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Autore: _kookieo    12/11/2017    4 recensioni
“Quella notte qualcuno tra le nuvole lassù sembrava aver deciso di voler ricordare ai mortali il vero significato della stagione che loro definivano con il nome inverno. La temperatura aveva raggiunto i -10°, quattro gradi più sotto delle minime medie invernali per la città di Seoul. […] Non avrebbe potuto esserci un contrasto maggiore tra ciò che si stava consumando all’esterno e l’atmosfera nell’appartamento 503.” 
 
Uniti da una salda amicizia, i giovani Jin, Yoongi, Jimin, Namjoon, Hoseok, Taehyung e Jungkook trascorrono sereni la loro vita a Seoul, riempiendo l’uno le giornate dell’altro da ormai alcuni anni. Ora che la fine di dicembre si avvicina è tempo di organizzare la loro solita festa di fine anno. Ci sono però sentimenti non ancora espressi che combattono sempre più per venire alla luce e che sconvolgeranno l’alba del nuovo anno. I ragazzi dovranno imparare che quello che sembra essere un equilibrio perfetto in realtà può imprigionare e immobilizzare come ghiaccio e che se si vuol vivere davvero bisogna permettere al sole di entrare.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO XI : REPRISE

 

Ancora non lo sai

– sibila nel frastuono delle volte

la sibilla, quella

che sempre più ha voglia di morire –

non lo sospetti ancora

che di tutti i colori il più forte

il più indelebile

è il colore del vuoto?

 

(Vittorio Sereni, Autostrada della Cisa)

 

Jimin non voleva mentire all’amico, ma quando Taehyung durante la cena gli chiese all’improvviso per quale motivo continuasse ad avere incubi, si sentì messo con le spalle al muro. La via più semplice sarebbe stata raccontare che non lo sapeva e che per quanto svegliarsi ogni notte gli desse fastidio non era nulla che gli creava un eccessivo disagio. Ma sarebbe stato capace di imbrogliare l’amico? Perché Jimin sapeva esattamente qual era il motivo, fin troppo bene. Pur sforzandosi di pensare ad altro e rimettersi in sesto, dentro era un disastro. Si sentiva completamente lacerato e più il tempo passava meno il dolore, come lui aveva invece inizialmente sperato, accennava a passare. Al contrario. Ogni volta che Jimin si metteva a letto e capiva che altre ventiquattro ore erano passate senza che Yoongi-hyung gli avesse fatto sapere nulla di sé, la ferita si faceva sempre più profonda. Questo non era tutto. Come se già la mancanza di Yoongi non fosse sufficiente, in Jimin stava diventando sempre più forte anche un altro sentimento: il senso di colpa. Gli incubi erano dovuti in buona parte anche a questo, e allo stesso modo che con il dolore per la perdita di Yoongi, anche il senso di colpa sembrava destinato a diventare sempre più grande. Sebbene la compagnia del suo migliore amico e di Jungkook gli facessero bene e lui genuinamente si sentisse estremamente meglio quando si trovava con loro, sentiva comunque di non essere del tutto sincero con il più piccolo. Jimin poteva vedere come di giorno in giorno il ragazzo si facesse sempre un po’ più audace con lui e il suo sguardo un po’ più acceso ogni volta che lui accettava i suoi inviti. Non solo acceso, speranzoso. Lo stava facendo sperare, e questo Jimin non riusciva a perdonarselo. Quando rifletteva sulla situazione cercava di mitigare il suo magone pensando a come a lui effettivamente piacesse trascorrere il tempo con Jungkook. Il modo in cui si comportava con lui era spontaneo, nulla era una bugia. Il ragazzo lo faceva davvero sentire protetto e era una persona estremamente piacevole con cui, così come era sempre stato, Jimin si sentiva in completo relax. Ma gli voleva troppo bene per raccontarsi che ciò fosse segno di sentimenti più profondi. Ci aveva pensato a un certo punto. Già quel pomeriggio di dicembre, quando erano stati insieme dalla mattina, si era chiesto se non potesse provare qualcosa di più forte per il ragazzo, ed era una domanda sincera di cui non sapeva la risposta all’epoca. Stava vedendo Yoongi allontanarsi e aveva pensato fosse un bene cercare di prenderne le distanze cercando la felicità per sé. Che cosa aveva Jungkook che non avrebbe potuto renderlo felice? Era indubbiamente un bellissimo ragazzo, era affettuoso, ci teneva davvero a lui, lo accudiva in tutti i modi. Era addirittura amico del suo migliore amico, un bonus notevole visto che tutti e tre si trovavano bene insieme e quindi non si sarebbero formate gelosie né Jimin avrebbe dovuto vedersi costretto a scegliere tra i due. Che cosa aveva dunque Jungkook che non avrebbe potuto renderlo felice? Non è Yoongi-hyung. La risposta era questa, tutte le volte, devastante nella sua semplicità. Anche quando cercava di modificare i suoi ragionamenti, o trovare vie alternative per giungere ad un’altra conclusione, il punto di arrivo era sempre lo stesso. Jungkook non è Yoongi. Lo aveva compreso perfettamente e in modo definitivo la notte precedente, quando era intervenuto al posto di Taehyung per farlo calmare. Jimin aveva ad un certo punto capito di trovarsi finalmente fuori dai suoi sogni, e lì per lì si era spontaneamente abbandonato di nuovo nelle braccia dell’altro, sperando che funzionasse, ma il suo desiderio era rimasto inesaudito. Si era addormentato tra le braccia di Jungkook facendo finta che fossero quelle di Yoongi, perché era lui di cui aveva bisogno per calmarsi. Come poteva dunque, sapendo che questi erano i suoi pensieri e conoscendo perfettamente ciò che il più piccolo provava per lui, continuare a comportarsi così? Come poteva essere tanto egoista? Jimin non riusciva a spiegarselo, ma non riusciva nemmeno a smettere di esserlo. Stava cercando troppo intensamente di trovare un modo per imparare a convivere con l’idea che Yoongi non lo avrebbe mai voluto nella sua vita come lui desiderava da non avere anche le forze di reagire di fronte all’amore di Jungkook. Ne aveva bisogno, in realtà. In un modo del tutto diverso da come aveva bisogno dell’amore di Yoongi, ma ugualmente vivo e reale.

