Teatro e Musical > Romeo e Giuletta - Ama e cambia il mondo
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Autore: Rumyantsev    06/11/2017    1 recensioni
Problemi relazionali tra Tebaldo Capuleti e Mercuzio Della Scala che li condurranno forse ad una dolorosa morte per cause da definirsi e sicuramente ad una prematura calvizie causa stress, e di come Benvolio, eroe silenzioso, ultimo baluardo di sanità mentale, unica speranza di salvezza,
viene brutalmente ignorato.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Mercuzio Della Scala
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Due parole prima di leggere: l'avviso "contenuti forti" si riferisce ad una specifica, minuscola parte del testo in cui ho inserito pensieri un po' violenti/gore e le "tematiche delicate" sono affontate in maniera soltanto marginale: evitate di addentrarvi nella lettura se siete davvero molto impressionabili. In caso contriario, enjoy!


“Sexy Back”
o l’importanza di un valido aiuto psichiatrico
e un pizzico buonsenso
 
 
La Fiat Panda scolorita di Romeo Montecchi lasciava a desiderare sotto molti punti di vista, ma aveva un impianto stereo invidiabile, montato dal precedente proprietario. Una caratteristica che inorgogliva Romeo quando poteva far ascoltare alla sua Giulietta la musica che le piaceva, mentre si dilettavano a baciarsi di fronte ad un tramonto mozzafiato nella periferia Veronese; una caratteristica che diventava una disgrazia se la suddetta Panda finiva nelle mani di Mercuzio, il quale non aveva il senso della misura in nessuna cosa e andava in giro per Verona ascoltando a tutto volume musica oscena, imbarazzante. Siccome non succedeva di rado che Romeo, notoriamente incapace di dirgli di no, cedesse la propria auto a Mercuzio, era ormai diventato fatto risaputo a Verona che il cugino dell’integerrimo giudice Della Scala fosse una creatura dai gusti osceni e imbarazzanti. A pensarci bene, nulla di ciò che Mercuzio faceva era minimamente volto a migliorare la sua reputazione agli occhi della popolazione veronese. Mercuzio viveva fuori dal mondo, era come una specie aliena approdata sulla Terra ancora completamente ignara delle abitudini degli oriundi. Era così da più di vent’anni, vent’anni in cui Benvolio aveva assistito ad ogni tipo di stranezza, ai limiti dell’insania, perpetrata da Mercuzio ed era ormai totalmente abituato ad aspettarsi qualcosa di peggiore delle precedenti ogni volta che lo incontrava. Era il migliore amico di suo cugino, e, in un certo senso, anche il suo migliore amico, dunque una presenza piuttosto costante nella sua vita. Benvolio, difatti, aveva ormai dimenticato cosa fosse la razionalità, viveva in uno stato altalenante tra costernazione e rassegnazione, e voleva bene a Mercuzio come ad un fratello.
Ecco dunque perché lasciava che i suoi timpani venissero brutalmente percossi dal ritmo criminale di una certa canzone di tale “Jason Derulo” senza rimostranze di sorta, nonostante in molti per strada voltassero la testa verso di loro con occhiate di fastidio e malizia o scherno. Era la sua routine.
Avrebbero prelevato Romeo da casa Capuleti e sarebbero andati da qualche parte a farsi una birra, aveva detto Mercuzio, e lui doveva muovere il culo dai libri, prendersi una pausa, sempre parole di Mercuzio. Benvolio aveva acconsentito e ora Mercuzio teneva le mani sul volante e muoveva la testa a ritmo di musica cantando. Mercuzio era anche famoso per la sua voce che, superando un certo numero di ottave, passava bruscamente da normale ad isterica e insopportabilmente penetrante. Non era piacevole sentirlo cantare, affatto.
Fortunatamente, svoltata via Santo Cosimo, erano nel quartiere dei Capuleti e presto Benvolio sarebbe sfuggito a quel supplizio.
Solo che, terribilmente pacchiana e appariscente, tra una moto e una vecchia Volkswagen impolverata, spiccava una Lamborghini scintillante che aveva lo stesso muso crudele e la sfacciataggine del suo proprietario. Il cuore di Benvolio risalì la trachea e gli si piazzò in gola.
Mercuzio aveva visto, era impossibile che non avesse visto quella cromatura pacchiana che aveva come scopo d’attirare l’attenzione anche dei ciechi.  
«Ah, dunque lui è qui», disse Mercuzio, e Benvolio comprese, nonostante Derulo, non per il labiale, ma per come le sue iridi azzurre si illuminarono di un brillio folle, lo stesso che lo spingeva sempre a fare cose innecessarie e pericolose per il solo gusto di sentire il brivido della paura sulla pelle. Paura che per Mercuzio era sinonimo di eccitazione.
