Libri > Shadowhunters
Segui la storia  |       
Autore: FrancescaPotter    10/11/2017    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo Quattordici
 
Will stava iniziando ad avere freddo e a non sentire più la gamba sinistra; l’acqua gli arrivava quasi al collo e nel giro di poco tempo sarebbe annegato. Non riusciva a crederci. Essendo uno Shadowhunter, la morte aveva sempre fatto parte della sua vita. Aveva sempre saputo che sarebbe potuta arrivare all’improvviso, anche durante una semplice pattuglia; tuttavia, non avrebbe mai creduto che sarebbe morto in un modo così stupido… banale, quasi. Si era sempre cacciato in molti pericoli, fin da quando era bambino. Era sempre stato incauto e sua madre non aveva mai smesso di ripeterglielo, dal primo giorno in cui aveva impugnato una spada angelica; Will di solito si limitava a scrollare le spalle e a rassicurarla. D’altronde lui era uno Shadowhunter, era quello il suo compito: sconfiggere i demoni anche a costo della propria vita. Clary sembrava non capirlo, sempre preoccupata per la sua incolumità e a Will dispiaceva farla stare in pensiero, ma quando combatteva sentiva dentro di sé un’energia che lo faceva sentire davvero vivo. All’inizio c’erano stati suo padre e sua madre a salvare la situazione, sempre dietro di lui pronti a intervenire in caso di pericolo; poi era arrivato George, il suo parabatai. Erano cresciuti insieme, due cugini della stessa età che giocavano fin da piccoli a rincorrersi per l’Istituto e a combattere spalla a spalla demoni immaginari. Diventare parabatai era stato naturale, l’unico punto fisso della propria vita. Pensare a George gli scavò un profondo buco nel petto: si stava sempre più rendendo conto che probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto. E, insieme all’acqua che lentamente saliva, arrivavano anche i volti della sua famiglia, dei suoi amici. Suo padre, sua madre, le sue sorelle… Pensare a Celine, a cui voleva tanto bene nonostante lo infastidisse sempre, e a Lizzie, la sua sorellina che si alleava sempre con lui, gli fece salire le lacrime agli occhi. Non voleva lasciarle. E poi nella sua mente apparvero le facce sorridenti degli altri membri della sua famiglia: zio Magnus, zio Alec, Max e Raphael, zio Simon e zia Izzy, i nonni. Persino Julian e Emma, insieme a Holly, gli fecero stringere il cuore. Eppure, mentre l’acqua saliva sempre di più fino a raggiungere il suo collo, sapeva già quale sarebbe stato l’ultimo volto a cui avrebbe pensato prima di chiudere gli occhi per sempre. Quello di Rose. La sua Rose. Scosse la testa e non riuscì a impedire a una lacrima di scorrergli sulla guancia. Gli sembrava incredibile, uno scherzo del destino: ora che finalmente era riuscito a baciarla, non lo avrebbe più potuto fare.
Chiuse gli occhi e rivisse nella mente il momento in cui Rose lo aveva baciato, stentando ancora a crederci. Certo, era stato lui a chiederglielo, ma lei non aveva esitato e lo aveva baciato con più trasporto di quanto si sarebbe aspettato. Will non voleva neppure prendere in considerazione la possibilità che si fosse immaginato tutto e che Rose in realtà avesse provato repulsione davanti a una simile richiesta; voleva illudersi che Rose lo desiderasse tanto quanto lui desiderava lei e che volesse baciarlo almeno la metà di quanto lui voleva baciare lei.
Era stato sul punto di dirle che la amava, ma aveva cambiato idea: non poteva farle questo, non poteva aprirle il suo cuore durante una situazione tanto tragica così che il sentimento più puro che avesse mai provato si trasformasse in motivo di dolore per lei, che sarebbe dovuta andare avanti senza di lui.
Il ricordo delle labbra di Rose sulle proprie, del suo profumo e del suo respiro sulla pelle era tutto ciò che lo stava tenendo ancorato alla realtà, impedendogli di dare di matto. Aveva creduto che baciare Rose avrebbe reso la morte meno terrificante, e invece non era stato così, perché adesso sapeva che cosa stava lasciando, sapeva che cosa si stava perdendo morendo.
