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Autore: _Frame_    05/11/2017    3 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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147. Non perderti e Restami affianco

 

 

Australia arrancò di un altro passo zoppicante, avanzò lungo la stradina lasciandosi alle spalle una scia di macchie di sangue sempre più larghe e fitte che chiazzarono il terreno impolverato, e accelerò la corsa facendosi graffiare la gola dal respiro rauco e pesante che fremeva fra le labbra. Urtò una maceria di cemento che finì sbalzata via dalla punta del suo piede e che colpì il muro di uno degli edifici. Qualcosa esplose al di là dei tetti della città, ci fu il boato, lo scroscio, e l’eco che si ritirò come il brontolio di un temporale riassorbito dalle nuvole. Australia trascinò un altro passo di corsa. Zoppicò ancora chinando le spalle, e la ferita alla schiena gli scaricò una scossa di dolore fino al midollo delle ossa. Contrasse il busto, gemette, “Ghn!”, e il suo ginocchio si torse facendo precipitare il suo peso a terra.

Australia cadde sui gomiti e batté la fronte. Soffocò un ansito che assorbì tutto il sapore ferroso e secco della strada bagnata dal suo stesso sangue, strizzò le palpebre aspettando che l’ondata di dolore si ritirasse assieme al fischio nelle orecchie. Rivoli di sudore freddo gli scivolarono contro gli occhi stropicciati e rigarono le guance sporche di polvere e fumo, i pugni serrati a terra tremarono, un altro gemito gorgogliò fra i denti serrati e finì risucchiato in un rantolo in fondo allo stomaco. La ferita alla schiena continuava a sanguinare. La sensazione umida e calda del sangue appena spurgato gli scivolava attorno al torso e gocciolava sotto il ventre, spandendo il suo bruciore lungo tutto il torso.

Altri spari a raffica piovvero sulle strade della città assediata. Scrosci secchi e acuti come una grandine d’acciaio.

Australia strinse i denti e ingoiò il sapore del sangue. Staccò un gomito da terra, aprì la mano contro la ferita alla schiena, e schiacciò le dita sulla morsa di dolore che lo stava divorando all’altezza dei reni. Soffiò un pesante sospiro di fatica, sollevò la fronte, e sbatté le palpebre per rimettere a fuoco il paesaggio velato da una coltre di vapore grigio. Mura di pietra si affacciavano sulla strada, tetti ancora integri toccavano le nubi e spiovevano su di lui, i tubi delle grondaie luccicavano di un forte color rame sotto i raggi di sole che riuscivano a penetrare le nuvole. Ragnatele di crepe attraversavano le finestre che non erano esplose, i lampeggi degli spari e delle bombardate abbagliavano le superfici dei vetri, facendoli risplendere di bianco.

Australia si morsicò un labbro e soppresse il moto di frustrazione che bruciava più del proiettile infilato nella schiena. Graffiò il suolo tenendo i pugni stretti. Non posso più salire sui tetti, maledizione. Tremò di nuovo, sollevò un ginocchio e piantò la suola a terra, sbuffando una nuvola di fumo da sotto lo stivale. La ferita martellò un’altra fitta di dolore sulle sue ossa e continuò a sanguinare, a infradiciargli i vestiti e la pelle, a gocciolare e ad allargare la chiazza rossa sotto di lui. Con questa ferita non ho più l’agilità che avevo prima, rischierei solamente di farmi ancora più male.

Un’altra serie di tre esplosioni scoppiarono sopra di lui, al di là degli edifici, da dietro le cappe di fumo che stavano continuando a ingrossarsi e a elevarsi verso il cielo.

Australia diede un’altra strizzata alla ferita alla schiena, rivoli di sangue denso e caldo sgorgarono fra le sue dita, e fece fluire le ultime forze lungo le gambe piegate a terra. Gettò le spalle in avanti e scattò in piedi. Compì tre passi di corsa e tornò a zoppicare. Il peso delle spalle cedette, le ginocchia si fecero deboli, e Australia andò a sbattere contro lo spigolo di un edificio. Aprì le mani nelle rientranze fra i mattoni, tatuò due impronte di sangue, e vi spinse la fronte contro per sopprimere gli spasmi che continuavano a scuotergli il corpo. È inutile. L’edificio tremava sotto la sua testa, scossoni agitavano il suolo sotto i suoi piedi, il ronzio elettrico della presenza nemica si faceva sempre più vicino penetrò fin dentro l’osso del cranio e gli sollevò la pelle d’oca. Australia annaspò altre boccate d’aria rovente. Anche se io ho più armi di loro, sarà sempre la strategia a vincere su tutto. Strizzò di nuovo gli occhi per proteggersi dal fumo che gli impregnava le palpebre brucianti. Si rivide cadere in piedi fra Romania e Bulgaria che lo avevano braccato, rivide le sue braccia spalancarsi e gettare le bombe, il suo corpo finire sbalzato via dall’esplosione per poi accasciarsi davanti ad Austria e finire sepolto dall’ombra di Bulgaria che era comparso alle sue spalle, tenendolo in trappola. L’aspro sapore del rimorso gli invase la bocca, aprì un buco nel petto riempiendolo con una sensazione di solitudine. Siamo stati degli idioti a separarci, saremmo dovuti rimanere uniti, costi quel che costi. E ora non possiamo nemmeno difenderci a vicenda come stanno facendo i bastardi dell’Asse. Un’altra esplosione lo destò, scuotendogli i pensieri. Australia staccò una mano dallo spigolo dell’edificio, la schiaffò sul muro, più avanti, lasciando un’altra impronta, e trascinò i piedi avanzando di altri due passi. Devo farcela da solo. Si diede una spinta e si staccò dal muro. Resistette a una frustata di dolore all’altezza dei reni, dove la consistenza del proiettile continuava a premere e a bruciare dentro la carne, e riprese a correre schiacciando detriti e riccioli di fumo. Ma cosa potrò mai...

Tre spari esplosero in mezzo ai suoi piedi, schegge di pietra schizzarono contro le sue gambe, e le vibrazioni improvvise lo fecero inciampare. “Ah!” Australia cadde, batté sui gomiti e sul mento, si rotolò sul fianco tornando a serrare la mandibola e a stropicciare la faccia in una smorfia di dolore, e quella botta improvvisa gli risucchiò il fiato dal petto. I suoni dei passi in corsa e di altre raffiche di mitragliate piovute sulle strade coprirono i suoi mugugni soffocati.   

Australia riaprì gli occhi, il sudore bruciò fra le palpebre. Sono loro? Girò il capo e mise a fuoco lo sguardo, squadrò le ombre che si stavano allungando sulla strada, in mezzo ai vicoli, contro le pareti bucherellate dagli spari. Aggrottò le sopracciglia. Mi stanno ancora inseguendo? Si sollevò sul gomito, resistette ai tremolii della spalla, alle fitte che continuavano a picconarlo sulla schiena, e si voltò dall’altro lato della strada. Ma da che parte...

Davanti a lui, a sbarrargli la strada, si materializzarono due sagome in corsa che bloccarono la sua fuga. Ungheria fu la prima a stendere le braccia, ad assottigliare gli occhi per prendere la mira, e a far sbiancare le nocche attorno alla pistola puntata contro Australia. “Non muoverti.” Le ciocche sfuggite alla presa dell’elastico ricadevano in disordine sul viso sudato e sbavato della polvere delle esplosioni che ne copriva il rossore. Niente sangue a macchiarle la pelle.

Australia sobbalzò e cadde all’indietro, tornando a premere sui gomiti. Sgranò gli occhi brucianti e impolverati, le immagini sdoppiate tornarono a unirsi, i contorni si delinearono, e formarono anche la sagoma di Romania accanto a quella di Ungheria. Romania strinse le mani sporche di terra sulla sua pistola, restrinse le palpebre annaffiate dal sangue che gli colava dalla fronte e che gli bordava gli occhi, donando ai suoi capelli forti sfumature ramate, e le punte dei canini affilati spinsero contro le labbra torte in un mezzo ringhio di ferocia che gli faceva scintillare le iridi come tizzoni.

Australia fece scivolare lo sguardo su quel viso insanguinato, sulle ciocche sporche tenute incollate alle guance e alla fronte, sui lembi strappati della giacca e sulla stoffa infarinata di calce esplosa, sulle mani tremanti che reggevano l’arma, e sul piede sinistro che non si appoggiava del tutto a terra. Rimase a bocca aperta. “Sei...” I lampi che aveva fatto esplodere su Romania e Bulgaria, e che gli avevano travolto la schiena, facendolo volare da terra, tornarono a spalancarsi davanti alla sua vista, a stampargli sulla faccia un’espressione sconvolta. “Sei in piedi?” Ma allora le bombe non hanno funzionato nemmeno su di lui. Le labbra di Australia caddero in una buia espressione di sconforto che gli fece dimenticare il dolore alla schiena. E allora a cos’è servito tutto quello che ho fatto?

Romania flesse verso l’alto gli angoli della bocca, sgranchì le dita contro la pistola facendo piovere qualche gocciolina di sangue dal calcio, e sorrise accentuando quel ghigno da belva. “Ci vuole ben altro per buttarmi giù,” disse, quasi gli avesse letto nella mente.

Prima che Australia potesse ribattere, i passi di Austria e Bulgaria li raggiunsero alle sue spalle.

Australia gettò lo sguardo dietro di sé e si trovò di fronte ad altre due ombre che lo ingabbiarono fra due fuochi, nella prigione del nemico.

Bulgaria superò Austria e compì le ultime falcate di corsa ingoiando aspri ansiti di fiato affaticato dall’inseguimento. Barcollò di lato tenendo il capo basso, la spalla ferita leggermente china, appesantita dal dolore, e si appoggiò alla parete, continuando a boccheggiare, a sudare e a sanguinare. “L-l’avete preso?” In viso era bianco come calce, tutto il corpo tremava, scosso dagli spasmi di fatica.

Ungheria annuì mantenendo il muso duro. Tornò a posare lo sguardo su Australia e compì un passo in avanti. “È in trappola, ormai.” Qualcosa scricchiolò sotto i suoi piedi.

Bulgaria si massaggiò la spalla ferita, imbrattandosi la mano di sangue, e anche lui avanzò di due passi verso Australia puntando la bocca della pistola contro la sua testa. Sghignazzò. “Hai finito di saltellare dove ti pare, scimmia.” L’ombra sul suo viso fece risplendere il verde degli occhi.

