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Autore: CHAOSevangeline    07/11/2017    1 recensioni
{ Sarumi | Birthday fic }
Saruhiko si avviò per la propria strada dopo aver visto la schiena di Misaki allontanarsi.
Sarebbe stata una giornata uggiosa, quella: era umido e il cielo grigio.
Novembre, dopotutto.
Che giorno? Oh, il sette.
Il suo compleanno.
E Misaki se ne era scordato.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Fushimi Saruhiko, Misaki Yata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beautiful disaster
 
 
 

Atto I, Presa di coscienza

Sette novembre, ore sette in punto.
La sveglia gracchiò, spezzando l’equilibrio di torpore e pace dei sensi, di morbide coperte e respiri caldi e calmi sotto le lenzuola.
Una pace che non può durare, non durante le mattinate settimanali.
Saruhiko aprì gli occhi per primo, arricciando il naso; delle ciocche ramate e scompigliate, sparate un po’ di qui e un po’ di là, lo stavano stuzzicando, provocandogli un solletico tanto piacevole quanto fastidioso: Saruhiko dovette lottare per non iniziare la giornata con uno starnuto, piacevole per l’identità del possessore di quella disordinata nuvola rossiccia.
« Misaki… »
Le braccia del rosso erano avvinghiate intorno al suo busto, lui nascosto contro il suo collo. Misaki si era rintanato lì, quasi si fosse creato un giaciglio perfetto che funzionava ad incastri. Incastri secondo cui la testa di Saruhiko era obbligata in una posizione che dubitava avrebbe scelto, se non per adeguarsi a quella di Misaki, quasi incastonato contro il suo collo.
« Mmmh… »
Era sempre così ogni mattino, quella sorta di mugugno, di ruggito degli inferi che gli rivolgeva Misaki quando Saruhiko lo invitava ad alzarsi.
« Altri cinque minuti… »
Da manuale.
Saruhiko pensava che ne avrebbe dovuto scrivere uno.
« Non li abbiamo cinque minuti… » sbuffò il ragazzo, lasciando un bacio tra i capelli ramati del fidanzato.
Non serviva a svegliarlo, era solo un piccolo sfizio che si toglieva prima che l’altro diventasse troppo irrequieto per poterlo avvicinare. La seconda occasione in cui avrebbe potuto farlo sarebbe stata quella sera, quando lui e Misaki avrebbero trovato la giusta pace a fine giornata sul loro divano; sarebbe stato Saruhiko a stringerlo tra le braccia, avvinghiandosi, per impedirgli di essere troppo iperattivo.
Poi ricordò che quella sera Misaki sarebbe stato impegnato e storse il naso. Il desiderio di darsi malato si fece impellente.
« Lavori anche tu oggi », gli fece notare.
Silenzio.
Il corpo di Misaki si irrigidì tra le braccia di Saruhiko subito prima di schizzare a sedere.
« È tardi! » sbottò il ragazzo, quasi spaventato.
Saruhiko schioccò la lingua, cercando a tentoni gli occhiali ordinatamente disposti sul comodino dalla sera prima e indossandoli. Era un passaggio fondamentale per rendere il proprio fidanzato una persona e non una macchia sfocata che si confondeva con il resto della stanza, complice anche la sonnolenza.
« Non è tardi, sono le sette… »
Misaki era già corso via. Saruhiko avrebbe voluto che la sua energia lo contagiasse, ma mentre il rosso preparava la colazione più rumorosamente che in fretta, Saruhiko aveva compiuto le stesse azioni trascinandosi: aveva bevuto pigramente il caffelatte accompagnato dai biscotti che Misaki lo obbligava a mangiare tutte le mattine perché “altrimenti non ti reggerai in piedi, stupido!”; si era pigramente lavato i denti, venendo spintonato da Misaki che lo accusava di essere troppo lento quando il bagno serviva anche a lui e altrettanto pigramente aveva indossato la divisa della Scepter4.
L’unica premura di cui Saruhiko si curò non riguardava se stesso, ma fu di sistemare meglio la sciarpa indossata da Misaki intorno al suo collo: era appena guarito da un brutto raffreddore e preferiva evitare che divenisse un iperattivo che non poteva permetterselo per problemi di salute. Misaki sarebbe stramazzato al suolo per la fatica, a costo di comportarsi come faceva sempre senza fermarsi un istante e Saruhiko non poteva permetterlo.
E poi si scandalizzava se Misaki voleva che cominciasse la giornata con le giuste energie.
« Pronto? » domandò Saruhiko.
« Pronto. »
Misaki doveva recarsi al negozio dove lavorava part-time per poi dedicarsi ad alcune commissioni da portare a termine per l’Homra. Commissioni che quasi certamente coincidevano con scazzottate e minacce con cui tanto Misaki si divertiva a spaventare le altre bande. Saruhiko ormai non storceva nemmeno più il naso. Non che il suo lavoro fosse molto meno pericoloso, quando non era confinato in ufficio.
Si sarebbero divisi sotto casa, perciò era meglio approfittarne finché erano ancora nell’appartamento.
Un bacio a stampo sull’uscio, poi più di un bacio a stampo: sarebbe dovuto bastare ad entrambi per tutta la giornata e oltre, fino al giorno dopo.
Non avrebbero mai osato dirlo, ma sapevano che si sarebbero mancati a vicenda.
Poi via, giù per le scale. Solo Misaki le fece di corsa e rimase ad incitare la discesa ben più strascicata e lenta di Saruhiko.
Si salutarono ancora, una volta fuori, in modo però meno appariscente. Saruhiko si avviò per la propria strada dopo aver visto la schiena di Misaki allontanarsi.
Sarebbe stata una giornata uggiosa, quella: era umido e il cielo grigio.
Novembre, dopotutto.
Che giorno? Oh, il sette.
Il suo compleanno.
 