In un ultimo scatto di protesta del suo corpo, tentò di liberare la gamba dalle rocce, ma quelle erano troppo pesanti. Imprecò ed emise un verso di frustrazione: non poteva finire così, non poteva morire. Non era pronto.
Ci doveva essere qualcosa che poteva fare, un modo per liberarsi. Ci doveva essere.
«Will!» si sentì chiamare. Quasi non ci fece caso, pensando che fosse uno scherzo della sua immaginazione; Rose era salita in superficie da pochissimo, era impossibile che avesse già raggiunto l’Istituto per chiedere aiuto.
Poi sentì una mano sulla spalla e le braccia di sua madre che lo stringevano forte e seppe che era tutto vero.
«Oh, Will» gli disse lei, dandogli un bacio sulla guancia. «Che spavento che ci hai fatto prendere!».
Will spalancò gli occhi e vide sua madre con le guance bagnate di lacrime e i capelli rossi che risplendevano anche nella penombra della grotta.
«Non c’è bisogno di piangere, mamma». Will le sorrise, cercando di non far trasparire quanto fosse felice di vederla e di sembrare tranquillo, per non spaventarla ulteriormente. La consapevolezza che sarebbe sopravvissuto iniziò a farsi strada dentro di lui, rischiando di mozzargli il fiato. «Sto bene. Avete visto Rose?»
«Sì, camminava e respirava. È di te che mi preoccupo». Clary gli poggiò le mani sul viso e gli diede un altro bacio, questa volta in fronte. «Hai freddo?»
Will annuì distrattamente e intravide suo padre dietro di lei che lo guardava con aria preoccupata. Gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla testa, accarezzandogli piano i capelli. Will si concesse finalmente di respirare: i suoi genitori erano lì e lo avrebbero portato in salvo.
«Ora ti tiriamo fuori di qui» disse suo padre, prendendo il suo stilo e inginocchiandosi al suo fianco. Si disegnò una runa della forza sul polso destro –era mancino come Rose- e sollevò i due massi più pesanti che gli bloccavano la gamba; poi sua madre lo prese da sotto le ascelle e lo trascinò via dalle rocce, riuscendo finalmente a liberarlo.
Will cercò di alzarsi in piedi, ma quando poggiò la gamba per terra sentì una fitta di dolore che gli mozzò il respiro. Jace gli si avvicinò e si fece passare il suo braccio attorno alle spalle per sostenerlo.
«Come va la gamba?» gli chiese.
«Non riesco a muoverla» disse Will a denti stretti. Il dolore stava iniziando a farsi sentire, era come se gli stessero battendo con un martello sul ginocchio.
Clary sfoderò il suo stilo e gli prese la mano, iniziando a tracciargli una runa sul palmo. «Hai bisogno di un iratze».
«E di una runa per il dolore» disse suo padre.
«E anche una che ti riscaldi» continuò sua madre.
«Sto bene» borbottò Will. «Sul serio. E se ce ne andiamo da qui, starò anche meglio».
«Non ce ne possiamo andare se non riesci a camminare» fece notare Jace ragionevolmente.
«Lo so, ma un iratze e una runa per il dolore possono bastare». Will allontanò la mano da quella di sua madre. «È sufficiente così, mamma».
«No» disse lei con il tono di voce che usava quando Celine ne combinava una delle sue. «Adesso stai in silenzio e ti fai disegnare quello che dico io».
Gli sollevò la manica della giacca e gli tracciò altre tre rune sull’avambraccio. Will neppure prestò attenzione a quali fossero, sapeva solo che stava pian piano iniziando a sentirsi meglio: il dolore alla gamba era quasi scomparso e non aveva più così tanto freddo.
«E ora andiamocene» disse Clary una volta terminato. «Dopo facciamo i conti, William».
Senza degnarlo di uno sguardo iniziò ad arrampicarsi con agilità sulla parete, lasciando Will e suo padre indietro.
«Sono quasi morto e lei è arrabbiata» sussurrò Will, così che solo suo padre riuscisse a sentirlo. «Non ci credo».
«Era preoccupata». Jace gli sorrise. «Ci sono passato anche io. Sai quante volte mi ha tenuto il muso perché mi sono fatto quasi uccidere?»
«Quindi tu non sei arrabbiato con me?»