Il senso di colpa però si faceva sempre più grande. Raddoppiava quando si accorgeva di stare vicino a una persona a cui teneva sapendo di starle dando segnali opposti a quelli che avrebbe dovuto ricevere. Triplicava quando era vicino al ragazzo mentre nel frattempo provava il bisogno di sapere come stesse l’altro. O quando guardando in quei suoi occhi così sinceri invece che sentirsi a casa continuava a sentirsi come se gli avessero tolto un braccio. Aveva la nausea ogni volta che rispondeva a Jungkook al cellulare e si accorgeva che se il suo cuore aveva sussultato al partire della suoneria era perché aveva sperato che fosse un’altra voce a rispondere. Nonostante tutto questo, Jimin continuava tuttavia a rimanere terrificato all’idea di prendere le distanze dal ragazzo. C’era una minuscola parte di lui che non demordeva, e che era convinta che prima o poi le cose sarebbero migliorate. Che prima o poi Jimin avrebbe accettato la lontananza di Yoongi. Che prima o poi il tempo avrebbe sanato tutto e tra lui e il più grande sarebbe rimasta, nella migliore delle ipotesi, solo una certa confidenza, ma nulla di più. Che prima o poi Jimin avrebbe dunque voluto andare avanti con la sua vita. In quello scenario, lo stare con Jungkook aveva senso. Il problema era che tutto il resto di Jimin non la pensava così. Era sicuro che mai avrebbe potuto ricambiare i sentimenti del giovane e soprattutto mai avrebbe potuto amare qualcuno come sentiva di amare Yoongi. Eppure quella piccola parte rimaneva lì, in un angolo dentro di lui, come una fiammella debole, ma ancora viva. Gli serviva, non poteva soffocarla completamente, altrimenti si sarebbe sentito del tutto perso. Doveva credere, anche se solo con un millesimo di sé stesso, che tenere Jungkook nella sua vita potesse solo fargli bene. Oltre al fatto, poi, che non voleva assolutamente perdere un’altra amicizia così importante.

