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Autore: baejoyberry    03/11/2017    0 recensioni
(Aggiornamenti poco frequenti causa impegni)
Italia. Una ragazza. Una valigia zeppa di ricordi amari e sogni da realizzare appesi ad un filo. Un lungo viaggio. Una dinamica inaspettata ...
«Spogliati di tutto questo dolore»
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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Otto e due minuti. 

 

La sveglia aveva già suonato da mezz'ora, ma ancora non riuscivo a trovare una buona motivazione che mi spingesse a farmi alzare da quel maledetto letto. Un letto che, per sua sfortuna, ha dovuto attutire le mie peggiori paure, lacrime e urla, ripetutamente soffocate con violenza da un cuscino. 

 

Forse, una ragazza di appena vent'anni non dovrebbe custodire dentro sé stessa un vissuto così particolare ma, del resto, non ho scelto io di vivere in questa realtà che mi circonda. Una realtà che è sempre presente, come fosse un'ossessione. 

 

In principio, non era quella la vita che mi apparteneva. Ho trascorso un'infanzia felice, sono sempre stata forte, autoritaria. La positività era tutto ciò che mi dava modo di fortificarmi, ogni giorno di più. Non avrei voluto diventare ciò che sono adesso. 

 

La mia personalità è ormai da anni imprigionata in uno stato di malinconia ed inquietudine: la colpa non è stata mia, non lo è mai stata. Ho perso tutto. La voglia di amare, di respirare aria pura, di sorridere di cuore, di emozionarmi ancora. In quei rari momenti di felicità che riuscivo a condividere con il prossimo, la mia costante tristezza interveniva con violenza, trascinandomi in un vortice che consideravo ormai familiare, quasi confortevole. Un vortice colmo di poche certezze, di razionalità fin troppo razionale, di sogni inesistenti. La ragazza che ero una volta, ormai non esisteva più.

 

 

«Brynn, devi alzarti! Sarà la terza volta che ti chiamo! Farai tardi in questo modo, e perderai il volo!» Mia madre fece capolino dalla porta, accennando un lieve sorriso. La vedevo speranzosa. Ero quasi sicura che si aspettasse da me una frase che in un qualche modo la confortasse, che le facesse capire quanto fossi contenta di questo nuovo viaggio che avrei dovuto intraprendere. Magari, avrebbe voluto sentirsi dire che mi sarebbe mancata. Ma non era così. 

 

«Stavo giusto per farlo. Facendo mente locale delle cose da portare non ho guardato l'orologio» ribattei, senza nemmeno voltarmi verso di lei. 

Ero ancora immobile, rivolta su un fianco a fissare la finestra che avevo davanti. 

 

Non avevo mai visto un tempo così a Latina, prima d'ora. Potevo scorgere pochissime autovetture in circolazione, il che era molto strano. Dalle sette in poi diverse persone del mio quartiere solevano uscire di casa per recarsi a lavoro. 

 

Il clima era rigido, sembrava quasi che il sole non fosse ancora sorto del tutto, nonostante fossero le otto passate. Potevo avvertire dall'interno dell'abitazione il freddo che avvolgeva le strade della città. Nebbia e umidità completavano il quadro di una mattinata di novembre piuttosto silenziosa, malinconica. 

 

Un risveglio del genere non era proprio ciò che mi ero prospettata per un viaggio così importante; avrei preferito lasciare l'Italia con più positività. Ho sempre amato l'Italia. Nonostante mi fossi trasferita dopo aver vissuto ben dieci anni in America, il mio paese d'origine, alle volte sentivo la mancanza di quest'ultima: i ricordi riaffioravano nella mente senza alcun preavviso. Mi arrecavano un gran male.

 

«Beh, tu fa quel che devi fare. Vestiti e cerca di scendere presto, altrimenti la colazione si raffredderà. Vado a svegliare tuo fratello, così puoi salutarlo» rispose uscendo in fretta dalla stanza. 

 

Decisi di separarmi dal materasso, e arrancando, poggiai un piede dopo l'altro sul marmo freddo guardandomi attorno, sistemando i capelli arruffati, come ogni mattina. 

Sono sempre stati di un liscio impressionante, ma riuscire a metterli al loro posto era ormai diventata una vera impresa. Li raccolsi nella solita treccia, senza pensarci troppo. 

Mi diressi verso il bagno: per fortuna, avevo già preparato i vestiti la sera precedente, così facendo ridussi il mio ritardo di qualche minuto.  

 

Alle otto e trenta circa, ero definitivamente pronta. Un filo di trucco, il mio maglione preferito, un giubbotto di pelle, jeans leggermente strappati e scarpe basse. Semplice. Del resto, non dovevo partecipare ad una sfilata. Il viaggio sarebbe stato lungo e spossante, avevo bisogno di stare comoda.

