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Autore: SilverLight    06/11/2017    1 recensioni
"Sarà divertente", aveva detto.
"Gli argomenti sono interessanti", aveva detto.
. . .
«Chi è quello seduto nelle file più avanti ?»
«Chi ?»
«Il ragazzo con i capelli corti e gli occhi grandi.»
«Kyungsoo ?»
«E’ malato ?» Mormorò Jongin, non distogliendo lo sguardo da sopra la testa di Kyungsoo.
«Non che io sappia.»
«Capisco.»
«Che succede ?»
«Ci sono due zeri dove dovrebbero esserci i suoi anni.»

[Autrice: adorableprince; Traduzione: SilverLight]
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Baekhyun, Baekhyun, Chanyeol, Chanyeol, D.O., D.O., Kai, Kai
Note: Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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NOTE DELLA TRADUTTRICE:
L'autore della storia è adorableprince, i crediti e i meriti di Countdown vanno tutti a lei;
 
Ho deciso di tradurre questa storia perchè mi ha toccato particolarmente.
Mi ha fatto riflettere sulla vita, sul tempo che ci scorre davanti agli occhi, che diamo per scontato di averlo illimitato e
che magari non ci rendiamo conto che potrebbe essere l'ultimo a disposizione.
Percui credo che bisogna vivere ogni giorno in modo personalmente memorabile.
Il tempo è limitato quindi, non lo sprecate vivendo senza riflettere, senza dargli un senso e sopratutto senza condividerlo.

P.S.

(La Kaisoo è poetica in qualunque contesto )

Se vi va lasciate un commento o altro, adesso vi lascio alla storia, bye 

SilverLight


   C O U N T D O W N   






 
Jongin vede il mondo in numeri.

Lungo la strada che si trova fuori dal suo appartamento ci sono quattro lampioni e accanto all’ingresso due cespugli. Ha solo un coinquilino, invece di due, perché  il suo appartamento è nascosto nell’angolo della strada, dove il suono delle auto che passano non riesce a raggiungere la finestra del secondo piano. Accanto al suo appartamento c’è un parco con tre campi da tennis e due reti da pallavolo dove non ha mai giocato e molto probabilmente non lo farà mai.

Gli ci vogliono circa 527 passi per raggiungere la fermata dell’autobus che lo condurrà poi alla sua università, forse anche di meno se cammina con passi più lunghi.  E quando arriva l’autobus, una cinquantina di studenti si schiacciano come sardine dentro al quel veicolo fornito di solo 30 posti. Jongin non è mai stato fortunato da arrivare per primo e potersi sedere in quei sedili.

Se ne sta nel corridoio, aggrappato forte ad una fredda sbarra di metallo sopra di se mentre ondeggia dolcemente al ritmo di segnali di stop e semafori, scrutando sopra le teste di quelle persone che sono in piedi di fronte a lui, in quella che dovrebbe essere aria vuota, ma non lo è. Sopra la testa della gente vede galleggiare e camminare degli abbaglianti numeri rossi e nessuno di quei numeri è uguale.

Il suo sguardo si posa su un ragazzo con gli auricolari nelle orecchie che riposa contro il finestrino. Sopra la sua testa, i numeri 65:10:03:21:45:08  stanno costantemente andando indietro. La ragazza seduta che messaggia accanto a lui ha dei numeri leggermente diversi ― 67:09:17:11:43:50 . Sono sempre sei numeri che fanno sempre il conto alla rovescia.

Da quello che ricorda Jongin, non ha mai saputo la ragione che lo spinge a vedere questi numeri. Nessun gli crede quando dice che lui ci riesce, che quei numeri galleggiano sopra la testa della gente ed illuminano il mondo colorandolo di una tonalità color cremisi. Gli ci vollero dieci anni per capire cosa significassero quei numeri.

A dieci anni Kim Jongin si trovava in un incrocio, sua madre lo teneva per mano e canticchiava allegramente, quando l'ombra di un uomo ubriaco che correva, sfrecciò in mezzo alla strada mentre ancora le auto correvano ed il semaforo era rosso.
Ci fu uno schianto, lo scricchiolio nauseante di fragili ossa contro il metallo. Le urla riempirono l’aria e riconobbe lo stridio acuto della voce di sua madre mentre lo tirava indietro e copriva i suoi occhi dalla vista raccapricciante della figura distesa dall’altra parte della strada.
Jongin fissò la rapidità con cui il sangue di quell’uomo usciva creando una pozza e pensò che era un tipo di rosso che non era abituato a vedere, ma i suoi occhi non erano concentrati su questo. Nonostante gli strattoni di sua madre e le urla disperate, Jongin riuscì a trovare un squarcio tra le dita tremanti di sua madre, sentendo di non riuscire a fare a meno di fissare i numeri che stavano sopra la testa di quell’uomo.

00:00:00:00:13:24

Non aveva mai visto prima così tanti zeri nei numeri di una persona e all’improvviso sentì una sensazione agghiacciante che gli fece comprendere come stessero le cose. Quando arrivò l’ambulanza, in aria fluttuarono dieci zeri ed un undici. Prima che potessero mettere l’uomo sulla barella, anche l’ultimo numero fece il conto alla rovescia fino a diventare anch’esso uno zero.

L’uomo fu dichiarato morto.

Jongin iniziò a respirare profondamente, come se fosse l'unica cosa capace di fermare il mondo ed evitare che crollasse. In procinto di piangere si rifugiò tra le braccia di sua madre. Anche attraverso quelle lacrime salate e quello stupore, riusciva a vedere ancora lampeggiare furiosamente quei dodici zeri fiammeggianti e finalmente Jongin capì cosa erano quei numeri.