C’era infine anche un altro motivo che rendeva impossibile per Jimin allontanare da sé Jungkook. Lo faceva sentire speciale. Jimin non si era mai sentito speciale nella sua vita, nemmeno quando Hoseok ci si mise di punta e cercò di fargli capire che persona bellissima fosse e come la sua danza avesse una magia tutta sua che nessun’altro al mondo sarebbe stato capace di riprodurre. Solo una volta ci si era sentito. Quando Yoongi lo aveva reso partecipe dei suoi lavori. Ogni volta che Jimin entrava nella stanza dell’altro e il ragazzo prendeva a parlargli di ciò che faceva, gli mostrava ciò che componeva e addirittura gli chiedeva dei consigli, si sentiva quasi un eletto. Il modo in cui Yoongi lo trattava gli faceva credere di valere davvero qualcosa. Essere privato di una sensazione del genere, dopo averne colto le gioie, lo aveva messo in uno stato di agonia incredibile, quasi astinenza e sebbene Jungkook non riuscisse a dissetarla del tutto la metteva almeno a tacere per un po’. Era però naturale che la consapevolezza di star facendo un torto enorme a quel ragazzo fosse sempre vivo in lui. Non si stupiva se aveva incubi. Credeva anzi di meritarseli, erano una punizione giusta per ciò che stava facendo. Ciò che li rendeva ancora più angosciosi era il fatto che adesso stava iniziando a non distinguere più cosa fosse sogno e cosa fosse realtà. I ricordi avevano iniziato un pochino a riaffiorare nel corso dei giorni. Pochi, molto nebbiosi, ma più di una volta Jimin aveva avuto flash improvvisi nella mente che mostravano situazioni che lui non ricordava prima di quel momento di aver vissuto.

Il primo flash era tornato esattamente una settimana prima, ovvero tre giorni, un’ora e trentasette minuti dopo la partenza di Yoongi. Esausto da quella prima giornata passata ad affrontare il mondo esterno, Jimin si era rannicchiato per terra ai piedi del suo letto. Non aveva voglia di fare nulla e si era chiesto se ogni giornata sarebbe stata d’ora in avanti così, non sapendo ancora che dal giorno dopo sarebbero iniziati i quotidiani appuntamenti con Jungkook. C’era un’unica cosa che al momento avesse voglia di fare, sentire la voce di Yoongi. Era troppo, troppo tempo che non la riascoltava e all’improvviso aveva capito che per quanto doloroso potesse essere, se non lo avesse fatto subito sarebbe impazzito. Si era alzato velocemente da terra e aveva preso il suo lettore cd. Lo aveva comprato l’anno prima appositamente per lo specifico cd che adesso stava per ascoltare. Jimin voleva che la musica che gli giungeva alle orecchie provenisse dalla copia fisica, quella che Yoongi aveva utilizzato e toccato, quella su cui aveva scritto con un evidenziatore nero. Voleva avere vicino quella che considerava essere una parte del ragazzo e non rimpiazzarla convertendola in un mp3. Così dunque adesso Jimin era forse l’ultima persona a Seul, se non in tutta la Corea (forse in tutto il mondo), ad ascoltare cd in un lettore apposito. Aprì il cassetto del suo comodino. Eccolo lì, riposto con cura, il mixtape di Yoongi. Non appena la sua voce aveva preso a scorrere bassa e fluida attraverso le cuffiette Jimin aveva chiuso gli occhi e sentito il suo corpo rilassarsi. Aveva anche pregato di non mettersi a piangere, ma non fu ascoltato. Passandosi una mano sulle guance per asciugarsi ecco all’improvviso un’immagine. Il muro di una casa, sembrava la villa. Le sue labbra vicine a un collo morbido, le mani strette ad una vita. A Jimin era già sembrato di aver vaghe memorie riguardo qualcuno presente con lui durante quella notte, ma ancora non era sicuro se provenissero da un sogno o meno. Dal momento che però Jungkook lo aveva riportato a casa aveva dato per scontato che, nel caso in cui si trattassero di ricordi veri, la persona fosse proprio il più giovane. Questo flash che aveva avuto ora però era diverso. Non gli si era mostrato come ricordo, dunque estremamente sbiadito. Piuttosto, la scena gli era apparsa davanti agli occhi come se stesse vivendola in quel preciso momento. Non era una memoria nebbiosa, era un qualcosa di cui era sicuro avesse preso parte in prima persona. Non ricordava di essersi aggrappato così a Jungkook e l’idea lo fece stare ancora peggio. Chissà cos’altro gli aveva detto. Però l’idea di aver riavuto un ricordo lo aveva leggermente confortato. Il buco nero di quelle ore pesava ancora su di lui e sebbene l’ignoranza possa essere spesso una benedizione, Jimin sentiva che non era questo il caso. Dopo questo primo episodio, altre volte Jimin aveva riottenuto qualche frammento più vivido di ciò che era accaduto mentre era ubriaco e febbricitante. Ricordava una camicia bianca. Un cellulare abbandonato per terra. Aveva anche ricordato le mani di Jungkook attorno a lui che lo posavano nel letto e che poi lavoravano con i bottoni della sua camicia. A un certo punto erano arrivati anche dei suoni, ma non era sicuro a chi appartenessero. Si era poi accorto che non erano solo suoni, ma delle parole, delle parole roche, dette da una voce bassa. “Sii felice”, “Ti ringrazio”. Quelle parole continuavano a tornare, ululate dalla tempesta dei suoi incubi. E poi c’era stato quel “Jimin-ah”. Jimin-ah. Jungkook non lo chiamava mai così. Quella voce… Ma non avrebbe avuto senso. Stava solo proiettando ciò che più desiderava. Jimin aveva dunque presto deciso di non dare troppo peso a questi mozziconi di memorie, angosciato dal non riuscire a distinguere più ciò che era vero dal ciò che era falso. Come spiegare però tutto questo a Taehyung?