Australia gli inviò un’occhiataccia di disprezzo, ruotò lo sguardo, tornò a squadrare Romania e Ungheria, e di nuovo Austria e Bulgaria, tutti e quattro sempre più vicini, le loro ombre sempre più soffocanti, come un intreccio di cappi al collo. Australia strizzò i pugni a terra raccogliendo sassi e polvere sotto le unghie, e si diede una spinta sbattendo contro il muro, senza riuscire ad alzarsi. Rabbia e paura salirono alla testa, come latte che si gonfia traboccando dal tegamino, e gli fecero ribollire il sangue. Merda, ringhiò mentalmente. Adesso sì che sono in trappola. Il suo sguardo scattò fra i ritagli di luce che riempivano gli spazi fra le quattro nazioni che lo tenevano imprigionato e con le spalle al muro. Il calore e la consistenza viscida del sangue che continuava a colare dalla sua schiena gli diedero un’altra scossa, gli fecero serrare i denti e chiudere i pugni contro la parete su cui era schiacciato. Che diavolo faccio, adesso? Spostò un piede in avanti, piegò il ginocchio, e flesse le spalle per spostarsi verso una via di fuga.

Austria sussultò, punto da una spina di timore, e allungò le braccia giunte sulla pistola. “Non ti muovere.” Avanzò di un passo, superando Bulgaria, e appoggiò l’indice sul grilletto. Il suo sguardo divenne più buio, ma ancora scosso dai tremolii di dolore che lo colpivano ogni volta che inspirava, ogni volta che l’aria premeva sulle costole colpite dal calcio del fucile. La sua voce suonò dura e austera. “Ti consiglio di rimanere immobile, di non provare a fuggire e di limitare le conseguenze.” Flesse un sopracciglio scoccando ad Australia uno sguardo più profondo. “Ormai non hai più possibilità di fuga, sono certo che te ne stai rendendo conto anche tu.”

Australia indurì il broncio e sbuffò, guardandolo di traverso.

Bulgaria sogghignò di rimando. “Adesso voglio proprio vedere cosa avrà intenzione di fare Inghilterra quando saprà che sei morto qua.” Diede un’altra sgranchita alle dita. “Facciamo morire anche lui per i sensi di colpa.”

Quelle parole trafissero il petto di Australia come un secondo proiettile esploso direttamente nel cuore. Sensi di colpa? Su di lui soffiò una zaffata di vento di zolfo che lo catapultò ai porti dell’Attica, con il sole negli occhi, il tramonto a calare sul mare, dietro le sagome delle navi che scivolavano sul pelo dell’acqua, e il corpo chino di Inghilterra che lui e Nuova Zelanda avevano dovuto raccogliere dopo che era crollato in ginocchio. “Ci avevo provato davvero. Volevo davvero salvarlo, merda.”

Australia sentì un’improvvisa scossa di vita e spavento riattivargli il cervello, come un pungolo elettrico conficcato nell’osso del collo. Ma non scherziamo, esclamò la voce nella sua testa, indignata. Non sarò mai io a ridurre Inghilterra in quello stato. Altre esplosioni scossero gli edifici che li circondavano, polvere di mattoni e di calce piovve su di loro, sbriciolandosi come neve, ma Australia ignorò tutto, ascoltando solo gli scossoni che gli facevano fremere il cuore. Non sarò io a morire qua! La sua mano scattò e raggiunse la pistola allacciata al fianco. Ne sfiorò il calcio, e il suo gesto si congelò a mezz’aria.

Due figure si buttarono giù dal tetto sopra di lui, atterrarono davanti ad Australia piegandosi sulle ginocchia, schiacciarono un forte tonfo sotto i loro piedi, e soffiarono un improvviso rigetto di polvere da sotto le suole.

Le quattro nazioni che tenevano Australia in trappola arretrarono, volò qualche ansito di stupore, Bulgaria sobbalzò colpendo la spalla di Austria, e anche Australia finì per schiacciare la schiena al muro, scosso dai due tonfi improvvisi.

La sagoma più alta appena atterrata si mise in piedi, raddrizzò la schiena, e tese il braccio davanti a sé, svelando il luccichio di una pistola stretta fra le sue dita. “Ma che bella rimpatriata.” L’ombra scivolò via dal viso di Inghilterra. Gli occhi verdi che tutti conoscevano brillarono di astuzia sotto le ciocche di capelli spettinati e impolverati, premettero su quegli sguardi sgranati e ancora allucinati, colti alla sprovvista. Inghilterra li salutò con un piccolo ghigno. “Proprio l’occasione giusta per prenderci la rivincita delle Termopili.” In mezzo alla polvere, sbucò anche il visetto di Nuova Zelanda, nascosto dietro il fianco di Inghilterra che teneva riparati sia lui che Australia.

Bulgaria si scollò dalla spalla di Austria su cui aveva sbattuto e si strozzò con il suo stesso fiato. “T-tu?” Ma quando sono arrivati? Girò lo sguardo, di nuovo in cerca di Austria, in cerca di una sua spiegazione, del suo petulante e rincuorante tono bacchettone che avrebbe sempre saputo dare una risposta. Dovevano essere a Maleme! Germania li aveva sconfitti! Perché non sono rimasti a Maleme?

Ungheria abbassò la pistola e mostrò uno sguardo interrogativo che incrinò la sua espressione di minaccia. “I-Inghilterra?” Si guardò con Romania, intrecciando l’occhiata scettica con la sua, e anche lei si girò in cerca di Austria, come aveva fatto Bulgaria.

Attraverso il volto di Austria volò un improvviso abbaglio di stupore che lo fece restare a bocca aperta. Sono già qui? Tornò a irrigidire, a indurire lo sguardo, a non mostrare nemmeno una ruga di cedimento, e si guardò alle spalle. Scavò con gli occhi all’interno del fumo, in cerca di altre ombre, di altre presenze elettriche nelle viscere della città. Ma dov’è Germania? Le dita scricchiolarono sul corpo della pistola, scosse da un brivido d’ansia. Sarebbe dovuto arrivare prima lui.

Inghilterra scivolò di un passo all’indietro, senza abbassare l’arma e senza distogliere lo sguardo dalle nazioni che li circondavano, e sbirciò Australia con la coda dell’occhio. Abbassò la voce in modo che lo potesse sentire solo lui. “Ti ha ferito?”

Nuova Zelanda si lasciò coprire dalla schiena di Inghilterra e si chinò a raccogliere Australia, gli fece allacciare un braccio attorno al suo collo e lo sostenne contro il suo fianco, lasciando che si tenesse appeso. Australia soffiò un sospiro stremato, riprese un po’ di colorito in viso, e abbozzò un sorriso rassicurante rivolto a Inghilterra. “Sto bene,” annuì. Slacciò il braccio dalle spalle di Nuova Zelanda e si resse in piedi da solo, spinse la mano contro la schiena per massaggiarsi la ferita che continuava a sanguinare. “Voi?”

Nuova Zelanda scosse il capo, ricambiò lo sguardo rassicurante. “Solo graffietti.”

Inghilterra trasse un piccolo sospiro rincuorato, senza farsi notare, e tornò a gettare il suo sguardo appuntito e minaccioso verso i volti che lo squadravano da dietro i profili delle armi. Li affrontò con tono sfacciato, affilato da una sfumatura di pietà. “Credevate davvero di esservi sbarazzati di noi?” sbottò. “Anche senza il padrone di casa, noi continueremo lo stesso a proteggere quello che ci ha lasciato.” Tutta la sfrontatezza dipinta sul suo volto si fece più ardente, brillò negli stessi occhi che avevano bruciato di ira e frustrazione quando era stato costretto ad abbandonare Grecia alle Termopili. Inghilterra sollevò di più la pistola e aggrottò la fronte, lasciò che una fitta ombra di minaccia si incupisse attorno al suo sguardo. “Creta non finirà mai nelle vostre sudice mani.”

Bulgaria ricevette quello sguardo e quelle parole come se Inghilterra gli avesse fatto scivolare la lama di un’ascia sotto la gola. Rabbrividì, deglutì a fondo, sentendo una riga di sudore corrergli attraverso la tempia, e compì un passo indietro.

Austria scorse il suo movimento con la coda dell’occhio e fece scivolare un piede dietro al suo. Lo bloccò. “Non arretrare,” gli disse. “Non distogliere la mira.” Sollevò il mento, e guardò Inghilterra di traverso, arricciando un broncio altezzoso. “Non possono andare lontano. Continuano a essere nella nostra trappola, a prescindere dal loro numero.”

Inghilterra sghignazzò e ricambiò l’occhiataccia d’astio e di superiorità. “Questo è tutto da...” Un momento. Un pensiero gli fulminò la testa, lo lasciò a labbra socchiuse, le parole congelate sulla lingua, e un’espressione perplessa a fargli sbatacchiare le palpebre. È Austria che dà gli ordini? E da quando? Spostò lo sguardo fra le mura sbriciolate, in mezzo alle stradine sommerse dal buio e dalla nebbia di polvere, e andò in cerca di un paio di occhi rossi, di un sorriso aguzzo e sfrontato, di un’irritante presenza che gli scaricava sempre un brivido di disgusto in fondo alla schiena. Storse un sopracciglio. Ma dov’è Prussia?

Una fragorosa tuonata si schiantò alle spalle delle nazioni dell’Asse. Gonfiò un cratere di fumo che soffiò una spazzata di vento addosso alle loro schiene, facendo voltare tutti verso l’esplosione.

Tre ombre si materializzarono nella foschia, e quella più alta saltò davanti alle altre due. Le sue braccia forarono il fumo, esibirono la pistola stretta fra entrambe le mani, e i freddi occhi azzurri di Germania si accesero come fari sul campo di battaglia. “Tenetevi bassi!”

Austria scivolò di un passo all’indietro e si riparò la fronte con un braccio, Ungheria lo imitò e spinse lontani Romania e Bulgaria, paralizzati dal tuono dell’esplosione appena precipitata dal cielo

Inghilterra s’impietrì. I nervi si infiammarono sotto la pelle e saltarono sulla difensiva. Merda, sono già a Rethymno? Si vide già circondato da sette di loro, in trappola, come dentro una gabbia formata da spuntoni d’acciaio puntate alle loro gole, e percepì il cuore scattare in allarme, morsicargli i muscoli con una serie di scosse elettriche che accelerarono il battito cardiaco.

