CAPITOLO
XI : REPRISE
Ancora
non lo sai
–
sibila nel frastuono delle volte
la
sibilla, quella
che
sempre più ha voglia di morire –
non
lo sospetti ancora
che
di tutti i colori il più forte
il
più indelebile
è
il colore del vuoto?
(Vittorio Sereni,
Autostrada
della Cisa)
Jimin
non voleva mentire all’amico, ma quando Taehyung durante la
cena gli
chiese all’improvviso per quale motivo continuasse ad avere
incubi, si sentì
messo con le spalle al muro. La via più semplice sarebbe
stata raccontare che
non lo sapeva e che per quanto svegliarsi ogni notte gli desse fastidio
non era
nulla che gli creava un eccessivo disagio. Ma sarebbe stato capace di
imbrogliare l’amico? Perché Jimin sapeva
esattamente qual era il motivo, fin
troppo bene. Pur sforzandosi di pensare ad altro e rimettersi in sesto,
dentro
era un disastro. Si sentiva completamente lacerato e più il
tempo passava meno
il dolore, come lui aveva invece inizialmente sperato, accennava a
passare. Al
contrario. Ogni volta che Jimin si metteva a letto e capiva che altre
ventiquattro ore erano passate senza che Yoongi-hyung gli avesse fatto
sapere
nulla di sé, la ferita si faceva sempre più
profonda. Questo non era tutto.
Come se già la mancanza di Yoongi non fosse sufficiente, in
Jimin stava
diventando sempre più forte anche un altro sentimento: il
senso di colpa. Gli
incubi erano dovuti in buona parte anche a questo, e allo stesso modo
che con
il dolore per la perdita di Yoongi, anche il senso di colpa sembrava
destinato
a diventare sempre più grande. Sebbene la compagnia del suo
migliore amico e di
Jungkook gli facessero bene e lui genuinamente si sentisse estremamente
meglio
quando si trovava con loro, sentiva comunque di non essere del tutto
sincero
con il più piccolo. Jimin poteva vedere come di giorno in
giorno il ragazzo si
facesse sempre un po’ più audace con lui e il suo
sguardo un po’ più acceso
ogni volta che lui accettava i suoi inviti. Non solo acceso, speranzoso. Lo stava facendo sperare, e
questo Jimin non riusciva a perdonarselo. Quando rifletteva sulla
situazione
cercava di mitigare il suo magone pensando a come a lui effettivamente
piacesse
trascorrere il tempo con Jungkook. Il modo in cui si comportava con lui
era
spontaneo, nulla era una bugia. Il ragazzo lo faceva davvero sentire
protetto e
era una persona estremamente piacevole con cui, così come
era sempre stato,
Jimin si sentiva in completo relax. Ma gli voleva troppo bene per
raccontarsi
che ciò fosse segno di sentimenti più profondi.
Ci aveva pensato a un certo
punto. Già quel pomeriggio di dicembre, quando erano stati
insieme dalla
mattina, si era chiesto se non potesse provare qualcosa di
più forte per il
ragazzo, ed era una domanda sincera di cui non sapeva la risposta
all’epoca.
Stava vedendo Yoongi allontanarsi e aveva pensato fosse un bene cercare
di
prenderne le distanze cercando la felicità per
sé. Che cosa aveva Jungkook che
non avrebbe potuto renderlo felice? Era indubbiamente un bellissimo
ragazzo,
era affettuoso, ci teneva davvero a lui, lo accudiva in tutti i modi.
Era
addirittura amico del suo migliore amico, un bonus notevole visto che
tutti e
tre si trovavano bene insieme e quindi non si sarebbero formate gelosie
né
Jimin avrebbe dovuto vedersi costretto a scegliere tra i due. Che cosa
aveva dunque
Jungkook che non avrebbe potuto renderlo felice? Non
è Yoongi-hyung. La risposta era questa, tutte le
volte,
devastante nella sua semplicità. Anche quando cercava di
modificare i suoi
ragionamenti, o trovare vie alternative per giungere ad
un’altra conclusione,
il punto di arrivo era sempre lo stesso. Jungkook
non è Yoongi. Lo aveva compreso perfettamente e in
modo definitivo la notte
precedente, quando era intervenuto al posto di Taehyung per farlo
calmare.
Jimin aveva ad un certo punto capito di trovarsi finalmente fuori dai
suoi
sogni, e lì per lì si era spontaneamente
abbandonato di nuovo nelle braccia
dell’altro, sperando che funzionasse, ma il suo desiderio era
rimasto inesaudito.
Si era addormentato tra le braccia di Jungkook facendo finta che
fossero quelle
di Yoongi, perché era lui di cui aveva bisogno per calmarsi.
Come poteva
dunque, sapendo che questi erano i suoi pensieri e conoscendo
perfettamente ciò
che il più piccolo provava per lui, continuare a comportarsi
così? Come poteva
essere tanto egoista? Jimin non riusciva a spiegarselo, ma non riusciva
nemmeno
a smettere di esserlo. Stava cercando troppo intensamente di trovare un
modo
per imparare a convivere con l’idea che Yoongi non lo avrebbe
mai voluto nella
sua vita come lui desiderava da non avere anche le forze di reagire di
fronte
all’amore di Jungkook. Ne aveva bisogno, in
realtà. In un modo del tutto
diverso da come aveva bisogno dell’amore di Yoongi, ma
ugualmente vivo e reale.
Il
senso di colpa però si faceva sempre più grande.
Raddoppiava quando si
accorgeva di stare vicino a una persona a cui teneva sapendo di starle
dando
segnali opposti a quelli che avrebbe dovuto ricevere. Triplicava quando
era
vicino al ragazzo mentre nel frattempo provava il bisogno di sapere
come stesse
l’altro. O quando guardando in quei suoi occhi
così sinceri invece che sentirsi
a casa continuava a sentirsi come se gli avessero tolto un braccio.
Aveva la
nausea ogni volta che rispondeva a Jungkook al cellulare e si accorgeva
che se
il suo cuore aveva sussultato al partire della suoneria era
perché aveva
sperato che fosse un’altra voce a rispondere. Nonostante
tutto questo, Jimin
continuava tuttavia a rimanere terrificato all’idea di
prendere le distanze dal
ragazzo. C’era una minuscola parte di lui che non demordeva,
e che era convinta
che prima o poi le cose sarebbero migliorate. Che prima o poi Jimin
avrebbe
accettato la lontananza di Yoongi. Che prima o poi il tempo avrebbe
sanato
tutto e tra lui e il più grande sarebbe rimasta, nella
migliore delle ipotesi,
solo una certa confidenza, ma nulla di più. Che prima o poi
Jimin avrebbe
dunque voluto andare avanti con la sua vita. In quello scenario, lo
stare con
Jungkook aveva senso. Il problema era che tutto il resto di Jimin non
la
pensava così. Era sicuro che mai avrebbe potuto ricambiare i
sentimenti del
giovane e soprattutto mai avrebbe potuto amare qualcuno come sentiva di
amare
Yoongi. Eppure quella piccola parte rimaneva lì, in un
angolo dentro di lui,
come una fiammella debole, ma ancora viva. Gli serviva, non poteva
soffocarla completamente,
altrimenti si sarebbe sentito del tutto perso. Doveva credere, anche se
solo
con un millesimo di sé stesso, che tenere Jungkook nella sua
vita potesse solo
fargli bene. Oltre al fatto, poi, che non voleva assolutamente perdere
un’altra
amicizia così importante.
C’era
infine anche un altro motivo che rendeva impossibile per Jimin
allontanare da sé Jungkook. Lo faceva sentire speciale.
Jimin non si era mai
sentito speciale nella sua vita, nemmeno quando Hoseok ci si mise di
punta e
cercò di fargli capire che persona bellissima fosse e come
la sua danza avesse
una magia tutta sua che nessun’altro al mondo sarebbe stato
capace di
riprodurre. Solo una volta ci si era sentito. Quando Yoongi lo aveva
reso
partecipe dei suoi lavori. Ogni volta che Jimin entrava nella stanza
dell’altro
e il ragazzo prendeva a parlargli di ciò che faceva, gli
mostrava ciò che
componeva e addirittura gli chiedeva dei consigli, si sentiva quasi un
eletto.