– Non hai nemmeno una mezza idea?

Lo stava fissando con sguardo interrogativo, in attesa di una risposta, e Jimin dovette ingegnarsi a trovarne una. Concluse che la soluzione migliore era dire una mezza verità. Se avesse continuato a negare l’evidenza l’amico avrebbe potuto insospettirsi ancora di più e diventare più insistente.

– Taehyungie non lo so perché continuo a fare brutti sogni – Questa era una bugia – Ma ovviamente stanno diventando un problema, sono piuttosto stanco di svegliarmi così ogni notte – Questo era vero – Ho cercato di dargli il meno peso possibile sperando che smettessero, ma non è stato così – Anche questo era in parte vero – Per questo motivo non ne ho mai parlato prima – Questa era di nuovo una bugia. Aveva fatto finta di nulla solo perché sperava di poter ingannare l’amico e convincerlo che non ci fosse nessun problema. Non aveva voglia di parlare. Tra l’altro, come avrebbe potuto essere del tutto onesto con lui? Sapeva quanto tenesse a Jungkook e non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi e confidargli perché si sentiva colpevole nei confronti del ragazzo. E soprattutto perché non riusciva a smettere di comportarsi così.

– Ci sono problemi in accademia? O c’è qualcos’altro che non va? – Jimin continuava a tenere lo sguardo basso e Taehyung volle rassicurarlo – Ascolta Jiminie, non voglio costringerti a dirmi nulla, è solo che sono un po’ preoccupato. Se sono qui a parlarti ora è solo per questo. Se tu mi dici che neanche tu sai il perché di questi sogni allora ci credo. Se sono semplici disturbi del sonno ci sono cose che si possono prendere per aiutarti, andiamo in farmacia e si risolve. Vorrei però essere sicuro che dietro non ci siano preoccupazioni di altro tipo. In quel caso lo sai che con me puoi parlare, vero? 

Jimin gli prese una mano e la strinse, sorridendogli dolcemente:

– Lo so, Taehyungie, lo so. Ma per il momento non c’è molto da dire, faccio dei sogni orribili tutte le notti e non so come farli smettere – Bugia anche questa. Ogni volta che mentiva all’amico Jimin provava un dolore simile a quello di un piccolo spillo che ti si pianta nel petto – Ma non devi preoccuparti troppo, va bene? Se sembro strano… è solo perché la notte non dormo bene. Ma hai ragione tu, forse dovrei prendere qualcosa. Prima però vorrei aspettare un altro po’, magari passano da soli in modo naturale senza che io inizi a prendere nulla. Ma se dovessero continuare prometto di intervenire, affare fatto?