Anni. Mesi. Giorni. Ore. Minuti. Secondi.

Un orologio.

Un orologio vitale che segna lentamente la propria ora.

Il resto della giornata lo passò tenendo gli occhi chiusi. Sua madre pensò che per colpa di quell’incidente e del panico era rimasto scioccato perennemente, infatti a distanza di due settimane dall’incidente, Jongin si rifiutava di guardare le persone, teneva lo sguardo basso e chiudeva gli occhi ogni volta che poteva.

La madre si spaventò così tanto che lo portò da uno psicologo, ma fu inutile, perché anche il professionista non riuscì ad individuare la causa del drastico cambiamento del comportamento di suo figlio.

Jongin andò avanti così per quasi un mese, finché accidentalmente una mattina i suoi occhi appannati dal sonno e dal calore delle sue coperte si aprirono. I suoi genitori  lo avevano svegliato gentilmente, dicendogli che era ora di fare colazione e prima che potesse capire cosa stesse facendo, due file di numeri rossi stavano lampeggiando. Rimpianse di aver dormito quella notte perché adesso lo sapeva e avrebbe desiderato non sapere e non vedere. Ha tante domande, ma non c’è nessuno che può dargli delle spiegazioni.

Dopo quello, la vita non è più stata la stessa.
 
 
 *   *   *

 
 
“Niente di nuovo oggi ?”

Jongin si levò lo zaino e lo gettò con non curanza sul pavimento piastrellato della cucina. Si appoggiò contro di essa e prima di rispondere, si scostò una ciocca di capelli. Chanyeol era abituato. Jongin parlava solo quando ne aveva voglia.

“Il Signor Kim oggi ha perso tre mesi.”

Chanyeol brontolò. “Non mi sorprende, è sempre ubriaco da quando sua moglie ha divorziato da lui.”

Diede uno sguardo al suo coinquilino dall’altra parte del tavolo e cercò di sforzare un sorriso ma Jongin era troppo occupato a fissare il soffitto per notarlo – troppo smarrito in quel turbinio di numeri, tempo e finali tristi.

“Ma questo significa che smetterà presto, giusto ? Voglio dire, avrebbe perso più di tre mesi se avesse ucciso davvero il suo fegato.”

Quasi tre parole, fu tutto quello che Jongin gli offrì. “Credo di si.”

Chanyeol tossì goffamente e si agitò silenziosamente, ponendo una domanda al fine di poter sentire un suono diverso dai suoi battiti cardiaci impazziti. “Che significa ?”

Jongin alzò il capo e fissò con uno sguardo severo la testa di Chanyeol, ma non stava guardando il volto dell’amico. Stava guardando il fato turbinante di rosso che si mescolava sopra la sua testa.

“Jongin, non farlo.”

“Non sto facendo niente.”

“Si invece.” Chanyeol rabbrividì sul suo posto, provando improvvisamente freddo. “Quindi.. smettila. Non voglio saperlo.”

Entrambi erano seduti, senza accennare a volersi alzare o a voler parlare. Quel silenzio innervosisce Chanyeol ma non riesce ad andarsene. Jongin lo guarda confuso e disinteressato nello stesso modo con cui fissa spesso gli sconosciuti e Chanyeol rivuole indietro il suo migliore amico. Jongin è il primo ad alzarsi e a trascinarsi stanco verso la sua stanza.

Rimane in piedi davanti alla sua porta, con la mano sulla maniglia, quando all’improvviso dice una frase che arriva alle orecchie di Chanyeol. “Dovresti smetterla con i dolci, hai perso un giorno.”

La porta si chiude.

Chanyeol fa una smorfia.
 
 
 *   *   *
 
 
Jongin conobbe Chanyeol nell’aula di Mitologia Greca. Era uno strano ragazzo alquanto vivace che parlava di sciocchezze sui rapimenti alieni e di teorie cospirative. Ovviamente Chanyeol non comprendeva il significato di spazio personale o di parlare a bassa voce o del fatto che nessuno volesse ascoltare le sue congetture infinite sulla magia alle nove del mattino. Fu solo quando Chanyeol durante una delle sue descrizioni particolarmente animate diede accidentalmente una gomitata a Jongin, che gli lanciò un’occhiataccia.

“Dovresti chiudere il becco.”

Chanyeol si fermò con il braccio a mezz’aria e la bocca buffamente aperta prima di accigliarsi. “Cosa ? tu non credi alle capacità sovrannaturali ?”
Jongin voleva soltanto tornare a dormire e ritirarsi dietro le sue braccia incrociare e il suo cappuccio nero. Forse fu la sonnolenza o forse perché non aveva preso il suo caffè mattutino. Forse era perché una piccola parte di Jongin voleva che qualcuno gli credesse, anche se il suo strambo compagno di classe non sembrava avere un filtro funzionale che gli facesse dire qualcosa di sensato. Quel vortice di forse che gli girava in mente lo fece impazzire, ma non gli impedì di sorprendersi quando la sua bocca rilasciò alcune parole. Gli ci vollero un paio di secondi per rendersi conto che quelle parole appartenevano a lui.

“Si che ci credo, io so quando la gente muore.”

