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Autore: shirupandasarunekotenshi    05/11/2017    1 recensioni
"Finché il sole sorgerà e tramonterà,
finché ci saranno il giorno e la notte".
Primavera 1992.
Così poco tempo è passato dalle ultime battaglie. Non sembra mai abbastanza
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Due divinità si incontrano in un luogo fuori dal tempo, il futuro della terra è incerto. Un'altra dea, per l'ennesima volta, si troverà a dover proteggere questo futuro e giovani guerrieri dovranno di nuovo mettere le proprie vite al servizio di un destino al quale non potranno sottrarsi.
Crossover Saint Seiya e Yoroiden Samurai Troopers
Genere: Angst, Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Dormire era impossibile, gli sarebbe sembrato di lasciare Shu da solo ma, certo, non era solo per quello: lui stesso si sarebbe sentito solo se si fosse lasciato catturare dal sonno. Aveva paura del sonno, come se si trattasse della fine di tutto, della sicurezza… di ogni loro sogno di esistenza serena.

Ma non era forse già finito tutto quanto?

Si morse le labbra mentre osservava la sagoma di Shu nella penombra, sdraiata al suo fianco: non poteva permettersi di restare così senza speranza, sopraffatto dalla negatività, per Shu, ma anche per se stesso… e per Touma.

Le mani dei due nakama si toccavano, i loro discorsi vertevano a rassicurare l’altro e, anche di più, a rassicurare se stessi; Seiji sperava ardentemente che Shu non percepisse cosa gli si agitava davvero nell’animo; si sentiva responsabile nei confronti di Shu, non era giusto, ne era consapevole, non voleva sottovalutarlo, non avere fiducia nella sua forza, ma non poteva negare che il nakama si fosse dimostrato sempre più fragile di lui: nel suo trasporto passionale, sotto la sua innocente fierezza, celava un animo delicato, a volte troppo, un animo che rischiava di venire sopraffatto dalla paura quando questa verteva sul rischio di una perdita.

Il rischio di perdere tutto ciò sui cui aveva costruito e programmato la sua nuova vita, il rischio di perdere tutto ciò per cui la loro esistenza aveva davvero un senso.

Non gli lasciò la mano neanche quando comprese che il sonno aveva avuto la meglio sull’incubo della veglia o, più probabilmente, il sonno era forse l’unica scelta che avevano in quel momento… almeno finché non fosse arrivato Touma… E sarebbe arrivato presto, molto presto, lo sentiva Seiji, poteva solo sperare che almeno loro due sarebbero stati lì per accoglierlo.

Si morse le labbra di nuovo.

“Non sono io” si rimproverò tra sé, “non sono io che lascio così via libera a chiunque, qualunque cosa voglia ferire ciò in cui credo: io combatto, io sono un samurai, non un povero bambino disperato, non la do vinta a niente e nessuno!”.

Eppure, le sue labbra sanguinavano sotto i suoi denti e gli occhi si erano fatti brucianti, le guance solcate da lacrime che non sapeva quando avevano cominciato ad uscire. Forse proprio perché le conosceva così poco, quando arrivavano lo coglievano del tutto alla sprovvista.

Invidiava un po’ Shu perché era riuscito a cedere al sonno, poteva essere la soluzione. Forse, dopotutto, stava dormendo lui stesso e si trattava di un maledetto incubo. Sospirò: era troppo razionale per lasciare via libera ad illusioni che sapeva essere tali, era lucido, non stava sognando e quella lucidità lo terrorizzava più di ogni altra cosa.

Dormire… avrebbe trovato un po’ di tregua alla stanchezza morale che si era impadronita, all’improvviso, di lui, ma anche il pensiero di abbandonarsi al sonno lo rendeva inquieto: avrebbe significato abbassare la guardia quando un pericolo palese incombeva su di loro e, soprattutto, avrebbe significato lasciare Shu privo di protezione… e lasciare anche Touma in balia del pericolo. Suo dovere era sorvegliare la casa fino al suo arrivo.