Il modo in cui Yoongi lo trattava gli faceva credere di valere davvero
qualcosa. Essere privato di una sensazione del genere, dopo averne
colto le
gioie, lo aveva messo in uno stato di agonia incredibile, quasi
astinenza e
sebbene Jungkook non riuscisse a dissetarla del tutto la metteva almeno
a
tacere per un po’. Era però naturale che la
consapevolezza di star facendo un
torto enorme a quel ragazzo fosse sempre vivo in lui. Non si stupiva se
aveva
incubi. Credeva anzi di meritarseli, erano una punizione giusta per
ciò che
stava facendo. Ciò che li rendeva ancora più
angosciosi era il fatto che adesso
stava iniziando a non distinguere più cosa fosse sogno e
cosa fosse realtà. I
ricordi avevano iniziato un pochino a riaffiorare nel corso dei giorni.
Pochi,
molto nebbiosi, ma più di una volta Jimin aveva avuto flash
improvvisi nella
mente che mostravano situazioni che lui non ricordava prima di quel
momento di
aver vissuto.
Il
primo flash era tornato esattamente una settimana prima, ovvero tre
giorni, un’ora e trentasette minuti dopo la partenza di
Yoongi. Esausto da
quella prima giornata passata ad affrontare il mondo esterno, Jimin si
era
rannicchiato per terra ai piedi del suo letto. Non aveva voglia di fare
nulla e
si era chiesto se ogni giornata sarebbe stata d’ora in avanti
così, non sapendo
ancora che dal giorno dopo sarebbero iniziati i quotidiani appuntamenti
con
Jungkook. C’era un’unica cosa che al momento avesse
voglia di fare, sentire la
voce di Yoongi. Era troppo, troppo tempo che non la riascoltava e
all’improvviso aveva capito che per quanto doloroso potesse
essere, se non lo
avesse fatto subito sarebbe impazzito. Si era alzato velocemente da
terra e
aveva preso il suo lettore cd. Lo aveva comprato l’anno prima
appositamente per
lo specifico cd che adesso stava per ascoltare. Jimin voleva che la
musica che
gli giungeva alle orecchie provenisse dalla copia fisica, quella che
Yoongi
aveva utilizzato e toccato, quella su cui aveva scritto con un
evidenziatore
nero. Voleva avere vicino quella che considerava essere una parte del
ragazzo e
non rimpiazzarla convertendola in un mp3. Così dunque adesso
Jimin era forse
l’ultima persona a Seul, se non in tutta la Corea (forse in
tutto il mondo), ad
ascoltare cd in un lettore apposito. Aprì il cassetto del
suo comodino. Eccolo
lì, riposto con cura, il mixtape di Yoongi. Non appena la
sua voce aveva preso
a scorrere bassa e fluida attraverso le cuffiette Jimin aveva chiuso
gli occhi
e sentito il suo corpo rilassarsi. Aveva anche pregato di non mettersi
a
piangere, ma non fu ascoltato. Passandosi una mano sulle guance per
asciugarsi
ecco all’improvviso un’immagine. Il muro di una
casa, sembrava la villa. Le sue
labbra vicine a un collo morbido, le mani strette ad una vita. A Jimin
era già
sembrato di aver vaghe memorie riguardo qualcuno presente con lui
durante
quella notte, ma ancora non era sicuro se provenissero da un sogno o
meno. Dal
momento che però Jungkook lo aveva riportato a casa aveva
dato per scontato
che, nel caso in cui si trattassero di ricordi veri, la persona fosse
proprio
il più giovane. Questo flash che aveva avuto ora
però era diverso. Non gli si era
mostrato come ricordo, dunque estremamente sbiadito. Piuttosto, la
scena gli
era apparsa davanti agli occhi come se stesse vivendola in quel preciso
momento.
Non era una memoria nebbiosa, era un qualcosa di cui era sicuro avesse
preso
parte in prima persona. Non ricordava di essersi aggrappato
così a Jungkook e
l’idea lo fece stare ancora peggio. Chissà
cos’altro gli aveva detto. Però
l’idea di aver riavuto un ricordo lo aveva leggermente
confortato. Il buco nero
di quelle ore pesava ancora su di lui e sebbene l’ignoranza
possa essere spesso
una benedizione, Jimin sentiva che non era questo il caso. Dopo questo
primo
episodio, altre volte Jimin aveva riottenuto qualche frammento
più vivido di
ciò che era accaduto mentre era ubriaco e febbricitante.
Ricordava una camicia
bianca. Un cellulare abbandonato per terra. Aveva anche ricordato le
mani di
Jungkook attorno a lui che lo posavano nel letto e che poi lavoravano
con i
bottoni della sua camicia. A un certo punto erano arrivati anche dei
suoni, ma
non era sicuro a chi appartenessero. Si era poi accorto che non erano
solo
suoni, ma delle parole, delle parole roche, dette da una voce bassa.
“Sii felice”,
“Ti ringrazio”.
Quelle parole continuavano a tornare, ululate dalla
tempesta dei suoi incubi. E poi c’era stato quel “Jimin-ah”. Jimin-ah.
Jungkook non lo chiamava mai così. Quella voce…
Ma non avrebbe avuto senso.
Stava solo proiettando ciò che più desiderava.
Jimin aveva dunque presto deciso
di non dare troppo peso a questi mozziconi di memorie, angosciato dal
non
riuscire a distinguere più ciò che era vero dal
ciò che era falso. Come
spiegare però tutto questo a Taehyung?
–
Non hai nemmeno una
mezza idea?
Lo
stava fissando con
sguardo interrogativo, in attesa di una risposta, e Jimin dovette
ingegnarsi a
trovarne una. Concluse che la soluzione migliore era dire una mezza
verità. Se
avesse continuato a negare l’evidenza l’amico
avrebbe potuto insospettirsi
ancora di più e diventare più insistente.
–
Taehyungie non lo
so perché continuo a fare brutti sogni – Questa
era una bugia – Ma ovviamente
stanno diventando un problema, sono piuttosto stanco di svegliarmi
così ogni
notte – Questo era vero – Ho cercato di dargli il
meno peso possibile sperando
che smettessero, ma non è stato così –
Anche questo era in parte vero – Per
questo motivo non ne ho mai parlato prima – Questa era di
nuovo una bugia.
Aveva fatto finta di nulla solo perché sperava di poter
ingannare l’amico e
convincerlo che non ci fosse nessun problema. Non aveva voglia di
parlare. Tra
l’altro, come avrebbe potuto essere del tutto onesto con lui?
Sapeva quanto
tenesse a Jungkook e non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e
confidargli perché si sentiva colpevole nei confronti del
ragazzo. E soprattutto
perché non riusciva a smettere di comportarsi
così.
–
Ci sono problemi in
accademia? O c’è qualcos’altro che non
va? – Jimin continuava a tenere lo
sguardo basso e Taehyung volle rassicurarlo – Ascolta
Jiminie, non voglio
costringerti a dirmi nulla, è solo che sono un po’
preoccupato. Se sono qui a
parlarti ora è solo per questo. Se tu mi dici che neanche tu
sai il perché di
questi sogni allora ci credo. Se sono semplici disturbi del sonno ci
sono cose
che si possono prendere per aiutarti, andiamo in farmacia e si risolve.
Vorrei
però essere sicuro che dietro non ci siano preoccupazioni di
altro tipo. In
quel caso lo sai che con me puoi parlare, vero?
Jimin
gli prese una
mano e la strinse, sorridendogli dolcemente:
–
Lo so, Taehyungie,
lo so. Ma per il momento non c’è molto da dire,
faccio dei sogni orribili tutte
le notti e non so come farli smettere – Bugia anche questa.
Ogni volta che
mentiva all’amico Jimin provava un dolore simile a quello di
un piccolo spillo
che ti si pianta nel petto – Ma non devi preoccuparti troppo,
va bene? Se
sembro strano… è solo perché la notte
non dormo bene. Ma hai ragione tu, forse
dovrei prendere qualcosa. Prima però vorrei aspettare un
altro po’, magari
passano da soli in modo naturale senza che io inizi a prendere nulla.