Uno studente alla sua sinistra ridacchio e anche altri fecero lo stesso per quello che aveva appena detto. Jongin rilassò le spalle ed emise un lungo sospirò di sconfitta. La gente ha la capacità di ferirti, infatti imparò che avere aspettative sulle persone portava solo delusioni. Pensò ad una momentanea perdita di buonsenso. Era stato questo. Tornando a dormire crogiolandosi nella sua insoddisfazione, non fece caso a Chanyeol che l’osservava stupito.

Dopo la lezione, quando tutti uscirono fuori dall’aula e l’unico pensiero di Jongin era quello di arrivare il più velocemente possibile al suo dormitorio,  dove lo avrebbero atteso le sue calde coperte e il suo morbido cuscino, venne chiamato da quel ragazzo alto e ciondolante. Si accigliò perché gli avrebbe rubato del tempo per riposare in attesa della lezione successiva, ma Chanyeol lo stava guardando in maniera un po’ troppo seria e a Jongin venne la pelle d’oca.

“Non stavi mentendo, non è così ?”

Jongin contrasse la mascella e si irrigidì.“Non so di cosa parli.”

“Tutto ha senso,” Chanyeol insistette. “Non guardi mai le persone – cioè, lo fai – ma è come se tu guardassi sempre e sopra di loro, o addirittura, sembra che tu a volte riesca a vedere attraverso loro senza guardarli.”

Quell’attenta concentrazione di Chanyeol su di lui gli provocò disagio. Non vide alcun traccia del ragazzo pazzoide a cui Jongin era abituato e gli venne difficile fondere quelle due personalità del ragazzo in qualcosa di sensato. Per Jongin fu quasi divertente sapere che la prima persona a credergli era uno sconosciuto alienato invece dei suoi genitori ; ricordava ancora lo sguardo turbato sul viso di sua madre quando gli parlò del suo dono.

Aveva deciso che sarebbe stato meglio tenere per se questo suo segreto, ma sapere che adesso qualcuno lo avrebbe saputo sarebbe stato stimolante. Jongin era stanco di portare con se questo segreto. Era un tipo di stanchezza che non sarebbe andata via nemmeno se avesse dormito a sufficienza.
 
Jongin  analizzò Chanyeol con indecisione. “Come ti chiami ?”
"Park Chanyeol."
Jongin annuì, più a se stesso che a Chanyeol e poi si voltò per andarsene. Chanyeol gli andò dietro.
“Aspetta, non mi hai detto se avevo ragione!”disse a voce alta.

Jongin continuò a camminare e per sicurezza si mise il cappuccio in testa quando Chanyeol lo raggiunse. Rivolse al ragazzo alto un breve sguardo e un lato delle labbra gli si contrasse leggermente. Era un ghigno, ma in esso non c’era nulla di amichevole e tanto meno qualcosa di benevole, c’era soltanto oscurità e amarezza.

Jongin indicò a caso una ragazza che stava camminando sul cortile. “Sessantatre.”
Chanyeol si accigliò non comprendendo cosa intendesse Jongin. “Cosa― ”
Jongin indicò verso un ragazzo che stava sorseggiando un caffè sul prato. “Sessanta.”
E continuò ad elencare numeri mentre passavano degli estranei.

“Sessantacinque.”
“Settanta.”
“Settantadue.”

E solo quando Jongin commentò, Chanyeol finalmente riuscì a comprendere.
“E a lei le rimangono soltanto cinquantacinque anni, mi domando perché.”

Il timore gli trapassò lo stomaco. Il modo in cui ne parlava Jongin era talmente freddo e indifferente, che sembrava non stesse parlando davvero della vita delle persone, era come se per lui fossero nient’altro che numeri. Chanyeol riconobbe subito chi stesse indicando Jongin per pronunciare il prossimo numero. Era Baekhyun che passeggiava sul prato, lo stesso Baekhyun della classe di matematica per cui aveva una cotta da sempre e coprì la bocca a Jongin prima che potesse dire qualcosa.

“Okay,” supplicò. “Ho capito. Non stavi mentendo.”

Jongin lo fissò senza capire per poi spostare la sua mano. Prima di voltarsi si aggiustò la giacca e poi andò via, come se non avesse appena distrutto la percezione del mondo che aveva Chanyeol.

Fino ad oggi, Chanyeol continua ancora a ricordare l’aspetto apatico che aveva il volto di Jongin.
 
 
 *   *   *
 
 
Jongin ha preso un mucchio di decisioni sbagliate nella sua vita. Stingere amicizia con Chanyeol invece di stargli alla larga è stata la prima, trasferirsi dai dormitori e andare a vivere con lui già da due anni è stata la sua seconda e adesso, fargli compagnia a lezione di storia della musica è la sua terza.

Sarà divertente, aveva detto.
Gli argomenti sono interessanti, aveva detto.

Solo che Chanyeol aveva dimenticato di dirgli che la lezione iniziava alle sette e mezza del mattino, un orario in cui Jongin avrebbe dormito, invece di pensare ed agire o fare qualsiasi altra azione che coinvolgeva le interazioni umane. In qualche modo fu trascinato fuori dal letto, spinto nell’aria gelida, in un autobus e strattonato fino all’aula, nonostante avesse ripetutamente colpito il suo migliore amico nelle parti basse.

“Sarà meglio per te che ne valga la pena,” borbottò mentre si stringeva nel suo maglione.

Chanyeol balzò in avanti entusiasta. “Credimi, ne varrà la pena.”

