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Autore: Raptor Pardus    04/11/2017    1 recensioni
Il vasto ponte di comando del ricognitore FSS “Nimbus” era vuoto, abitato solo dal ronzio e dai sibili degli schermi e dei computer di bordo, che illuminavano la plancia a giorno.
Le uniche persone presenti in quel momento all’interno della sala erano tre membri dell’equipaggio assegnato al comando della nave, lasciata al pilota automatico per buona parte della sicura tratta.
...
La nave era partita sei mesi prima dallo spazioporto di Palladium, al confine tra Orlo Esterno e Frangia Orientale, col compito di pattugliare i confini con l’Impero, dove da ormai cinque anni si susseguivano aspri combattimenti tra le flotte Volosiane e le navi Khorsiane in fuga, che ancora però trovavano le forze per compiere razzie ai danni dei sistemi Federali, le cui guarnigioni erano sempre e comunque inadeguate alla minaccia aliena.
Restavano ancora quattro mesi prima di rientrare nel vicino avamposto di Castrum Perseus, da dove poi sarebbe ripartita per ripetere la stessa tratta al contrario.
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passava gli interminabili minuti della sua prigionia a fissare le stelle che lente scorrevano davanti al suo oblò, ignaro di cosa accadesse realmente all’esterno della cella.
Per un attimo gli parve di riconoscere una nebulosa vagamente familiare, ma si rese presto conto che si sbagliava.
Dovevano essere in pieno territorio imperiale, o forse solo qualche decina di parsec al di là della frontiera, lui non poteva saperlo.
Sapeva solo che il cibo era freddo, il suo letto era duro, e il silenzio devastante.
Quando non fissava le stelle guardava il muro davanti a sé, seduto sul piccolo cubo accanto al tavolo.
Solo il silenzioso passaggio dei droni lo distraeva dalla monotonia che dominava nei suoi momenti di veglia.
Per quanto si sforzasse di dormire, sentiva di riposare meno ore del necessario, il sonno impedito dalle crisi di panico che a ormai regolarmente lo coglievano mentre provava a chiudere gli occhi, e lo costringevano a fissare il soffitto immacolato pur di non passare il tempo a fissare il corridoio vuoto, con la paura che qualcuno apparisse fuori dalla sua cella.
Fu in un momento del genere che finalmente ritrovò l’orientamento.
Per la disperazione aveva provato a infilarsi nell’interstizio dell’oblò, rannicchiandosi col volto schiacciato contro il vetro.
Le stelle erano immobili nel cielo nero, poi la nave vibrò, e nel giro di un secondo, le stelle sparirono, sostituite da filamenti di luce.
Capì subito che ciò che stava vedendo era il dilatarsi dello spazio intorno alla nave, compresso e stirato dal motore iperluce per permettere loro di viaggiare nel vuoto cosmico in tempi ragionevoli.
Quando i corpi fuori dall’oblò smisero di allungarsi e tornarono normali non ci mise molto a riconoscere il sistema davanti al quale erano arrivati.
Quelle due stelle erano inconfondibili.
Entrarono nell’orbita del pianeta più esterno e procedettero fino al sesto, uno scuro ammasso roccioso accompagnato da due lune minuscole e grigie.
Il continente che dominava in tutto l’emisfero settentrionale era separato dal ben più modesto continente meridionale da un piccolo oceano, una lingua di azzurro che circondava l’intero pianeta poco sotto il suo equatore.
Non molto tempo dopo il loro arrivo nel sistema N’dar tornò, con un poco rassicurante sorriso in faccia.
<< Devo ringraziarti per le informazioni che ci hai fornito. Sei l’unico che finora ha parlato. >> disse, fissando il prigioniero rannicchiato nell’interstizio della parete.
Nemo non aveva il coraggio di voltarsi e guardare in faccia il suo aguzzino, né aveva la forza di rispondere.
Si sentiva un verme, si sentiva debole, si sentiva ormai morto.