Inghilterra fece scivolare il piede davanti a Nuova Zelanda, coprì sia lui che Australia, e si preparò a ricevere l’annaffiata di proiettili che si sarebbe scaricata su di loro. “Scappate, svelti!” I loro piedi strusciarono a terra, coprirono l’eco lontano di un fischio che stava di nuovo per precipitare su di loro.

Romano saltò a sua volta fuori dal fumo, e fu il primo a scorgere quel movimento fulmineo attraversargli gli occhi. Scattò davanti a Germania, si gettò contro le loro sagome in fuga. “Scappano!”

Germania percepì quel fischio distante farsi più acuto e pizzicare dietro le orecchie. Buttò lo sguardo al cielo, catturato dall’arco di caduta di un’altra bomba che stava per piovergli addosso. Corse ad acchiappare Romano. “Fermo!” Tese il braccio, lo afferrò per il bavero della giacca, e lo tirò indietro.

Lo scoppio si schiantò su di un tetto, sfondò le tegole facendo esplodere polvere e frammenti che schizzarono addosso a tutti. Una violenta e soffocante ventata di aria calda scosse il suolo sotto i loro piedi, oscurò il cielo tappando i raggi del sole, e si dilatò con uno scroscio.

La nebbia si depositò, il fumo e il boato si dissolsero, e lo sfrigolio dell’aria divenne sempre più lieve. Il silenzio si riempì di qualche tossito, di altre piccole frane che finirono di scivolare in strada, e di altri rombi lontani che tuonarono ovattati come tamburi di gomma.

Germania distese la tensione sui muscoli, soffiò quel pugno d’aria che gli si era appesantito contro il petto, e schiuse le dita strette alla giacca di Romano, lasciandolo andare. Romano corse da Italia e sfrecciò davanti agli altri quattro che erano rimasti impietriti dopo l’esplosione – Ungheria con le mani tappate alle orecchie, Romania chino dietro il fianco di Bulgaria che si era girato a tenergli le spalle, e Austria riparato dietro le braccia incrociate.

Germania si ripulì la fronte dalla polvere esplosa dal cratere della bombardata, ma rimase nero in viso, la fronte aggrottata e gli occhi di nuovo affilati come lame di ghiaccio, e gettò quello sguardo raggelante su Austria e gli altri, aggredendoli. “Perché non li avete catturati?”

Austria scrollò il capo a sua volta per liberarsi dal pulviscolo, si tolse le braccia da davanti il viso, si passò una mano fra i capelli e rimise la pistola nel fodero. Rispose a sguardo alto, distaccato, sempre velato da quella sottile ombra di perenne superiorità. “Inghilterra e Nuova Zelanda sono comparsi all’improvviso,” si lamentò, “non abbiamo potuto fermarli.”

L’espressione di granito di Germania non cedette. “Australia però era da solo prima che arrivassero Inghilterra e Nuova Zelanda.”

Austria strinse le braccia al petto, sospirò. “Sì, ma...”

Germania alzò la voce di colpo, e le sue parole tuonarono come una seconda bombardata. “Voi eravate in quattro e non siete riusciti a fermare uno solo di loro?”

Bulgaria fu il primo a sobbalzare, come se gli avessero sparato dietro l’orecchio. Romania gettò di colpo gli occhi a terra per nascondere la faccia, e Ungheria si girò di profilo. Si strinse il braccio sfregandoselo fino alla spalla e si rosicchiò il labbro per camuffare la smorfia di colpevolezza. Nessuno osò ribattere.

Il fumo color cenere nato dall’esplosione si addensò attorno a Germania, coronò la sua figura in penombra, e accentuò l’atmosfera nera che gli aleggiava attorno. Fece splendere la freddezza dei suoi occhi, aggravò il timbro di voce pesante e intimidatorio. “Perché credete che vi abbia disposti in quattro per l’assedio di una città sola?” ruggì di nuovo. “Perché credete che io abbia insistito tanto sul fatto di rimanere separati in gruppi e non singolarmente?”

Bulgaria si strinse nelle spalle e scivolò dietro Romania, mugugnò qualcosa fra i denti e abbassò anche lui lo sguardo in mezzo ai piedi. Romania allontanò il viso sporco di sangue da quello furioso di Germania e rabbrividì, scosso da quella sfuriata che gli era entrata nello stomaco come se Germania gli avesse piantato un coltello nella pancia.

Qualcos’altro esplose in lontananza, il brontolio si dissolse come un rantolo, e il silenzio tornò a riempirsi di quell’aria nera e opprimente come fumo colloso appena evaporato dalla cappa di un camino.

Germania inspirò a fondo per riguadagnare fiato. La sua voce suonò meno forte ma altrettanto fredda, come un pugno di ghiaccio. “Dove credete di trovarvi?” I suoi occhi si spostarono su loro quattro, pesanti e soffocanti come una mano allacciata attorno alla gola. “Non posso nemmeno lasciarvi soli e affidarvi un compito così semplice? Credete che sia questo il modo di affrontare una guerra?”

Bulgaria fece roteare lo sguardo al cielo, ritrovò il suo broncio scocciato, e strinse le braccia al petto. Si massaggiò la ferita alla spalla standosene riparato dietro il profilo di Romania. “Ehi, hai idea di cosa voglia dire stare dietro ad Australia?”

“Questa non è una scusa,” ribatté Germania. “In guerra non ci sono scusanti, solo errori e conseguenze.” Si girò, diede la schiena a tutti, e mise mano a una tasca della giacca per raccogliere un caricatore nuovo. Sganciò quello vuoto dal calcio della pistola, accostò la cartuccia piena, e le diede un colpo per incastrarla. “Mettetevelo in testa da ora in poi.”

Austria si tenne in disparte ed emise un sottile sbuffo altezzoso. Le braccia annodate al petto e lo sguardo distaccato, gli occhi che scrutavano Germania dalla penombra, e la fronte aggrottata a mostrare un’espressione dubbiosa. Perché è così nervoso? si chiese. Che sia successo qualcosa mentre...

“Ita!” Ungheria corse attraverso quella pesante aria di ghiaccio che si era condensata in mezzo a loro, e volò ad abbracciare Italia stringendoselo al petto. “Stai bene?” Si slacciò da lui e gli avvolse le guance fra le mani, gli cercò lo sguardo, gli spostò i capelli dalla fronte per scoprirgli la luce degli occhi. “Non ti è successo niente, vero? Sei ferito?”

Gli occhi di Italia scivolarono verso il basso, allontanandosi da quelli ansiosi di Ungheria. Italia aveva ancora il viso grigio, l’espressione smorta e assente, e quell’aria smarrita e cupa che gli galleggiava sopra la testa come una nera nuvola di pioggia. “S-sto bene,” rispose, con le guance leggermente gonfiate dalle mani di Ungheria. Non si sottrasse ma non ricambiò nemmeno l’abbraccio. Stette lì, inerte come una bambola che viene raccolta dall’angolo della soffitta e tenuta di nuovo in braccio, anche se sporca di polvere e con il vestito strappato.

Ungheria percepì la freddezza delle guance di Italia sotto le sue mani, e venne colta da una scossetta di paura. Girò lo sguardo, in cerca di Austria, e gli lanciò un’occhiata apprensiva e addolorata, bisognosa di aiuto. Austria ricambiò quell’occhiata di complicità tornando a sbirciare Germania, quell’aria elettrica gettata dal suo sguardo innervosito. Scosse il capo, a cuor pesante. Non seppe che dirle e non seppe che fare.

Bulgaria zoppicò fino a Germania – i colpi che aveva preso dopo essersi riparato dalla prima esplosione, quella della bomba a mano sganciata da Australia, cominciavano a battere di dolore contro le ossa e i muscoli – e tenne stretta la spalla ferita e insanguinata. Soffiò un sospiro esausto. “Cosa facciamo, adesso?”

Germania rivolse lo sguardo verso le esplosioni che lampeggiavano dietro i nuvoloni di fumo. Le sue guance sudate e rosse di fatica luccicarono come i suoi occhi. “Dobbiamo inseguire Inghilterra e gli altri, non c’è altra soluzione.” Si portò davanti a tutti facendo scricchiolare i resti delle macerie sotto i suoi passi pesanti. La sua ombra si dilatò come un tappeto che indica la strada. “Dobbiamo impedire che escano dalla città, e ovviamente che coordinino la resistenza del nostro attacco. In poche parole...” Lanciò a tutti uno sguardo spronante e feroce, come fosse già stato macchiato di sangue. “Non abbiate pietà.”

Italia irrigidì tenendo il viso chino. Strinse i pugni, le braccia tremarono, e lui trattenne il fiato. Romano se ne accorse e aggottò un sopracciglio. Mimò la stessa espressione scettica e preoccupata che si era dipinta prima sul viso di Ungheria.

“Siete feriti gravemente?” domandò Germania, rivolto agli altri quattro.

Bulgaria alzò gli occhi al cielo, fece scivolare la mano dalla spalla ferita, e mostrò il palmo insanguinato, la stoffa nera e lacerata della manica. “Io alla spalla. Ma ce la faccio.”

Romania si resse la fronte bagnata di sangue e la ferita continuò a gocciolare fra le dita, imbrattando anche quelle di rosso. “Io ho battuto la testa dopo un’esplosione.” Si tolse dal viso i capelli diventati color rame e sbatté le palpebre per far scivolare via i rivoli che gli avevano tinto gli occhi di rosso. “Riesco a stare in piedi.”

Germania si rivolse anche a Ungheria e Austria. “Voi?”

Ungheria sollevò una mano ma tenne il viso in disparte. “Nemmeno un graffio.”

Austria sospirò. Abbassò le palpebre, corrugò un sopracciglio, e si massaggiò il petto dove sentiva ancora premere il dolore scaricato dal calcio del fucile che si era schiantato sulle sue costole. “Nulla di grave.” Si tolse la mano dal petto e si portò accanto a Germania, lo guardò con occhi freddi e inquisitori, parlò a voce più bassa. “Come ci dividiamo?”

