sempre il gruppo -

    - Oh, Geoffrey… - disse Amy, piano - Io non pensavo… -

    La lince la fermò con un gesto pacato della mano.

    - Ciò che più conta adesso è che, in qualche modo, sono sopravvissuti e… sono come impazziti - continuò Geoffrey, fattosi improvvisamente molto serio - Morrison è diventato un bio-mecanoide. Non so come e non so perché. So solo che sono pericolosi e vanno subito fermati -

    - Hai idea di dove possano nascondersi? - chiese Blaze.

    - Il posto più logico in cui cominciare a vedere è la ex base di Eggman. Credevo che fosse andata distrutta nell’esplosione, ma evidentemente non era così oppure l’hanno rimessa in funzione. Lì dovrebbero avere tutti i mezzi necessari per fare quello che hanno fatto finora -

    - Allora dimmi con precisione dove si trova - ribatté Sonic, balzando in piedi, finalmente pronto per l’azione - Così li vado a sbattere fuori di lì a calci una volta per tutte! -

    - Mi dispiace, Sonic, ma questa volta dovrò pensarci io da solo. E’ una questione personale -

    Il riccio blu aggrottò la fronte, palesemente infastidito.

    - Il tuo sergente istruttore ha tentato di far fuori i miei amici. Cosa c’è di più personale di questo? -

    - Hai perfettamente ragione e la responsabilità è mia. Avrei dovuto raccontarti tutto questo molto prima. Adesso, però, devo pensarci io. Questa storia è iniziata con me e deve finire con me -

    Sonic fece una risatina, per smorzare la tensione. Fece un passo avanti verso Geoffrey, non con intenzioni bellicose, ma semplicemente per mostrargli la sua risolutezza.

    - Se credi che lascerò correre… - si bloccò all’istante.

    Incredibilmente più veloce di lui, Geoffrey aveva azionato il cannone a onde del suo braccio robotico e aveva sparato un colpo, ad intensità ridottissima, proprio ai piedi del riccio, per intimargli molto chiaramente che non ammetteva repliche.

    - Mi dispiace, Sonic. Davvero - affermò, in tono glaciale - Ma non intendo permettere che nessuno di voi rimanga ancora coinvolto. Porrò fine io a tutta questa faccenda infernale -

    Senza aggiungere altro, Geoffrey raggiunse ad ampie falcate la porta d’ingresso e abbandonò casa Prower, lasciandosi alle spalle un silenzio attonito.

Manca soltanto un tassello per ricostruire l'oscuro passato di Necronomica e sarà proprio Morrison a svelare il mistero. Geoffrey sarà davvero costretto ad affrontarlo da solo? Sarà davvero in grado di combattere i suoi più cari amici e il suo passato in un colpo solo? Sapete che c'è solo un modo per scoprirlo...

Legacy of Argus: Il volto di Necronomica (Quarta parte) 

Data di pubblicazione: 15 Novembre 2017

   
 
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