Serrò le dita della mano che teneva quella di Shu, come a voler approfondire il contatto e la protezione nei confronti del nakama, ma trovò il vuoto; probabilmente durante il sonno Shu si era mosso e l’aveva inavvertitamente sfilata e Seiji, immerso nei suoi pensieri, non se ne era reso conto.

Ignorò, o finse di ignorare il balzo anomalo compiuto dal suo cuore per focalizzarsi sulla spiegazione razionale e ovvia, benché la situazione nella quale si trovassero nulla avesse di razionale e tanto meno di logico: che logica poteva esserci quando due ragazzi e una tigre scomparivano nel nulla senza preavviso e senza apparente volontà di scomparire? D’altronde la logica non aveva mai avuto a che fare con le loro missioni da samurai, sempre a contatto con il soprannaturale.

Tuttavia, mai niente era stato così difficile da accettare per Seiji; fino al loro scontro con Suzunagi era riuscito a rimanere saldo, a non farsi sommergere dall’angoscia, se non nella parentesi successiva agli eventi di New York. Ma allora i suoi nakama l’avevano preso per mano e sollevato dal baratro.

Ciò che era capitato a Ryo, Shin e Byakuen era stato un fulmine a ciel sereno, troppo difficile da sopportare, aveva aperto sotto i suoi piedi un altro baratro, profondo. Non riusciva a scorgerne la fine, per quanto tentasse di convincersi che c’era rimedio, che anche questa volta ce l’avrebbero fatta.

Ma era stato più facile crederci finché la mano di Shu toccava la sua: trovarsene privo gli comunicò un senso di smarrimento e solitudine, si sentiva abbandonato. Avrebbe riso di se stesso per un simile pensiero se l’ansia non l’avesse colto in maniera così intensa.

La stanza era buia, ma i suoi occhi conoscevano a memoria la sagoma di Shu che, con il suo respiro regolare, alzava e abbassava il lenzuolo sotto il quale si era rintanato. Perché si era rifugiato sotto? Shu era solito dormire in maniera scomposta, anche se non come Ryo e, di sicuro, non soffriva il freddo, era facile trovarlo del tutto scoperto dopo aver ceduto a Shin tutta la sua parte di lenzuola.

Tuttavia la paura poteva provocare freddo, un freddo dello spirito che si sentiva al sicuro solo se riparato sotto strati e strati di tessuto… doveva essere proprio ciò che Shu stava provando. Seiji si mosse con l’intenzione di portarsi più vicino a lui: Shu non era più abituato all’isolamento, divideva il letto con due persone di solito e Seiji sapeva che stavano stretti, desiderando proprio di sentirsi e percepirsi, senza nessun desiderio di un più ampio spazio personale.

Se gli si fosse avvicinato, avrebbe potuto dargli conforto, trasmettergli quel tepore cui era ormai avvezzo; d’altronde, anche lui, ormai, non dormiva da solo da tempo.

“Touma…” si trovò ad implorare in un sussurro, strisciando sul materasso in direzione del nakama.

Era vuota quella casa, troppo vuota quando anche uno solo di loro mancava… non l’aveva ammesso apertamente davanti al guerriero del cielo, ma non gli era piaciuto vederlo varcare la soglia di casa, per un’assenza di pochi giorni. No, non glielo avrebbe mai detto, Seiji doveva razionalizzare certe emozioni, l’aveva sempre fatto d’altronde, perché ci riusciva sempre meno?

La sua mano si allungò a tentoni fino a quando le sue membra non giunsero a toccare alcun corpo solido. I suoi occhi si dilatarono, simili a quelli di un gatto, nel tentativo di vedere meglio.

“Shu?”.

Lo chiamò piano e il compagno non lo udì; certo… dormiva.

Seiji si trovò a deglutire nervosamente, senza neanche sapere perché.