Germania scrutò di nuovo il fumo dell’esplosione che stava ancora galleggiando in un fitto banco di nebbia, tappando la via di fuga verso cui erano corsi Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda. Parlò con tono meno teso rispetto a quando aveva urlato. “Usiamo le stesse disposizioni con le quali siamo arrivati.” Camminò verso l’imbocco delle stradine che si snodavano fra le mura degli edifici. “Io, Italia e Romano formeremo un gruppo, e voi quattro un altro. Dividiamoci, prendiamo direzioni opposte, e torniamo a intrappolarli.”

Ungheria sussultò, colta di nuovo da quel guizzo di timore e tensione che le spremette il battito del cuore. Gli corse dietro. “A-aspetta, Germania, non...”

Germania la squadrò da sopra la spalla. “Cosa?”

Ungheria guardò Italia. Un brivido di indecisione, freddo come quello che aveva provato nello stringergli le guance, la fece esitare. Guardò Austria e sollevò le sopracciglia in un’espressione di complicità, inviandogli la stessa scossetta di paura che le stava bruciando in fondo al cuore. Prese a rosicchiarsi un’unghia. Oh, ti prego, convincilo tu, disse mentalmente ad Austria. Non voglio lasciarlo di nuovo da solo, sento che potrebbe succedergli qualcosa di brutto.

Austria annuì con un movimento del capo impercettibile, ma un lampo gli attraversò le lenti, gli fece capire. Tornò affianco a Germania, schiuse le labbra per fermarlo, ma la voce di Italia frenò le sue parole, catturò l’attenzione di tutti.

“Starò bene.” Italia si strinse nelle spalle, accennò un sorriso piccolo che gli increspò gli angoli delle labbra, e annuì sia ad Austria che a Ungheria tenendo gli occhi bassi. “Promesso,” disse con quel faccino rassicurante che però era ancora cinereo come quando erano entrati a Rethymno.

Germania ignorò la tensione che si era solidificata nell’aria, soffocando anche lui, e si allontanò. “Sbrigatevi.” Riprese a marciare verso il centro della cittadina dove i suoni degli spari e delle bombardate si concentravano. “Non perdete altro tempo,” ordinò. “Trovateli e imprigionateli, e non voglio esitazioni. Muovetevi!”

Romania e Bulgaria scattarono in un attenti spontaneo, come soldatini caricati a molla, “Sissignore”, e corsero subito in direzione opposta.

Si separarono. Romano superò Italia prima che potesse andare a rintanarsi al fianco di Germania, accelerò per raggiungere il crucco, e premette la spalla sulla sua. Lo mise in disparte. Gli parlò a bassa voce per non farsi sentire da suo fratello e annodò le braccia al petto, allargando le spalle. “Pensi sia davvero il caso che anche lui ci venga dietro?” sibilò fra i denti. “Che affronti Inghilterra in quelle condizioni?”

Germania ruotò lo sguardo alle sue spalle, squadrò il profilo di Italia che si era girato a sventolare un ultimo saluto verso Ungheria e Austria che si stavano separando da loro, e scosse il capo per scrollarsi di dosso lo stesso brivido di disagio che aveva punto sia lui che Romano. Tornò a rivolgersi a lui. “Non gli succederà niente, Romano.” La sua espressione si ammorbidì, si fece meno fredda. “Te lo prometto.”

Romano serrò le mani che aveva stretto sulle braccia incrociate al petto, strizzò la stoffa sotto le dita, e distolse lo sguardo da Germania. Si rosicchiò l’interno del labbro per sopprimere il formicolio di rabbia che gli bruciava nella bocca, inspirò a fondo dalle narici, e ritornò con la mente nell’ultimo luogo in cui aveva provato la stessa elettrica sensazione di paura scorrergli sulla pelle e dentro la pancia. “Sai perché alle Termopili anche io sono tornato indietro come aveva fatto Veneziano,” tamburellò le dita sulle braccia, soppresse il prurito, “invece che continuare l’offensiva con Ungheria e gli altri come ci avevi ordinato?”

Germania esitò. Sollevò un sopracciglio, assottigliò gli occhi, e quel brivido elettrico tornò a rimetterlo sulla difensiva.

Romano alzò gli occhi da terra, guardò Germania dritto in faccia, senza paura, senza disprezzo, solo rivolgendogli una di quelle occhiate dure e fredde di cui anche lui era capace. “Perché non mi fidavo di te.” In lontananza ci fu un’esplosione. La risacca di vento polveroso gli soffiò addosso, agitò i capelli contro il viso e gli illuminò le guance e gli occhi di traverso, accentuando le ombre infittite attorno alle palpebre. “E perché avevo paura,” continuò con voce più cupa. “Avevo paura di quello che avresti potuto fargli se non ci fossi stato io lì a proteggerlo.” Continuò a camminare a passo incalzante, calciò via un sasso che sbatté contro una parete, e la luce nei suoi occhi sfumò in un’ombra più triste e arrabbiata. La stessa che gli aveva velato lo sguardo durante la marcia nel campo di ulivi. Romano scosse il capo, si resse la fronte, nascose un sorriso amaro e sbilenco dietro il polso. “E alla fine non sono stato in grado di impedire niente.”

Germania lanciò un ultimo sguardo a Italia. Un nodo di paura gli soffocò il respiro. Paura del suo sguardo buio, del suo viso disperato e inondato di lacrime come lo aveva visto alle Termopili, del suo profilo che si allontanava e della mano che si slacciava dalla sua, lasciando solo un’impronta di freddo. Germania scosse il capo. “Questa volta non succederà come alle Termopili.” Parlò a Romano con tono sincero. “Te lo prometto.”

Alle loro spalle, la camminata di Italia schiacciò le impronte che Germania e Romano si erano lasciati dietro, come una scia. Anche i passi di Italia scricchiolarono, rimbombarono attraverso l’aria di fuoco che avvolgeva la città, e il suo sguardo tornò a macchiarsi di buio, ad allontanarsi da loro. Perché tutti continuano a pensare che io non sarei mai in grado di farcela da solo? Serrò la mano sul corpo della pistola, il suo braccio tremò come le vibrazioni di dolore che gli attraversavano i battiti del cuore. Perché nessuno, nemmeno Germania o Romano, che sono quelli in cui io credo più di tutti, riescono a darmi fiducia? Cos’è che devo fare per fargli capire che anche io sono forte, che anche io so proteggermi da solo? Sollevò la mano libera, la aprì davanti agli occhi e la rigirò. Sottili tagli rossi di sangue già asciugato attraversavano la pelle sporca di terra, bianca di tensione. Una manina magra e sottile che però era riuscita a salvare Germania, che lo aveva tenuto stretto durante la risalita della cima montuosa, ma che solo lui vedeva pulsare di forza e di coraggio. È davvero solo questo che sono io? si chiese Italia, sopprimendo il dolore. Io sono quello che piange e che ha sempre bisogno di essere salvato? Schiacciò il pugno, guardò fisso davanti a sé, e si lasciò guidare solo dal peso opprimente della croce di ferro appesa al suo collo, da quella forza rabbiosa che aveva saputo trasmettergli il ciondolo, facendolo sopravvivere durante le battaglie. Non questa volta. Italia compì un rimbalzo più ampio, accelerò, e raggiunse Germania e Romano.

 

.

 

Correvano, e Australia zoppicava ancora, sempre quella breve esitazione che gli faceva stringere gli occhi ogni volta che poggiava il piede sinistro, quello su cui andava a spingere il peso del fianco ferito dal proiettile. Oltre i suoni schioccanti della loro corsa che echeggiavano lungo la strada, i bombardamenti proseguivano. La città assediata continuava a difendersi e i ronzii di qualche Junker si gettavano verso i monti dell’isola.

Inghilterra squadrò la ferita alla schiena di Australia, le gocce di sangue che si stava lasciando dietro, e di nuovo il suo volto, quegli occhi più scuri e appannati dal dolore. Ingrossò la voce per farsi sentire. “La ferita è tanto grave?” gli chiese. “Quanto credi di riuscire ancora a correre?”

Australia disciolse la mezza smorfia di dolore che gli ingrigiva il volto, e distese un aguzzo sorriso rassicurante. “Fin quanto voglio.” Saltò oltre una crepa che aveva attraversato la strada, si asciugò il sudore dalla fronte ancora pallida, e riprese fiato. “Te l’ho detto, non è nulla, ce la faccio.”

Inghilterra aggrottò la fronte, e il suo sguardo si fece più cupo e freddo. Il tono di voce cauto e un po’ intimorito dalla probabile risposta. “Chi è stato a spararti?”

Il muso duro di Australia si scosse in un lieve ammiccamento della palpebra, un piccolo tic di nervosismo. Lui socchiuse gli occhi, come a nascondere quella scintilla di imbarazzo che gli era volata sullo sguardo, e sospirò. “Bulgaria,” disse fra i denti.

Inghilterra finì trafitto da una frecciata di sollievo e delusione allo stesso tempo. Sollevò un sopracciglio. Non Prussia? Altri spari si schiantarono alle loro spalle, contro le pareti delle case. Lui li ignorò e continuò a correre. Ma allora vuol dire che lui non è proprio... “E Prussia dov’era?”

Australia prese un altro respiro più affaticato, inciampò, tornò a tirarsi su reggendosi la spalla, e accelerò per rimettersi al passo con Inghilterra e Nuova Zelanda. Da dietro le ciocche di capelli tenute incollate alle palpebre dal sudore, scoccò un’occhiata interrogativa intontita dalla fatica. “Prussia?”

“Sì.” Inghilterra saltò oltre una maceria, arrivò alla fine della stradina, guardò a destra e a sinistra senza smettere di correre, acchiappò la manica di Nuova Zelanda e si fece seguire imboccando il vicolo a sinistra. Girò lo sguardo, tornò a squadrare Australia con espressione più tesa. “Prussia non era nel gruppo che si occupava della parte ovest di Creta, quindi è ovvio che deve aver preso il controllo delle armate a est.”

Australia scosse il capo e si strinse nelle spalle. “Be’,” annaspò, “giuro che di lui non ho visto nemmeno l’ombra.”

Nuova Zelanda si scoprì il visetto spostando i boccoli impolverati e umidi di sudore, e anche lui corrugò un’espressione dubbiosa. “Magari è solo rimasto ad Atene.”