Atto II, Una normalissima giornata (d’inferno)

Saruhiko aveva sempre provato sentimenti contrastanti per quella data: da piccolo vi riponeva grandi speranze, grandi speranze quasi sempre tradite, motivo per cui aveva smesso di averne. Dichiaratamente, almeno, perché anche se non diceva a nessuno di compiere gli anni del tutto disinteressato all’idea di ricevere qualche regalo, auguri e festeggiamenti, dall’altra era come se il bambino ancora vivo dentro di lui sperasse sempre in qualcosa.
Qualcosa che quell’anno non era arrivato nemmeno da Misaki, dato che non gli aveva fatto gli auguri.
Strano.
Sospetto.
Beh, non poteva pretendere che funzionasse tutto come quando erano alle medie: ormai erano cresciuti.
Saruhiko attese fino alla pausa pranzo, convinto che Misaki se ne fosse solo scordato; dopotutto nemmeno lui aveva ricordato subito che giorno fosse.
Era convinto che avrebbe ricevuto un lunghissimo messaggio di auguri da parte del fidanzato.
Non arrivò.
Magari un papiro sdolcinato sarebbe stato troppo per Misaki, anzi, lo era sicuramente sembrando il ragazzo incapace di mettere in fila più di due parole carine senza borbottare e divenire incomprensibile. Con un metodo meno diretto delle parole Saruhiko supponeva che Misaki avrebbe cancellato il messaggio più volte fino a rinunciare al proposito di inviarlo.
Lui però non poteva parlare: eliminava il problema alla radice non dicendole nemmeno, le cose carine, a voce o per iscritto che fosse.
L’alone di malinconica delusione venne spazzato via bruscamente durante il pranzo dall’ingresso di Munakata.
« Fushimi, hai un momento? »
Oh, no.
Per un istante Saruhiko si chiese se Munakata sapesse che giorno era. Certo che lo sapeva, aveva dossier per qualsiasi cosa, anche con i dati sensibili dei suoi sottoposti.
Iniziava a sentirsi un po’ squallido e triste all’idea di sperare sommessamente che il suo capo si ricordasse di qualcosa di insignificante come il suo compleanno. Saruhiko si stava arrabbiando: era arrabbiato perché non capiva quanto peso stesse dando quell’anno ad una cosa che normalmente reputava insignificante e soffrirci lo irritava.
Contorto. Non era da lui.
Certo che almeno Misaki… Non gli sembrava di chiedere molto.
Sbuffò mentre camminava, ignorando l’occhiata del suo re, che lo stava guidando verso il suo ufficio.
Voleva offrirgli un tè, magari?
Saruhiko pensò che il breve tempo trascorso all’Homra anni prima avesse sortito degli effetti su di lui, rimasti sopiti e in procinto di risvegliarsi a causa della sua relazione con Misaki. Non si era mai prestato a cose simili, ma temeva che di lì a poco si sarebbe potuto trasformare in una persona come i clansmen rossi, bisognosa di starsene seduta nel cerchio dell’amicizia a ridere e scherzare. E a ricevere auguri di compleanno.
Inquietante.
Quando Munakata aprì la porta gli indicò una pila di documenti sulla scrivania e Saruhiko capì. Eccola, la dura realtà.
« Dovresti schedare quei rapporti. »
Saruhiko trattenne uno sbuffo. Avrebbe maledetto chiunque avesse creduto che la Scepter4 fosse solo azione e niente noia.
« Entro quando? »
« Stasera. »
« Stasera?! »
Munakata lo guardò e annuì con il solito sorriso sornione impresso sul volto. Sapeva di stargli dando un compito ingrato, il bastardo, ma fingeva che fosse tutto normale e che lui affatto terribile nell’affidarglielo.
« Lo farei io, ma ho un lavoro che mi porterà fuori sede, oggi. »
Non era vero, non lo avrebbe portato a termine nemmeno restando seduto alla propria scrivania tutto il giorno, preferendo piuttosto incaricare comunque lui o Awashima, questo era poco ma sicuro.
Almeno prima di andarsene non gli aveva rifilato la solita sciocchezza sulla fiducia che riponeva nei suoi confronti, motivo per la quale gli affidava compiti a detta sua tanto importanti.
« Dovrebbero assumere delle segretarie, non usare me… » si lamentò sommessamente il ragazzo, sperando in realtà che il suo re lo sentisse.
Dopo essere rimasto solo nell’ufficio, Saruhiko si avvicinò alla scrivania, chiedendosi con quanti viaggi avrebbe dovuto trasportare il plico di dossier fino all’ufficio dove lavorava lui.
In quel momento davanti alla porta passò Domyoji.
« È tutto tuo quel lavoro, Fushimi? » domandò il ragazzo, sbattendo gli occhi stranito.
Saruhiko avrebbe rifiutato qualsiasi offerta di aiuto perché odiava il lavoro di gruppo: preferiva soffrire solo piuttosto che farsi aiutare da qualcuno. Per meglio dire era molto selettivo e alcune volte faceva uno strappo alla regola, ma era volubile e quel giorno odiava troppo qualsiasi cosa per poterselo permettere senza correre il rischio di uccidere qualcuno.
Si voltò e rispose con un piccolo cenno d’assenso con il capo.
Il ragazzo sorrise. Un sorriso che sembrava esternare chiaramente quanto fosse felice che quella sorte fosse capitata a Saruhiko e non a lui.
« Beh, auguri », fece, prima di andarsene.
Già.
Oltre al danno anche la beffa.