<< Stiamo scannerizzando la superficie del pianeta, non sembra pericoloso. Sei fortunato, non hai ancora condannato a morte nessun tuo compagno. >>
N’dar rise sguaiatamente, facendo rabbrividire l’umano con quel suono gutturale.
<< Sono qui per farti altre domande. Guardami. >>
Nemo rimase immobile.
<< Non farmi sporcare le mani. Guardami. >> ripeté N’dar con voce decisa.
Passarono due interminabili secondi, poi l’uomo si dimenò, voltandosi con fatica nello spazio ristretto.
<< Bene, dove si trova il grosso della flotta Federale? >>
Nemo tremava.
<< Avanti, tanto questa guerra non durerà ancora per molto. >>
<< Perché mi fai questo? >> sussurrò Nemo.
<< Perché? Perché è mio dovere servire l’Impero, che domande. >> rispose N’dar senza esitazione.
<< L’Impero ha deciso che gli alleati dei Volosiani devono essere annientati, io eseguo. Nulla di più. >>
<< Tu trai piacere… dal farlo. >> continuò Nemo, sempre sussurrando.
<< Non posso negarlo. Nulla di personale, però. >>
<< La flotta… pesante… protegge la Terra. Le unità leggere… il confine. I Volosiani… dirigono le operazioni. >> la voce gli usciva a fatica, quasi come migliaia di aghi conficcati all’interno della sua gola secca gli impedissero parlare.
<< Non mi sorprende. Qualsiasi ufficiale dell’Unione e ben più capace di ogni vostro generale. >> ribatté N’dar, indifferente alle difficoltà che l’umano aveva.
<< Il mio capitano… voglio vederlo. >>
<< Permesso negato, andiamo avanti. Cosa sta progettando l’Unione? Qual è il vostro prossimo obbiettivo? >>
Nemo fissò il suo aguzzino negli occhi.
<< Non lo so… >>
<< Prevedibile. >>
I due rimasero in silenzio.
<< Continuo a chiedermi perché combattiate con così tanta ferocia, è chiaro che non siete in grado di sostenere questa guerra ancora per molto. >> osservò dopo un po’ N’dar, perplesso.
In Nemo si riaccese una fiamma a quelle parole.
<< Perché… non dovremmo? Questa… non è una guerra, è… una lotta razziale, una… pulizia etnica. Chi perde… sarà annientato, lo hai… detto tu. Combattiamo per… la nostra stessa esistenza. Non c’è… motivazione… più efficace. >>
<< Credete davvero che, se sopravvivrete a noi, i Volosiani vi eleveranno a loro pari? Stolti, non crediate che tra Impero e Unione vi sia così tanta differenza. Non chiudete gli occhi, non prendetevi in giro, ogni razza vuole dominare la galassia. Da sola. >>
Tra i due calò di nuovo il silenzio.
Poi N’dar si voltò e uscì dalla cella.
<< Ti sei meritato un pasto decente. >> disse, prima che la lastra trasparente li separasse.
Non appena il corridoio fu vuoto, Nemo si voltò di nuovo e scoppiò a piangere, singhiozzando debolmente.
Diverso tempo dopo gli fu servita una purea arancione, calda, che divorò in poco tempo, sorpreso di scoprirsi così affamato.
Notò con piacere che quella roba sapeva di farro.
 
Fuori dall’oblò il pianeta si faceva sempre più grande, sempre più vicino.
Entrarono in atmosfera e iniziarono a scendere, sorvolando picchi rocciosi così alti che superavano la fitta coltre di nubi sopra la quale si trovavano.
Vedere un cielo azzurro improvvisamente ricordò a Nemo che non toccava terra da ormai troppo tempo.
Da quanto era prigioniero? Non avrebbe saputo dirlo.
Sapeva però che ormai una corta barba gli ricopriva il viso, crescendo ribelle e incontrollata, e che sotto i vestiti stava accumulando strati di sporco.
Ormai la pelle gli prudeva e iniziava a squamare, accumulandosi sul pavimento come fosse polvere.
Mentre era steso sul letto, intento a combattere col desiderio di grattarsi, la parete di vetro si aprì, e tre droni entrarono librandosi sopra la sua testa.
