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Autore: maggieredknight    07/11/2017    0 recensioni
"Loki era infine giunto alla conclusione che la vera saggezza consiste nell’avere la consapevolezza di tutte le possibilità che la vita ci concede, e nello scartare tutte quelle che sembrano le peggiori… Ma né lui né Thor in fondo erano saggi."
- Loki fugge sul suo pianeta natale per sfuggire a un futuro a cui in realtà anela terribilmente, un futuro al fianco della persona che più ama al mondo. Thor lo rincorrerà ancora una volta? - (mpreg solo accennata)
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Mpreg
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Note:  Bene, è la mia prima volta da autrice su questo fandom, dove finora sono stata presente in punta di piedi solo come lettrice, o per lasciare qualche piccola recensione (di solito coi miei scritti bazzicavo sull’ RDJude)… La domanda è: perché mi sono decisa a pubblicare questa roba? Non lo so purtroppo: è la risposta. Perché quando leggi gli scritti di persone come Melitot Proud Eye o Callie_Stephanides capisci che difficilmente si potrà aspirare ad arrivare a tali livelli di Poesia… Questa fic però giaceva nel mio pc da tempo, mi è ritornata sottomano e mi sono decisa a pubblicarla… Capisco di non aggiungere nulla di fondamentale a quanto già scritto e detto da altri, ma pazienza, questo è quanto. J  Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate…(La canzone utilizzata è di P.J.Harvey, e fa parte della colonna sonora del film “Darkly Noon” di Philip Ridley).
 
 

Sangue e Sogni di un Dio Caduto

 
*
In the forest lives a monster
He has done terrible things
So in the wood it's hiding
And this is the song he sings

Who will love me now?
Who will ever love me?
Who will say to me?: 
You are my desire
I'll set you free
 
*
Jotunheim era acqua e ghiaccio, vento e neve, era simbolo imperituro del rimpianto, della rabbia e del rifiuto.
Eppure, dopo essere riuscito a fuggire dalle auree prigioni di Odino, lui era lì.

Perché, sinceramente, quale altro luogo gli sarebbe stato appropriato?
Non i bianchi e dorati palazzi di Asgard, ai quali comunque non poteva fare ritorno; non le braccia e il petto di un essere fatto di Sole, di terra, di Estate e risate, che allo stesso modo gli erano ormai negati.

No, a lui erano consoni la Luna e il gelo, l’Inverno e il silenzio; un cielo ricolmo di stelle fredde, e pelli argentate di lupo. Ma come era chiaro, anche quella non era Casa.
Perché casa erano gli occhi di Thor, la sua voce roca che gli scivolava sulla schiena nuda quando lo amava, le sue mani grandi e calde che rendevano Loki testimone impotente del fatto indiscutibile che il Ghiaccio apparteneva al Tuono.
Casa erano anche quei piccoli brevi momenti che non sembravano nemmeno importanti, ma che invece significavano Tutto.
Perché loro erano Terra e Stelle, e casa significava anche quello, riuscire a fondersi da due materie diverse e distanti come erano, in un unico peccaminoso essere, ebbri sempre più l’uno dell’altro, celati dal buio della notte asgardiana.

Era la vergogna provata nello svelarsi completamente all’altro; e non pensava al corpo Loki, ma all’animo.
Erano le parole non dette, quelle sussurrate e quelle che nemmeno con la forza gli avrebbero strappato fuori.
Erano baci e sorrisi sulla pelle alcune volte, morsi e graffi che scalfivano ossa e armature metaforiche tutte le altre, ma era sempre, a modo loro, Amore.
 
Poi ogni cosa era crollata, e la sua casa ora erano l’abbandono, la solitudine, e un pianeta blu.
Perché casa forse, davvero non era mai esistita. E ora Loki poteva dirsi certo che la disfatta più dura non era quella inflitta da Odino, ma quella che si era inflitto da sé.
 