 

Atto III, Inferno, parte prima: le chiavi

Non era uscito in ritardo dal quartier generale della Scepter4 solo per un miracolo, di questo Saruhiko era convinto.
Erano a malapena le cinque, ma fuori era già buio e faceva freddo. Non che gli importasse, comunque: il suo cervello fumava dopo tutti quei rapporti riassunti e trascritti, così come fumavano le sue dita che non avevano fatto altro che battere sui tasti del computer per finire il più in fretta possibile.
A che scopo, però? Sarebbe arrivato a casa per trovarla vuota e in ogni caso non avrebbe avuto nessuno da aspettare: Misaki non sarebbe tornato, quella sera.
Saruhiko aveva deciso di telefonargli in ogni caso verso l’ora di cena, perché anche se non gli aveva augurato un buon compleanno, Misaki era l’unica persona capace dargli sollievo con poche parole nelle giornate che, come quella, Saruhiko non vedeva l’ora finissero.
Aveva smesso di rimproverare a Misaki quella mancanza, perché in fin dei conti Saruhiko si rendeva conto di star soltanto raccogliendo quanto aveva seminato per anni: si era dimostrato sempre indifferente perché convinto che qualcosa non gli interessasse, anche solo per farsi convincere del contrario? Esasperato, Misaki aveva smesso di provare a convincerlo che avrebbe potuto essere meno rigido e lasciarsi andare un po’.
Ecco perché Saruhiko voleva tornare a casa, perché quella era una di quelle giornate in cui casa sua si trasformava nell’unico antro in cui voleva ritirarsi, anche solo per crogiolarsi un po’ nel proprio malcontento e ricaricare le energie.
Almeno non stava piovendo e almeno, dopo averlo pensato, il cielo non iniziò a gocciolare.
Così eccolo lì Saruhiko, davanti al proprio condominio e poi davanti alla porta di casa, perfettamente asciutto.
Scalino dopo scalino, rampa dopo rampa, aveva sentito la tensione scemare: finalmente era a casa.
Misaki aveva sempre detto che poteva chiedergli tutto, che doveva fargli sapere quando aveva bisogno di lui. Gli aveva dato modo di potergli credere, da quando avevano finalmente risolto lo stupido litigio che li aveva resi nemici e tenuti separati per anni.
Erano cambiati entrambi e Saruhiko sapeva che Misaki sarebbe corso da lui, che per una volta poteva essere un po’ egoista e concedersi il lusso – nonché fare lo sforzo – di chiedere delle attenzioni per lui necessarie.
Era umano, era giusto così.
Saruhiko lo avrebbe aspettato sul divano e si sarebbero rintanati nella coperta.
Sempre ammesso che al divano riuscisse ad arrivarci.
Tastò una tasca, tastò l’altra.
Niente chiavi.
L’eco delle scale fu l’unica cosa a trattenere Saruhiko dall’imprecare troppo forte e il costo di riparazione della porta, così come l’amore per la privacy, fu ciò che gli impedì di sfondare il portoncino d’ingresso.
Si sarebbe probabilmente fatto male nel tentativo, ma era così nervoso che non gli importava e avrebbe tentato ugualmente.
Almeno aveva ancora il telefono.
Forse le chiavi le aveva Misaki, per qualche inspiegabile scherzo del destino che gli avrebbe dato un motivo in più per correre da lui.
Rubrica, numeri preferiti, Misaki.
Saruhiko portò il PDA all’orecchio e rimase in attesa.
Uno squillo.
Due, tre.
Risponde la segreteria telefonica di Misaki Yata.
 