«No» rispose suo padre. «Ma se fai di nuovo qualcosa di così stupido, ti chiudo nella tua camera e getto la chiave».
Will era sul punto di ribattere, ma suo padre lo precedette. «Ovviamente senza stilo. Per chi mi hai preso, un idiota?»
Will si imbronciò e stette in silenzio.
«Vi muovete o no?» urlò Clary, che era ormai arrivata in superficie. «Devo tornare giù a prendervi?»
«No!» risposero all’unisono i due uomini Herondale.
«Meglio che ci muoviamo, se non vuoi che si arrabbi ancora di più» sussurrò Jace a Will. Poi alzò la voce, rivolgendosi a Clary. «Sciogli i tuoi capelli, Raperonzolo».
Anche a sei metri di distanza era evidente che Clary lo stesse fulminando con lo sguardo e probabilmente insultando in modi indicibili.
«Grazie» disse Will. «Così le hai sicuramente migliorato l’umore».
Jace scrollò le spalle con un ghigno. «Ce la fai a camminare?».
«Credo di sì» rispose Will.
«Vai avanti tu, io ti sto dietro».
Will iniziò a scalare la parete con calma, cercando di non fare troppa pressione sulla gamba sinistra, che stava pian piano guarendo grazie agli iratze.
Una volta raggiunta la sommità, trovò sua madre seduta per terra con le ginocchia strette al petto. In quella posizione sembrava ancora più piccola.  
«Mi dispiace» le disse Will, uscendo in superficie e spazzolandosi i vestiti sporchi di polvere. «Non volevo farvi preoccupare. La roccia ha ceduto, non è stata colpa mia!»
Clary si alzò in piedi e gli puntò un dito contro al petto. Era molto più bassa di lui, ma Will doveva ammettere che incuteva comunque un certo timore. «È stata colpa vostra quando avete creduto di poter sconfiggere i Riders di Mannan da soli, ed è stata colpa tua quando hai deciso di inseguirli invece di tornare all’Istituto con George e Cath».
Will non capiva: quello era il loro lavoro. Sua madre non poteva pretendere che vivesse una vita priva di rischi. «Tutto si è concluso per il meglio. Sono uno Shadowhunter, questo è ciò che facciamo».
«E se non si fosse concluso tutto per il meglio?» Clary aveva alzato la voce. «Essere uno Shadowhunter non significa essere uno sprovveduto. Non mi interessa se credi di essere lo Shadowhunter migliore della tua generazione e pensi di dover salvare il mondo. Non mi interessa, William. Devi stare più attento».
Will si sentì punto sul vivo: sapeva di essere bravo ed era pronto a rischiare tutto per uccidere quanti più demoni possibile, ma non credeva di essere lo Shadowhunter migliore della propria generazione, o uno sprovveduto, anche se a volte si rendeva conto di essere incauto.
«Non penso di dover salvare il mondo!» esclamò indignato. «E io sono attento… la maggior parte delle volte».
«Dio mio, sei tale e quale a tuo padre» sbottò Clary.
Will ammutolì. Non era la prima volta che veniva paragonato a suo padre; spesso si era sentito dire che era la copia di Jace, ma lui non ci aveva mai creduto. Forse era abile quanto lui in combattimento, ma sapeva di non avere la sua stessa mira e di non essere altrettanto divertente o affascinante. Non era facile essere il figlio di Jace Herondale, uno degli Shadowhunters più famosi degli ultimi tempi, e spesso Will non si sentiva all’altezza. Però era bravo a disegnare, magra consolazione rispetto a tutto il resto.
«Clary». Suo padre li aveva raggiunti e stava guardando sua madre con un leggero sorriso. Le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
Clary prese un respiro profondo. «In realtà la colpa è tua. Lo sai, vero?»
Jace alzò un sopracciglio divertito. «Ah sì, e in che modo sarebbe colpa mia?»
«I nostri figli hanno ereditato la tua impulsività e la tua imprudenza» spiegò lei.
«Non mi pare che tu sia tanto più prudente di me, Fray. Dovresti ringraziarmi per aver tramandato loro il mio bell’aspetto» scherzò lui, ma Clary non stava ridendo; continuava a osservarlo con espressione seria.