Lui li fissò, senza capire il motivo di quell’intrusione nel suo spazio vitale.
Un droide si voltò e si allontanò, fermandosi sulla soglia della cella, mentre gli altri due continuavano a fissarlo minacciosi dall’alto.
Nemo si mise a sedere sul letto, senza distogliere lo sguardo dai due droidi sopra la sua testa, e si alzò in piedi ondeggiando.
I due droni si posero dietro di lui, facendo segno di andare avanti.
Avanzò con passo incerto fino a raggiungere il terzo drone, che lo guidò nel corridoio vuoto fino alla porta.
Nemo si guardò intorno, sperando di vedere i suoi compagni, ma vide solo che le tre celle sul lato opposto del corridoio erano vuote, mentre le due ai lati della sua avevano una lastra bianca a sigillarle, impedendo a chiunque di vedere chi fosse rinchiuso all’interno.
I droni, disposti a triangolo intono a lui, lo portarono in un altro corridoio, ben più scuro, fino ad una porta che dava su una camera grigia, dal cui soffitto pendevano doccioni in metallo.
I droni si ritirano e attesero fino a quando Nemo non si spogliò completamente e appoggiò i suoi vestiti sulla soglia, dove i droni li afferrarono per portarli via, lasciando il prigioniero chiuso lì dentro, da solo.
Per la prima volta dopo tanto tempo, l’umano poté vedere di nuovo il suo corpo nudo.
Era parecchio dimagrito, e la pelle era invecchiata paurosamente, pendendo molle dai suoi arti.
Non aveva più un singolo muscolo, tutti ormai flaccidi e atrofizzati.
Le gambe tremavano sempre più, ormai incapaci di reggere il suo peso.
Poi arrivò il getto d’acqua ghiacciata dall’alto, violento, impietoso, e lo spezzò.
Nemo cadde in ginocchio, urlando per il dolore, finché al getto d’acqua non si aggiunse una densa schiuma bianca che quasi bruciava sulla sua pelle secca, staccando qualsiasi traccia di sporco incrostato.
Quando la tortura finì, un getto di aria bollente lo investì per qualche secondo, lasciandolo steso al suolo, ansimante.
La porta del bagno si aprì, ed i tre droni entrarono ponendosi di nuovo a triangolo intorno a lui.
Uno teneva un pantalone pulito tra i suoi bracci meccanici, e glielo porse non appena Nemo riuscì con estrema fatica a rimettersi in piedi.
Non gli diedero il tempo di rivestirsi, ma lo fecero subito tornare in cella, tramante e infreddolito, ancora nudo.
Mentre stava infilandosi i pantaloni fu raggiunto da N’dar, completamente indifferente davanti alle nudità del suo prigioniero.
<< Puzzavi. >> disse.
<< Perché sei qui? >>
<< Un prigioniero si è ucciso. Si è lanciato contro la parete elettrificata e vi è rimasto attaccato finché il suo cuore non si è fermato. >>
Nemo sentì il suo cuore mancare un colpo.
<< C-chi? >>
<< Il primo guardiamarina. È stato stupido. >>
Nemo non rispose.
<< Quindi, prendendo atto che siete propensi all’autolesionismo, ho deciso che dobbiamo prenderci più cura di voi. Essendo tu l’unico che finora ha parlato, ti invito a seguirmi in un giro della nave. >>
<< Cosa? >>
<< Ti voglio far vedere la nave. Ti conviene accettare prima che cambi idea. >>
<< Posso avere una stampella? >>
<< Accordato. >>
 
La nave era un piccolo gioiello tecnologico, uno spettacolare monumento all’automazione.
L’equipaggio era ridotto al minimo, come presto scoprì Nemo, e i numerosi droni, ognuno con la propria specializzazione, si occupavano dei compiti più gravosi.
Visitò presto il ponte di comando, affiancato da N’dar e da due droni armati, e conobbe gli altri silenziosi membri dell’equipaggio, una ventina di Khorsiani incarogniti, uno più grosso dell’altro, tutti vestiti alla stessa maniera del capitano, con un piccolo geroglifico sulla spalla sinistra a rappresentare il loro grado.