Atto IV, Inferno da un altro punto di vista: la torta

Erano le cinque del pomeriggio e Misaki era disperato.
Non stava scherzando: aveva quasi pianto per il nervoso, quel giorno, e se si era trattenuto era solo perché le commissioni dell’Homra di cui doveva occuparsi gli avevano permesso di sfogarsi facendo a botte con dei teppisti da quattro soldi.
Era uscito insieme a Saruhiko solo per andare a ritirare il suo regalo di compleanno – il turno di lavoro era una scusa – perché sì, sapeva che giorno era.
Sapeva che giorno sarebbe stato la sera prima, ma non appena sveglio: si era alzato senza nemmeno ricordare il proprio nome, figurarsi la data.
Perciò sì, era da stupidi andare a ritirare un regalo senza associare tale commissione alla data per cui serviva, ma Misaki poteva ben di peggio quando era appena sveglio e ancora assonnato.
Era stato questo a impedirgli di fare gli auguri al proprio fidanzato e di fargli credere, inoltre, che il piano per il suo compleanno si sarebbe limitato solo a quello, a delle scarne felicitazioni senza sostanza.
Misaki non aveva organizzato una festa a sorpresa, sapeva che Saruhiko l’avrebbe odiato, disconosciuto e poi lasciato, ma aveva comunque preparato qualcosa dedicato solo a loro due.
Forse, perché sembrava che tutti i suoi piani stessero andando a rotoli.
Alle dieci del mattino avrebbe mandato un messaggio a Saruhiko. Anzi, lo avrebbe chiamato e gli avrebbe rivelato che il suo non avergli fatto gli auguri era uno scherzo.
Ma il suo orologio si era rotto.
L’orologio che Saruhiko aveva preparato per lui, esclusivamente per lui e per parlare con lui, si era rotto.
Solo una crepa all’inizio, ma Misaki non aveva osato toccarlo per timore di peggiorare le cose. Aveva percorso la strada in skateboard tenendo il braccio in posizione perpendicolare al corpo per evitare che qualsiasi cosa potesse turbare il sottile equilibrio che teneva ancora insieme i pezzi, se avesse avuto un braccio rotto non sarebbe stato altrettanto attento.
Tutta colpa di quei maledetti teppisti, che vedendolo mentre andava a recuperare gli ingredienti per il dolce dopo aver lasciato a casa il regalo per il suo ragazzo lo avevano aggredito.
Misaki li aveva pestati, piuttosto forte quando si era accorto dei danni, niente da dire in merito: lui non aveva nemmeno un graffio.
Dopo averli lasciati lì come se nulla fosse, in mezzo alla strada a fare da rappresentazione umana a quanto l’Homra fosse forte, Misaki era corso a casa pensando solo al proprio orologio, messo molto peggio di lui.
Lo avrebbe tolto e messo da parte, poi avrebbe spiegato a Saruhiko ogni cosa e lo avrebbero riparato.
Slacciato il cinturino, il suo PDA era andato in pezzi.
Misaki non ricordava di aver mai imprecato tanto, ma non si era perso d’animo: quella era solo una sbavatura nel suo piano e aveva così tante altre cose di cui occuparsi da non poter pensare troppo a lungo al fatto che un pezzo del suo cuore era andato in frantumi come il regalo di Saruhiko.
Così si era messo a preparargli una torta, a base di cioccolata fondente perché Saruhiko non potesse lamentarsi dell’esagerata dolcezza di quella torta, così come dei gesti di Misaki.
In fin dei conti l’aveva scoperto mentre era intento sgraffignare dei pezzi di cioccolata dalla dispensa, ogni tanto: non dubitava avrebbe gradito quel tipo di dolce.
Misaki non era un cuoco provetto, ma era discretamente bravo. A preparare tutto fuorché le torte, aveva scoperto quel giorno.
L’impasto era commestibile, per fortuna.
La forma della torta però… beh. Se Saruhiko aveva scelto lui, se si era innamorato di lui, voleva dire che riusciva a guardare oltre l’aspetto esteriore. Misaki sperava sarebbe stato questo, a salvarlo.
Aggiungere la panna montata per camuffare un po’ il disastro che era quella torta aveva peggiorato le cose. Misaki avrebbe solo dovuto scrivere tanti auguri, ma preso dal panico aveva sbagliato un carattere, il suo diploma elementare aveva così perso valore e il modo più logico per camuffare il tutto, secondo lui, era diventato disegnarvi sopra un’enorme faccina sorridente.
Sghemba. Con un occhio più piccolo dell’altro perché la panna montata era anche finita.
Sembrava quasi prenderlo in giro, quella faccina.
Misaki era andato a sedersi al tavolo del salotto, dove aveva lasciato il proprio orologio, per attendere il rientro del fidanzato: avrebbe dovuto prestare attenzione ad ogni rumore, visto che gli aveva abilmente rubato le chiavi per poter entrare.
L’ultimo fallimento lo aveva gettato nello sconforto più totale e vedere i pezzi di vetro dell’orologio portò tutta la tensione della giornata ad esplodere.
Proprio nel momento esatto in cui sentì un piccolo tonfo contro la porta.
 