«D’accordo». Jace sospirò e le passò un braccio attorno alle spalle, dandole un bacio sulla tempia. Poi allungò l’altro braccio verso Will. «Vieni qui, Will».
Will mugugnò una magra protesta, ma qualcosa nello sguardo di suo padre lo mise a tacere. Si avvicinò ai suoi genitori e si fece abbracciare da entrambi.
«Mi dispiace» disse di nuovo, permettendo loro di stringerlo e di assicurarsi che stesse bene.
«Quel che è fatto è fatto ormai» disse Clary, allontanandosi leggermente e asciugandosi le guance con le mani. «Ma se fai di nuovo qualcosa del genere, ti butto via tutte le matite colorate».
Will alzò gli occhi al cielo. «Chiuso in una stanza senza matite e senza stilo. Non pensate di essere un po’ troppo duri con me?»
Suo padre gli diede una pacca sulla schiena. «Se questo serve a non farti ammazzare, no, non siamo troppo duri. E potrei anche aggiungere che ti obbligherei a imparare a suonare il piano».
Will rabbrividì. Per quanto gli sarebbe piaciuto suonare uno strumento, era consapevole di essere completamente negato, con un misero senso del ritmo. «Insegnare a me come suonare il pianoforte sarebbe un insulto a Vivaldi».
«Vivaldi non era un pianista» fece notare Jace.
«Ecco, appunto».
Lasciarono perdere il discorso con una risata, e tornarono all’Istituto. Will raccontò loro tutto quello che era successo quella mattina, di come gli fosse venuta in mente la runa, di come avesse capito la sua funzione e di come avessero deciso di cogliere i Riders di sorpresa. Quando arrivò alla parte in cui aveva ucciso Delan sua madre sbiancò e si chiuse in un ostinato silenzio.
«Wow» sussurrò suo padre. «Lo hai proprio ucciso?»
Si vedeva che anche lui era turbato e Will si rendeva conto della gravità di ciò che aveva fatto, ma non gli importava: se non lo avesse ucciso, Cath sarebbe morta, e con lei anche parte dell’anima di George. Will non poteva permetterlo.
«Sì» rispose. «L’ho ucciso grazie alla runa che ho creato».
«No, no» disse Jace con un sorriso. «Lo hai ucciso perché sei bravo. Sei il degno figlio di tuo padre».
Will arrossì senza riuscire a rispondere, perché tutto ciò che desiderava era che suo padre fosse fiero di lui. Non glielo diceva spesso, ma quando lo faceva riusciva a migliorargli l’umore per almeno una settimana.
L’Istituto si ergeva ormai davanti a loro e Will riusciva a intravedere delle persone sul portico davanti all’ingresso: si trattava di Kit, Ty e Holly. Kit era seduto per terra con Holly seduta tra le sue gambe, mentre Ty stava davanti a loro con un libro aperto tra le mani.
Sarebbe stato un quadretto molto carino, se solo Holly non fosse stata in lacrime. Will salì le scale di corsa e si avvicinò loro titubante, cercando di capire che cosa stesse succedendo. I suoi genitori lo imitarono, anche loro incuriositi.
«Questo è un giglio» stava dicendo Ty, mostrando a Holly un fiore bianco. «Lilium, in realtà».
Holly tirò su con il naso. «Voglio mia sorella».
«Rose è con i tuoi genitori adesso» rispose Kit con gentilezza. «Guarda qui, invece. Questa è un’iris».
«Una viola» lo corresse Ty a bassa voce.
«Cioè, una viola» si affrettò a ripetere Kit. «Visto? È viola e si chiama… viola. Wow».
Holly si stropicciò un occhio con una mano e poi si girò verso Kit. «Voglio andare da mia sorella, per favore, per favore».
«Ehi» li salutò Will. «Tutto bene?»
«Will!» Holly si tirò su in piedi e gli corse incontro. Gli allacciò le braccia attorno alla vita e gli premette il viso contro allo stomaco. «Anche tu vuoi vedere Rose, vero? Fammi venire con te, ti prego, per favore».
«Certo, Holly. Scommetto che ora è impegnata con i vostri genitori, ma non appena avrà finito ti prometto che andremo a giocare con lei». Will le accarezzò i capelli. Poi incrociò lo sguardo di Kit e gli si congelò il sangue nelle vene, perché Kit stava scuotendo il capo nella sua direzione con espressione grave.