La vasta stanza era completamente sigillata, al sicuro sotto chissà quanti metri di corazza, e le sue pareti erano ricoperte di schermi e computer da cui si poteva controllare l’intera nave.
Dopo il ponte di comando, fu portato nella camera di armamento dei cannoni principali, un vano scuro in cui il pulsare dei generatori faceva vibrare le pareti e gli enormi tubi che componevano l’anima delle enormi armi, attraverso il quale fluiva plasma rovente, e infine raggiunsero il reattore principale, un toroide non più grande di un tir in cui avveniva la fusione nucleare che manteneva attiva l’intera nave.
<< Perché… mi fai vedere tutto questo? >> chiese Nemo, puntellandosi sulla stampella, al suo aguzzino.
<< Per farti capire quanto sia inutile combattere. >> rispose N’dar.
Salirono su un ascensore e raggiunsero la sommità della piatta astronave.
<< Come puoi vedere, le nostre risorse sono ben più vaste delle vostre, e non temiamo l’inferiorità numerica. Se solo vi arrendeste e vi uniste a noi, potreste godere di miracolosi progressi. La vostra civiltà farebbe un salto in avanti di diverse generazioni. >> disse, non appena la porta dell’ascensore si aprì, rivelando un ponte completamente vuoto, le cui pareti erano rivestite da una lunga fila di finestre da cui si poteva osservare il cielo terso intorno a loro e il mare di nuvole subito sotto.
<< Non devi convincere me… io sono solo un soldato. >> rispose Nemo.
<< Lo so, però posso comunque darti una dimostrazione della potenza dell’Impero. >>
<< Mi è bastata la Nimbus. >>
Avanzarono sul ponte fino alla sua estremità, poi N’dar si piegò su un interfono nascosto in una parete e lo attivò, dicendo poche parole nella sua cacofonica lingua madre.
La nave si abbassò di quota, entrando nel mare bianco.
<< Che vuoi fare? >> chiese Nemo, preoccupato.
<< Vedrai. >> fu l’unica risposta che ricevette.
L’astronave rimase per diversi minuti all’interno del banco di nubi per poi sbucare al di sotto dello stesso, proprio sopra una piccola città nel bel mezzo di un anello boschivo, una piccola oasi in mezzo ad un deserto roccioso.
<< No. >> sussurrò Nemo.
La nave scese in picchiata e planò sopra i palazzi d’acciaio, girando su sé stessa.
<< Come puoi vedere, nessuno si è accorto del nostro arrivo. >> disse N’dar sorridendo malizioso.
Nemo sentì il sangue andargli alla testa, eppure, nonostante il mondo fosse sottosopra, era ancora con i piedi ben saldi su quello che prima era il pavimento.
N’dar attivò di nuovo l’interfono e disse una sola sillaba.
Poi i cannoni della nave aprirono il fuoco sui civili inermi, spazzando via interi palazzi.
La nave cabrò, riprendendo quota e riallineandosi.
Nemo cadde in ginocchio.
<< Perché? >> urlò.
<< Per farvi capire che non avete speranza. Abbiamo superato le difese planetarie senza problemi, pensa a cos’altro potremmo fare. >>
La nave rientrò nel banco di nubi, lanciata a tutta velocità verso lo spazio.
Quando uscirono dall’atmosfera, davanti a loro apparve lo spazioporto del pianeta, al quale erano attraccati in quel momento quattro ricognitori, intenti proprio in quel momento ad eseguire le manovre di distacco.
N’dar attivò nuovamente l’interfono e dettò pochi, secchi ordini, e la nave proseguì dritta contro le unità nemiche, pronta a passare attraverso la loro disorganizzata formazione.
I cannoni di prua fecero fuoco, danneggiando l’ala del ricognitore più vicino a loro, che iniziò a perdere quota e a scendere lentamente verso la superficie del pianeta, gli ormeggi ancora in parte attaccati.