Atto V, Candeline e carta da regalo

Saruhiko non avrebbe mai immaginato che il proprio compleanno sarebbe stato così disastroso da farlo finire seduto sullo zerbino di fronte al portoncino di casa propria in attesa di riottenere la calma necessaria a decidere il da farsi.
Dormire lì davanti era fuori discussione, ma non poteva nemmeno andare all’Homra per cercare Misaki. Gli sarebbe toccato dormire nella sua vecchia stanza alla Scepter4, quella che usava prima di potersi permettere un appartamento sì vicino al quartier generale, ma pur sempre indipendente e da organizzare come voleva lui.
Con la fortuna che aveva quel giorno avrebbe scoperto quella stanza occupata e forse gli sarebbe stato concesso di dormire sulla sua scrivania.
Avrebbe anche dovuto inventare una scusa per evitare che aver scordato le chiavi lo facesse diventare lo zimbello della Scepter, portandolo a perdere autorità su dei ragazzi più grandi di lui e che però erano pur sempre suoi sottoposti.
Saruhiko era tanto paziente sotto certi aspetti quanto impaziente sotto altri: era seduto lì da appena qualche istante e già la sua mente aveva galoppato verso orizzonti alquanto lontani circa i risvolti della sua serata.
Gli parve di udire dei passi all’interno dell’appartamento, poi la maniglia che si abbassava. Se solo non si fosse allontanato dalla porta che aveva usato come schienale sarebbe caduto disteso all’interno.
Si voltò rapidamente e si ritrovò di fronte Misaki.
Aggrottò le sopracciglia.
Beh, almeno aveva aperto subito, pur non avendogli risposto.
Misaki dal canto suo non immaginava che Saruhiko fosse lì, voleva solo controllare cosa avesse provocato quel piccolo rumore contro la porta, per questo si asciugò in fretta e furia le lacrime.
« Sei tornato presto », disse solo, sforzandosi di comportarsi come avrebbe fatto normalmente.
Per Saruhiko non contavano più i mancati auguri, la risposta non data al telefono o il motivo per cui fosse in casa: contavano solo le lacrime appena viste sul volto di Misaki.
Sapeva che era molto più emotivo di lui, lo conosceva da anni, ma non riusciva davvero ad immaginare cosa potesse essere successo.
« Perché stai piangendo? » domandò, alzandosi in piedi e prendendo il ragazzo per le spalle.
Misaki doveva rimanere fuori tutto il giorno e considerando che il suo impegno riguardava l’Homra non escludeva che si fosse ferito.
Saruhiko si richiuse la porta alle spalle con una pedata, senza scollare lo sguardo dal ragazzo che stava ispezionando.
« Non stavo piangendo! » ribatté Misaki.
« Misaki. »
Il rosso distolse lo sguardo, agitato. Un fiume in piena, ecco cos’era. Tutte le volte che reprimeva qualcosa, per spezzare il suo silenzio ed esplodere era sufficiente una domanda in più.
Non ricordava l’ultima volta in cui aveva singhiozzato in quel modo. Quando aveva smesso di frequentare Saruhiko, o forse più di recente, per la perdita di alcuni compagni importanti.
Misaki si sentiva così infantile, ma non riusciva a smettere di far sussultare il proprio petto né tantomeno a trattenere le lacrime.
Affondò il volto sulla spalla del ragazzo, cercando invano di darsi un contegno.
« Il mio orologio… »
Saruhiko si era ritrovato a stringere Misaki nella più totale confusione; non riusciva a vedergli il polso. Sapeva a quale orologio si stava riferendo, portava sempre e solo quello, con suo grande orgoglio.
« Cosa gli è successo? » domandò Saruhiko.
« Me lo hanno rotto… »
In quel momento per Saruhiko fu impossibile non vedere Misaki come un bambino che stava accusando qualcuno di aver rovinato il suo giocattolo, ma gli servì a capire quanto ci tenesse, pur sapendolo già: era solo una conferma.
Gli asciugò le lacrime con la punta delle dita e si sporse, baciandogli la fronte.
« Tutto qui? Lo aggiusterò. »
Misaki trovò spontaneo chiedersi cosa avesse mai fatto per meritarsi non solo di trovare Saruhiko, ma anche di riaverlo indietro dopo averlo perso per la propria stupidità. Stupidità di entrambi, avevano convenuto insieme, ma Misaki era fin troppo pessimista in quel momento.
« Non sei arrabbiato? »
« Dovrei? »
« Non ti ho fatto gli auguri… »
Saruhiko sorrise. Uno sbuffo di risata prima di sistemare la fronte contro quella del fidanzato.