«Cos’è successo?» chiese Will. La sua voce suonava distante alle sue stesse orecchie. «Dov’è Rose?»
«L’ho vista» disse Holly, allontanandosi da lui e guardandolo con gli occhi pieni di lacrime. «Sembrava morta».
Will si voltò, alla ricerca di sua madre. Lei gli aveva detto…
«Mi avevi detto che Rose stava bene!» Non era stata sua intenzione urlare, ma lo aveva fatto comunque. «Cosa vuol dire che sembrava morta?»
Holly si mise a piangere ancora più forte e Will si sentì in colpa per averla fatta spaventare, ma anche lui era spaventato.
«Non capisco» sussurrò Clary, rivolgendosi poi a Jace. «Stava bene…»
«Julian e Emma l’hanno portata qui priva di sensi e Holly inavvertitamente l’ha vista» spiegò Ty. «Magnus si sta prendendo cura di lei. Sono sicuro che si rimetterà presto in sesto. Capito, Holly? Non devi preoccuparti».
Will non stette più a sentirli e corse dentro all’Istituto. Ora era tutto più chiaro: Rose aveva battuto la testa, era quello il rumore che aveva sentito nella grotta. Ed era tutta colpa sua. Sua madre aveva ragione quando diceva che era uno sprovveduto; la maggior parte delle volte non gli importava esserlo, ma quella volta aveva messo in pericolo la vita di Rose e non se lo sarebbe mai perdonato. Mai.
Salì i gradini che portavano al primo piano due per volta e si precipitò in infermeria come se avesse l’Inferno alle calcagna. Spalancò la porta e per poco non si scontrò con Julian.
«Dov’è?» chiese Will. «Sta bene? Vi prego, ditemi che sta bene».
«Magnus si sta prendendo cura di lei» sussurrò Emma.
«Ha picchiato la testa» disse Julian con aria assente. La sua giacca e le sue mani erano sporche di sangue. «Ha un trauma cranico. Non si cura con gli iratze».
Will realizzò che il sangue sulle mani di Julian doveva essere quello di Rose e si sentì male. Si sedette su uno dei lettini liberi e si passò una mano tra i capelli. Poco lontano stava Magnus, avvolto in una nube di scintille colorate e chino sul corpo inerme di Rose. Will voleva andare da lei e stringerle la mano, ma sapeva che non poteva farlo.
«Dov’è George?» chiese allora, distogliendo lo sguardo. L’odore del disinfettante e del sangue gli stava facendo venire da vomitare. «E Cath?»
«Sono nella camera di fianco a quella di Holly» rispose Emma. «Cath si riprenderà, sta dormendo».
«Anche Rose si riprenderà, vero?» chiese Will, non riuscendo a nascondere il terrore nella sua voce.
«Sì» disse Julian. «Certo che sì».
«È tutta colpa mia» sussurrò Will, facendo quasi fatica a respirare. «Sono stato io a voler inseguire i Riders, se solo…»
«Non è colpa tua, Will» sospirò Emma. Alcune ciocche di capelli le erano uscite dalla treccia e le ricadevano attorno al viso. Sembrava stanca. «Se è colpa di qualcuno è solo mia».
«Em, non iniziare» le disse Julian. «Anzi, non iniziate. Entrambi».
Emma e Will ammutolirono. Will non riusciva a darsi pace e voleva distruggere tutto ciò che gli capitava davanti. Julian, nonostante sembrasse il ritratto della calma fatta a persona, continuava a camminare avanti e indietro con le mani serrate, come se si stesse trattenendo dal tirare un pugno a qualcosa. Emma invece se ne stava immobile con le braccia conserte e la schiena appoggiata al muro.
Dopo qualche minuto anche Jace e Clary entrarono nell’infermeria, chiedendo notizie di Rose. Will non rivolse loro la parola perché ce l’aveva ancora con sua madre per non avergli detto che Rose perdeva sangue dalla testa quando era uscita dalla grotta. Sapeva che non lo avevano notato perché erano entrambi troppo preoccupati per lui e che era normale che non avessero perso tempo ad accertarsi che Rose non avesse nemmeno un capello fuori posto, cosa che lui invece avrebbe fatto. Era solo che spesso di dimenticava che non tutti erano innamorati di Rose.