Inghilterra arricciò un angolo delle labbra e scosse il capo. “Mhm, difficile,” rispose. “Uno come lui non rimarrebbe mai lontano dal campo di battaglia. Piuttosto...” Altri fitti ronzii attirarono il suo sguardo al cielo. Inghilterra reclinò il capo e si riparò la fronte. Le nuvole evaporate dalle esplosioni tappavano le scie graffiate dal passaggio dei bombardieri e degli alianti, i rimbombi tonanti coprivano l’eco dei motori e delle eliche che filavano via, verso la parte centrale di Creta. Inghilterra corrugò la fronte. “Qui come sta procedendo la difesa?”

Australia si diede un’altra strofinata al viso che stava riprendendo colorito e rivolse l’indice al di là dei tetti. “La pista di volo regge, e anche i trinceramenti. Qua in città ci siamo noi, quindi...” Serrò il pugno e saltò di una falcata più lunga, allargando il ghigno. “Ora basta solo che rispediamo quei dannati crucchi da dove sono venuti.”

Nuova Zelanda annuì. “Già, ci hanno fatto davvero un favore a venire tutti qua. Ora non siamo più costretti a dividerci e possiamo sconfiggerli tutti in un colpo.”

“Un’ammucchiata!” esclamò Australia. “Li schiacceremo come scarafaggi sotto una suola.”

Inghilterra mantenne la sua espressione corrugata di dubbio e guardò alle sue spalle, lasciandosi scuotere i capelli dal vento. “Sul non dividerci avrei da ridire.”

Australia sbatacchiò le palpebre, confuso. “Uh. E perché?”

Inghilterra si passò una manica sul viso, si scollò le ciocche dagli occhi, e soffiò un sospiro affaticato. I piedi cominciavano a fargli male, i muscoli delle gambe si stavano appesantendo come blocchi di gesso e i polmoni bruciavano, gonfi di quell’aria graffiante che gli arroventava la gola. “Perché continuare a scappare in questa maniera non porterà a nulla,” rispose. “Dobbiamo fare in modo che loro non possano più spostarsi e che non riescano a creare un altro movimento a tenaglia per chiuderci in trappola.”

Il sorriso cadde anche dal visetto di Nuova Zelanda, sbavando in un’espressione delusa. “E come facciamo, allora?”

Inghilterra stritolò i pugni, raccolse forza e coraggio, e frenò di colpo la corsa piantando i piedi a terra. Una nuvoletta di polvere si gonfiò sotto le suole e scivolò in mezzo alle sue caviglie, dissolvendosi in una fioca nebbiolina. Inghilterra piegò il capo e indicò ad Australia e a Nuova Zelanda la fine della strada. “Andate!” Arretrò, armò la pistola tenendola con entrambe le mani, e scivolò con la schiena alla parete. Gli occhi assottigliati puntarono l’estremità da dov’erano arrivati. “Io mi nascondo, aspetto che arrivino, e cerco di colpirli mentre non mi vedono.”

Australia si fermò per primo trattenendo anche Nuova Zelanda per la manica, si voltò verso Inghilterra e sgranò le palpebre, sconcertato. “Che cosa?” esclamò. “M-ma come farai a...”

“Vi raggiungerò immediatamente dopo,” gli disse Inghilterra, “ma devo fare in modo che almeno uno dei due gruppi dell’Asse non sia più in grado di spostarsi.” Indurì il tono di voce, parlando con la stessa autorevolezza con cui si rivolgeva ai suoi ufficiali. “Muovetevi, è un ordine!”

Australia e Nuova Zelanda scattarono in un attenti inconscio, “Sissignore”, e filarono via come foglie al vento.

Inghilterra soffiò un sospiro liberatorio, piegò leggermente le ginocchia per acquattarsi, farsi più piccolo nell’ombra, e si tenne schiacciato con la schiena al muro. Flesse le braccia e accostò la pistola al petto, tenne il labbro stretto fra i denti rosicchiando il caldo sapore del sangue mescolato a quello della terra. Forza, inviò quel pensiero all’aria. Fatevi avanti.

Trascinati da uno sbuffo di vento, le tre sagome di Germania, Italia e Romano corsero nel vicolo. I rumori dei loro passi attutiti dai bombardamenti lontani e i loro visi nascosti dalla penombra. Romano si fermò per primo, il suo sguardo volò verso i tetti delle case, le sue labbra dissero qualcosa che Inghilterra non capì, e Germania gli rispose buttando anche lui gli occhi al cielo.

Inghilterra si sporse, socchiuse un occhio, puntò la mira della pistola sul fianco di Romano – lui era quello più in vista – e cominciò a flettere l’indice contro il grilletto. Le dita presero a sudare come la sua fronte. Fermo così.

Ci fu un lieve criiing della levetta che si abbassava, il primo sparo esplose facendo sobbalzare la sua mano, e Inghilterra scaricò altre due pallottole di seguito, senza nemmeno aspettare di vederlo accasciarsi.

Il corpo di Romano si contrasse, Italia reagì tappandosi la bocca e soffocando un grido, e Germania si gettò ad afferrarlo prima che potesse cadere picchiando la testa. Centro.

Il viso di Inghilterra si illuminò, abbagliato da un lampo di soddisfazione. Fatto! Abbassò la pistola, scivolò sul fianco, e corse via sbuffando polvere da sotto le suole, senza nemmeno scoprire in quali punti aveva ferito Romano. Il caldo vento di guerra gli soffiò nelle orecchie, fra i capelli, e contro le labbra piegate in un ghigno di vittoria. Voglio proprio vedere se Italia avrà il coraggio di lasciare da solo suo fratello e se Germania oserà abbandonarli tutti e due. Un intero gruppo fatto fuori abbattendo solo uno di loro!

Saltò oltre un cumulo di macerie, si portò alla luce, e accelerò per scappare via prima che gli sparassero addosso.  

 

.

 

Germania fermò la corsa per primo, stese il braccio per bloccare sia Italia che Romano dietro di lui, e schiacciò una spalla alla parete per appiattirsi all’edificio e sbirciare da dietro lo spigolo. La pistola accostata al petto e solo un piede fuori dal vicolo, pronto a scattare.

Romano compì un passo all’indietro, sollevò anche lui la pistola accanto al viso e guardò nella direzione opposta, riprendendo fiato a bocca aperta. “Dove hanno girato?”

Germania spostò gli occhi verso il cielo, finendo investito dall’ombra dei tetti, e aggrottò le sopracciglia. “Forse si sono arrampicati sulle pareti e sono saliti sui tetti.”

Romano strabuzzò gli occhi. “Che?” Passò davanti a Italia, piantò i piedi davanti a Germania, impietrendosi in una posa autoritaria, e scagliò un braccio verso il cielo, diventando nero in viso. “Togliti dalla testa l’idea che vada ad arrampicarmi anch’io come se...”

I tre spari esplosero nel vicolo. Il primo proiettile gli si conficcò nel braccio, sopra il gomito, e il secondo sfrecciò più in alto trafiggendogli la spalla. Il corpo di Romano si contrasse per la pressione improvvisa, sbatté alla parete, ed espose il torso alla terza pallottola che gli si piantò nell’anca. Romano gemette, un piccolo singhiozzo di spaesata sorpresa, e un velo grigio di dolore gli appannò lo sguardo, facendogli perdere la vista nel vuoto.

Davanti al viso di Italia schizzarono le piccole perle di sangue esplose dalle ferite, le gocce scarlatte si riflessero nei suoi occhi spalancati e lucidi che facevano da specchio. Italia ansimò, divenne bianco, il suo viso affogò in un’espressione di dolore, e lui si tappò la bocca con le mani per trattenere un grido. “Romano!”

Un’altra voce più forte si sovrappose alla sua. “Romano!” Germania si torse, allungò le braccia e afferrò il corpo di Romano prima che potesse cadere a terra.

Romano si accasciò nella sua stretta, strizzò gli occhi stropicciando la faccia in una smorfia di dolore, trattenne un rantolio fra i denti serrati e irrigidì i muscoli, contraendo il corpo ferito. Soffiò un respiro sofferente e arrabbiato, le gambe distese ebbero uno spasmo. “Quel bastardo figlio di...” Le prime gocce di sangue filtrarono attraverso la stoffa della giacca e piovvero a terra. Plic, plic, plic! Allargarono una chiazza rossa che si infilò fra le rientranze della strada, imbevendo lo strato di sabbia.

A Italia tremarono le ginocchia. L’immagine di Romano accasciato fra le braccia di Germania e delle gocce di sangue che piovevano dal suo corpo ferito si riflessero nei suoi occhi umidi di terrore. Piccoli e tremolanti singhiozzi morirono contro le dita che teneva premute alle labbra. “Romano...”

Qualcuno corse fuori dal vicolo, i suoi passi pestarono fra le pareti degli edifici e si allontanarono. L’ombra di Inghilterra sfrecciò via, catturò i loro sguardi, e la sua sagoma finì per rimpicciolirsi nei riflessi dei loro occhi spalancati.

Italia aggrottò la fronte, si tolse le dita dalla bocca riagguantando la sua pistola con entrambe le mani, e scattò di una falcata in avanti. Germania aprì un braccio contro di lui, “Stai indietro!”, e mise a terra Romano per poter stringere anche lui la pistola con entrambe le mani. Tese le braccia, socchiuse gli occhi, mirò alla schiena della sagoma che si stava allontanando, e schiacciò il grilletto per tre volte. Due piccoli scoppi di luce esplosero contro le pareti, gettando scintille e pietrisco all’aria, e il terzo proiettile finì assorbito dal vuoto, inghiottito dall’ombra di Inghilterra che si era già volatilizzata assieme all’eco della sua corsa.

Germania ritirò la pistola, tenne il viso contratto in quell’espressione di rabbia, e un barlume di sangue lampeggiò attraverso i sottili occhi di ghiaccio. Maledetto.

Un rantolio di Romano e una sfregata del suo piede per terra richiamarono il suo sguardo sulla stradina. Germania rinfoderò la pistola, scosse il capo per sciogliere l’appuntita scintilla intimidatoria che gli aveva inferocito lo sguardo, e si chinò affianco a Italia che stava tenendo strette le spalle a Romano. “Dove ti ha colpito?” Toccò il braccio ferito di Romano e glielo fece alzare, scoprì la ferita all’anca che stava allargando la chiazza rossa sotto di lui e quella nera attraverso la stoffa della giacca. “Fammi vedere.”