Purtroppo, però, quella Lamborghini era l’araldo di un pericolo ben più grande delle corse spericolate di Mercuzio, delle sue scappatelle con uomini sposati, delle sue risse; perché il succitato lui era Tebaldo Capuleti, un caso umano, un violento psicopatico che scorrazzava per Verona con il cane della M1911, sempre con la sicura sbloccata, che sporgeva fuori dai pantaloni. Tebaldo Capuleti era anche colui che aveva, un mese prima, tentato di uccidere Romeo a bastonate, come un animale. E ci sarebbe riuscito se non fossero intervenuti Benvolio, Mercuzio e la cricca di Capuleti che seguiva Tebaldo ovunque, quelli che lui chiamava amici ma tutti sapevano essere le sue balie. Perché Tebaldo era l’arma di cui Capuleti si serviva per intimidire i nemici immaginari che vedeva ovunque, uno spauracchio, ma soprattutto era un ventottenne affetto da un certo numero di patologie psichiatriche mai diagnosticate che esplodeva come una mina appena sfiorato. L’unica persona che poteva disporre di quei cinque minuti di pace giornalieri che la mente disturbata di Tebaldo gli concedeva, Benvolio aveva appreso, era sua cugina Giulietta. Proprio grazie a lei Tebaldo aveva cominciato se non ad accettare, quantomeno a concepire la sua relazione con Romeo e, di conseguenza, cessato di attentare alla vita di quest’ultimo.
Tuttavia, questo non aveva minimamente frenato, neanche lontanamente moderato l’istinto omicida di Tebaldo nei confronti del resto del mondo. Il suo principale cruccio era tenere alto l’onore della famiglia Capuleti. L’unica sua ragione di vita, si poteva anche dire, in quanto motore di ogni sua azione.
Se per strada, per errore, un passante distratto urtava Tebaldo Capuleti con la spalla e mancava di scusarsi, non era raro che Tebaldo desse di matto, che volassero offese, in alcuni casi anche calci, pugni, gomitate. Per questo Tebaldo era sempre accompagnato da un minimo di uno o due parenti o amici di famiglia. Per evitargli la morte, o il carcere.
Da quando le loro vite e quella di Tebaldo si erano intrecciate, causa Romeo e Giulietta, Tebaldo era diventato, oltre che una concreta minaccia nella misera vita da universitario stressato di Benvolio, anche l’irriducibile sogno erotico di Mercuzio. Qualcosa che Benvolio non sarebbe riuscito a spiegarsi neanche con secoli di saggezza sulle spalle, e che dunque aveva completamente rinunciato a comprendere già in partenza.
Il loro primo incontro si era ridotto ad un’ora di puro, confuso terrore nella mente di Benvolio.
Tebaldo li aveva fermati urlando i loro nomi con gli occhi pieni di qualcosa che Benvolio non avrebbe saputo definire se non impiegando la parola fuoco. Erano enormi, di un colore tendente al verde, dilatati in un’espressione di pura insania. Romeo era stato minacciato, Mercuzio, dotato di una parlantina irrefrenabile e pungente, era intervenuto, e tra lui e Tebaldo l’aria si era fatta assieme di ghiaccio e fuoco, se qualcuno avesse osato passarci in mezzo ne sarebbe uscito disintegrato. Mercuzio non era sembrato dissimile da come era sempre, incurante e giocoso, ma la follia dello sguardo di Tebaldo caricava ogni sua parola e gesto istrionico di minaccia, come se lo stesso Mercuzio fosse all’improvviso un mero specchio dell’odio componente ogni singola cellula del suo opponente.
Da allora in poi ogni loro confronto aveva assunto quello schema: Tebaldo veniva per Romeo, causa Giulietta, e finiva ad un passo dallo scannare il fin troppo loquace Mercuzio. Una peculiarità di questi incontri era che, da parte di Mercuzio non c’era altro che una serie di allusioni sessuali nascoste sotto le spoglie di minacce di morte dalla sua incredibile favella evocativa, mentre Tebaldo si caricava di rabbia e scendeva sempre più in basso con i suoi insulti da taverna finché non veniva trascinato via dai suoi compari. Mercuzio aveva l’abitudine di piangere e abbandonarsi alla sua caratteristica rabbia isterica tra le braccia di Romeo, subito dopo.
Eppure cercava quelle umiliazioni verbali come se lo divertissero, come se ne avesse bisogno. In fondo, pensò Benvolio, Tebaldo poteva non essere l’unico ad avere urgente necessità di contattare uno psichiatra.
«Per piacere, non lo facciamo Mercuzio», gli gridò allora Benvolio, posandogli una mano sul braccio teso verso il volante. Mercuzio ovviamente non lo ascoltò, continuò a cercare il proprietario della Lamborghini scrutando i marciapiedi con movimenti febbrili degli occhi e del viso.
 