Ma se
dovessero continuare prometto di intervenire, affare fatto?
–
Mi sembra un buon
compromesso, si. Io voglio solo che tu stia bene Jiminie.
Jimin
annuì come a
dire che lo sapeva e strizzando di nuovo la mano di Taehyung finalmente
gliela
lasciò per prendere le sue bacchette. Sperò che
l’argomento fosse chiuso lì.
C’era tuttavia un altro punto che premeva a Taehyung, ancora
più delicato,
tanto che il ragazzo decise di prenderlo incredibilmente alla larga:
–
Oggi gli hyung sono
tornati dalla loro vacanza.
–
Si, lo so. Sono
stati bene?
–
Non lo so, non li
ho ancora sentiti, ma credo lo farò domani. Sai, pensavo che
se qui vengono
davvero a fare i lavori potrebbe diventare difficile studiare e quindi
mi era
venuto in mente di chiedere a Jin-hyung se potevo usufruire del loro
salotto
per stare un po’ più in tranquillità.
Magari anche Kookie vuole unirsi. Le
giornate sono corte e è meno deprimente studiare al
calduccio in casa piuttosto
che in una biblioteca da cui si vede solo il cielo scuro.
–
Mi sembra una buona
idea – disse Jimin senza particolare enfasi.
–
Potresti venire
anche tu per allenarti con Hoseok-hyung.
Jimin
ebbe un attimo
di esitazione:
–
Io… si, ovvio,
anche se ultimamente non ci sono coreografie urgenti su cui sto
lavorando per
cui credo che la palestra dell’accademia vada benissimo.
Taehyung
annuì
soltanto, continuando a far muovere le valvole del cervello per trovare
il modo
di agganciarsi a ciò di cui voleva parlare. Forse ci aveva
girato attorno un
po’ troppo.
–
Comunque sia –
disse dopo qualche istante, mescolando con le bacchette il riso e le
uova nella
ciotola – credo che hyung mi dirà di
sì. Me lo avrebbe detto di sicuro in ogni
caso, ma ancora di più questa settimana. La casa
è praticamente deserta – si
portò il cibo alla bocca fermandosi un attimo per osservare
Jimin. Gli giunse
solo un piccolo “mmh” di risposta.
Continuò – Voglio dire, lui e
Namjoonie-hyung saranno quasi sempre a lavorare allo spettacolo, e
Yoongi-hyung
non c’è, quindi non credo possa creare problemi se
noi andiamo lì il
pomeriggio.
–
Vero.
–
A proposito,
Yoongi-hyung dovrebbe tornare la prossima settimana, no?
Jimin
smise per un
momento di mangiare e guardò Taehyung negli occhi.
–
Non ero io che ero
lì quella sera – Taehyung colse una luce nel suo
sguardo, quasi di irritazione,
che però si spense subito – Insomma, me lo avete
detto voi che ha detto che
sarebbe stato via due settimane, ma non ne era sicuro, o sbaglio?
–
No, no, è vero. In
effetti non so da cosa dipenda quell’incertezza. Tu ne sai
nulla? – Taehyung si
chiese se non si stesse spingendo troppo in là e troppo in
fretta, ma aveva
davvero bisogno di sapere – Ti ha dato qualche notizia?
Jimin
sembrò a corto
di fiato per un breve istante, ma lo vide poi riprendersi subito.
–
No, non… non mi ha
detto niente.
–
Ma vi siete sentiti
recentemente? – adesso si alza e se
ne va,
pensò Taehyung. Non accadde. Jimin si riempì la
bocca di riso, scuotendo la
testa, prima di ingoiare e riprendere a parlare:
–
Non lo sento da un
po’ in effetti, da quando eravamo alla villa tutti insieme.
Tutto quello che so
è da parte di Hoseok-hyung. Però insomma, ha
dovuto prepararsi al viaggio e poi
credo abbia dovuto concentrarsi sul nuovo luogo di lavoro e immagino
sia sempre
tanto stanco. Non mi sorprende si tenga in contatto solo con
Hobi-hyung.
Probabilmente sarà molto sbrigativo anche con lui.
Quando
Taehyung gli
aveva fatto quella domanda, così diretta, Jimin si era
sentito un groppo in
gola. Aveva dunque dovuto mettersi in bocca più riso che
poteva così da avere
una scusa per ingoiare le lacrime. Aveva poi dato una risposta che lo
aveva
lasciato stupito. Avrebbe potuto semplicemente dire che no, era diverso
tempo
che non sentiva Yoongi-hyung. Si era invece sentito per qualche motivo
in
dovere di dare una spiegazione, e, soprattutto, quasi giustificare
l’altro
ragazzo. Perché non aveva semplicemente detto le cose come
stavano? Ovvero che
Yoongi da un giorno all’altro aveva preso ad ignorarlo? Era
vero, e
probabilmente a Taehyung non sarebbe mai venuto in mente di collegare
questo
fatto agli incubi, essendo all’oscuro di troppe altre cose.
Eppure non se l’era
sentita. Il pensiero di buttare la responsabilità su
Yoongi-hyung lo faceva
stare male. Il ragazzo non se lo meritava. Che male c’era se
era impegnato e
voleva, una volta arrivato stanco alla sera, sentire solamente la voce
del suo
ragazzo? Che colpa aveva Yoongi se lui era stato così idiota
da giocarsi quegli
ultimi momenti insieme con la bella idea di ubriacarsi e ricoprirsi di
ridicolo
compromettendo la sua salute e finendo bloccato a letto? Yoongi non
aveva
colpe, era lui che aveva complicato tutto con le sue stesse mani.
Lo
squillo di un
cellulare interruppe il discorso, con grande sollievo di Jimin, un
po’ meno di
Taehyung. Se lo estrasse dalla tasca con riluttanza, sapendo che non
sarebbe
probabilmente stato possibile riaprire con disinvoltura, come aveva
fatto ora,
l’argomento.
–
Pronto?... Si
certo, ricordo, nessun problema, si figuri… Ah
sì? D’accordo, a che ora?... Va
bene, perfetto. Grazie mille e buona serata.
–
Chi era?
–
Il tecnico del
riscaldamento, gli avevo dato il mio numero. Ha detto che il signor Sin
ha
acconsentito ai lavori, vengono qui a partire da dopodomani. Dovrebbero
volerci
circa quattro giorni perché dovranno lavorare su turni
brevi.
–
Sai, mi è venuta
un’idea prima Taehyungie. Visto che comunque ci
sarà tantissimo disordine in cucina,
perché non ne approfittiamo e pitturiamo le pareti come
abbiamo sempre voluto?
Potremmo farlo domenica insieme, che ne dici? È
l’unico giorno in cui ho tempo
e credo anche tu, no?
–
Si! Che bello, è
vero! Ne abbiamo parlato tante volte, in effetti questa potrebbe essere
l’occasione perfetta! – fece scorrere gli occhi
lungo le pareti bianche della
piccola cucina – Non ci saranno problemi con il padrone di
casa, vero?
–
No, perché
dovrebbero? Prima di andare via le dipingeremo di bianco di nuovo,
tante
persone lo fanno – Jimin sorrise – allora, deciso?
Domenica?
–
Domenica!
Domenica…
era il
giorno in cui Jimin avrebbe saputo se Yoongi sarebbe tornato o meno.
Così tante
volte si era chiesto cosa avrebbe fatto se il più grande
avesse deciso di
prolungare il suo soggiorno a Daegu, ma ogni volta si era poi
scrollato,
risoluto a non pensarci finché non fosse stata
più di un’ipotesi remota. Aveva
avuto una bella idea a proporre a Taehyung di trascorrere il pomeriggio
insieme
impegnati in questa attività. Lo avrebbe aiutato a distrarsi
da quella che
sarebbe potuta diventare un’orribile realtà.