Romano grugnì ancora, più di rabbia che di dolore, e si rigirò fra le braccia di Italia per raggiungere la parete dell’edificio. “N-no, no, non state fermi qua,” si appese con una mano a una rientranza fra le pietre, respirò a fatica, li cacciò via con un gesto del braccio libero, “dovete prenderlo, cazzo, non ho...”

Italia scattò di nuovo in piedi e corse via, pistola già carica e chiusa fra le dita tremanti, prima che Romano potesse finire la frase.

Germania tese un braccio e spalancò la mano verso la sua figura che andava a rimpicciolirsi verso la fine della strada. “Italia!” Il suo grido rimbalzò nel vuoto e si dissolse.

Romano sentì la stessa scossa di paura passargli attraverso il petto. Fece un altro sforzo, si aggrappò alla parete graffiando le unghie contro le pietre, spinse tutto il peso sulle gambe fino a farsi tremare le ginocchia, e il proiettile all’anca tornò a farsi sentire come uno schiocco di frusta nella carne viva. Romano ingollò un ansito di dolore e si aggrappò al braccio ferito. “Merda.” Si accasciò di nuovo e le braccia di Germania tornarono a sorreggerlo, a impedirgli di sbattere a terra.

Germania gli sostenne la schiena e lo fece sedere contro la parete, le spalle al muro e le gambe distese. “Resisti, non fare sforzi.”

Romano gracchiò un altro rantolo fra i denti stretti, strizzò le dita sulla ferita alla spalla che continuò a gocciolare lungo la manica, bagnando anche il foro aperto dal proiettile che lo aveva colpito sopra il gomito, e riaprì gli occhi verso la direzione che aveva imboccato Italia. Boccheggiò, il velo di rabbia si annebbiò, riempiendogli lo sguardo solo di paura e tensione. “I-inseguilo.” Diede un’altra strizzata di dita alla manica, e altro sangue gocciolò imbevendo la stoffa.

Germania esitò, e le sue braccia irrigidirono attorno alle spalle di Romano. Guardò la fine della strada, l’ombra svanita di Italia, e fu scosso da un fremito, un brivido di conflitto che gli attraversò anche le rughe del volto.

Romano si lasciò infiammare da un ribollio di impazienza che arse attraverso il flusso del sangue sgocciolante, agguantò Germania per la giacca, sotto la croce di ferro, e gli trapassò lo sguardo con un’occhiataccia. “Inseguilo, maledizione!” gli gridò addosso. “Sappiamo tutti e due quello che succederà se non lo fermi!” La mano stretta alla sua giacca tremò, lo sguardo vacillò, la sua voce si fece più insicura, di nuovo crepata dagli spasmi di dolore che gli accorciavano il fiato. “Credi davvero di riuscire a proteggerlo quando io non posso?” Fuoco vivo arse nei suoi occhi, le dita stritolate alla sua giacca gemettero facendo ingrossare le vene, e i denti digrignarono facendo stridere un ringhio in fondo alla bocca. “E allora dimostramelo.

Germania chinò lo sguardo, strinse anche lui i denti, mantenne quell’espressione tesa nel conflitto, ma poi cedette. Sospirò, allentando la stretta delle braccia attorno alle sue spalle. “D’accordo.” Lasciò Romano appoggiato al muro, si rialzò, e gli rivolse un’occhiata solenne. “Non gli farò succedere nulla.” Sollevò un braccio al cielo e sparò un richiamo con due colpi di pistola. Riabbassò l’arma e corse via anche lui, si dileguò nel vicolo partendo all’inseguimento.

Romano chiuse gli occhi, si abbandonò a un sospiro più sollevato, ancora vibrante di tutta la rabbia che aveva abbaiato addosso a Germania, e tornò a contrarsi in uno spasmo di dolore gettato dalle ferite. Si appese di nuovo al muro lasciando un’impronta di sangue, rannicchiò le gambe, spinse i piedi a terra, inarcò la schiena tenendo i denti stretti, e si girò spingendo la spalla sana addosso alla parete. In piedi. Allungò un passo, inciampò, strinse le dita al muro lasciando una graffiata di unghie, e zoppicò ancora, lasciando che lacrime di sudore gelido gocciolassero sul viso impallidito. Le pareti si sdoppiarono, le orecchie si tapparono come se si fossero riempite di cotone, cominciò a girargli la testa.

Nel silenzio ovattato dal suo dolore, lo raggiunse un ruzzolone di passi in corsa alle sue spalle. La voce di Ungheria squillò fra le pareti. “Abbiamo sentito sparare! Cosa...” Si fermò, seguita solo da Austria, e subito i suoi occhi allarmati caddero sul sangue versato dal corpo ferito di Romano. “R-Romano?”

Austria abbassò la pistola e corse da lui. Gli strinse il braccio prima di vedere il suo corpo precipitare a terra, e gli cercò lo sguardo. “Dov’è Germania?”

Romano si resse l’anca che continuava a sanguinare, strinse i denti, e le sue parole suonarono aspre e liquide come bile. “A prendere Veneziano.” Un altro spasmo lo piegò in due. “Ghn.” Austria dovette sorreggerlo con entrambe le braccia, metterlo di nuovo seduto inginocchiandosi accanto a lui, e farlo appoggiare con la schiena al muro.

Ungheria sbarrò gli occhi, confusa e spaventata. “P-perché?” Gettò lo sguardo verso il punto dove la stradina si immergeva nella foschia di fumo e polvere esplosa. “Che gli è successo?”

Austria estrasse un impacco di garza da una delle sue tasche allacciate alla cinta. Ne strappò la confezione gialla marchiata da una croce rossa, sfilò il fagotto di cotone, e lo spinse contro la ferita all’anca di Romano, facendogli premere sopra con entrambe le mani. “Premi qui.”

Romano contrasse le spalle e trattenne un mugugno, come se Austria gli avesse conficcato due dita nella ferita, ma obbedì. “Si è messo in testa di fare il pazzo contro Inghilterra,” rispose con voce strozzata. “Deve fermarlo.”

Ungheria sbiancò. Tornò a travolgerla quella paura ghiacciata che aveva già fronteggiato quando aveva visto Italia separarsi da loro e correre via nella direzione opposta. “Oh, no.”

Austria allentò la pressione sull’impacco di garza imbevuto di sangue, fece un cenno a Ungheria e rivolse già lo sguardo verso la direzione imboccata da Germania. “Vieni, occupatene tu, tienigli le ferite tappate.” Aspettò che Ungheria annuisse e che si gettasse in ginocchio, sovrapponendo le mani alle sue, pigiando sul cotone e sporcandosi anche lei di sangue, e si rialzò. Austria strinse le mani sulla pistola, rivoli rossi scivolarono lungo il metallo e colarono dalla canna. Un lampo di luce gli scosse il viso rabbuiato di colpo. “Li raggiungo.”

“Austria...” Ungheria non fece nemmeno in tempo a tendere il braccio e a sfiorargli una gamba, che Austria era già sparito.

 

.

 

La presenza che lo stava inseguendo colse Inghilterra come un’improvvisa e sonora frustata alla schiena. Inghilterra sobbalzò, la sua corsa accelerò, e il sangue divenne fuoco, arse sulle piante dei piedi e dietro la nuca, schioccando una scintilla di allarme dritta attraverso il suo cranio. Mi... Inghilterra compì una curva evitando un cumulo di macerie franato da uno degli edifici, e il lampo di un’esplosione più distante brillò sul suo viso corrugato in quell’espressione di sconcerto. Mi inseguono? Un altro tuono, un altro scricchiolio franato sulla strada, e Inghilterra saltò oltre delle assi crollate da un tetto che pareva essersi sciolto come burro fra due edifici. Non è possibile che mi stiano inseguendo, continuò a ripetersi. Ho ferito Romano, non lo avrebbero mai lasciato da solo. Strinse la mano sulla pistola, girò lo sguardo, attirato dalla corsa estranea sempre più vicina alla sua, e andò incontro a quell’ondata di rabbia e odio gettata dalla presenza che lo inseguiva. Ma chi...

Due spari di seguito esplosero contro di lui. Un proiettile fece centro. Gli trafisse la caviglia, il dolore schioccò attraverso tutta la gamba, ghiacciandola, e i piedi si incrociarono facendolo scivolare a terra. “Ah, merda!” Inghilterra crollò sbattendo il petto e una guancia contro la strada, sputò un gemito e finì per ingoiare il sapore di polvere e pietrisco. La mano picchiò il suolo, si schiuse e fece volare via la pistola che ruotò per tre volte su se stessa.

L’eco dei due spari si ritirò e fece arrivare fino a lui i tremori dei passi in corsa sempre più vicini.

Inghilterra tirò su il mento da terra e gettò lo sguardo verso la sua pistola appena scivolata via. Piantò le mani sulla strada, raccolse a sé la gamba sana, si diede la spinta, scivolò e tornò a cadere di spalle, sbattendo un’altra volta la guancia. Riprovò. Gettò il braccio verso la pistola e strinse le punte delle dita sudate sul calcio. La presa scivolò come sull’olio e l’arma volò ancora più lontano. Inghilterra grugnì di frustrazione, si spinse anche con la gamba ferita, spalancò le mani e si tuffò sulla pistola, acchiappandola di prepotenza, come una saponetta umida sgusciata fuori dal lavandino. Ghignò di soddisfazione. Ruotò il busto, già pronto a tendere le braccia e a schiacciare il grilletto, ma un peso gli venne addosso.

Inghilterra soffocò un gemito, un groppo d’aria che andò a incastrarsi in fondo alla gola, e finì schiacciato dalla pressione di un paio di ginocchia premute attorno al suo costato. Spinse il gomito a terra, si diede uno slancio di spalla, avvitandosi fra le gambe che lo tenevano ingabbiato, e si ritrovò con la faccia a una piuma da una pistola puntata sulla sua fronte.

Oltre il profilo scuro dell’arma estranea che brillava in controluce, oltre due sottili mani bianche che tremavano contro il corpo metallico, e oltre le braccia tese, due bui e profondi occhi ambrati, lucidi di lacrime cristallizzate che non riuscivano a cadere, tenevano ferma la mira sulla sua testa, penetrandogli lo sguardo.