Quindici minuti più tardi Jongin si rese conto che aveva fatto bene a non fidarsi di Chanyeol, perché la voce del professore era affannata come un lama e Jongin si stava annoiando.  Non poteva nemmeno dormire com’era solito fare, perché l’aula era relativamente piccola a differenza delle altre aule più grandi che riuscivano a contenere centinaia di studenti e Jongin era sicuro che sarebbe stato beccato se avesse schiacciato un pisolino. Chanyeol aveva insistito sul fatto di doversi sedere nelle prime file.
Jongin giocò con l’idea che questo fosse tutto un piano di vendetta da parte di Chanyeol per avere mangiato l’ultimo budino, ma qualcosa di insolito attirò la sua attenzione. Chiuse ed aprì gli occhi più volte, strofinandoli con aria confusa, domandandosi se stesse vedendo bene e dopo aver focalizzato intensamente un paio di minuti, ne fu sicuro.

“Chi è quello seduto nelle file più avanti ?” sussurrò, dando un colpetto a Chanyeol nelle costole.
“Chi ?”
“Il ragazzo con i capelli corti e gli occhi grandi.”

Chanyeol si sporse in avanti e guardò dove Jongin stava indicando. “Kyungsoo ?”

Jongin non rispose, si limitò ad intrecciare le dita e a posargli il mento sopra. Chanyeol lo vide agitarsi sul posto e farsi cupo in volto. Aveva visto quel suo comportamento troppe volte per sapere che Jongin stava vedendo qualcosa che non voleva vedere, in quel momento la persona che aveva accanto non era più il suo migliore amico, quello che lottava con i cuscini ed era pieno di sarcasmo. Questo era l’altro lato di Jongin, la parte che Chanyeol vide la prima volta che si incontrarono; la stessa calma inquietante e la personalità cinica che si manifestava involontariamente.

“E’ malato ?” Mormorò Jongin, non distogliendo lo sguardo da sopra la testa di Kyungsoo.
“Non che io sappia.”
“Capisco.”

Ma Chanyeol non riusciva a vedere e sapeva che se lo avesse chiesto lo avrebbe rimpianto, ma lo fece comunque. “Che succede ?”
Jongin staccò finalmente lo sguardo da Kyungsoo per guardare Chanyeol, la sua espressione era curiosa ma fredda e Chanyeol la odiava, perché quel sorriso torvo rendeva Jongin più vecchio di quello che sembrava. Era quasi spietato, come se nel suo mondo le persone non erano nient’altro che cavie insignificanti.

“Ci sono due zeri dove dovrebbero esserci i suoi anni.”
 
 

Dopo quello, Jongin iniziò ad andare ogni giorno con Chanyeol a lezione di storia della musica, anche se Chanyeol voleva fermarlo, non c’era riuscito. Chanyeol osservava impotente Jongin farsi strada nella vita di Kyungsoo,  sedendosi accanto al timido ragazzo,  raccogliendogli con un gesto delicato una penna caduta e chiedendo con un sorriso malizioso di condividere i libri con lui, anche se Jongin non seguiva quel corso. Non era sicuro delle intenzioni di Jongin, ma non riusciva ad immaginarsi nulla di buono.

A dire il vero, Chanyeol non fu sorpreso quando un giorno Jongin lo ignorò andando verso Kyungsoo, rivolgendogli un sorriso accogliente. Chanyeol li osservò preoccupato ma dovette uscire in corridoio quando Jongin gli fece segnale di andarsene e il suo era un gesto che non permetteva obiezioni.
 

Esitò un paio di secondi prima di andare, perché Jongin stava usando Kyungsoo per chissà quale ragione e non era giusto, perciò doveva intervenire. Solo che intralciare Jongin sarebbe stata la sua condanna a morte. Perciò sospirò e si creò un promemoria mentale per parlare più tardi con lui. Solo quando Chanyeol uscì, Jongin lasciò cadere la maschera di nuovo.

“Avevi qualcosa da fare dopo la lezione ?”

Kyungsoo sorpreso, alzò lo sguardo. “ Io ?”

Jongin ridacchiò, nell’aula non c’era nessun altro a cui potesse parlare oltre a Kyungsoo,  quindi gli annuì. Era iniziato tutto abbastanza ingenuamente. Jongin era curioso, curioso del ragazzo senza anni, curioso del perché anche se sapeva quando.  Si rese conto che non stava giocando correttamente con lui quando una spolverata di colore, colorò di rosa le guancie di Kyungsoo alla reazione del suo invito, ma Jongin si era spinto troppo oltre con il suo bisogno di raccogliere i pezzi di Kyungsoo come un puzzle, il puzzle più affascinante che gli era capitato in vita sua.

“Devo andare in ospedale per qualche ora ?” balbettò Kyungsoo, uscendogli fuori come una domanda.

Jongin si accigliò. Quindi una malattia terminale poteva essere davvero la risposta al grande mistero. L’idea era sconfortante perché era troppo straziante. Jongin pensò che Kyungsoo sembrasse abbastanza sano, ma l’apparenza inganna.

“Va tutto bene ?”

Kyungsoo rimase disorientato fino a che non si rese conto a cosa si riferisse Jongin.  Agitò le mani velocemente davanti a lui mentre scosse la testa.
“Oh no,  non sono malato,” gesticolò all’impazzata. “Faccio il tirocinio.”

Jongin infilò le mani in tasca, tagliando un’altra volta fuori dalla lista la malattia, sentendosi come se si fosse imbattuto in un altro vicolo cieco.

“Mi dispiace averti disturbato, allora credo che ci vedremo a― ”
“Ti va di venire con me ?”