Tebaldo stava prendendo un caffè seduto al bar in Vicolo Stella. Davanti a lui, sul tavolino bianco sotto la teda da sole, una tazzina piena di liquido scuro, rigorosamente senza zucchero, un bicchiere d’acqua grande, la sua fidata pistola. Al suo fianco, Gregorio, Sansone e Antonio.
Si discorreva allegramente di certe notti di bagordi trascorse da Antonio ai tempi dell’università in compagnia di signorine discinte e immancabilmente disponibili, quando una risata restò incastrata nella gola di Tebaldo alla vista dell’orrenda Panda sporca di Romeo Montecchi e dell’odiata testa bionda che ne stringeva il volante. Se non l’avesse già visto, sarebbe stato comunque capace di individuarlo a causa dell’assordante musica emessa da quella latta con quattro ruote che guidava, strabordante dai finestrini impietosamente aperti.
Aveva parcheggiato nel lato opposto della strada e lo guardava con un sorriso accecante. Lo guardava mentre Justin Timberlake cantava una canzone sui deretani dalle casse della panda. Lo guardava e, per sottolineare il suo messaggio, gli puntò contro l’indice. Accanto a lui, Benvolio cercava di scuoterlo con le mani sulle sue spalle.
Tutti i clienti del bar stavano assistendo alle oscene avances di Mercuzio ai suoi danni, realizzò Tebaldo, mentre ogni briciolo di razionalità, già scarsa in un Tebaldo perfettamente calmo, s’infrangeva contro la superficie acuminata della sua rabbia omicida. Poteva prendere Mercuzio e spezzarlo in pezzi così piccoli che il suo Romeo avrebbe poi dovuto passare il resto della vita lontano da sua cugina per rimetterlo assieme. Poteva colpire il viso di Mercuzio fino a consumarsi le nocche, e sentire il calore del suo sangue nelle palme mentre il suo setto nasale perforava il cervello uccidendolo. Poteva legare Mercuzio e attaccarlo alla sua costosa Lamborghini, trascinandolo per tutta Verona lasciando all’asfalto il lieto compito di grattare via la carne dalle sue pietose ossa. Siccome Mercuzio era soprattutto un frocio, un mezz’uomo, una puttana, poteva scopargli la bocca e venirgli dentro. Lasciare che fosse il suo sperma a lavare via l’offesa sempre pronta su quella lingua esperta di parole come di piselli. Ma cosa avrebbe pensato suo zio Capuleti di un nipote che si sfoga accoppiandosi con un frocio?
Contemporaneamente Mercuzio, come se gli avesse letto nel pensiero, mimò una fellatio con la mano senza interrompere il contatto visivo.
Una vecchia obesa, incastrata nella sua sedia bianca accanto ad un tavolino poco distante, trattenne rumorosamente il respiro, rossa di indignazione. Suo maritò borbottò un improperio carico della medesima.
Fu allora che Tebaldo sollevò la pistola con un ululato di guerra, pronto ad impallinare gli pneumatici della panda, se non la testa di Mercuzio. Fu allora che Gregorio, Sansone e Antonio, muovendosi come una sola, rassegnata, persona, rispettivamente gli presero la pistola, lo trattennero per le braccia e spinsero lontano con la forza, contrastando ogni suo tentativo di fuggire e ignorando le sue minacce.

Nei pantaloni di pelle, stretta in una morsa dolorosa, carica di umiliazione, disprezzo e frustrazione, una persistente erezione gli ricordò ancora per almeno due ore per quale motivo non avrebbe lasciato mai, a nessun costo, che Mercuzio Della Scala restasse vivo sul suo stesso pianeta, sistema solare, qualsiasi cosa. 
   
 
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