16
gennaio 2017; h. 13:17
È
aperto, bene, pensò
Yoongi entrando nel piccolo negozio di libri. Aveva fatto una camminata
fino
alla piccola libreria che aveva visto in una delle passeggiate
lunghissime in
giro per Daegu che ormai erano diventate un’abitudine
nell’ultima settimana, ma
non vi era potuto entrare perché era sera ed era quindi
già chiuso. Il suo
aspetto però aveva incuriosito Yoongi, così
anacronistico nel suo stile primo
novecento europeo in quel quartiere moderno. Aveva perciò
deciso ora di provare
a tornarci, nonostante non fosse convinto di trovarlo aperto neppure
stavolta.
Si sa che le piccole attività spesso non fanno orario
continuato. Invece trovò
la porta aperta e l’acchiappasogni appeso sopra la porta gli
dette il benvenuto
con il suo tintinnio. Salutò con un cenno della testa
l’uomo di mezza età
seduto dietro il bancone della cassa e iniziò a rovistare
tra gli scaffali. Non
cercava qualcosa in particolare, voleva solamente una lettura
interessante che
lo aiutasse con la noia. Aveva troppo tempo libero e non sapeva davvero
cosa
farsene, ma d’altro canto non poteva chiamare o mandare
messaggi continuamente
a Hoseok né tantomeno chiedergli di andare a trovarlo anche
solo per un paio di
giorni. Nessuno dei suoi amici a Seul sapeva infatti la
verità, Hoseok
compreso. A tutti loro aveva detto che l’etichetta
discografica in cui era
praticante aveva bisogno di lui nella sede di Daegu, perché
lì si sarebbero
svolte delle attività che avevano piacere seguisse da vicino
così che potesse
imparare a gestirle. Aveva poi detto che la durata di questo soggiorno
sarebbe
stata di due settimane, ma senza esserne sicuro poiché
potevano sempre
verificarsi cambiamenti in corso d’opera. Tranne che sulla
durata del suo
viaggio e sul fatto che non fosse convinto della data di ritorno, su
tutto il
resto aveva mentito. Aveva tantissimo tempo libero ora
perché in realtà non era
tornato a Daegu su richiesta dell’etichetta discografica. Era
tornato a Daegu
solamente perché voleva allontanarsi da Seul velocemente
prima che potesse
combinare un disastro irreparabile, e al momento viveva nella sua casa
d’infanzia insieme ai genitori, in attesa che qualcosa, non
sapeva nemmeno lui
cosa, gli indicasse il cammino da intraprendere. Soprattutto, in attesa
che il
dolore passasse.
Yoongi
ci aveva provato.
Ci aveva davvero provato ad accettare l’idea di farsi da
parte. Aveva però ben
presto capito che non avrebbe potuto continuare a lungo ad avere Jimin
davanti
agli occhi. Glielo aveva fatto capire quello scatto d’ira e
gelosia, quando si
era rivolto al più piccolo in modo così freddo.
Non voleva ferirlo, e aveva
dovuto trovare il modo di sottrarsi a questo rischio. C’era
un’altra persona
inoltre che Yoongi non voleva ferire: sé stesso. Non solo
ferire Jimin lo
feriva a sua volta, ma anche il solo vederlo era per lui troppo
doloroso. Aveva
pensato di poter rimanere in un angolino in disparte, ma se
già il solo
pensiero di Jimin e Jungkook insieme gli faceva vedere rosso, non
riusciva
neppure a immaginare cosa avrebbe potuto provare a vederli
effettivamente
insieme. Era pericolosa, la situazione in cui si trovava. Yoongi voleva
allontanarsene perché non riusciva a immaginare come avrebbe
potuto evitare di
rimanerne del tutto distrutto se avesse continuato a starci in mezzo.
Era
sempre stato certo che Jimin amasse i loro momenti insieme, sapeva che
li
attendeva, e non riusciva a sopportare il pensiero che invece adesso
trovandosi
in sua compagnia il ragazzo pensasse al momento di ritornare da un
altro, magari
già mettendosi a pensare cosa avrebbero fatto a cena
o… dopo. La sua mente, come
sempre, volava, viaggiando a una velocità eccessiva che in
qualche modo andava
frenata. Quando si era accorto di sentirsi inghiottito completamente da
una
tromba d’aria di pensieri che non riusciva più a
controllare, si era convinto
che la decisione che aveva maturato pochi giorni prima fosse quella
giusta.
Andarsene prima che tutto degenerasse e l’onda
d’urto investisse non solo lui,
ma anche le persone attorno a lui. Aveva dunque chiesto un permesso di
quindici
giorni all’etichetta dove lavorava. Essendo un praticante, le
cose sarebbero
andate avanti anche senza di lui, senza contare che il periodo dopo le
vacanze
di Natale era sempre un tempo piuttosto morto ed infatti non aveva
avuto
problemi ad ottenerlo. Sapeva però che quello era il massimo
che potesse
chiedere, non gli avrebbero dato di più per il momento. Quei
quindici giorni
erano quindi fondamentali per lui, perché avrebbe dovuto
capire che cosa fare.
Sperava che la pausa potesse aiutarlo a fare chiarezza nella sua mente
e decidere
così, allo scadere delle due settimane, quale fosse la
scelta migliore.
Rimanere lì ancora, magari lasciando il lavoro e cercandone
un altro
provvisorio finché non si fosse sentito pronto a tornare a
Seul, oppure
immergersi di nuovo nei problemi della sua vita nella capitale. Al
momento la
prima soluzione gli sembrava quella più appetibile,
procrastinare,
possibilmente dimenticare. Ma non era nemmeno così ingenuo
da non rendersi
conto delle difficoltà legate a una tale scelta. Non era una
cosa da nulla
lasciare tutto all’improvviso e ristabilirsi a Daegu, anche
fosse stato solo
per qualche altro mese. Ecco perché sperava che in qualche
modo queste due
settimane potessero offrirgli una qualche illuminazione. In che modo,
non lo
sapeva ancora, ma ci sperava.
E
invece non stavano servendo, o almeno molto meno di ciò
che aveva creduto all’inizio. Erano passati già
dieci giorni dalla sua partenza
e mancava meno di una settimana prima che il tempo che gli era stato
concesso
dall’etichetta scadesse. Non poteva davvero dire di sentirsi
meno confuso.
Aveva creduto che scappando, isolandosi, creando un muro di silenzio
tra lui e
Jimin e ponendo chilometri di distanza tra loro sarebbe in qualche modo
riuscito a quietare la sua mente. Invece il dolore non stava andando da
nessuna
parte. Ciò che pensava riguardo a tutta la situazione quando
si era messo su
quel treno, riguardo alle sue colpe nel crearla, riguardo le sue
difficoltà
nello gestirla, era rimasto invariato. Continuava a stare male e
continuava a
non sapere come avrebbe potuto affrontare Jimin e il suo rapporto con
lui se
fosse mai rientrato a Seul. Le giornate passavano pigre, dormiva fino a
tardi,
scendeva per mangiare, cercava il più possibile di evitare
le domande dei
genitori. Forse davvero l’unica soluzione possibile era
rimanersene un altro
po’ a Daegu per ritrovare sé stesso e uscire da
tutta questa situazione. Era
evidente che non c’era modo di sfuggire al dolore e tornando
a Seul questo
sarebbe stato solamente amplificato. Eppure, mentre continuava a
ripetersi
questa cosa, un paio di sere prima, mentre si trovava su un ponte,
appoggiato a
braccia conserte al parapetto osservando il fiume sottostante, qualcosa
aveva
iniziato a disturbarlo. Ritrovare sé stesso, voleva
ritrovare sé stesso. Cosa
significava? Essere sé stesso voleva dire rimanere illeso da
tutto? Ritornare
alla condizione in cui era prima di arrivare a Seul? Far finta che
quegli anni
non fossero passati? Fingere di non aver mai conosciuto le persone che
gli
erano state vicine? Essere di nuovo una tabula rasa, come il giorno in
cui era
nato, quello significava essere sé stesso? Aveva sempre
creduto che sì, meno si
fosse fatto contagiare dagli avvenimenti del mondo più
sarebbe stato capace di
rimanere per la sua strada, e per far ciò aveva sempre,
anche senza rendersene
conto, sacrificato tante altre cose. Per la prima volta però
in tutta la sua
vita, adesso stava pensando di mettere in discussione questo suo principio.