– Mi sembra un buon compromesso, si. Io voglio solo che tu stia bene Jiminie.

Jimin annuì come a dire che lo sapeva e strizzando di nuovo la mano di Taehyung finalmente gliela lasciò per prendere le sue bacchette. Sperò che l’argomento fosse chiuso lì. C’era tuttavia un altro punto che premeva a Taehyung, ancora più delicato, tanto che il ragazzo decise di prenderlo incredibilmente alla larga:

– Oggi gli hyung sono tornati dalla loro vacanza.

– Si, lo so. Sono stati bene?

– Non lo so, non li ho ancora sentiti, ma credo lo farò domani. Sai, pensavo che se qui vengono davvero a fare i lavori potrebbe diventare difficile studiare e quindi mi era venuto in mente di chiedere a Jin-hyung se potevo usufruire del loro salotto per stare un po’ più in tranquillità. Magari anche Kookie vuole unirsi. Le giornate sono corte e è meno deprimente studiare al calduccio in casa piuttosto che in una biblioteca da cui si vede solo il cielo scuro.

– Mi sembra una buona idea – disse Jimin senza particolare enfasi.

– Potresti venire anche tu per allenarti con Hoseok-hyung.

Jimin ebbe un attimo di esitazione:

– Io… si, ovvio, anche se ultimamente non ci sono coreografie urgenti su cui sto lavorando per cui credo che la palestra dell’accademia vada benissimo.

Taehyung annuì soltanto, continuando a far muovere le valvole del cervello per trovare il modo di agganciarsi a ciò di cui voleva parlare. Forse ci aveva girato attorno un po’ troppo.

– Comunque sia – disse dopo qualche istante, mescolando con le bacchette il riso e le uova nella ciotola – credo che hyung mi dirà di sì. Me lo avrebbe detto di sicuro in ogni caso, ma ancora di più questa settimana. La casa è praticamente deserta – si portò il cibo alla bocca fermandosi un attimo per osservare Jimin. Gli giunse solo un piccolo “mmh” di risposta. Continuò – Voglio dire, lui e Namjoonie-hyung saranno quasi sempre a lavorare allo spettacolo, e Yoongi-hyung non c’è, quindi non credo possa creare problemi se noi andiamo lì il pomeriggio.

– Vero.

– A proposito, Yoongi-hyung dovrebbe tornare la prossima settimana, no?

Jimin smise per un momento di mangiare e guardò Taehyung negli occhi.

– Non ero io che ero lì quella sera – Taehyung colse una luce nel suo sguardo, quasi di irritazione, che però si spense subito – Insomma, me lo avete detto voi che ha detto che sarebbe stato via due settimane, ma non ne era sicuro, o sbaglio?

– No, no, è vero. In effetti non so da cosa dipenda quell’incertezza. Tu ne sai nulla? – Taehyung si chiese se non si stesse spingendo troppo in là e troppo in fretta, ma aveva davvero bisogno di sapere – Ti ha dato qualche notizia?

Jimin sembrò a corto di fiato per un breve istante, ma lo vide poi riprendersi subito.

– No, non… non mi ha detto niente.

– Ma vi siete sentiti recentemente? – adesso si alza e se ne va, pensò Taehyung. Non accadde. Jimin si riempì la bocca di riso, scuotendo la testa, prima di ingoiare e riprendere a parlare:

– Non lo sento da un po’ in effetti, da quando eravamo alla villa tutti insieme. Tutto quello che so è da parte di Hoseok-hyung. Però insomma, ha dovuto prepararsi al viaggio e poi credo abbia dovuto concentrarsi sul nuovo luogo di lavoro e immagino sia sempre tanto stanco. Non mi sorprende si tenga in contatto solo con Hobi-hyung. Probabilmente sarà molto sbrigativo anche con lui.