«Basta così» sbottò Magnus, voltandosi verso di loro infastidito. Nonostante avesse l’aspetto di un adolescente, possedeva una serietà e un’autorità che mettevano in soggezione Will anche a distanza di tempo. Mosse una mano nella loro direzione e delle scintille spruzzarono dalle sue dita. «Ho bisogno di concentrazione. E di silenzio. Quindi tutti fuori, sciò».
Julian lo fulminò con lo sguardo e Will temette potesse davvero incenerirlo con la sola forza del pensiero. «Se credi di potermi dire che cosa fare nel mio Istituto quando mia figlia sta male…»
«Jules». Emma gli si avvicinò e lo prese per il braccio, intrecciando le dita alle sue. «Magnus ha ragione, lo stiamo deconcentrando e basta. Dovremmo andare da Holly, l’abbiamo fatta spaventare prima».
Julian la guardò e la sua espressione si addolcì. «È vero, povera bambina».
Lasciarono tutti l’infermeria, permettendo così a Magnus di lavorare con più tranquillità, e Will decise di raggiungere George. Sentiva il bisogno fisico di parlare con lui, di guardarlo negli occhi e di confessargli tutte le proprie preoccupazioni nella speranza che lo avrebbe tranquillizzato come solo lui era in grado di fare.
Bussò alla porta un paio di volte e rimase in attesa, il cuore che batteva così forte che era certo che tutti potessero sentirlo.
Dopo pochi secondi George comparve sulla soglia, i capelli scompigliati e gli occhi arrossati. Si era tolto la giacca della tenuta da combattimento e indossava una maglietta nera a maniche corte.
«William» sussurrò George con la voce spezzata, con quella fragilità che mostrava solo a lui. Si chiuse in fretta la porta alle spalle e lo abbracciò.
«L’hai salvata» disse. «Grazie, Will. Grazie, io non…».
«Non devi ringraziarmi». Will lo strinse più forte a sé, le dita che premevano nel tessuto leggero della sua maglietta. «Non devi».
Will chiuse gli occhi e poggiò la testa sulla spalla di George. Bastò la sua vicinanza per alleviare tutta l’ansia e la preoccupazione che provava per Rose. Era come se il suo parabatai si stesse facendo carico di quei sentimenti negativi senza neppure rendersene conto, Will li sentiva scivolare via da sé come acqua che si allontana dalla sorgente.
«Sei preoccupato» disse a un certo punto George, lasciandolo andare per guardarlo negli occhi. «Qualcosa non va?»
 Will fece per rispondere, ma a George era bastato incrociare il suo sguardo per capire ogni cosa. «Cos’è successo a Rose?»
Will raccontò brevemente quanto accaduto dopo che si erano separati e George ascoltò in silenzio. Man mano che Will andava avanti l’espressione di George si faceva sempre più dura; ormai aveva perso la vulnerabilità di poco prima ed era tornato il George pratico e diretto di sempre.
«Andiamo» disse, iniziando a incamminarsi verso l’infermeria.
«Non possiamo entrare» disse Will. «Magnus ha cacciato tutti».
Ma George parve non sentirlo, perché non accennò a fermarsi; al contrario, sembrava furioso mentre si dirigeva a passo veloce lungo il corridoio.
«Vi lascio da soli per dieci minuti, tu quasi affoghi e Rose si spacca la testa» stava dicendo. «Che cosa devo fare con voi due?»
Will abbassò il capo e si guardò i piedi. Desiderava solo sedersi per terra, prendersi il viso tra le mani e stare lì fino a quando Rose non si fosse svegliata.
Un piede davanti all’altro, si disse. Uno davanti all’altro, Will. Puoi farcela.
«So che sei arrabbiato con me» sussurrò. «Mi dispiace. È tutta colpa mia».
George scosse il capo. «Smettila. Non è colpa di nessuno».
Will alzò un sopracciglio nella sua direzione. «Come se tu non ti stessi incolpando per quanto accaduto a Cath».
George si bloccò e sventolò una mano nella sua direzione. «D’accordo, allora suppongo che siamo due idioti».