Nonostante
avesse fatto del suo meglio per isolarsi in
quel periodo, scrivendo solo ogni tanto poche righe a Hoseok per
tenerlo
tranquillo e non attirare troppa attenzione, gli sembrava di non
riuscire come
al solito a staccarsi di dosso ciò che si era lasciato alle
spalle. Non un
giorno era passato senza che lui non avesse pensato non soltanto ad
Hoseok e
Jimin – non era stupito ovviamente di sentire la loro di
mancanza – ma anche ad
ognuno degli altri ragazzi. Mentre aiutava la madre a cucinare sentiva
nelle
orecchie la voce chiara di Jin. Quando rientrava a casa per qualche
assurdo motivo
si aspettava sempre di trovare Namjoon steso sul divano, a leggere un
libro o
ad ascoltare della musica. Quando vedeva il tramonto, con le sue luci e
i suoi
colori, non riusciva a non pensare a Taehyung, che sapeva amare i
tramonti e che
appena ne vedeva uno che lo emozionava particolarmente non perdeva
tempo a
scattargli una foto da aggiungere alla sua collezione. Perfino Jungkook
gli
veniva spesso in mente, quando passando in rassegna i canali televisivi
la sera
si imbatteva in un film che non aveva mai visto, ma sapeva essere
famoso e
immaginava come il più piccolo, con il suo solito modo un
po’ impertinente, lo
avrebbe preso in giro. Questi ragazzi continuavano ad essere con lui
tutto il
tempo e si sentiva senza scampo. Quando se ne era accorto si era
però anche
iniziato a chiedere che scampo ci fosse da trovare. Era davvero questo
da cui
doveva trarsi in salvo? Dai ricordi delle persone che avevano reso la
sua vita
a Seul più bella, più piena, più
sensata? Come poteva trattarli come se fossero
loro stessi il problema? Perché non erano loro il problema.
Non lo era Jimin,
non lo era Jungkook. Non lo è
nessuno
tranne che la mia fottuta paura di avvicinarmi alle persone e farle
avvicinare
a me. Se non fosse stato così chiuso,
così guardingo come sempre, forse si
sarebbe accorto prima dei suoi sentimenti per Jimin e forse avrebbe
anche
trovato il modo per farsi ricambiare dal ragazzo, aprendoglisi di
più,
lasciandogli uno spiraglio aperto. Era stato un comportamento stupido e
la cosa
che lo rendeva ancora più stupido era il fatto che si era
anche rivelato
inutile. In un modo o nell’altro, a un certo punto, non
soltanto Jimin, ma
anche ognuno di quei ragazzi gli era comunque entrato dentro. Erano
passati
sotto la sua corazza silenziosamente mentre lui credeva ancora di avere
le
redini del gioco in mano, di aver deciso di aprire la porta per farli
entrare
appena, ma essere ancora perfettamente in grado di scegliere quando
richiuderla. Era quello che credeva di fare partendo: chiuderla. Invece
no, non
aveva più nessun tipo di controllo, perché ormai
queste persone erano diventate
qualcosa di più di una semplice presenza nella sua vita a
cui lui dava il
permesso di rimanere. Avevano preso casa dentro di lui e avevano deciso
di non
andarsene. Questa cosa lo metteva incredibilmente in crisi,
perché sentiva
adesso di aver forse preso la scelta sbagliata a comprare quel dannato
biglietto. Aveva assecondato come sempre i suoi timori, credendo di
poter fare
ciò che aveva sempre fatto, mettere dei confini tra lui e il
resto del mondo,
ma si stava sempre più rendendo conto che in questo caso non
era possibile.
Come aveva potuto pensare che lo sarebbe stato? Come aveva potuto
trattare
Jimin come uno qualsiasi? Come poteva non averlo capito prima, che nel
suo caso
i suoi soliti stupidi metodi per difendersi non potevano funzionare?
Non era
una persona a cui poteva semplicemente voltare le spalle. Tutto ciò che aveva a Seul non
era qualcosa a cui poteva voltare le
spalle, perché se anche avesse provato a farlo sarebbe lo
stesso tornato a
prenderlo. Dunque se fosse tornato a prenderlo, continuando a
perseguitarlo per
sempre, e se il dolore era destinato a rimanere lì,
stanziato in lui come una
vedetta fin troppo solerte, che senso aveva a questo punto soffrire da
solo? Yoongi
in quel momento aveva pensato che se avesse dovuto continuare a star
male,
tanto valeva tornare a star male nel posto dove stava meglio.
Mentre
scorreva i titoli scritti sulle costine
impolverate dei libri si chiese se fosse il caso di mandare un
messaggio a
Namjoon per chiedere un consiglio, per poi rispondersi che no, non era
probabilmente il caso. Ecco di nuovo, il bisogno dei suoi amici. Come
quella
sera di due giorni prima in cui aveva finalmente realizzato tutto
ciò, ovvero
che nessuna distanza fisica sarebbe mai stata sufficiente a slegarlo da
queste
persone. Appoggiato al parapetto del ponte a un certo punto si era
sentito solo,
tanto solo, troppo. Di ciò che stava vivendo al momento, dei
suoi sentimenti
per Jimin, dei veri motivi per cui era voluto fuggire da Seul, non era
riuscito
a parlare neppure con il suo migliore amico e dunque adesso si stava
sentendo estremamente
isolato. E proprio in quel momento, con lo stomaco contratto e mentre
si
sentiva solo come non mai nella sua vita, i volti di tutti e sei i
ragazzi
avevano preso a sfilargli davanti agli occhi. E aveva sentito la morsa
della
solitudine allentare la sua presa. Li vedeva tutti chiari di fronte a
sé e
sembravano dirgli che solo non era, non lo sarebbe mai stato. Si era
sorpreso
perché aveva iniziato a comprendere che le stesse persone da
cui si stava
isolando volontariamente erano però anche le uniche che
avrebbero avuto il
potere di non farlo sentire solo. Perché lui non era solo,
quando li aveva
affianco. Adesso stava iniziando a capirlo e li voleva di nuovo vicino
a sé. Voleva
tornare dalla sua famiglia. Sì, a Min Yoongi la solitudine
andava bene. Gli
andava stretta a volte, ma la accettava come parte di sé
stesso. Questa era la
regola. Ma se c’era una regola doveva esserci
un’eccezione. Occorreva
un’eccezione. Questi ragazzi
erano la sua. Non poteva nascondersi da loro perché da
alcuni affetti
semplicemente non si può scappare. Non è giusto
scappare. E ciò che aveva fatto
non era giusto. Nei confronti di nessuno, né sé
stesso né loro. Aveva mentito,
li aveva abbandonati da un giorno all’altro. Come aveva
potuto? La sua vita era
cambiata grazie a questi ragazzi, tutto ciò che aveva
adesso, ciò che era
adesso, era anche merito loro. Aveva
pensato a tutto quello che ognuno aveva fatto per lui. Tutti
in un modo
o nell’altro lo avevano accolto, lui che era così
strano e così difficile da
gestire. Jin,
subito così disponibile e che non
aveva esitato ad offrirgli la sua stessa casa. Namjoon, che si era
subito
fidato di lui e anche se l’interesse artistico tra loro era
reciproco era stato
il primo a considerarlo davvero un amico, chiedendogli consigli e
mostrandogli
ciò che creava (cosa che Yoongi invece non aveva mai
ricambiato e un po’ di
senso di colpa aveva fatto capolino). Anche i più piccini,
Taehyung e Jungkook,
erano stati sempre e solo gentilissimi e pazienti con lui, e
pensò a come sarebbe
potuto essere uno hyung migliore per loro. Con Taehyung se la prendeva
sempre,
mentre Jungkook… chissà, forse se gli avesse
prestato più attenzione avrebbe
anche potuto comprendere meglio la situazione. Inutile
poi enumerare tutto ciò che Hoseok aveva fatto
per lui durante la sua vita. Inutile anche cercare di spiegare quanto
avesse
significato l’amicizia di Jimin, averlo accanto tutto quel
tempo, a sostenerlo,
supportarlo. Eppure, nonostante queste realizzazioni, nonostante Yoongi
avesse
capito di aver bisogno di tornare ad avere questi ragazzi nella sua
vita ciò
non lo aveva comunque aiutato a capire cosa avrebbe dovuto fare se
avesse mai
deciso di tornare a Seul. Va bene, la sua vita nella capitale gli
mancava, ma
come avrebbe potuto risolvere i problemi che vi aveva lasciato? Come
doveva
comportarsi nei confronti di Jimin? Non sapeva da che parte cominciare.