« Sapevo che te lo ricordavi », disse, quasi fra sé e sé.
« Certo che lo ricordavo! » si difese Misaki.
Saruhiko si sentì sciocco per aver dubitato anche solo un istante di Misaki. Forse tutte le sfortune di quel giorno erano state una sorta di punizione divina per essersela inconsciamente presa con lui.
« Tanti auguri, Saru », aggiunse con la voce ancora rotta.
« Grazie », rispose l’altro. « Ora però smetti di piangere. »
Misaki annuì e tirò su con il naso prima che Saruhiko gli rubasse un bacio a stampo sulle labbra.
Era buffo come entrambi pensassero certe cose l’uno dell’altro, senza però mai dirsele ad alta voce.
« Come hai fatto ad entrare qui? » domandò Saruhiko, iniziando a nutrire qualche sospetto.
Misaki lo guardò attento.
« Ti ho rubato le chiavi stamattina, quando ci siamo salutati… » borbottò, ora più calmo.
Saruhiko lo guardò e sul suo volto apparve solo divertimento: avrebbe dovuto controllare le proprie tasche da quel momento in poi, dopo aver baciato Misaki. Almeno così avrebbe potuto ricordare quella storia con un risvolto più piacevole.
Misaki avrebbe potuto lasciare che il suo sfogo intaccasse la serata di Saruhiko, oppure fare in modo di darsi un contegno e riprendersi, ora che sapeva avrebbero raccolto i cocci insieme, sia di quella giornata che del suo PDA.
Prese la mano del fidanzato e lo guidò verso la cucina.
Accoglierlo con una torta sghemba, per quanto adornata dalle candeline e da tutto il suo impegno, sarebbe stato un azzardo, soprattutto dopo aver rotto un regalo fattogli proprio da Saruhiko. Si sarebbe anche potuto voltare e andare via, un po’ come avrebbe fatto nella circostanza di una festa a sorpresa.
« Chiudi gli occhi », gli ordinò Misaki una volta sull’uscio della stanza e con somma sorpresa vide Saruhiko ubbidire sena nemmeno ribattere.
Non perché Misaki fosse in un qualche stato di squilibrio che necessitava un trattamento di favore, ma perché a Saruhiko sarebbe andata bene qualsiasi cosa, da quel momento in poi: Misaki avrebbe potuto chiedergli di ordinare una pizza e Saruhiko avrebbe pensato comunque che fosse un pensiero carino, perché dopo una terribile giornata aveva fatto ritorno e contro ogni sua aspettativa lo aveva trovato lì; gli aveva aperto ed era accorso in suo aiuto senza nemmeno poter davvero sentire la sua chiamata.
Certo, poi lui lo aveva dovuto confortare, ma era così che funzionava una coppia.
Misaki si riscosse in fretta e accese le candeline, una per ogni anno di Saruhiko.
Ne aveva dovuti comprare tre pacchi per averne a sufficienza, ma era soddisfatto.
Le accese una per una, con cautela, poi riprese la mano di Saruhiko e lo guidò fino alla sedia.
« Ok, puoi soffiare. »
« Spero tu non voglia cantarmi tanti auguri. »
« Non me lo dovevi ricordare… »
Saruhiko alzò un sopracciglio e Misaki rise. In tutto questo il ragazzo ancora non aveva aperto gli occhi, facendo quasi tirare un sospiro di sollievo a Misaki.
Soffiò e quando si accorse che oltre le palpebre serrate non c’era più nemmeno un bagliore, Saruhiko aprì gli occhi. Misaki era troppo preso a battere le mani per accorgersi che l’altro si stava voltando per accendere la luce.
Poi Saruhiko vide la torta.
« Pff… »
« Ascoltami! » sbottò subito Misaki sulla difensiva, arrossendo. « Ci ho provato, ok? Ci ho davvero provato! È già tanto che sia qui e non spiaccicata giù dalla finestra, quindi… »
Saruhiko si voltò.
« Pensavo solo che è molto da te. »
Ed era vero, anche se si stava riferendo principalmente alla faccina, anch’essa un po’ martoriata, sulla superficie della torta. Misaki affrontava anche le cose peggiori – e quella torta lo era – con il sorriso, ma non era abbastanza sdolcinato per dirglielo.
« Molto da me », ripeté Misaki.
« Sì. »
« Saruhiko Fushimi, mi stai paragonando ad una torta sghemba? »
Saruhiko aprì la bocca per parlare, ma si interruppe.
« Beh… » scherzò.
« Saru! »
Saruhiko ridacchiò e a quel punto Misaki perse di vista ogni preoccupazione e ogni nervosismo nato nell’arco della giornata. Avrebbe continuato a farsi prendere in giro purché Saruhiko ridesse, ma aveva pur sempre un orgoglio.
« Io andrei a mangiarla in salotto, se sei d’accordo. Non che tu te la meriti dopo quello che hai detto! »