Mentre questa riprendeva stabilità, cercando di allineare i suoi cannoni principali con lo scafo avversario, questo scivolò alle sue spalle, riversando una salva di missili sugli hangar dello spazioporto, dal quale erano intente a decollare intere squadriglie di caccia, piccoli rombi metallici lanciati sulla loro scia.
Le difese di punto Khorsiane fecero fuoco su un secondo ricognitore, mirando al suo ponte di comando, ma non riuscirono a infliggere danni consistenti, ottenendo solo una salva di missili in risposta all’attacco.
Le unità Federali erano ormai impossibilitate ad aprire il fuoco, essendo due dall’altra parte dello spazioporto, una danneggiata e ormai presa a poppa, e l’ultima impedita dal rischio di colpire le unità amiche, troppo vicine al suo bersaglio.
La torpediniera Khorsiana superò lo schieramento nemico, scompaginando la loro debole formazione, e si allontanò verso i pianeti esterni, inseguita dai caccia.
Ci volle diverso tempo per permettere ai ricognitori di riorganizzarsi e lanciarsi all’inseguimento del nemico, rallentati dall’unità che aveva subito danni.
I caccia, incapaci di sostenere un volo così prolungato, abbandonarono presto l’inseguimento, costretti a tornare sui ricognitori per far rifornimento.
Il combattimento fu fiacco, essendo i terrestri troppo lenti per poter mantenere il contatto con la neve nemica ed essendo quest’ultima sprovvista di armi a poppa.
Quando raggiunsero l’orbita del pianeta più esterno, le navi umane erano ormai sparite, avendo rinunciato alla loro preda.
Nemo aveva osservato tutta la scena mordendosi le nocche per la rabbia.
<< Abbiamo stuzzicato la Federazione abbastanza. >> decretò N’dar, dirigendosi verso l’ascensore.
Nemo rimase immobile, appoggiato alla stampella, tremando per l’odio che stava attraversando il suo corpo.
Il Khorsiano entrò nell’ascensore, si voltò e fissò l’umano, sorpreso.
<< Avanti, cammina. >>
Nemo non si mosse.
<< Tu… sei un bastardo. >> sibilò, mordendosi il labbro.
<< Cosa? >>
<< Hai massacrato civili inermi! >> sbraitò Nemo, lanciandosi zoppicando verso il Khorsiano.
N’dar mostrò i denti, sorridendo compiaciuto.
Nemo gli si lanciò addosso urlando, ma il Khorsiano afferrò la testa dell’uomo al volo e lo lanciò contro la parete dell’ascensore.
L’umano si alzò e brandì la stampella, colpendo in faccia l’alieno, che grugnì coprendosi il volto dolorante.
Nemo si raddrizzò, sputando un grumo di sangue, e iniziò a prendere a pugni il ventre dell’avversario, che scosse la testa e fulmineo interruppe l’attacco avversario con un calcio nello stomaco.
Nemo cadde a terra, gemendo per il dolore e coprendosi la pancia con le braccia.
N’dar sbuffò.
<< Inizi a piacermi. Combatti bene, per essere un umano. >>
L’ascensore si chiuse e tornarono sul ponte prigionieri, dove l’alieno trascinò l’umano ancora steso a terra fino alla sua cella, dove lo gettò davanti al letto.
Nel breve tragitto, nell’intontimento causato dalle percosse e dalla debolezza, Nemo notò che una delle celle occupate era ora vuota, la parete bianca che impediva di vedere all’interno rimossa.
<< Per quanto mi faccia schifo la tua razza, devo ammettere che ammiro la tua ferocia. Forse avete qualche speranza. >> disse N’dar mentre le palpebre dell’umano si facevano pesanti. << E devo aggiornare il mio vocabolario. A quanto pare le nostre spie non hanno scoperto tutto sulla vostra lingua. >>
Nemo chiuse gli occhi e attese di sentire il rumore dei passi del Khorsiano.
Poi crollò sul pavimento e si addormentò, la mente divorata dal senso di colpa.
   
 
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