Quando Taehyung gli aveva fatto quella domanda, così diretta, Jimin si era sentito un groppo in gola. Aveva dunque dovuto mettersi in bocca più riso che poteva così da avere una scusa per ingoiare le lacrime. Aveva poi dato una risposta che lo aveva lasciato stupito. Avrebbe potuto semplicemente dire che no, era diverso tempo che non sentiva Yoongi-hyung. Si era invece sentito per qualche motivo in dovere di dare una spiegazione, e, soprattutto, quasi giustificare l’altro ragazzo. Perché non aveva semplicemente detto le cose come stavano? Ovvero che Yoongi da un giorno all’altro aveva preso ad ignorarlo? Era vero, e probabilmente a Taehyung non sarebbe mai venuto in mente di collegare questo fatto agli incubi, essendo all’oscuro di troppe altre cose. Eppure non se l’era sentita. Il pensiero di buttare la responsabilità su Yoongi-hyung lo faceva stare male. Il ragazzo non se lo meritava. Che male c’era se era impegnato e voleva, una volta arrivato stanco alla sera, sentire solamente la voce del suo ragazzo? Che colpa aveva Yoongi se lui era stato così idiota da giocarsi quegli ultimi momenti insieme con la bella idea di ubriacarsi e ricoprirsi di ridicolo compromettendo la sua salute e finendo bloccato a letto? Yoongi non aveva colpe, era lui che aveva complicato tutto con le sue stesse mani.

Lo squillo di un cellulare interruppe il discorso, con grande sollievo di Jimin, un po’ meno di Taehyung. Se lo estrasse dalla tasca con riluttanza, sapendo che non sarebbe probabilmente stato possibile riaprire con disinvoltura, come aveva fatto ora, l’argomento.

– Pronto?... Si certo, ricordo, nessun problema, si figuri… Ah sì? D’accordo, a che ora?... Va bene, perfetto. Grazie mille e buona serata.

– Chi era?

– Il tecnico del riscaldamento, gli avevo dato il mio numero. Ha detto che il signor Sin ha acconsentito ai lavori, vengono qui a partire da dopodomani. Dovrebbero volerci circa quattro giorni perché dovranno lavorare su turni brevi.

– Sai, mi è venuta un’idea prima Taehyungie. Visto che comunque ci sarà tantissimo disordine in cucina, perché non ne approfittiamo e pitturiamo le pareti come abbiamo sempre voluto? Potremmo farlo domenica insieme, che ne dici? È l’unico giorno in cui ho tempo e credo anche tu, no?

– Si! Che bello, è vero! Ne abbiamo parlato tante volte, in effetti questa potrebbe essere l’occasione perfetta! – fece scorrere gli occhi lungo le pareti bianche della piccola cucina – Non ci saranno problemi con il padrone di casa, vero?

– No, perché dovrebbero? Prima di andare via le dipingeremo di bianco di nuovo, tante persone lo fanno – Jimin sorrise – allora, deciso? Domenica?

– Domenica!

Domenica… era il giorno in cui Jimin avrebbe saputo se Yoongi sarebbe tornato o meno. Così tante volte si era chiesto cosa avrebbe fatto se il più grande avesse deciso di prolungare il suo soggiorno a Daegu, ma ogni volta si era poi scrollato, risoluto a non pensarci finché non fosse stata più di un’ipotesi remota. Aveva avuto una bella idea a proporre a Taehyung di trascorrere il pomeriggio insieme impegnati in questa attività. Lo avrebbe aiutato a distrarsi da quella che sarebbe potuta diventare un’orribile realtà.

 