Saruhiko decise di ubbidire con un mezzo sorriso, perché il divano sarebbe stato più comodo oltre che meno facilmente pulibile se avessero sporcato, ma anche perché lo doveva a Misaki dopo quella non troppo felice presa in giro.
Così lo seguì, un passo dietro di lui, con in mano piattini e forchette per mangiare quella… cosa sorridente che Misaki aveva preparato per lui. Solo per lui.
Pensò che la torta fosse la cosa più strana di quella giornata, ma dovette ricredersi di fronte a quello che vide in salotto.
« Un kotatsu* », disse con un filo di voce.
Sopra la superficie di legno, un rotolo di carta da pacchi a strisce blu e argento.
Misaki si grattò la testa con una mano, gettando a Saruhiko diverse occhiate nervose.
« Non sapevo come impacchettarlo e se lo avessi incartato non avrei potuto lasciare che si scaldasse… » borbottò.
Almeno Misaki aveva avuto l’accortezza di non rischiare di mandare a fuoco l’intera casa.
Quel regalo aveva troppo di simbolico perché Saruhiko non lo apprezzasse. Gli parve quasi di essere tornato alla sua prima convivenza con Misaki, un po’ spartana e un po’ difficile, alle volte, nello scarno appartamento che ora giaceva vuoto sulla cima di un edificio fin troppo lontano da lì.
Dopo aver appoggiato la torta sul tavolo, Misaki si sedette con le gambe sotto il kotatsu, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo per la già piacevole temperatura assunta dalla coperta.
Saruhiko immaginò il rosso con i capelli un po’ più lunghi, il suo fisico più minuto e se stesso di qualche anno più giovane.
La differenza era che ora non dovevano sedersi ognuno ad un lato del tavolo per mantenere le distanze, ma potevano condividere insieme lo spazio tra una gamba di legno e l’altra. Anche se Misaki avrebbe tirato calci come sempre e si sarebbe preso tutto lo spazio.
Saruhiko si sedette accanto a lui, la forchetta si immerse nella propria fetta di torta, già pronta nel suo piatto.
La portò alle labbra.
Esitazione.
Non era certo che fosse commestibile, ma confidava che Misaki non l’avrebbe avvelenato il giorno del suo compleanno.
« È buona », constatò quasi con sorpresa.
« Lo dici come se fino ad ora avessi pensato il contrario! »
Saruhiko lo guardò in silenzio, smettendo di masticare. Misaki capì cosa stava pensando e cosa avrebbe detto.
« Saru! »
Lo aveva preso in giro come aveva fatto in cucina.
Misaki si gettò su di lui, facendolo crollare sul coperta che aveva sistemato sotto il tavolo mentre le loro gambe si intrecciavano.
Rispetto al solito Saruhiko era un po’ più sorridente, Misaki un po’ più cristallino.
Quando il rosso si calmò, smettendo di agitarsi e sbraitare solo quando Saruhiko riuscì ad intrappolarlo nella propria presa, si accucciò sul petto dell’altro e si rese conto di aver scordato qualcosa di importante quasi quanto gli auguri.
« Non ti ho nemmeno chiesto com’è andata la tua giornata. »
Saruhiko lo guardò, scostò una ciocca dal suo volto.
« Malissimo », gli rispose seccamente, sincero e diretto come al solito. « E la tua com’è stata? »
Misaki lo guardò. Avrebbe voluto dire qualcosa per consolarlo, chiedergli perché, ma sapeva che Saruhiko avrebbe aperto bocca se voleva che lo capisse. Glielo aveva detto, che doveva spiegarsi perché lo capisse.
« Orribile », ribatté Misaki, riuscendo però a ridere.
Sistemò la guancia sul suo petto, il battito del cuore di Saruhiko tamburellò contro il suo orecchio.
« Per fortuna hai preso il kotatsu, allora. Non siamo più così disperati da dover dormire per terra per l’assenza di mobili, ma nulla ci consolava più di passarci sotto le giornate. »
Saruhiko scostò lo sguardo dal soffitto per puntarlo negli occhi di Misaki. Misaki sistemò il mento sul suo petto per poterlo guardare a propria volta.
« Insieme. »
Lo aggiunsero all’unisono, poi si guardarono.
C’erano delle cose che Misaki e Saruhiko preferivano non dire, ma sì: era indubbio le pensassero entrambi.
Misaki arrossì e Saruhiko distolse lo sguardo.
Stavano diventando una coppietta sdolcinata, ma riuscirono a trovarlo divertente e a riderne, tra un bacio e l’altro.
Non era poi così male esserlo, a modo loro.
Non se una volta insieme rendeva anche la più disastrosa delle giornate bellissima.  