George stava dando le spalle alla cucina, e Will che era di fronte a lui intravide Emma e Julian seduti al tavolo con Holly. Stavano cercando di farle mangiare qualcosa, ma lei continuava a scuotere il capo. Anche i suoi genitori erano lì, in piedi davanti ai fornelli a parlare tra di loro.
«Eccovi qua». Magnus si era avvicinato a loro, facendo cenno di seguirlo.
«Come sta…» iniziò Will, entrando in cucina.
«Shh» lo zittì Magnus. «Non davanti a Holly».
«Ma…»
«Ben trovati a tutti» disse lo stregone con i suoi soliti modi pomposi. «Ho portato Rose nella sua camera. Sta dormendo».
«Posso andare da lei?» chiese Holly. «Scommetto che non si arrabbia se la sveglio».
Will non si sentiva tranquillo. Era sicuro che Magnus stesse nascondendo qualcosa perché Holly era ancora lì e non voleva spaventarla.
«No, non si arrabbierebbe» rispose Magnus con un sorriso triste. «Ma è Rose che deve decidere quando svegliarsi, non puoi svegliarla tu».
Holly ammutolì e guardò suo padre. «Cosa vuol dire? Rose non vuole svegliarsi?»
«Certo che vuole» disse Julian, accarezzandole piano i capelli. «Ha solo bisogno di un po’ di tempo».
«Perché non raggiungi Kit e Ty in biblioteca?» continuò Magnus. «Scommetto che Livia vorrebbe giocare con te».
Holly sembrò pensarci un attimo. «Poi posso andare da Rose?»
«Lasciaci parlare un attimo con Magnus e poi ci andremo tutti insieme» disse Emma. «Okay?»
«Promesso?» chiese Holly seria.
«Promesso» disse Emma, dandole un bacio sulla guancia.
Holly saltò giù dalla sedia e si avviò lentamente in biblioteca. Emma la guardò allontanarsi con una mano stretta attorno all’anello dei Blackthorn che portava al collo, poi prese con l’altra quella di Julian sotto al tavolo. Era una cosa che facevano anche i genitori di Will, darsi la mano sotto al tavolo credendo che nessuno se ne accorgesse.
«Ho curato la ferita alla testa di Rose» disse Magnus, e Will si concesse finalmente di respirare. Rose sarebbe stata bene, tutto si sarebbe sistemato. «Dovrebbe risvegliarsi».
«Che diavolo vuol dire dovrebbe risvegliarsi?» chiese Julian, lo sguardo affilato come la lama di un coltello.
«Vuol dire che non lo so» spiegò Magnus. «E che, come ho già detto, dipende da lei».
Emma emise un verso strozzato e si coprì il volto con le mani. Julian le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé, sussurrandole qualcosa all’orecchio.
Will non riusciva a collegare il cervello. Era come se il mondo attorno a lui avesse preso a girare. Uscì dalla cucina, senza sapere nemmeno lui dove stesse andando, troppo confuso per pensare lucidamente. Si ritrovò davanti alla porta di Rose senza neppure rendersene conto. Entrò, consapevole che non avrebbe dovuto, che avrebbe dovuto chiedere il permesso, ma non gli importava, voleva solo vederla.
Se ne stava sdraiata sul letto, le labbra rosse e le ciglia scure che spiccavano ancora di più sul suo viso pallido come quello di un cadavere.
Will raggiunse il letto con due falcate, sorpreso che riuscisse ancora a reggersi in piedi, e si sedette accanto a lei. Le prese una mano e intrecciò le dita alle sue, per poi chinarsi e stamparle un bacio sulla fronte. 
«Rose» la chiamò. «Devi svegliarti. Ti prego, svegliati».
Ma lei non si mosse, l’unica cosa che gli assicurava che fosse viva era il suo busto che si alzava e abbassava regolarmente quando respirava.
Will avrebbe voluto mettersi a urlare e stringerla tra le sue braccia, ma non poteva ed era così stanco di non potersi comportare nel modo in cui avrebbe voluto con lei.
Dopo qualche minuto, la porta si aprì alle sue spalle. Will si voltò di scatto, come un ladro colto con le mani nel sacco, trovando Julian e i suoi genitori sulla soglia.