 

«Brynn! Sbrigati!» Mia madre iniziò ad urlare. Odiavo le sue grida, più di ogni altra cosa. Per evitare di sentirla una seconda volta, mi precipitai immediatamente giù per le scale, dirigendomi verso la cucina: «Sono qui. I cereali sono per me?» Lei annuì, intenta a rovistare in uno scaffale. Mangiai in fretta, non avevo voglia di star a sentire le sue solite raccomandazioni. 

Mi limitai a chiederle se potesse aiutarmi con la valigia per le scale. Era davvero pesante, ma non avevo alcun motivo per lamentarmi: non ci si può aspettare un bagaglio leggero per un viaggio di tre mesi. 

 

«Vado da Aidan.» Dissi, poggiando velocemente il cucchiaio intriso di latte nel lavandino.

Quando mi diressi nella sua stanza, quel dolce mostriciattolo era ancora nel mondo dei sogni e mi dispiaceva svegliarlo. Mio fratello, per quanto fosse piccolo, rappresentava me stessa. Mi rivedevo molto in lui. 

Ero pienamente consapevole che avrei sofferto molto la sua mancanza, in un primo momento non avevo più voglia di andar via, ma di restare lì guardandolo dormire. 

 

Chinandomi vicino al suo letto, lo baciai dolcemente sulla fronte. «Ci vediamo presto, ti chiamo appena atterrerò. Pensa tu alla mamma e a papà. Ti voglio un gran bene.»

 

Dopo quelle parole, tornai nella mia camera per prendere la valigia. Mia madre era già lì che mi aspettava. Mentre eravamo intente a trascinarla verso la porta d'ingresso, cercò di farfugliare qualcosa, ma si interruppe. 

 

«Ecco qui, tesoro. C'è tutto. Hai sentito Hong Joo?» mi chiese con un respiro leggermente affannato. «Giusto, devo chiamarla. Credo che mi aspetterà  all'aeroporto, ma meglio sincerarsene.» Hong Joo era il motivo per il quale stavo per partire. 

Si trasferì in America all'età di due anni, per poi arrivare in Italia verso i cinque. Suo padre era costretto a cambiare nazione molto spesso, a causa del lavoro. 

Siamo state amiche per anni, eravamo praticamente inseparabili; quando mi disse che sarebbe dovuta tornare in Corea per problemi economici, qualcosa in me si spezzò

 

Sapere che dopo tutti questi anni ci saremmo riviste e che mi avrebbe ospitata a Seul per un così lungo periodo mi rendeva indubbiamente felice. Potevo condividere unicamente con lei la mia passione per la cultura orientale. In due anni non ero riuscita a trovare un'occupazione, ricominciare dalla città che più amavo poteva essere una vera occasione per realizzare un sogno che non credevo possibile. 

 

Composi il suo numero. Il telefono emise un paio di squilli: «Ei, golden maknae! Sei pronta? Quanto ti ci vorrà? Io sarò in aeroporto fra un paio d'ore, ti aspetterò divorando qualche manga o fumetti simili.. sono così eccitata! Vedi di non metterci troppo!»

 

Hong Joo aveva l'abitudine di gridare dall'altro capo del telefono, ma sapevo che era contenta di sentirmi. Sorrisi tra me e me udendo quelle parole le risposi: «Sto per uscire, Hong Joo. Il tempo di salire in macchina e sarò lì. Spero non ci sia traffico, ma credo che per arrivare ci vorrà una mezz'ora. Il volo durerà abbastanza, non fremere troppo»

La mia amica annuì con una vocina delicata e mandandomi baci rumorosamente imbarazzanti interruppe la conversazione. 

Riposi il telefono nella tasca dei jeans e presi la valigia con un gesto deciso. 

 

«Tuo padre è appena arrivato, ti aspetta in macchina. Dammi un bacio e vedi di divertirti piccola, aspetto tue notizie il prima possibile! Cerca di non farmi stare in pensiero!»

Mentre parlava accarezzò i miei capelli biondi di cui era follemente innamorata, forse perché ero l'unica della famiglia ad averli di quel colore così desiderato e lucente. Avvertii il suo dispiacere materno nel vedermi partire, ma mi limitai a darle un bacio sulla guancia: da una parte ero contenta di non vederla più. 

 

Sistemai la valigia nel retro della macchina e aprii la portiera sedendomi accanto a mio padre, che mi accolse con un sorriso radioso. Partimmo inmediatamente. Amavo la sua guida: veloce, sicura, precisa. Amavo molte cose di lui. 