Note:
*Kotatsu: è un tavolino basso sotto il quale viene sistemata una coperta pesante o un futon. Sotto la parte che funge da ripiano viene sistemata una fonte di calore, che lo rende una sorta di tavolino riscaldabile.


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Ce l'ho fatta a tornare a pubblicare in questo fandom, finalmente <3
Era da diverso tempo che mi tormentavo chiedendomi su cosa avrei potuto scrivere e bam, ieri sera ho detto "ehi, perché non una one-shot sul compleanno di Saruhiko?"
L'ho scritta tutta oggi. Giuro che il mio cervello sta fumando, ma ci tenevo a pubblicarla effettivamente il sette!
Ho un po' di insicurezze, inizialmente temevofosse troppo simile alla mia one-shot sul Natale, però ecco, spero comunque che questa dose di fluff possa farvi piacere e vi vada di dirmi cosa ne pensate.
Ah, altro appunto: temevo che Misaki e Saru potessero essere un po' OOC. La storia è ambientata dopo gi eventi della seconda stagione, in un ipotetico periodo che stanno trascorrendo semi-convivendo. Non ho segnalato l'OOC perché credo che una coppia che si consolida possa lasciare un po' da parte i propri limiti per essere più esplicita con il partner, ma lascio comunque a voi il giudizio.
Spero davvero che questo piccolo racconto vi sia piaciuto, alla prossima!

 
   
 
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