Jongin sembrò sorpreso quando vide il volto di Kyungsoo farsi rosso, gli zigomi delle sue guancie brillavano di una seducente tonalità color rubino contro il suo solito pallore della pelle.

“Solo se ti va, ” disse di colpo. “Cioè non devi, se non vuoi, potrebbe essere noioso, forse non dovresti―"
“Verrò.”

Kyungsoo alzò la testa di scattò. “Davvero ? voglio dire..oh si, certo se ti va― oppure no, ovviamente― ma hai detto che verrai e―”
Le sue parole stavano sguazzando in una pozza di imbarazzo e agitazione, era un casino con mani sudate e battiti cardiaci frenetici.
“Adesso la smetto di parlare.” Frignò Kyungsoo.

Jongin sorrise e il piccolo allarme sul retro della sua testa si spense perché non stava fingendo, quel tratto di labbra sottili e bianco perlaceo era genuino. Aveva ignorato il suo campanello di allarme, seguendo Kyungsoo con la scusa che si trattasse di un opportunità per conoscere meglio la bomba ad orologeria che gli stava camminando, e quando avrebbe soddisfatto la sua curiosità, lo avrebbe lasciato a vivere ed a riprendere la sua solita vita. Jongin seguì il ragazzo più basso quando completò il suo giro di visite in ospedale, scoprendo che Kyungsoo è in lista per la beatificazione.
Faceva il tirocinio all’ospedale ogni mercoledì, volontariato al centro di ricovero dei senza tetto giovedì e il venerdì dedicava un ora a legge storie ai bambini nella biblioteca pubblica. Do Kyungsoo era l’immagine perfetta di bontà e altruismo, proprio tutto quello di cui Jongin si faceva beffa e derideva, perché aveva imparato che il tempo non si fermava neanche per le persone più buone. Era come se fosse tutta una barzelletta, ma Jongin non ci trovò più nulla di divertente.

Non ci trovava più nulla di divertente, quando Kyungsoo si voltava verso di lui con un sorriso raggiante e increspava gli occhi rendendoli a mezzaluna.

Non ci trovava più nulla di divertente, quando Kyungsoo lo porta verso il letto della sua paziente preferita.

Ha la leucemia e non le resta molto tempo. Sembra un angelo.

Jongin non ci trovava decisamente più nulla di divertente quando mormorava parole di incoraggiamento vuote alla fragile e angosciante piccola bambina, notando ironicamente che non dovrebbe essere lei quella preoccupata, che in realtà è il ragazzo con il sorriso invitante e le guance arrossate a cui gli resta meno di lei.
 
 
 
 
Chanyeol arrivò all’appartamento quasi inciampando sulle scarpe gettate a casaccio che c’erano davanti all’ingresso. Sbuffò esasperato, quella era la quinta volta in quella settimana che Jongin  inspiegabilmente aveva perso il senso della decenza, dimenticando inoltre che Chanyeol era soggetto all’ imbranataggine.

“Yah, Kim Jongin ! Quante volte devo dirti di―"

Kyungsoo era seduto al tavolo della cucina, stava sorseggiando una tazza di tè, ma aveva sgranato gli occhi per l’improvviso arrivo di Chanyeol. Chanyeol si bloccò sorpreso.

“Tu non sei Jongin.”

“Grazie per la tua splendida e abile osservazione,” Commentò scocciato Jongin mentre usciva dalla sua stanza con una pila di libri in mano.

Si sedette accanto a Kyungsoo, avvicinando la sua sedia il più possibile e regalandogli un sorriso accogliente. “Ignora quel lunatico.”

Tutte le risposte irascibili che Chanyeol stava per dire, gli morirono in gola, si innervosì per un po’ ma si riprese in fretta, spostandosi verso il divano per accendere la TV. Iniziò lentamente a cambiare i canali, incapace di concentrarsi sulle immagini che danzavano sullo schermo, perché la sua mente era concentrata su quei due ragazzi che sedevano a un paio di metri di distanza da lui. Passò un’ora e Chanyeol scorgeva Jongin con irritazione, mentre Jongin si perdeva in deboli bisbigli, fruscii di pagine voltate e nel respiro di Kyungsoo.  Quando Kyungsoo si alzò per andarsene e si inchinò con imbarazzo verso Chanyeol prima di addentrarsi fuori dall’ingresso, Jongin lo accompagnò fuori spontaneamente. Ma quando ritornò in salotto, l’irritazione di Chanyeol si trasformò in rabbia.

“Cosa credi di fare ?”

“Studiare ?” Jongin fece spallucce con nonchalance.

“Stronzate,” gli ringhiò Chanyeol, andandogli in contro e afferrandogli il colletto della camicia. “Questo non è un gioco. Non puoi giocare così con i sentimenti delle persone. Specialmente a chi rimane meno di un anno.”

Chanyeol lo lasciò andare e si spostò da lui con uno sguardo implorante. “ In passato hai fatto un mucchio di cazzate ma questa le batte tutte.”

“Chi ti dice che io stia giocando ?”
“Jongin, ti prego.”

“Ascoltami, ti prometto che non lo farò soffrire, okay ?” Jongin ebbe un contatto visivo con lui, la sua espressione fu indecifrabile ma Chanyeol riuscì a sentire che dietro quell’aspetto, c’era una grande tempesta in subbuglio.