 

 

 

Mi lasciò mettere il mio cd preferito e cantammo per tutta la durata del viaggio. Avevo riconosciuto i cartelli stradali e quando capii che eravamo ormai giunti a destinazione, mi prestai a dirgli quanto gli volessi bene e quanto mi sarebbe mancato. Mi raccomandai anche per Aidan. 

 

Quella stronza nei momenti di nervosismo adorava mettergli le mani addosso. Entrambi conoscevamo le problematiche di mia madre, che però, non gli abbiamo mai giustificato. Mio padre si è sempre battuto per i suoi figli, sapevo che lo avrebbe fatto fino alla morte. Ero così orgogliosa di lui. E lo sapeva. 

 

«Brynn, so che riuscirai a far grandi cose. Ti ho cresciuto in questo modo perché capissi quanto vali e quante cose puoi costruire nel corso della tua esistenza. Sono sempre stato fiero di te e lo sarò fino al mio ultimo respiro. Divertiti e sorridi, sempre.» Lo abbracciai fortissimo. Una lacrima bagnò il mio viso. Mi asciugai immediatamente. Non piangevo mai, sono sempre stata fin troppo forte e non volevo che mi vedesse debole. 

 

Mi chiese di portare i suoi saluti a Hong Joo, e dopo un sorriso raggiante da parte di entrambi, chiusi la portiera e lo guardai far retromarcia per poi scomparire in strada, nella nebbia ancora persistente. 

Camminai verso l'edificio con passo deciso, intenta a trascinare la valigia. Dovetti sedermi ed aspettare per poco tempo, dopo solo quindici minuti dalla mia attesa, cominciarono a chiedere i passaporti. 

 

Mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe condotta all'aereo, guardai fuori ripetutamente. L'Italia mi sarebbe mancata davvero. Un viaggio di questa importanza non lo avevo mai compiuto ed una piccola parte di me era terrorizzata all'idea di andar via. Trovai facilmente il mio posto a sedere e mi sistemai con tranquillità. Aspettai che la hostess finisse le sue solite raccomandazioni ai passeggeri e allacciai la cintura.

 

Per far passare prima il tempo, avevo con me un libro e un album pieno di fotografie piuttosto recenti. Scelsi di sfogliare quest'ultimo. L'aereo emise un rumore fortissimo e con grande velocità, decollò. 

Sapevo cosa significasse prendere un aereo, essendo stata abituata sin da bambina, ma quel rumore in un qualche modo suscitava ancora una strana sensazione in me, quasi fosse inquietudine che non riusciva ad andar via. 

 

Aprii l'album ed iniziai ad osservare minuziosamente le fotografie; gran parte di esse erano state sovrapposte l'una al di sopra dell'altra, probabilmente perché mia madre decise di conservarne troppe, inserendole nonostante lo spazio ridotto. I pensieri iniziarono ad emergere, pagina dopo pagina. 

Fu una sofferenza lancinante aver dovuto rimettere in moto alcuni ricordi: ero stata una ginnasta professionista ed al tempo stesso una promessa del balletto classico. A causa di un brutto incidente al ginocchio, dovetti rinunciare ad entrambe le strade che si stavano presentando davanti ai miei occhi. Avrei potuto scegliere. Sarei potuta diventare qualcuno. 

 

Strinsi i denti e trattenni le lacrime con tutta la volontà che avevo in corpo. "Non piangere. Una donna forte non piange. Il peggio è passato."

 

Ripetei quella frase fin quando non mi calmai del tutto. Ebbi il coraggio di sfogliare le pagine seguenti, osservando il mio volto felice e sereno che mostravo in uno dei momenti più belli della mia vita, ovvero il mio diciottesimo compleanno. 

 

In quel preciso istante, il pensiero andò a mio padre: sentivo di essergli davvero riconoscente. Non potevo di certo dimenticare il modo in cui decise di prendersi carico per tutta la serata di immortalare e catturare ogni mia gioia, ogni momento di serenità con quella piccola macchina digitale, per far si che tutto ciò potesse rimanere impresso a vita, e magari che avrebbe anche potuto tirarmi su nei momenti più duri in futuro. Così fu. 

 

Lui sapeva, pensava ad ogni minima cosa per farmi del bene, in ogni circostanza. Anche quando un qualcosa doveva ancora avvenire. Grazie papà pensai, sorridendo di cuore.

Lo amavo incondizionatamente anche per queste piccole cose. Piccole, ma pur sempre significative per una figlia. 

 

Riconobbi le varie fotografie che vennero scattate durante alcuni saggi di canto o mentre partecipavo a diversi concorsi. Non mi ero mai sentita abbastanza brava, anche se gli altri pensassero l'esatto opposto. 