Anzi… mentiva a se stesso: certo che lo sapeva, lui era Korin, era la luce, più di una volta giungeva a comprendere certe cose prima degli altri… ma non voleva averla quella consapevolezza, non la accettava, ripeteva a se stesso che era solo paura, suggestione, perché nelle ultime ore la follia si era impadronita di quella casa.

Lottava tra il tentativo disperato di auto convincersi e la disillusione anche quando si sollevò a sedere sul letto, annaspando freneticamente con le dita nella parte di materasso dove si sarebbe dovuto trovare un essere umano… e invece c’era solo il vuoto, sotto un piccolo monticello di coperte che ancora sembravano voler disegnare i contorni di chi non c’era più. Era rimasto uno strano spazio vuoto sotto quel sollevamento di tessuto, come se qualcosa fosse rimasto a ricordo di Shu, un abbozzo di anima, un soffio vitale.

“SHU!”.

Come aveva fatto? Come poteva averlo perso?

Gli era rimasto vicino apposta, se lo erano detti entrambi: “se restiamo insieme nulla potrà coglierci di sorpresa”.

Seiji si irrigidì sul letto, le ginocchia piegate contro il petto, le mani con i palmi sollevati verso l’alto, le dita ripiegate come a voler afferrare qualcosa… qualcuno che non era lì.

E i suoi occhi, accesi di disperazione, di rabbia, di angoscia, fissavano quelle dita malferme.

“Dove ho sbagliato? Come posso avere fallito in questo modo? Era qui, gli ero vicino… io… gli sono sempre stato vicino…”.

Nessuno si era avvicinato a loro… niente… non aveva visto niente.

Shu aveva visto, invece? Aveva capito cosa lo aveva attaccato, cosa lo aveva portato via?

Sembrava essere svanito, così, in silenzio come… come se non fosse mai esistito… come se nessuno di loro fosse mai esistito.

Erano dei sogni evanescenti che, a un certo punto, erano scomparsi nel nulla e Seiji era come un bambino risvegliatosi da un sogno troppo bello per essere vero, un risveglio colmo d’angoscia, quando ci si rende conto che quanto c’era di tanto bello era, appunto, solo sogno.

Nessuno… di loro… era mai… esistito…

Anche Seiji era sogno, chissà di chi… doveva attendere e si sarebbe spento, proprio come loro.

Abbassò il viso sulle mani e le dita nervose afferrarono i capelli fin quasi a strapparli.

“Sto impazzendo”.

La sua voce era un po’ un ringhio, un po’ un gemito.

Se persino lui si stava lasciando sopraffare da pensieri simili, la situazione in sé era davvero folle… questo l’avrebbe detto

Touma.

Touma…

Abbassò di nuovo le mani, fissando il vuoto.

Neanche Touma era mai esistito? Anche lui era già svanito dalla mente di quel misterioso sognatore?

“Sono… rimasto già solo io?”.

La sua mente vagò, i ricordi ai attorcigliavano gli uni agli altri, confusi, irreali proprio come un sogno lontano, sogno di chi non lo sapeva più.

La storia del manoscritto, già prevista, già raccontata in epoche lontane, verità che già aveva rischiato di farli impazzire quando Suzunagi si era presentata a loro, si riaffacciò prepotentemente, recando con sé ancor più confusione e incertezze.

“E’ questo che già voleva dirci il manoscritto? Noi siamo solo immagini di un mondo che non esiste più… o non è mai esistito...?”.

Se fino a poco prima si era ripromesso di resistere fino all’arrivo di Touma, infine anche a quella prospettiva aveva rinunciato: Touma non sarebbe mai ricomparso, non avrebbe aperto la porta di casa, ad alimentare la luce del suo cuore che si andava spegnendo… anzi, si era già spenta.

Lasciò vagare intorno a sé lo sguardo che si era completamente spento; dopo la disperazione ecco arrivare ciò che, in qualche modo, era peggio: la rinuncia.

Rinuncia alla lotta, proprio lui, ma che senso aveva lottare, se nulla di quel che avevano fatto e vissuto fino a quel momento aveva un senso?