Per Chanyeol fu una sorpresa sapere che per la prima volta Jongin non aveva idea di quello che stesse facendo, o che era persino confuso.  Kyungsoo stava creando un buco nel muro dell’ indifferenza di Jongin e Chanyeol iniziò a pensare che forse non sarebbe stato Kyungsoo quello a restarne ferito alla fine. La curiosità si fonde con l’interesse e poi ti ritrovi a scivolare rapidamente giù, lungo il pendio scivoloso dell’affetto. Si domandava quanto in basso era caduto Jongin dal suo precipizio, perché se questo era un gioco ad un certo punto doveva aver smesso di leggere il manuale di istruzioni. Le regole non contavano più.

Jongin avrebbe perso. Kyungsoo avrebbe perso. Tutti avrebbero perso.
Era un gioco dove non ci sarebbe stato nessun vincitore.

 
 *   *   *
 
 
“Che mangi ?”
“Riso fritto ?” mormorò Jongin con la bocca piena e il cucchiaio ancora in bocca.

Kyungsoo arricciò il naso disgustato. “Non sembra avere l’aspetto del riso fritto. Sembra più che tu abbia vomitato i tuoi avanzi in un contenitore.”
Si avvicinò esitante ed estrasse qualcosa che spuntava dal quel riso compatto e freddo. “E un’ala di pollo questa ?”

“Il riso fritto non deve essere perfetto,” si giustificò Jongin, levando il contenitore dalle mani di Kyungsoo. “Basta soltanto buttargli dentro alcune cose e mescolare.”

“Si, ma questo è disgustoso.”
“Come se tu sapessi fare di meglio. Sono un povero studente universitario, smettila di giudicarmi.”
“Mi stai provocando ?”

Jongin guardò Kyungsoo cautamente non sapendo come comportarsi con il sopracciglio alzato del ragazzo e il suo sorriso furbo. Alla fine Jongin trascorse il sabato pomeriggio con Kyungsoo, il quale aveva preso in ostaggio la sua cucina, perquisendo la credenza e disseminando le pentole e le padelle per tutto il piano cottura.

“Quindi mi cucinerai dei noodles ?” Chiese Jongin, sdraiato sul divano e poggiato su un braccio mentre guardava compiaciuto, Kyungsoo.

“No, cucinerò la miglior cosa che tu abbia mai mangiato in vita tua,” borbotto Kyungsoo, concentrato a tirare le cose fuori dalle buste di plastica e a poggiarle sul piano di lavoro.

Jongin sbuffò ed alzò gli occhi. “Sono solo spaghetti al Kimchi.”

Kyungsoo lanciò una spatola in piena fronte a Jongin e sorrise soddisfatto. “Non giudicarli se non li hai ancora provati.”

Jongin continuò a tenere il muso e a massaggiarsi il punto in cui era stato colpito, lamentandosi ogni due secondi. Kyungsoo lo ignorò, continuando a muoversi, mettendo a bollire le pentole, controllando la temperatura e allineando sul bancone le boccette delle spezie e i condimenti come se fossero il suo esercito personale del sapore e della meraviglia. Jongin non riusciva a fare a meno di pensare che l’intera cucina era troppo familiare e che il suo stomaco si stesse agitando incerto. Non era una sensazione sgradevole, solo che era diversa – completamente estranea per il Jongin del passato.

Kyungsoo aprì il frigo ed emise un suono di disapprovazione per quello che trovò, domandandosi come Jongin e Chanyeol erano riusciti a sopravvivere così a lungo, dato che la maggior parte del loro frigo era pieno di budini e cibo d’asporto cinese.

“Il latte sta per scadere,” Disse Kyungsoo voltandosi, quando notò la data di scadenza sulla confezione.

Il sorriso andò via dal volto di Jongin e Kyungsoo lo osservò, vedendo che la sua corda di proteste sarcastiche e di irascibilità si era fermata. Lo sguardo di Jongin sembrò distante e Kyungsoo non seppe il perché, tutto quello che sapeva era che non gli piaceva.

“Jongin ?”

“Ti è mai capitato di fermarti e pensare alle date di scadenza ?” La voce di Jongin scese diventando fredda e spaventosa.

“Quando lo sai, non riesci a smettere di pensarci. Il latte sta per scadere, quindi dovrei consumarlo prima di quella data. Il pane sta andando a male, dovrei mangiarne di più.”

Guardò verso Kyungsoo, solo che non ci fu un contatto visivo. Kyungsoo si sentì spaventato, Jongin lo stava fissando ma non direttamente, stava fissando su e non era la prima volta, ma questa volta era insolito, quei pochi centimetri stavano facendo la differenza.

“Jongin ?” sussurrò di nuovo.

Ma non ci fu risposta. Kyungsoo ebbe la singolare sensazione che non stessero più parlando del latte.
 
 
 
“ Quindi fammi capire bene, se tu potessi fare qualcosa in questo momento, sceglieresti di poter vincere un animaletto di peluche in una macchinetta acchiappa pupazzi ?” Jongin sbuffò. “Non immaginavo che fossi una ragazzina.”

Kyungsoo arrossì offendendosi. “Quando ero bambino non sono mai riuscito a vincerne uno e ho sempre voluto provarci. Era una mia fissa da bambino, perciò chiudi il becco.”

Jongin lo fissò incredulo, passandosi una mano tra i capelli e fece cenno a Kyungsoo di aspettare per poi scomparire nella sua stanza. Quando ritornò, nella sua mano c’era un bicchiere pieno di spiccioli, con la mano libera afferrò il polso di Kyungsoo senza dire una parola ed uscirono entrambi fuori dalla porta.