L'unica cosa di cui fossi convinta era la passione per la musica, sin dalla nascita. Comunque, avevo le stesse identiche immagini appese al muro della mia stanza, quasi fossero poster. Probabilmente mia madre ne andava fiera, anche se oltre ad affiggerle non disse mai nulla a riguardo. 

 

Le mie dita continuarono a viaggiare con velocità fra le pagine plastificate, fin quando, una fotografia in particolare catturò nuovamente la mia attenzione. Questa volta peró, non con un riscontro positivo. Sentii l'odio incombere, tutto in un istante. 

 

Io e lui ritratti in spiaggia, durante la nostra prima vacanza. Io sorridevo, non so con quale stramba forza. Lui. Quel bastardo che non credevo avesse nemmeno più un nome, per quanto mi potesse riguardare. Non sarei mai più riuscita a pronunciarlo. Provai ribrezzo, un brivido mi percosse la spina dorsale senza aver pietà della mia corporatura così esile. 

Dolore, un dolore fisico. Sentivo come se il cuore facesse male davvero. 

Sono stata con molti uomini nella mia vita, piacevo e sono sempre piaciuta, anche se non ho mai capito il perché. Non ho mai trovato risposte a questa domanda ricorrente. Solo con lui credetti di essermi innamorata davvero per la prima volta.

Ovviamente, sbagliai alla grande. Tipico di me, del resto.

 

Dopo due anni di convivenza, ero ormai fermamente convinta che forse di lui potevo conoscere unicamente il nome, il cognome e il modo in cui gli piaceva scoparmi quando doveva farsi perdonare di ogni minimo errore. Credeva che fosse la soluzione ad ogni cosa, ma non capiva mai. Io non capivo a mia volta, e lo lasciavo fare. 

Mi fece credere di poter essere così ingenua. Che idiota. 

Aveva l'abitudine di fallire in tutto. Non riuscivo ancora a capire quale mano santa mi avesse assistito per spingermi a sopportarlo per così tanto tempo. La verità, era che credevo di poterlo aiutare, di potergli insegnare ad amare realmente una persona. 

Puttanate. Dopo l'ennesima litigata, un giorno lo sorpresi a darsi da fare con un'altra, una sgualdrina da quattro soldi. Si compensavano a vicenda.

 

Uno faceva più pena dell'altra, per non parlar della reputazione di lei; sarebbe stata anche disposta ad inginocchiarsi per  mangiare dalla ciotola di un cane nel cortile della scuola se qualcuno glielo avesse chiesto, per avere un minimo di attenzioni. Deprimente. Bene o male tutti noi studenti sapevamo come fosse, la conoscevamo bene. Onestamente, se capitava di parlarne, desideravamo con tutte le forze che scegliesse di continuare a mettersi in ridicolo per il resto della sua vita, ingurgitandosi di quella ricorrente e fittizia convinzione di cui disponeva, per poter essere accettata così come si mostrava. 

 

Era quello il suo posto, il suo ruolo da interpretare. 

Ad ogni modo, zoccola o non zoccola, quel mezzo uomo mi spezzò il cuore in mille pezzi, non solo per colpa di una ragazza con cui cornificarmi alla prima occasione. Credevo fermamente che non sarei mai più riuscita a recuperare i pezzi del mio cuore frantumato. 

Mi rese fragile, si prese una parte di me che ormai gli apparteneva irrimediabilmente. 

 

Erano passati più di sei mesi dalla nostra rottura, ma bastava un minimo pensiero e potevo ancora avvertire una fievole sensazione di dolore, che doveva andarsene a fanculo il più presto possibile. 

Promisi a me stessa che non mi sarei mai più annullata per nessuno, che mai più avrei provato ad innamorarmi di nuovo. Non avevo bisogno dell'amore per ritrovare ciò che avevo perso per colpa della sua meschinità. 

 

Misi a tacere ogni pensiero negativo e serrai frettolosamente l'album fotografico. Lo gettai con poca grazia sul sedile libero che avevo accanto, senza curarmene troppo. Poggiai la nuca cercando di star più comoda e rivolsi lo sguardo allo straordinario spettacolo che le nuvole avevano in serbo per me. Una danza di suoni e colori, che mi riecheggiavano senza sosta nel cuore.

 

 

 

 

Quasi fosse un gioco, osservai poco più in basso, cercando di distinguere abitazioni e palazzi che avevano ormai assunto la forma di tanti puntini neri, disposti assieme in uno spazio immenso ed unico.

 

Rimasi a guardare fuori per qualche minuto, poi, per stanchezza o forse per il disperato ed inconsapevole bisogno di evadere dai miei peggiori ricordi ritornati a galla, caddi in un lungo e profondo sonno. 

Dormii per tutto il tempo restante del volo.

   
 
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