Alzò gli occhi scarlatti al cielo plumbeo, carico di falistre di neve, che cadendo lievi andavano a posarsi sui capelli corvini e sulle corna ricurve e maestose che svettavano ai lati della sua testa. Annusava l’aria, come un animale braccato, pur mantenendo intatte quella nobiltà ed eleganza che lo avevano sempre contraddistinto. Tutti i sensi erano affinati, nella sua forma Jotun.

Si accorse di un movimento, una presenza. In lontananza un cervo lo osservava, e a Loki sembrò di guardarsi in uno specchio, perché l’animale aveva gli occhi rossi come il sangue, e il pelo era folto e candido, come eburnea era stata un tempo la sua pelle, quella fasulla, presa in prestito agli Aesir per non sembrare il mostro che era.
Restava lì immobile a fissarlo, il cervo, e sembrava volesse essere monito e simbolo, con la sua presenza e il suo aspetto, di ciò che Loki era, o meglio, di ciò che non era: Bianco il manto, come la pelle di Loki Odinson, Rosse le pupille, come quelle di Loki Laufeyson.

Né Jotun, né Aesir, né Uomo, né Donna. 

Io sono quello senza un nome che gli appartenga.

Ma Lui invece, lo sapeva il tuo nome – quante volte lo aveva gridato a bassa voce nella notte?

Sembrava passata un’eternità da quei giorni. Si presumeva che nel frattempo avrebbe dovuto acquisire una certa saggezza.
Loki era infine giunto alla conclusione che la vera saggezza consiste nell’avere la consapevolezza di tutte le possibilità che la vita ci concede, e nello scartare tutte quelle che sembrano le peggiori…  Ma né lui né Thor in fondo erano saggi.

Thor. Loki l’aveva odiato con tutto se stesso, poi se n’era andato. Ma non l’amava di meno, anzi, doveva ammettere di amarlo addirittura di più. Ma il peso dell’amore era divenuto troppo greve per lui. Era un sentimento chiuso nel suo petto come il nocciolo nel cuore di un frutto.

L’amore, e tutto ciò che ne sarebbe potuto conseguire.

Sì, perché lui a Thor gliel’avrebbe dato davvero un figlio.  Blu come la neve, d’oro come il Tuono. Ma questo era un pensiero che non avrebbe mai avuto il coraggio nemmeno di lasciar prendere forma in modo compiuto nella sua mente, figuriamoci lasciarlo vivere nel suo ventre.
Loki lo sapeva che era solo un sogno sciocco e pericoloso, a cui uno come lui non avrebbe dovuto osare bramare. Non esistono sogni per i mostri.

Perché gli umani, loro sì, sono esseri fatti di Sogni e di Sangue, ma lui invece, cosa era?
Thor era fatto di luce, ma come gli umani a lui cari, aveva Sangue e Sogni da offrire.

Ed entrambi aveva offerto a Loki, che spaventato da ciò che implicava un così grande dono, aveva reagito nell’unico modo che ormai conosceva per difendersi, con l’odio e la furia.
L’indifferenza no, quella non avrebbe potuto mai provarla per Thor.
Così, per salvarlo - per salvare entrambi - era scappato.

Non voleva e non si aspettava che Thor lo cercasse. Forse anzi il Dio biondo si era sentito sollevato che Loki avesse scelto anche per lui. L’erede al Trono non si sarebbe trovato così nella situazione di una decisione scomoda.
E ancora una volta era lui quello malvagio che rovinava tutto e a cui poteva essere addossata ogni colpa. Ma andava bene, erano quelli i panni che da tempo aveva scelto di indossare.
Non provava rabbia però. Non più.
Cosa gli restava quindi ora?  L’orgoglio - quello sì, sempre - e la neve, e un sentimento doloroso e profondo per una vita impossibile e per un figlio mai concepito.

La luce era radente ora, quasi tersa sul finire del giorno, e perforava sentimenti tessuti e poi distrutti con la debita sorda ferocia di un cuore ferito.
Si guardò intorno. Il cervo era sparito. Lui continuò ad avanzare sferzato dal vento.
 