“Aspetta, dove stiamo andando ?” Kyungsoo inciampò mentre cercò di mettersi bene le scarpe.
“A prendere il tuo stupido animaletto di peluche.”

Quando raggiunsero una sala giochi, Kyungsoo si sentiva ancora molto disorientato, la sua scarpa sinistra era sciolta e pensava che Jongin fosse pazzo.  Senza nessuna delicatezza lo spinse verso una macchinetta acchiappa peluche libera.

“Scegline uno.”
“Jongin, non devi―”
Scegli.”

Kyungsoo si agitò nervosamente e sbirciò attraverso il vetro finché i suoi occhi non si posarono su un simpatico gattino nero, che stranamente gli ricordava il ragazzo alto che c’era proprio accanto a lui.

“Quello ?” disse esitante.
“Okay,  adesso fatti da parte e lascia che il maestro faccia il suo lavoro.”

A quanto pare, il “maestro” si rivelò un buono a nulla. Kyungsoo lo guardò fallire consecutivamente, trattenendosi dalle risate e la smetteva solo quando Jongin gli mandava sguardi minacciosi per farlo smettere perché lo deconcentrava.

“Credo che dovresti spostarlo più a sinistra.”
“Va bene così dov’è,” Brontolò Jongin, con la lingua che gli usciva da un angolo della bocca.

Premette il pulsante per far scendere il braccio meccanico e quando lo mancò di un centimetro, frustrato, colpì il suolo con il piede.

“Avresti dovuto spostarlo a sinistra,” mormorò Kyungsoo.

Jongin irritato, guardò il bicchiere di plastica vuoto nella sua mano, lo stesso bicchiere che un’ora prima era pieno di monete. Adesso in cima a quella montagna di peluche, il gatto nero gli stava ironicamente sorridendo, era la dimostrazione pubblica del fallimento di Jongin.

Gli occhi di Kyungsoo si addolcirono. “Va bene lo stesso. E’ stato divertente dopotutto.”

“La macchinetta è truccata.”
Kyungsoo gli diede una pacca sulla spalla in segno di compassione.

Lungo la strada di casa, Jongin era visibilmente abbattuto e Kyungsoo fece del suo meglio per tirarlo su di morale. Jongin fu così distratto che non si accorse di aver intrecciato le loro dita. Non se ne accorse finché non raggiunsero il suo appartamento e notò che avevano camminato tenendosi per mano, a quel punto Kyungsoo lasciò la sua presa e lo salutò con la mano. Jongin fissò la sua mano, sentendola ancora calda e in qualche modo riuscì a ricambiare il saluto.

Il mattino seguente, Kyungsoo viene svegliato dal bussare proveniente dalla porta di casa sua, ma quando apre, invece di esserci una persona, trova seduto sullo zerbino un certo gattino nero di peluche. Non c’era nessun biglietto, ma Kyungsoo non aveva bisogno di sapere chi fosse il mittente. Un sorriso abbagliante si estese su tutto il suo volto mentre si chinò per raccoglierlo.

Jongin sorrise nascosto dietro l’angolo.
 
 
 *   *   *
 
 
Jongin era felice per Chanyeol, davvero, ma le effusioni in pubblico, specialmente di fronte a lui, gli facevano venire voglia di strapparsi gli occhi.

“Ragazzi, io sono ancora qui.”
“Ragazzi..”

“Ragazzi.”

Jongin afferrò una mela e la getto contro Chanyeol che finalmente lasciò andare Baekhyun, il quale si ricordò che ci fosse anche Jongin.

“Mi fate venire la nausea,” Jongin sembrò del tutto disgustato quando si alzò per prendere un bicchiere d’acqua. Forse, se avesse bevuto abbastanza acqua, avrebbe lavato via il disgusto da se stesso.

Chanyeol mise il broncio quando Baekhyun ridacchiò dandogli una gomitata per dirgli di lasciarlo andare, per poi rivolgersi verso Jongin con un sorriso.

“Quindi.. tu e Kyungsoo ?”
Jongin si fermò con il bicchiere quasi vicino alla bocca. “Cosa ?”

“Niente,” disse Baekhyun. “L’altro giorno vi ho visti alla sala giochi e ho pensato che eravate carini. Fate una bella coppia e lo so che mancano ancora un paio di mesi a Dicembre ma dovresti invitarlo al party di Natale che sto organiz―"

Baekhyun smise di parlare quando sentì il suono del vetro andare in frantumi. Lo sguardo di Jongin era esasperato, il respiro pesante e i frammenti del bicchiere che aveva tenuto in mano, sparsi in tutto il lavandino.
Jongin guardò Baekhyun e la brutalità con cui lo fece, lo impaurì con sorpresa. “Sta zitto.”

La sua collera era esplosa, la sua mano stava ancora sanguinando per quei frammenti di vetro che gli stavano tagliando il palmo, ma non gli importava. Jongin dovette andarsene, dovette uscire per allontanarsi dai pensieri della sua testa, da quell’incubo di numeri rossi vorticosi. Chanyeol calmò il suo spaventato ragazzo e corse dietro Jongin.

“Hey!” gli urlò, raggiungendolo mentre camminava svelto lungo quella strada poco illuminata, gli mise una mano sopra la spalla costringendolo a voltarsi. “Stai bene ?”

Jongin si lasciò sfuggire una risata amara. “Bene? E’ una domanda divertente.”