Italia strinse le gambe attorno ai fianchi di Inghilterra. Gli trasmise i tremori del suo respiro, gli spasmi dei suoi muscoli affaticati, e tutto il bruciore che ardeva nel suo sguardo iniettato di sangue e velato di un pianto denso e cristallino che risplendeva fra le palpebre infossate di nero.

Inghilterra ansimò, guadagnò avide boccate di fiato che sentì tremare fra le ginocchia schiacciate sulle sue costole, e spostò lo sguardo dall’occhio della pistola a quelli di Italia, e di nuovo da Italia alla pistola che vibrava davanti alla sua fronte, trasmettendo sottili pizzichi elettrici sulla pelle sudata. Rilassò la tensione dei muscoli, distese la schiena a terra, allargando la presa delle dita attorno alla sua pistola, e lasciò che il fiatone scivolasse via, diventando una breve e aspra risata liberatoria. “Be’...” Inghilterra voltò il viso, schiacciò la guancia a terra, e lasciò che Italia gli sfiorasse lo zigomo con la canna dell’arma. “Che vuoi fare, Italia?” Nei suoi occhi brillò un aspro barlume di sfida.

Italia strinse le ginocchia attorno al suo torso, lo scosse con altri tremori di rabbia e fatica, e stritolò le dita sulla pistola, fino a far comparire chiazze rosse sulla pelle sbiancata. “S-spararti.” Nel suo sguardo in penombra comparve un lampo di esitazione. Gli occhi larghi e acquosi vacillarono e tornarono fermi, scuri, premuti contro quelli di Inghilterra. “Voi lo fate di continuo. Tu hai appena sparato a mio fratello.” Inspirò, e sul suo viso splendette un lampo di ferocia, come una delle esplosioni che brillavano dietro i tetti della città. “Perché io non dovrei farlo?”

A Inghilterra cadde il sorriso. Dalle labbra di nuovo appiattite e che sfioravano la superficie della strada scivolò fuori un basso mormorio di commiserazione. “Perché tu non hai idea di quello che stai facendo, al contrario di me.” Inghilterra tornò a voltare la guancia, spinse la nuca a terra finendo punto da un sassolino, e fissò Italia dritto negli occhi, affrontando quella rabbia che sentiva trapassarlo come un pugnale nel cuore. “Credi che spararmi ti farà sopravvivere a questa guerra? O che ti farà conquistare la fiducia di Germania?”

Italia strinse i denti. “V-voi...” Scrollò il capo, le unghie stridettero sul metallo della pistola. “Voi non sapete niente di lui. Tantomeno di me. Continuate tutti a credere che io...” Un primo profondo e triste singhiozzo gli ruppe la voce. “Che io faccia sempre tutto solo per lui.” Il suo corpo ricominciò a tremare. Violenti e profondi spasmi di dolore che Inghilterra sentiva attraversargli le costole come una serie di coltellate. “Hai sparato a mio fratello,” pianse Italia, senza versare lacrime, “prima avete anche provato a uccidere Germania, avete continuato sempre e solo a premere sulle mie debolezze.” Singhiozzò di nuovo, sfregò gli occhi contro una spallina della giacca, e tornò a irrigidire le braccia e le mani, a fissare Inghilterra con quello sguardo stravolto che, in controluce, pareva piangere sangue. “Credevate davvero che io non avrei fatto niente? Che mi sarei solo messo a piangere standovi a guardare mentre continuavate a fare del male a quelli che amo di più?” Le sue ginocchia strinsero di colpo, la voce s’indurì, ancora inasprita dal nodo di pianto che ristagnava in gola e dentro il petto. “Credete che io non sia capace di reagire e di combattere? Credete che non abbia senso avere paura di me? Che...” Strizzò le ciglia, e le prime righe di pianto gocciolarono dagli occhi, snudando quella luce ardente che gli rendeva il viso bruciante di rabbia. “Che nazione credete che io sia?”

Inghilterra indurì i muscoli del torso per resistere alla pressione delle sue gambe, e gli rispose con tono più acido. “Non lo so. Dimmelo tu chi sei.” Un altro abbaglio di sorriso sbocciò fra le sue labbra, sempre affilato da quel brivido di provocazione. “L’unica cosa che ho visto finora è una nazione attaccata a delle catene che non è nemmeno in grado di vedere con i suoi occhi.”

Italia sentì le mani bruciare, prendere fuoco come il suo petto, come la spinta delle lacrime che pungevano contro gli occhi. Schiacciò la pistola sulla fronte di Inghilterra, gli spinse il peso delle ginocchia sotto le costole, bloccandogli il fiato, e altri violenti tremiti gli appesantirono la voce, rendendola più grave. “Io non sono una nazione debole, io non sono l’ombra di mio nonno, io non sono il cane di Germania. Perché...” Piccoli singhiozzi stridenti ruppero quelle parole. Le lacrime ripresero a scorrere più abbondanti sciogliendo quella maschera di ferocia, e gocciolarono attraverso le guance rosse e sporche di polvere. Le labbra di Italia ricominciarono a vibrare assieme al suo respiro. “Perché non riesco a dimostrarlo a nessuno?”

Inghilterra esitò, assalito da un crampo di pietà stretto attorno al cuore, e ammorbidì il suo duro sguardo di accusa.

Italia smise di tremare, inspirò a fondo, ma la sua voce rimase macchiata dal pianto che gli era scivolato fra le labbra, amaro e doloroso come una coltellata sulla lingua. “Se è questo che le nazioni fanno per sopravvivere...” Tese le braccia di colpo. Un raggio di sole batté contro il metallo della pistola, accese un abbaglio metallico che illuminò il viso di Italia. Un vortice di rabbia e dolore bruciava negli occhi lacrimanti e immersi nel buio. “Allora non esiterò mai più.” Italia flesse l’indice sul grilletto, la leva cigolò, e la vibrazione pizzicò sulla fronte di Inghilterra, scivolando fin dietro l’orecchio.

Inghilterra sentì una scossa di vita battergli attraverso la testa, scuoterlo sotto le gambe di Italia, sotto l’ombra della pistola mirata alla sua testa, e farlo reagire. Sollevò le spalle di colpo. La canna della pistola strisciò contro la sua tempia, e gli graffiò l’orecchio con un fischio. Inghilterra piegò un gomito e lo scaraventò addosso a Italia, tirò a sé le gambe resistendo al dolore della caviglia ferita, e scagliò il suo corpo lontano, facendolo rotolare sul fianco. Si liberò del peso che gli teneva il torso in gabbia. Chiuse entrambe le mani sulla pistola che non aveva mai lasciato andare, tirò su la mira contro Italia ancora riverso sul fianco, e scaricò tutto il peso sulle dita flesse sul grilletto. Italia scosse il capo, tirò su anche lui il braccio, flesse la pistola, e i due abbagli argentei nati sulle punte delle volate si incontrarono, feroci e affilati come due punte di spada che stanno per schiantarsi l’una addosso all’altra.

Una voce tuonò in mezzo a loro. “Italia!” Un’ombra volò contro Italia, si precipitò a terra gettandosi addosso al suo corpo, e spinse via la mira della sua arma.

Un’esplosione si dilatò dietro gli edifici che si affacciavano sulla strada, illuminò il cielo con una vampata di fuoco sporcato di fumo, li travolse con un ardente lampo di calore e luce che impregnò l’aria di un fitto odore di zolfo e di ferro bruciato.

Inghilterra dovette strizzare gli occhi e ripararsi il viso con il braccio, per resistere all’abbaglio dell’ennesima esplosione precipitata dal cielo. Strinse i denti, flesse una spalla per chinarsi, e non respirò fino a che non udì l’eco ritirarsi, finire di nuovo inghiottito dalle pareti degli edifici assieme a quella zaffata di vento bruciato. Seguirono gli scricchiolii delle macerie, i fischi della calce e del ferro che si raffreddava, altre raffiche di spari più lontane e ovattate, e una serie di ronzii oltre le nuvole, di altri alianti e bombardieri tedeschi in arrivo sull’isola.

Inghilterra guadagnò una boccata di fiato e tossì per tre volte. Fece scivolare il braccio dagli occhi, scavò con lo sguardo in mezzo al pulviscolo, sbatté le palpebre, e mise a fuoco i contorni scuri della scena congelata davanti ai suoi occhi. Sgranò le palpebre, le labbra caddero socchiuse, e il suo cuore batté un palpito più fitto e profondo. Lo lasciò senza fiato in gola.

Un braccio di Germania era schiacciato contro quello di Italia che impugnava la pistola, la sua mano avvolta attorno al polso gli faceva tenere la mira bassa, contro il suolo, davanti alle sue gambe inginocchiate. L’altro braccio passava attorno alla sua spalla, gli teneva il torso stretto al suo petto, e la mano era aperta sul suo viso, contro gli occhi, a tenergli la vista tappata. Un gesto che voleva strappare via Italia dal campo di battaglia, inghiottirlo nel caldo buio rassicurante dove esistevano solo i battiti dei loro cuori accelerati, solo i loro respiri, solo i tremori di Germania che si trasmettevano anche al suo corpo. Una scena congelata come una fotografia, avvolta dal pulviscolo e tagliata di sbieco da un raggio di luce che increspava le ombre sui loro volti, sui loro corpi raccolti nello stesso nido di dolore e sicurezza.

Germania strinse la presa sul polso di Italia, fece scivolare le dita tremanti fino a raggiungere le sue, fino ad avvolgergli le falangi contratte attorno alla pistola, e tornò a irrigidire il tocco. Scosse il capo. “Non farlo, Italia.” Premette di più la mano aperta contro i suoi occhi, tenne il capo di Italia fermo contro il suo petto, come ad arrestarne i tremori. I capelli a sfiorargli la guancia. “Non farlo.”

Il viso di Italia ebbe un fremito sotto il palmo che gli teneva gli occhi tappati. I lineamenti si scossero e rimasero contratti, le labbra si schiusero, singhiozzarono liberando pesanti fiotti di lacrime che gocciolarono attraverso le dita di Germania. Il pianto gli scivolò sulla pelle annerita dalla polvere, finì raccolto da quella stretta che lo teneva unito a sé. Le braccia di Italia tremarono, la presa attorno alla pistola cominciò ad allentarsi, a far stridere l’arma sotto le unghie che la lasciavano scivolare sempre più in basso.