Avevano
un rapporto speciale che stava mandando in malora e anche una persona
chiusa e
introversa come lui si rendeva conto di quanto poco senso tutto
ciò avesse,
esattamente come non aveva senso escludere tutti gli altri ragazzi
dalla sua
vita. È vero, non voleva soffrire, ma come aveva
già capito la sua permanenza a
Daegu non stava aiutando a lenire il dolore quindi non era la
soluzione. Ma se
fosse tornato a Seul, a casa, quali passi avrebbe dovuto compiere per
stare
meglio? Come avrebbe potuto scappare dalla sofferenza che sapeva lo
aspettava?
Questa cosa gli faceva paura, andare ad affrontare consapevolmente
qualcosa che
sapeva lo avrebbe fatto star male. Oltre al fatto che non si fidava di
sé
stesso, continuava a temere di ferire Jimin se mai si fosse trovato in
uno dei
suoi momenti no. Dunque, come poteva fare ad evitare tutto
ciò? Soffrire, far
soffrire? Qual era la soluzione, quale era il passo giusto che gli
avrebbe
permesso di porre fine a quel dolore e sistemare la situazione? Andare
lontano
da Seul, come aveva visto, non lo era. Ma ignorare Jimin nemmeno.
Cambiare
città, girare il volto da un’altra
parte…
pensava sempre a come evitare qualcosa.
Possibile che l’unica cosa che fosse in grado di fare era
scappare? Possibile
che appena aveva paura si tirava indietro? Jimin meritava di
più. Molto di più.
Quello che avevano meritava di più. Spezzare quel legame
così dal nulla, fare
finta che non fosse mai esistito… Chi lo diceva che era la
cosa migliore per
Jimin? Chi gli dava il diritto di far questa scelta per lui? Seppure
mossa
dalle più buone intenzioni, questa sua fuga per quanto ne
sapeva poteva aver
fatto male a Jimin esattamente come le parole che gli aveva rivolto. In
effetti, in entrambi i casi, aveva trattato il ragazzo peggio di come
avrebbe
meritato. Non lo aveva salutato. Non gli aveva scritto. Jimin era parte
della
sua vita da anni e anche se lui aveva accettato l’idea che
forse non ne avrebbe
più fatto parte come prima, rimaneva il fatto che Yoongi era
parte a sua volta
della vita di Jimin. Lui non sapeva il posto che il ragazzo gli avrebbe
riservato, anche durante la sua relazione con Jungkook. La
verità era che con
questa fuga Yoongi non stava facendo un favore a nessun’altro
se non a sé
stesso. Stava solo assecondando il suo bisogno di fuggire e tornare al
sicuro.
Affrontare tutto, nonostante il dolore. Questo avrebbe dovuto fare. Era
la
terza via che ancora non aveva provato. Aveva cercato di far finta che
Jimin
non esistesse. Aveva cercato di far finta che la sua vita a Seul non
esistesse.
Inutile. Era tempo di scegliere l’opzione di cui era
più spaventato, quella che
forse lo avrebbe lasciato con più ammostature di tutte, ma
era l’unica che gli
avrebbe forse ridato il coraggio di guardarsi allo specchio sentendosi
in pace
con sé stesso.
Prendendo
un libro dalla copertina rossa e cercando di
concentrarsi sulla trama sbiadita, Yoongi sbuffò
leggermente. Erano un paio di
giorni ormai che faceva i conti con questi pensieri. Va bene, fuggire
per
sempre non era un’opzione, ma continuava lo stesso a sentirsi
paralizzato. Che
cosa avrebbe dovuto fare una volta tornato? Che cosa avrebbe dovuto
dire? Con
chi avrebbe dovuto parlare? Non sapeva da dove iniziare. Va bene, affrontare, ma in che modo esattamente?
Yoongi sentiva di non essere bravo nei rapporti interpersonali. Tutte
le
persone a cui era legato erano tali o perché avevano fatto
loro il primo passo
o perché semplicemente una serie di cause aveva portato alla
situazione
presente. Yoongi non aveva mai effettivamente lavorato per costruire
un’amicizia. Gli erano sempre andati incontro tutti. Un
movimento alla sua
destra lo colpì, come se fosse passata un’ombra di
corsa. Guardò in quella
direzione e vide che c’era un’altra piccola saletta
piena di libri. Per qualche
motivo se ne sentì incuriosito e volendo anche capire se
iniziava ad avere le
allucinazioni o meno, vi entrò passando attraverso la
piccola volta di pietra
che faceva da ingresso. Era effettivamente un’altra stanza
della libreria. Le
scaffalature giravano tutte in tondo ai tre lati della stanza e ce ne
era poi
un’altra proprio nel centro, a dividere l’intera
sala in due parti. A Yoongi
per qualche motivo vennero in mente le navate di una chiesa, forse per
via
dell’architettura, forse per l’aura di
sacralità che i luoghi pieni di libri
hanno per alcune persone. Notò nella parte sinistra della
sala due bambini che
si stavano dirigendo verso il fondo. Non aveva visto un fantasma, erano
loro
l’ombra che aveva attirato la sua attenzione. Yoongi
seguì il loro
trotterellare senza riuscire a trattenere un sorriso. Non avevano
probabilmente
più di quattro o cinque anni, i faccini paffuti e i
corpicini che ancora
avevano intatte tutte le rotondità dell’infanzia,
e sembravano ancora più
piccoli ai piedi degli alti scaffali pieni di libri. Si fermarono
proprio
nell’angolo più remoto, che collegava la
scaffalatura del muro sinistro a
quella appoggiata alla parete che dava dirimpetto a quella
dell’ingresso. Si
accoccolarono seduti lì e presero a confabulare. Yoongi
decise di non
disturbarli, ma era interessato a questa parte della libreria, dove i
volumi
sembravano essere ancora più vecchi. Per non dare
nell’occhio, si spostò in
punta di piedi nella parte destra e sempre cercando di fare il minor
rumore
possibile prese a camminare anche lui verso il fondo della sala,
protetto dalla
vista dei bambini dalla scaffalatura centrale. I bambini presero ad un
certo
punto a parlare leggermente più ad alta voce e i loro
discorsi giunsero così
alle orecchie di Yoongi:
–
Adesso io ti ho detto il mio segreto. Tu devi dimmi uno
tuo.
–
No, no, non posso.
–
Si, devi dimmelo. Se dici un segreto poi devi…
Pecché
tu devi dire quando io ti dico un segreto uno tuo di segreto.
–
Ma io non te lo voglio dire il mio segreto.
–
Allora non siamo più amicci.
–
Pecché? – Il bimbo che chiaramente non ci teneva a
condividere le sue informazioni più intime era
sull’orlo delle lacrime. Yoongi
non poté fare a meno di simpatizzare con lui –
Pecchè non siamo amicci?
–
Pecchè se io sono amico tuo dico il segreto a te e se
tu sei amico mio mi dici il tuo a me.
–
Va bene... ti dico mio segreto.
Mentre
i bambini riprendevano a confabulare di nuovo tra
loro, a Yoongi salì un groppo improvviso su per la gola. Con
gli occhi sbarrati
prese a fissare un punto a caso delle pagine che aveva aperto, le
lacrime
prossime ad uscire. Gli sembrò tutto sensato. Se
io sono tuo amico dico un segreto a te e tu ne dici uno a me.