“Ascolta, ho capit―"

“No, tu non capisci ! ” disse Jongin pieno di furia e risentimento. “Tu non sai quello che si prova a vedere qualcuno fare una misera scelta di vita che gli costerà delle settimane, a volte anche mesi e non poter dire nulla, perché chi mi crederebbe ?”

Jongin fece avanti e indietro come un animale rabbioso, oltre ad essere irritato, anni di conflitto e isolamento stavano uscendo tutti in una volta.

“Quindi non dire che mi capisci perché tu non sai nulla. Posso vedere il quando, ma non saprò mai il come o il perché o il cosa e questo mi sta uccidendo, perché Kyungsoo―"

Proprio quando il suo cuore stava correndo ad un miglio al minuto, Jongin soffocò, i suoi polmoni si rifiutarono di fornirgli quello di cui aveva bisogno. Le luci gialle e tremolanti della strada lo illuminavano dandogli un aria misteriosa con sfumature di angoscia e Jongin desiderò cadere e collassare in modo che non avrebbe ma più potuto vedere. Chanyeol stava guardando andare in pezzi il suo migliore amico, tutto quello che riuscì a fare fu abbracciare quello che rimaneva di lui.

Quando molto più tardi Jongin calmò il proprio respiro e smise di singhiozzare irregolarmente, Chanyeol parlò di nuovo. “Sei esploso quando Baekhyun ha menzionato il party di Natale.”

Esitò quando Jongin si immobilizzò tra le sue braccia. “Quanto tempo ha di preciso Kyungsoo ? Nemmeno fino ad allora ?”

Jongin si liberò dall’abbraccio di Chanyeol e barcollò in piedi, con occhi rossi e pieni di rabbia. Jongin non rispose alla domanda. Strinse le labbra in una linea sottile e camminò nella notte, perdendosi nell’aria gelida e il silenzio soffocante.
Chanyeol lo guardò andare via con occhi tristi.
 
 
 
  *   *   *
 
 
"Jongin ?" chiese Kyungsoo sorpreso quando alle tre del mattino aprì la porta di casa ritrovandosi una figura incappucciata.

“Prendi una giacca e dammi le chiavi della macchina.”

“Jongin, cosa-”

“Fallo e basta, ti prego,” Jongin lo supplicò, con voce rotta sull’ultima parola e Kyungsoo deglutì quando si accorse che gli occhi di Jongin erano rossi quasi come se avesse pianto.

Kyungsoo corse in camera, spalancò l’armadio, prese la prima giacca che trovò e afferrò le chiavi da sopra la sua scrivania. Raggiunse la porta dove lui stava poggiato e gli diede le chiavi. Jongin sorrise tristemente, afferrò la sua mano, chiuse la porta del suo appartamento e lo trascinò in corridoio. Kyungsoo lo seguì senza dire una parola e quando furono in macchina, sfrecciando per le strade deserte, si permise di osservare le grandiose particolarità del voltò di Jongin.

Guidarono per ore, la macchina sembrava una macchia di inchiostro sullo sfondo di un cielo altrettanto cupo. Sopra di loro dei puntini luccicanti punteggiavano la grande distesa mentre giravano intorno a scogliere, per poi entrare ed uscire da dentro delle gallerie, lontani dalla città. Quando arrivarono a destinazione e Kyungsoo aprì la portiera, fu travolto dal suono di onde che si infrangevano.
L’oceano.

Kyungsoo seguì l’esempio di Jongin levandosi le scarpe. Jongin camminò fino a raggiungere la riva del mare, si sdraio sulla sabbia e chiuse gli occhi lasciando sfrecciare il vento su se stesso. Kyungsoo gli sedette accanto ridacchiando. Erano quasi le 06:00 del mattino ed erano seduti sulla riva di una spiaggia deserta, era un gesto folle ed eccitante allo stesso tempo. Le mani di Kyungsoo scavarono nella sabbia umida e si sdraiò di fianco a Jongin fino a sfiorarsi, tanto che riusciva a percepire il calore di Jongin da quella distanza.

“Mi piace qui.”

Kyungsoo voltò la testa, premendo una guancia contro la sabbia granulosa per guardare Jongin.

“A volte è tutto troppo rumoroso e soffocante che viene difficile sentire anche i propri pensieri,” mormorò Jongin con gli occhi ancora ben chiusi. “Non pensare, rilassati.”

Jongin sbatté le palpebre e guardò Kyungsoo scrutare ogni suo dettaglio come un affamato. Jongin lo fisso allungo e poi un ghigno comparve sul viso di Kyungsoo. Jongin voleva dimenticare, infatti stava fissando insistentemente le labbra di Kyungsoo così da non avere la tentazione di guardare i numeri sopra la sua testa che gli ricordavano costantemente che il mondo era brutalmente ingiusto.

E poi si posò sopra di esse. I loro primi baci sapevano di fresca brezza marina, ricordi agrodolci e sale – anche se non si saprà mai se fosse per via dell’acqua o per le lacrime silenziose di Jongin.  Anche dietro gli occhi chiusi riusciva a vedere quel debole e inquietante bagliore rosso. Quando si allontanarono, l’orologio di Kyungsoo s’illuminò positivamente e Jongin lo baciò di nuovo in preda alla disperazione, come se l’unione delle loro labbra lo avrebbe potuto tenere qui con lui per un altro secondo, per un altro minuto, ora o qualsiasi altra cosa il tempo aveva da offrire.

Intorno a loro le onde si trasformarono in schiuma, un gabbiano lanciò un grido acuto e il sole iniziò a sorgere.

Un altro giorno stava scivolando via dalle loro dita.

  
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