Inghilterra deglutì, non riuscendo a buttar giù il peso del suo cuore che era salito a battergli in gola. Il suono di quel palpito gli riempì la testa, assordandolo, tanto che non si rese nemmeno conto degli altri passi che li stavano raggiungendo.

Germania strinse di più le braccia attorno a Italia, gli toccò il capo con la fronte per parlargli più piano, dietro l’orecchio, e la sua voce lo riportò alle Termopili, quando era stato Italia a tenergli le mani e ad avergli staccato la pistola dalle dita. “Quella volta sei stato tu a fermare me, Italia.” La profonda voce di Germania vibrò contro la schiena di Italia, il battito del cuore accelerato gli pulsò contro le scapole. I respiri ancora affaticati dalla corsa, dalla paura, soffiarono parole più rauche fra i suoi capelli. “Anche se non ci sei riuscito, ma mi sei rimasto affianco,” la mano strinse sul suo polso, lo tenne bloccato, la mira ferma verso il basso, “mi sei stato affianco solo per salvarmi.”

Italia singhiozzò di nuovo. Un guaito lento e triste, il lamento di una corda tesa che sta per spezzarsi e accasciarsi in un gomitolo. Altre lacrime calde e pesanti si sciolsero attraverso le dita di Germania schiacciate contro i suoi occhi e colarono a bagnargli l’orlo della manica.

Lo sguardo di Germania si estraniò. Gli occhi così chiari e trasparenti continuarono a guardare Italia come se ci fossero solo loro due in ginocchio sulla strada, isolati dalle bombardate lontane, dalle raffiche di spari e dallo sguardo sbarrato di Inghilterra che fissavano la scena in silenzio. “Ti ricordi, Italia?” Gli diede una piccola scossetta con il braccio che teneva allacciato attorno alle sue spalle. La sua voce era calma e calda, di una profondità rassicurante. “Ti ricordi quello che poi ti ho detto quel giorno all’Acropoli?”

Italia strinse i denti per trattenere un altro guaito, le sue labbra bagnate di lacrime fremettero, e lui annuì sfregando il viso contro il palmo di Germania schiacciato sui suoi occhi.

I passi in avvicinamento smisero di correre alle spalle di Germania, e Austria comparve ai confini di quella scena congelata nella stradina della città mezza distrutta. Si lasciò cadere con la spalla contro una parete per riprendere fiato, strinse le mani sulla pistola per non farla scivolare dalle dita sudate e tremanti, e i suoi occhi volarono su Germania e su Italia, chini sulle ginocchia e stretti davanti all’ombra di Inghilterra che non arrivava a toccarli. Austria socchiuse le labbra e trattenne un sospiro d’ansia, sentendo il cuore stringersi. Li fissò con gli stessi occhi smarriti e impotenti che avevano visto cadere Grecia alle Termopili, dopo lo sparo improvviso che era tuonato attraverso tutto lo stretto. Non si mosse.

Altri passi in corsa si precipitarono alle spalle di Inghilterra, ancora immobile al suolo, con la gamba ferita distesa e il piede sano raccolto contro il ginocchio. Australia aveva la voce arrochita dal fiatone, dovette anche lui chinarsi e aggrapparsi a una coscia per non sbilanciarsi e cadere, e sbatté più volte le palpebre per mettere a fuoco la scena. “Inghilterra che...” I suoi occhi scivolarono lontani da Inghilterra, si posarono su Germania e Italia e rimasero pietrificati, come sfere di vetro. Australia scorse l’ombra di Austria, la sua sagoma immobile come lui e Nuova Zelanda, a sfiorare quella scena cristallizzata, e una spina di allarme lo punse alla base del collo, facendolo sobbalzare. “Ah, sono...” Australia scattò di un passo all’indietro, portandosi davanti a Nuova Zelanda, e sollevò la pistola. Inghilterra lo bloccò aprendo un braccio, ma stette in silenzio. La mano fece cenno ad Australia di stare immobile, mentre i suoi occhi continuavano ad assorbire la scena davanti a lui, senza riuscire a staccarsene.

Germania distese le dita che tenevano stretto il polso di Italia, fece scivolare la mano lungo il suo pugno chiuso attorno alla pistola, e infilò le punte fra gli spazi delle falangi. Gli staccò l’indice con poca pressione. “Non mi lasciare, Italia.” Passò al medio, e l’anulare si distese da solo. “Non cambiare per me.” Crack! La pistola cadde a terra, rimbalzò sul fianco e giacque immobile. Germania sciolse la presa dalla mano di Italia e fece scivolare il palmo umido via dai suoi occhi lacrimanti. Scosse il capo. “Non diventare qualcuno che non sei.” Gli cinse il viso, raccolse quelle guance rosse e gonfie di pianto, e gli fece sollevare lo sguardo. “Guardami, Italia.”

Italia lo guardò. I suoi occhi smarriti, gonfi e lucidi di chi si è appena risvegliato, continuarono a lacrimare, a spandere un pianto silenzioso e abbondante che corse attraverso il suo viso come una fresca pioggia di primavera. Gli risciacquò lo sguardo, lavò via le tracce di buio e riportò la luce d’ambra che brillava come resina al sole, calda e morbida come un abbraccio. Italia singhiozzò ancora a labbra strette, morsicate fra gli incisivi, e ricominciò a tremare, a scrollarsi di dosso tutto il dolore e la rabbia che si era accumulata nel suo corpo.

Germania gli scostò i capelli dalla fronte, tenne liberi gli unici occhi in cui voleva sentirsi libero di annegare e di perdersi. “Anche io conosco gli occhi a cui voglio bene, Italia. Anche io conosco il tuo sguardo.” Tornò a posargli la mano sulla guancia. “Non ti perdere.” Anche la sua era una mano caldissima. “Resta con me.”

Italia soppresse un altro singhiozzo fra le labbra morsicate. Allacciò le braccia attorno a Germania e si tuffò contro il suo petto, aggrappandosi alla sua stretta, al suo calore e alla sua forza. Un abbraccio liberatorio che fece sentire entrambi lontani dal campo di battaglia, isolati da tutti gli sguardi che stavano fissando la scena.

Dietro di loro, Austria si accasciò di peso sul muro, lungo tutto il fianco, e abbassò gli occhi in mezzo ai piedi, rilassando la tensione del viso ancora grigio di ansia.

Australia non riusciva a chiudere la bocca, rimasta aperta in quell’espressione granitica da statua di sale. Si bagnò la lingua, le labbra tremarono, e i suoi occhi tornarono a scivolare al suolo, verso Inghilterra. “I-Inghilterra, cosa...” Si bloccò, la bocca di nuovo congelata e gli occhi fissi premuti sulla figura china di Inghilterra che non si era ancora mosso.

Inghilterra strinse i pugni sulla strada, abbassò lo sguardo, attirato dalla consistenza della pistola che aveva ancora fra le dita, e una scossetta attraversò il metallo, pungendogli la pelle. Per un attimo, ebbe paura dell’arma che teneva racchiusa in mano.

Germania fece scivolare le braccia dalle spalle di Italia, gli cinse il busto e gli raccolse le gambe. Si alzò tenendoselo in braccio, gli fece premere il capo sulla sua spalla, il viso umido e caldo di pianto nascosto nell’incavo del collo, e si girò dando le spalle a Inghilterra, senza nemmeno guardarlo. Lontano da loro, qualche altra esplosione borbottò contro il cielo, ronzii attraversarono le nuvole, spari si schiantarono sulle strade coprendo il suono secco dei passi di Germania che si allontanavano.

Germania passò accanto ad Austria. Il passo lento e lo sguardo rigido, dritto davanti a sé, e la voce piatta e autoritaria. “Ritiriamoci.”

Austria sussultò, incredulo, e sentì quell’ordine scuoterlo come uno schiaffo. “Che cosa?”

Germania continuò a non guardarlo, andò avanti nella sua marcia. “Ritiriamoci.” Sistemò il peso di Italia che gli stava scivolando dalle braccia, sentì la sua stretta chiudersi attorno al collo, tenersi aggrappata, e anche lui lo tenne più vicino, sorreggendogli le gambe rannicchiate contro il ventre. “Fermiamo l’offensiva e ritorniamo a Maleme.”

“M-ma c’è...” Austria lo inseguì, mantenne quello sguardo incredulo e ancora scosso che gli fece vacillare la luce degli occhi. “C’è ancora il campo di volo da espugnare,” ribatté. “E non siamo riusciti nemmeno a...”

“Ho detto di ritirarci.” Germania intrecciò le dita fra i capelli di Italia, aprì il palmo attorno alla sua nuca, per non fargli spostare il viso dalla spalla contro cui stava nascondendo il viso, e si girò a lanciare ad Austria un’occhiata fredda e intransigente. “È un ordine,” disse. “E non voglio sentire discussioni.”

Austria scostò il viso senza allontanare gli occhi da lui. Restrinse le palpebre, facendosi più scuro dietro le lenti, e mostrò quell’espressione un po’ offesa, un po’ delusa, ma lo stesso impotente, costretta a seguire la sua camminata abbandonando il campo di battaglia ancora occupato dal nemico.

Nuova Zelanda si chinò su Inghilterra, gli cinse le spalle sostenendolo come lui e Australia avevano fatto quel giorno al porto, e lo chiamò con voce scossa. “Inghilterra, stai bene?”

Australia scosse il capo, e si riprese. Allungò una gamba e tornò a sollevare la pistola, mosse uno scatto per inseguire i tre nemici che se ne andavano. “Stanno scappando, dobbiamo...”

“No, fermo.” Inghilterra gli acchiappò un lembo dei pantaloni e lo trattenne, tirandolo indietro. “Lasciali andare.”

Australia tornò a mostrare un’espressione di sconcerto. “C-cosa?” balbettò. “Ma sono...”

“Lasciali.” Inghilterra socchiuse le palpebre, finì di seguire i movimenti delle loro sagome che si allontanavano, e sospirò liberandosi di quel groppo di fiato incastrato nel petto. “Adesso non sono più un pericolo.” Attorno al suo cuore però rimase a gravare un peso fitto e opprimente, doloroso come l’ultimo sguardo che Italia gli aveva rivolto e che Inghilterra non riusciva a scollarsi dalla testa.

   
 
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