Come
era potuto essere così stupido da non capire una cosa tanto
semplice? Non
bisognava essere esperti di amicizie o relazioni interpersonali o
psicologi di
fama mondiale per rendersi conto che ciò che doveva fare non
era nulla di
complicato. Il dialogo tra i due bimbi aveva risvegliato un ricordo in
Yoongi.
Gli aveva fatto tornare in mente la prima volta che aveva incontrato
Hoseok.
Quel
giorno uno Yoongi di sette anni si trovava come
spesso gli accadeva seduto in un angolino del cortile interno del suo
condominio, solo con le sue scarpette un po’ sporche, le sue
ginocchia
sbucciate, i suoi calzoncini corti. Era estate, faceva caldo e le
giornate
erano lunghe, per cui la mamma non aveva problemi a farlo rimanere
all’aperto
un po’ più a lungo. Il cortile poi era sicuro, non
c’era motivo di preoccuparsi.
Erano le sei e mezzo di sera, ma sembravano ancora le quattro di
pomeriggio e a
Yoongi questa cosa piaceva. Gli dava l’impressione di vivere
giornate infinite,
come se fosse in una favola. Era il motivo per cui amava
l’estate, era una
stagione magica per lui. Una leggera brezza ora si era levata e a lui
piaceva
stare lì ad assaporarla. Niente scuola, niente compiti,
nulla da fare. Poteva
dormire finché voleva. Si, l’estate era davvero un
periodo magico. Il furgone
non se ne era ancora andato. Parcheggiato in un angolo del cortile,
sembrava
non esserci mai fine a ciò che avrebbe sputato. Sedie,
tavoli, bauli. Yoongi
aveva seguito le manovre di quel trasloco fin dal giorno prima. Non
aveva molto
di meglio da fare, per cui erano due giorni che trascorreva a spiare
quello che
quegli uomini sudati in maglietta bianca e cappellino azzurro facevano
entrando
e uscendo dal grande camion. Aveva visto anche la famiglia che avrebbe
preso il
posto dei signori Choi. Era contento che finalmente se ne fossero
andati, a
Yoongi non erano mai piaciuti. Puzzavano entrambi e avevano un chiaro
odio nei
confronti dei bambini. Il nuovo nucleo familiare era invece composto da
madre,
padre, una figlia, un figlio. La bambina sembrava più grande
di lui, ma il
bambino probabilmente aveva più o meno la sua
età. Li aveva potuti osservare
poco però, i genitori evidentemente li tenevano in casa
mentre loro invece
indaffarati andavano avanti e indietro dall’appartamento, su
e giù per le
scale, dentro e fuori dal camion. Solo un attimo i loro sguardi si
erano
incrociati. Il giorno prima Yoongi stava risalendo con la mamma, dopo
essere
andato con lei a fare spesa. L’appartamento dove la nuova
famiglia si sarebbe
trasferita era nello stesso corridoio di quello della famiglia di
Yoongi, solo
tre porte a separare le due abitazioni. Camminando verso il portone di
casa
insieme alla mamma Yoongi era rimasto un attimo indietro, quando
passando
davanti all’appartamento della nuova famiglia aveva trovato
la porta aperta.
Aveva dato una sbirciata, preso dalla curiosità come tutti i
bambini. I suoi
occhi ne avevano incrociato un altro paio, che subito si era illuminato
e il
visetto ovale del bimbo di fronte a lui si era aperto in un sorriso.
Yoongi si
era spaventato, non credeva di trovare qualcuno, e timido
com’era non aveva
nemmeno ricambiato il sorriso ed era corso ad aggrapparsi alla gamba
della
mamma. Si era poi voltato, per vedere se il bimbo lo stesse seguendo,
ma no,
non lo aveva fatto, Probabilmente, esattamente come lui, aveva il
divieto di
uscire di casa. Oggi però si sentiva più
coraggioso, e ripensando all’episodio
si sentiva un pochino in colpa. Quel bambino era stato così
carino e lui non
aveva nemmeno salutato. Forse ormai non avrebbe più voluto
giocare con lui,
come già era capitato con tanti altri bambini. Perso a
guardare il cielo della
sera, aveva ad un certo punto sentito uno scalpiccio di passi nel
vialetto. Il
bimbo era lì. Camminava mano per mano alla mamma, cercando
di tenere il ritmo
nella maniera migliore che i suoi piccoli passi gli permettevano, e
nell’altra
mano teneva un piccolo mazzolino di fiori molto belli. Yoongi si
accorse che lo
aveva visto, lo vide dire qualcosa alla madre e vide lei accennare un
sì con un
sorriso. Le loro mani si staccarono e il bambino si mise a correre
verso di
lui, fermandoglisi davanti. Aveva il viso gentile e delicato,
carnagione
olivastra, più scura della sua, e corporatura esile.
Indossava un paio di
calzoncini rossi, con un paio di macchie qua e là
– forse erano stati nella
campagna vicina, Yoongi aveva visto solo il marito occuparsi di parlare
con i
signori con il berretto azzurro – e una cannottierina nera.
Yoongi lo guardò e
il bambino tenne il suo sguardo, fissandolo con occhi dolci e morbidi.
Sorrise
di nuovo e senza dire niente prese due fiorellini dal suo mazzo e
glieli porse.
Yoongi non capiva il perché di quel gesto, ma quella
condivisione così
spontanea lo aveva colpito. Tese la manina e prese i fiori da quella
dell’altro
bimbo.
–
Mi chiamo Hoseok. Questi sono i due più bei fiorellini
– disse guardandolo sempre sorridente.
–
Yoongi – anche lui aveva fatto un piccolo sorriso, ma
più timido, perché ancora si sentiva un
po’ in imbarazzo per quella gentilezza gratuita
– Grazie del regalo.
Hoseok
aveva scrollato le piccole spalle e sorriso ancora
di più. Yoongi era rimasto affascinato dalla sua
spontaneità, dal modo in cui
per lui sembrava essere facile andare da un bambino che non conosceva e
dargli
dei fiori. Yoongi non aveva molti amici, era troppo timido e troppo
chiuso, non
giocava quasi mai con nessuno. Non poterono dirsi molto di
più quel pomeriggio
perché la mamma di Hoseok lo chiamò,
riprendendogli la manina e guidandolo per
le scale verso il loro nuovo appartamento. Era stato un paio di giorni
dopo che
Yoongi lo aveva incontrato di nuovo, nel parco dietro casa, quello dove
tutti i
bimbi del quartiere andavano per giocare. Era anche quello un luogo
sicuro, e
le mamme si mettevano d’accordo a turno per controllare i
bambini. Yoongi si
trovava come sempre sull’altalena, unico gioco che gli
permettesse di rimanere
abbastanza per conto suo, quando vide arrivare Hoseok. Lo riconobbe
subito e il
suo primo istinto fu quello di andare a salutarlo. Ma poi si
bloccò subito. Si
vergognava, meglio fare finta di non averlo visto continuando a
dondolarsi.
Continuò a darsi spinte con i piedi su e giù
senza nel frattempo staccare mai
gli occhi da Hoseok. Si soprese quando vide che sembrava aver
difficoltà ad
avvicinarsi agli altri bimbi nel parco. Il suo visino non trasmetteva
la
serenità della sera in cui gli aveva regalato i fiori, ma
piuttosto
insicurezza. Aveva cercato a un certo punto di mettersi a giocare con
altri
bambini, ma loro si conoscevano tutti a vicenda e quindi dopo un
po’ lui era rimasto
escluso. Yoongi era a quel punto sceso dall’altalena. Aveva
camminato a passo
svelto e aveva in breve coperto la distanza tra lui e Hoseok. Il
bambino era di
schiena e per attirare la sua attenzione invece che chiamarlo lo prese
per una
mano. Hoseok si girò subito di scatto e appena lo riconobbe
Yoongi vide tornare
sul suo volto la stessa luce che vi aveva visto due sere prima.
–
C’è un bel posto qui, ma nessuno lo conosce. Se
vieni
con me ti faccio vedere. Ma devi promettere che non lo dici a nessuno,
è il mio
posto segreto.