Julian, che era sempre perfettamente integro e calmo in ogni situazione, aveva un’espressione distrutta sul volto. Solitamente Will si sentiva quasi intimorito dalla sua presenza, ma in quel momento, con le spalle incurvate e lo sguardo di chi era sul punto di crollare, non incuteva timore; al contrario, Will lo capiva così bene che gli venne voglia di abbracciarlo. Non che si sarebbe mai permesso di abbracciare Julian Blackthorn. Continuava a fargli paura per altri motivi.
«Will, dovremmo andare» disse piano sua madre.
«No» rispose Will indignato. «Io non vado da nessuna parte».
«Dovresti lasciare Rose con la sua famiglia» continuò suo padre.
«George torna a casa?» chiese Will, cercando di mantenere la calma.
«No» rispose Clary. «Abbiamo chiamato il papà di Cath, ma…»
«Se George non se ne va, io non me ne vado».
«William» lo riprese sua mamma. «George e Cath…»
«George e Cath stanno insieme, lo so». Will si alzò in piedi e si voltò per fronteggiarli. «E quindi? Io amo Rose tanto quando George ama Cath e non è giusto che mi costringiate a tornare a casa solo perché…»
… solo perché lei ancora non lo sa.
Will si bloccò e si morsicò la lingua, rendendosi conto di quello che aveva appena detto e imponendosi di non guardare nella direzione di Julian.
«Ecco, siete contenti?» Alzò le braccia al cielo, ormai esasperato. «L’ho finalmente detto: sono innamorato di Rose, spero che siate soddisfatti».
«Oh, Will». Sua madre aveva gli occhi lucidi e fece per aggiungere qualcosa, ma Julian la interruppe.
«Will può restare tutto il tempo che vuole» disse. «A Rose farebbe piacere».
Will incontrò il suo sguardo. Non sembrava arrabbiato, o sul punto di ucciderlo, il che era una cosa più che positiva.
«Prometto che non darò fastidio, non posso tornare a casa senza sapere se si risveglierà o no».
Julian gli sorrise. «Capisco, Will. Non devi dare spiegazioni, e di sicuro non dai alcun fastidio. Anche a Holly farebbe piacere averti qui. Le mie figlie sembrano avere entrambe un debole per te».
Will deglutì, non sapendo come prendere quell’ultima parte. Era un complimento? Una minaccia?
Sua madre gli si avvicinò e lo abbracciò, dicendogli che gli voleva bene e che era fiera di lui. Anche suo padre lo abbracciò, stringendolo forte a sé.
«Promettimi una cosa» gli sussurrò piano all’orecchio. «Appena Rose si sveglia diglielo, che sei innamorato di lei». Poi si allontanò e gli fece l’occhiolino, seguendo Clary fuori dalla stanza.
Puoi scommetterci, che glielo dico subito, pensò Will. Sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto una volta accertatosi che Rose stesse bene.
Will rimase da solo con Julian.
«Grazie» disse, leggermente a disagio. Conosceva Julian da tutta la vita e le cose tra di loro non erano sempre state così imbarazzanti. Erano cambiate quando Will aveva realizzato di amare Rose, perché aveva iniziato a sentirsi in dovere di impressionare suo padre per avere la sua approvazione, con il risultato che finiva per rendersi ridicolo la maggior parte delle volte.
Julian prese la sedia che stava davanti alla scrivania e la posizionò di fianco al letto di Rose. «Non devi ringraziarmi».
Will tornò a sedersi accanto a lei, dalla parte opposta rispetto a quella dove si era sistemato Julian.
«D’accordo» gli disse, sinceramente grato che gli permettesse di rimanere lì. «C’è qualcosa che possiamo fare adesso?»
«No» disse Julian. «Ora aspettiamo».
Will sospirò e prese di nuovo la mano di Rose, cercando di non pensare che Julian lo stava osservando. «Ora aspettiamo».

NOTE DELL'AUTRICE
Ecco qua il nuovo capitolo, spero vi piaccia!
Will è un incosciente e giustamente è stato sgridato da quella povera donna di Calry. Poverina, non le bastava Jace, no, anche Will! 
Non succede molto, è un pov Will in cui si crogiola un po' per la povera Rose che è ancora incosciente. 
Buona lettura, spero vi piaccia!
Alla prossima,
Francesca 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shadowhunters / Vai alla pagina dell'autore: FrancescaPotter