*
Who will forgive and make me live again?
Who will bring me back to the world again?

In the forest lives a monster
And he look so very much like me
Is there someone hear me singing?
Please save me, please rescue me
 
 
*
Thor Odinson guardava dalla finestra il cielo di Asgard dare battaglia a Odino. Cielo saturo di pioggia, come il suo cuore; volta celeste di nuvole, fulmini e tuoni. Lasciava che ora fosse il firmamento a sfogarsi, perché lui la sua voce l’aveva già fatta sentire. Lui, che troppo a lungo aveva taciuto e si era sottomesso; e ormai adesso l’unico volere che contasse era il suo.

E non sapeva quanto ci sarebbe voluto – importava forse? Aveva un’eternità immortale a sua disposizione – l’avrebbe riportato a casa. Alla sue condizioni, non a quelle del Padre.

Loki credeva ancora che Thor non riuscisse a comprenderlo nel profondo, ma come se fosse un paradosso, a lui gli occhi del Dio degli Inganni dicevano tutto. Come si poteva non vedere? Capiva il suo orgoglio senza limiti, anche e soprattutto nella caduta e nella sconfitta, il suo senso di inadeguatezza, capiva la sua sofferenza. Capiva anche quel sentimento provato nell’attimo in cui tutto diventa buio e tu perdi ogni cosa . Capiva, e amava. Amava il suo dire e non dire, amava il modo ingarbugliato in cui faceva parte della sua vita, amava la sua voce, quella lingua tagliente, e il suo sguardo quando erano soli nella notte. Amava anche il modo in cui Loki sapeva fargli male, e il modo in cui mentiva.

Perché di Loki non poteva avere la luce senza accettare anche il buio, e andava bene così.
E anzi forse era proprio quel buio la parte che amava di più. Un’oscurità che anche Thor aveva dentro, ma che Loki aveva il coraggio di ammettere e di mostrare.

Il problema del fratello era che si soffermava sempre troppo a riflettere su ciò che non era…    
Thor aveva scelto di impiegare il resto dell’eternità a fargli rendere conto di ciò che invece era. Di ciò che potevano essere insieme…

Uscì dal palazzo senza guardarsi indietro. La decisione era presa.
La sua vita, il suo futuro, erano per Loki e di Loki soltanto, e di un figlio bellissimo del Tuono e del Gelo, che desiderava con un’intensità struggente e dolorosa, come non credeva fosse possibile.
Se Loki andandosene aveva sperato di proteggerlo, aveva dovuto credersi amato ben poco per non sentire che perderlo, per Thor, sarebbe stato il peggiore dei mali.

Mentre camminava verso il Bifrost trascinandosi dietro speranze e promesse, un unico pensiero, un unico nome in fondo alla gola. L’unico, che avesse mai contato davvero qualcosa. L’unico per cui valesse la pena Sanguinare e Sognare.
 
 
*
Jotunheim era acqua e ghiaccio, vento e neve. Si erano susseguite molte stagioni, scandite da un fiero dolore, da una specie di dolce rimorso e dalla luna, ma tutto era sempre uguale.

Il cervo ogni tanto ricompariva, come adesso, compagno silenzioso; e lo guardava con occhi profondi.
Improvvisamente l’animale ebbe uno scatto impercettibile delle orecchie e nel medesimo istante Loki sentì un odore inaspettato, portato dalla neve.

Si voltò di scatto, volute di capelli intessuti di notte e di stelle che gli ondeggiavano ora molto più lunghi intorno ai fianchi, gli occhi che già pizzicavano nella comprensione – è il freddo, solo il freddo -  il cervo in un balzo fuggì via, e lui sgomento e con gli occhi velati, le labbra socchiuse, in lontananza vide Lui avvicinarsi sempre più, dapprima solo con una mano tesa in una muta richiesta, poi, dato che Loki non reagiva...

“Loki.  Sono qui.”

Fu solo un sussurro che si perse nel vento. Ma significava Tutto, e cadendo in ginocchio nella neve, Loki lo udì.
  
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