Hoseok
aveva annuito e promesso, e Yoongi lo aveva così
portato con sé tenendolo per mano nel suo rifugio segreto,
il luogo dove andava
a nascondersi quando era triste, pensieroso o semplicemente voleva
starsene da
solo. Non lo aveva mai mostrato a nessuno, ma Hoseok era stato
così carino a
condividere con lui quel mazzetto di bellissimi fiori e lo aveva fatto
così
senza motivo che Yoongi aveva sentito il bisogno di ricambiare in
qualche modo.
Voleva condividere anche lui qualcosa di proprio e questa era stata
l’occasione
perfetta.
Si
asciugò le lacrime. Tutto era chiaro adesso.
La
relazione più importante che avesse mai avuto era
quella con Hoseok. Era stata anzi l’unica relazione davvero
fondamentale per
lui fino a quel momento. Il discorso, così ingenuo ma vero,
dei due bambini gli
aveva fatto ricordare un dettaglio importante. È vero,
durante la sua vita, era
stato quasi sempre Hoseok tra i due ad essere quello più
paziente, più
tollerante, più estroverso e forse aveva fatto per Yoongi
molto più di quanto
Yoongi non sentisse di aver fatto per lui. Però se la loro
amicizia aveva avuto
modo di mettere radici non era stato solamente grazie
all’estroversione di
Hoseok o dei passi che aveva continuamente fatto nella sua direzione.
La loro
amicizia era sbocciata perché aveva fatto lui stesso un
passo in avanti, e ciò
che aveva fatto dopo avergli preso la mano era stato il vero punto di
svolta:
aveva condiviso qualcosa di proprio. Era questa la differenza che
c’era tra il
rapporto che Yoongi aveva con Hoseok rispetto alle altre persone,
rispetto
anche agli altri ragazzi. A Hoseok aveva dato subito un pezzo di
sé. Se io sono tuo amico dico un
segreto a te e
tu ne dici uno a me. La reciprocità. Erano quelle
le basi fondamentali per
costruire un rapporto saldo e duraturo con un’altra persona.
E anche se poteva
essere spaventosa l’idea di mostrarsi a qualcun altro era
anche l’unico modo per
creare fiducia e complicità. Yoongi ripensò
all’altra relazione che si era
adesso reso conto essere fondamentale per lui, quella con Jimin. Era
così
diversa da quella con Hoseok, ma allo stesso tempo così
simile. Anche ciò che
aveva avuto con Jimin era non a caso nato nel momento in cui lui stesso
si era
aperto. Jimin esattamente come Hoseok tanti anni prima gli si era
avvicinato
per primo, ma lui, esattamente come aveva fatto con Hoseok, non solo
non lo
aveva allontanato, ma gli si era anche aperto, e questo non lo aveva
fatto
davvero con nessun’altro. Tornò un attimo
all’origine del suo interesse per Jimin.
Il ragazzo lo aveva subito messo a conoscenza di determinati fatti su
di sé per
poi dirgli esplicitamente ciò che pensava della sua musica.
Yoongi ricordò la
sensazione di piacere che gli era nata nel petto all’idea di
poter mostrare ciò
che aveva da dare senza aver paura di giudicato. Era proprio questa
sensazione
che lo aveva spinto ad invitare il ragazzo a passare il tempo con lui
ed
aiutarlo. Aver condiviso una parte importantissima della sua vita con
Jimin…
solo adesso si rendeva davvero conto di che ruolo fondamentale e
prezioso
avesse giocato nella costruzione del loro rapporto. Condiviso. La
chiave era
lì. Se da Jimin e da ciò che c’era
stato tra di loro non poteva scappare, se l’unico
modo per uscire da questo dolore era affrontare la situazione di petto,
avrebbe
provato ad uscirne così, lottando per continuare ad avere
almeno la sua
amicizia. Ma per far ciò doveva esporsi di più.
Doveva fare con Jimin ciò che
aveva fatto con Hoseok. Ciò che aveva già una
volta fatto con Jimin stesso. Sarebbe
ripartito da lì. Forse non avrebbe funzionato, forse Jimin
gli avrebbe chiuso
la porta in faccia, ma era una scelta che avrebbe lasciato a lui. Lui,
Min Yoongi,
per una volta nella sua vita non sarebbe stato il primo a voltare le
spalle per
scappare dal dolore, ma avrebbe provato ad affrontarlo a testa alta.
Non poteva
vivere senza Jimin esattamente come non avrebbe potuto vivere senza
Hoseok. E
ora che ci pensava senza nessuno dei ragazzi. Meritavano anche loro
qualcosa di
più dei suoi malumori e delle sue stranezze.
Comprò un paio di libri in quel
negozio, e venne a sapere che i bimbi erano il nipote del proprietario
e un suo
amichetto. Yoongi lanciò uno sguardo affettuoso in direzione
della saletta
laterale e uscì dal negozio, tanta gratitudine nel cuore.
Tornò a casa, accese
il computer e comprò un biglietto del treno. Sarebbe tornato
a Seul.
Note
dell’autrice:
Questo
capitolo forse è un casino? Avrei dovuto farlo
più lineare, ma pur avendo provato
fino alla fine a renderlo più chiaro non ci sono riuscita.
Quando si tratta di
Yoongi so sempre cosa pensa, ma non riesco mai a spiegarlo come vorrei.
Il
nostro Yoongi elabora come sempre un milione di cose e nel corso delle
sue
tortuose riflessioni giunge finalmente a due conclusioni. La prima
è che non
può scappare per sempre. Soffre e si sente solo, ma si rende
conto che
l’essersi isolato lo ha fatto sentire ancora peggio. Ha
bisogno dei cinque
ragazzi nella sua vita e soprattutto ha bisogno di Jimin e visto che la
fuga
non si è rivelata una soluzione per porre fine al suo
dolore, ha capito una
cosa arrivando alla seconda conclusione: deve affrontare il tutto e
l’unico
modo per farlo è cercare di salvare il rapporto che ha con
Jimin. Come?
Semplicemente facendo ciò che ha già fatto quando
si è trattato di fare
amicizia con Hoseok e rifare ciò aveva, inconsapevolmente,
fatto anche
all’inizio della sua relazione con Jimin. Yoongi deve
imparare ad aprirsi di
più, perché può essere doloroso, ma
può anche portare tanta gioia. Il chiudersi
d’altronde lo ha portato fin qui, quindi perché a
questo punto non scommettere
su una strada diversa?
Questo
è fondamentalmente ciò che accade nella mente di
Yoongi, detto in modo molto sbrigativo, ben più sbrigativo
delle dieci e più pagine
con cui ho cercato di farlo capire nel capitolo ahah Questa era la
parte ce mi
premeva di più far leggere. Il capitolo X si era concluso in
quel modo così
drammatico, con Yoongi che scappa da Seul, solo perché poi
avevo in mente di
smorzare l’angst già dal capitolo successivo,
mostrando subito il suo ripensamento.
Ma mi dilungo sempre e dunque si è dovuto aspettare di
più, mi dispiace.
La parte
iniziale mostra invece Jimin e Taehyung.
Esploriamo meglio ciò che il primo pensa e scopriamo che
inizia a recuperare
frammenti di memoria che potrebbero essere importanti. Vediamo il
secondo
tentare di raccogliere particolari in più e soprattutto fare
domande un tantino
più mirate. Jimin ricorderà di più?
Taehyung inizierà a far più luce su tutto
ciò che sta accadendo? Cosa farà Yoongi una volta
tornato a Seul? Qualcosa
inizierà a muoversi un pochino di più? Varie
domande che verranno affrontate
nei prossimi capitoli, continuate a seguire per favore ~ Non sono
sicura se il prossimo capitolo uscirà mercoledì
perché potrebbero esserci cause
di forza maggiore che mi impediranno di pubblicarlo quel giorno, ma
intorno a
giovedì/venerdì dovrei riuscire. Alla peggio
posto domenica, quindi comunque
l’attesa non sarà più lunga di una
settimana ^-^
Sperando che
questo capitolo sia stato di vostro
gradimento e non eccessivamente confuso, vi saluto per il momento,
ringraziando
sempre per aver letto fino a qui ♥♥
Alla prossima,
baci Elle ~