Sollevò una mano a sfiorarsi una guancia con la punta di due dita: la sentiva consistente, non semplice ombra, eppure ormai sapeva che anche quella era illusione.

Le sue labbra si schiusero, esalarono lievi sospiri che si mutarono in altrettanto fievoli parole:

“Non esisto… se loro non esistono, io non esisto… è così chiaro…”.

Si mosse come un automa, inconsapevole in realtà di ciò che stava facendo, così come, inconsapevole di ogni passo, prese a camminare, lento, nel buio della casa che tanto bene rispecchiava quello del suo animo.

Le mani lasciate ad oscillare inerti lungo i fianchi, i passi lenti, era un sonnambulo che vagava in un incubo senza possibilità di risveglio. Gli occhi, dapprima sbarrati sul suo nulla di paure, adesso erano schiusi, privi di espressione, persino il viola intenso delle iridi che sembrava luccicare nell’oscurità si era ridotto ad un velo incolore, quasi trasparente, lo rendeva fin troppo simile a quel demone che tutti, durante la sua infanzia, lo accusavano di essere.

Girava a vuoto per tutte le stanze, senza preoccuparsi di accendere le luci, non avrebbe avuto senso dal momento che nessuna luce avrebbe potuto rischiarare le tenebre che si portava dentro: la luce artificiale avrebbe contribuito a rendere ancora più laceranti il vuoto e la solitudine che regnavano tra quelle mura trasformatesi in una prigione di dolore.

Poteva solo camminare, avanzare nel nulla ed attendere, sperando solo che il momento della sua scomparsa arrivasse presto.

“E se non mi accorgessi di scomparire e continuassi così, in eterno, a camminare in questo buio, nel vuoto che mi circonda?”.

Doveva esserci un modo per sottrarsi a quell’insopportabile possibilità.

Il suo cammino senza meta finì per portarlo in giardino: persino lì, dove durante la notte i suoi della natura ravvivavano le serate dei ragazzi quando ogni speranza era intatta, regnava il silenzio e il vuoto del cuore di Seiji si fece, se possibile, ancor più incolmabile. Raggiunse il ciliegio sotto al quale era solito raccogliersi in meditazione e lì si lasciò cadere, le gambe incrociate, le mani sulle ginocchia, gli occhi di nuovo chiusi: ad uno sguardo esterno sarebbe apparso come un samurai che si preparava serenamente alla battaglia, impossibile immaginare il nulla che si era impadronito del suo spirito.

Dentro il guerriero della luce non esisteva più il samurai, ma nemmeno il ragazzo pieno di vita dell’età moderna: vi era solo una creatura in balia del totale annullamento di se stesso e del senso dell’esistenza.

Quel che gli restava da fare era rimanere seduto, in un’attesa che si faceva troppo lunga; allora si ritrovò a pensare alla sola possibilità: utilizzare le sue capacità di concentrazione per regolare le funzioni del suo corpo, poteva smettere di esistere se lo desiderava.

Bastava concentrarsi sul respiro, controllarlo, farlo cessare… o meglio sul cuore: se il suo cuore avesse smesso di battere tutto sarebbe finito. Era facile dopotutto, il suo cuore era inesistente, come i suoi nakama, doveva solo rendersene conto e smetterla con quel pulsare illusorio.

“Io non esisto…”.

La frase risuonava nella sua testa, secondo dopo secondo, battito dopo battito una strana pace scendeva su di lui; le pulsazioni sempre più lente accompagnavano l’annullarsi della sua coscienza.

Un’ultima fitta dolorosa, una lacrima accesa nell’unico occhio visibile e il cuore si fermò.

Il ciliegio scambiò un lamento con la folata di vento che scosse i suoi rami: laddove pochi istanti prima Seiji stava seduto, era rimasta solo un’impronta nell’erba. Dopo il pianto del ciliegio, la notte tornò silenziosa, la casa e il giardino, in quel silenzio, elevavano un muto urlo d’abbandono.

 

  
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