16 gennaio 2017; h. 13:17

È aperto, bene, pensò Yoongi entrando nel piccolo negozio di libri. Aveva fatto una camminata fino alla piccola libreria che aveva visto in una delle passeggiate lunghissime in giro per Daegu che ormai erano diventate un’abitudine nell’ultima settimana, ma non vi era potuto entrare perché era sera ed era quindi già chiuso. Il suo aspetto però aveva incuriosito Yoongi, così anacronistico nel suo stile primo novecento europeo in quel quartiere moderno. Aveva perciò deciso ora di provare a tornarci, nonostante non fosse convinto di trovarlo aperto neppure stavolta. Si sa che le piccole attività spesso non fanno orario continuato. Invece trovò la porta aperta e l’acchiappasogni appeso sopra la porta gli dette il benvenuto con il suo tintinnio. Salutò con un cenno della testa l’uomo di mezza età seduto dietro il bancone della cassa e iniziò a rovistare tra gli scaffali. Non cercava qualcosa in particolare, voleva solamente una lettura interessante che lo aiutasse con la noia. Aveva troppo tempo libero e non sapeva davvero cosa farsene, ma d’altro canto non poteva chiamare o mandare messaggi continuamente a Hoseok né tantomeno chiedergli di andare a trovarlo anche solo per un paio di giorni. Nessuno dei suoi amici a Seul sapeva infatti la verità, Hoseok compreso. A tutti loro aveva detto che l’etichetta discografica in cui era praticante aveva bisogno di lui nella sede di Daegu, perché lì si sarebbero svolte delle attività che avevano piacere seguisse da vicino così che potesse imparare a gestirle. Aveva poi detto che la durata di questo soggiorno sarebbe stata di due settimane, ma senza esserne sicuro poiché potevano sempre verificarsi cambiamenti in corso d’opera. Tranne che sulla durata del suo viaggio e sul fatto che non fosse convinto della data di ritorno, su tutto il resto aveva mentito. Aveva tantissimo tempo libero ora perché in realtà non era tornato a Daegu su richiesta dell’etichetta discografica. Era tornato a Daegu solamente perché voleva allontanarsi da Seul velocemente prima che potesse combinare un disastro irreparabile, e al momento viveva nella sua casa d’infanzia insieme ai genitori, in attesa che qualcosa, non sapeva nemmeno lui cosa, gli indicasse il cammino da intraprendere. Soprattutto, in attesa che il dolore passasse.

Yoongi ci aveva provato. Ci aveva davvero provato ad accettare l’idea di farsi da parte. Aveva però ben presto capito che non avrebbe potuto continuare a lungo ad avere Jimin davanti agli occhi. Glielo aveva fatto capire quello scatto d’ira e gelosia, quando si era rivolto al più piccolo in modo così freddo. Non voleva ferirlo, e aveva dovuto trovare il modo di sottrarsi a questo rischio. C’era un’altra persona inoltre che Yoongi non voleva ferire: sé stesso. Non solo ferire Jimin lo feriva a sua volta, ma anche il solo vederlo era per lui troppo doloroso. Aveva pensato di poter rimanere in un angolino in disparte, ma se già il solo pensiero di Jimin e Jungkook insieme gli faceva vedere rosso, non riusciva neppure a immaginare cosa avrebbe potuto provare a vederli effettivamente insieme. Era pericolosa, la situazione in cui si trovava. Yoongi voleva allontanarsene perché non riusciva a immaginare come avrebbe potuto evitare di rimanerne del tutto distrutto se avesse continuato a starci in mezzo. Era sempre stato certo che Jimin amasse i loro momenti insieme, sapeva che li attendeva, e non riusciva a sopportare il pensiero che invece adesso trovandosi in sua compagnia il ragazzo pensasse al momento di ritornare da un altro, magari già mettendosi a pensare cosa avrebbero fatto a cena o… dopo. La sua mente, come sempre, volava, viaggiando a una velocità eccessiva che in qualche modo andava frenata. Quando si era accorto di sentirsi inghiottito completamente da una tromba d’aria di pensieri che non riusciva più a controllare, si era convinto che la decisione che aveva maturato pochi giorni prima fosse quella giusta. Andarsene prima che tutto degenerasse e l’onda d’urto investisse non solo lui, ma anche le persone attorno a lui. Aveva dunque chiesto un permesso di quindici giorni all’etichetta dove lavorava. Essendo un praticante, le cose sarebbero andate avanti anche senza di lui, senza contare che il periodo dopo le vacanze di Natale era sempre un tempo piuttosto morto ed infatti non aveva avuto problemi ad ottenerlo. Sapeva però che quello era il massimo che potesse chiedere, non gli avrebbero dato di più per il momento. Quei quindici giorni erano quindi fondamentali per lui, perché avrebbe dovuto capire che cosa fare. Sperava che la pausa potesse aiutarlo a fare chiarezza nella sua mente e decidere così, allo scadere delle due settimane, quale fosse la scelta migliore. Rimanere lì ancora, magari lasciando il lavoro e cercandone un altro provvisorio finché non si fosse sentito pronto a tornare a Seul, oppure immergersi di nuovo nei problemi della sua vita nella capitale. Al momento la prima soluzione gli sembrava quella più appetibile, procrastinare, possibilmente dimenticare. Ma non era nemmeno così ingenuo da non rendersi conto delle difficoltà legate a una tale scelta. Non era una cosa da nulla lasciare tutto all’improvviso e ristabilirsi a Daegu, anche fosse stato solo per qualche altro mese. Ecco perché sperava che in qualche modo queste due settimane potessero offrirgli una qualche illuminazione. In che modo, non lo sapeva ancora, ma ci sperava.

E invece non stavano servendo, o almeno molto meno di ciò che aveva creduto all’inizio. Erano passati già dieci giorni dalla sua partenza e mancava meno di una settimana prima che il tempo che gli era stato concesso dall’etichetta scadesse. Non poteva davvero dire di sentirsi meno confuso. Aveva creduto che scappando, isolandosi, creando un muro di silenzio tra lui e Jimin e ponendo chilometri di distanza tra loro sarebbe in qualche modo riuscito a quietare la sua mente. Invece il dolore non stava andando da nessuna parte. Ciò che pensava riguardo a tutta la situazione quando si era messo su quel treno, riguardo alle sue colpe nel crearla, riguardo le sue difficoltà nello gestirla, era rimasto invariato. Continuava a stare male e continuava a non sapere come avrebbe potuto affrontare Jimin e il suo rapporto con lui se fosse mai rientrato a Seul. Le giornate passavano pigre, dormiva fino a tardi, scendeva per mangiare, cercava il più possibile di evitare le domande dei genitori. Forse davvero l’unica soluzione possibile era rimanersene un altro po’ a Daegu per ritrovare sé stesso e uscire da tutta questa situazione. Era evidente che non c’era modo di sfuggire al dolore e tornando a Seul questo sarebbe stato solamente amplificato. Eppure, mentre continuava a ripetersi questa cosa, un paio di sere prima, mentre si trovava su un ponte, appoggiato a braccia conserte al parapetto osservando il fiume sottostante, qualcosa aveva iniziato a disturbarlo. Ritrovare sé stesso, voleva ritrovare sé stesso. Cosa significava? Essere sé stesso voleva dire rimanere illeso da tutto? Ritornare alla condizione in cui era prima di arrivare a Seul? Far finta che quegli anni non fossero passati? Fingere di non aver mai conosciuto le persone che gli erano state vicine? Essere di nuovo una tabula rasa, come il giorno in cui era nato, quello significava essere sé stesso? Aveva sempre creduto che sì, meno si fosse fatto contagiare dagli avvenimenti del mondo più sarebbe stato capace di rimanere per la sua strada, e per far ciò aveva sempre, anche senza rendersene conto, sacrificato tante altre cose. Per la prima volta però in tutta la sua vita, adesso stava pensando di mettere in discussione questo suo principio.

Nonostante avesse fatto del suo meglio per isolarsi in quel periodo, scrivendo solo ogni tanto poche righe a Hoseok per tenerlo tranquillo e non attirare troppa attenzione, gli sembrava di non riuscire come al solito a staccarsi di dosso ciò che si era lasciato alle spalle. Non un giorno era passato senza che lui non avesse pensato non soltanto ad Hoseok e Jimin – non era stupito ovviamente di sentire la loro di mancanza – ma anche ad ognuno degli altri ragazzi. Mentre aiutava la madre a cucinare sentiva nelle orecchie la voce chiara di Jin. Quando rientrava a casa per qualche assurdo motivo si aspettava sempre di trovare Namjoon steso sul divano, a leggere un libro o ad ascoltare della musica. Quando vedeva il tramonto, con le sue luci e i suoi colori, non riusciva a non pensare a Taehyung, che sapeva amare i tramonti e che appena ne vedeva uno che lo emozionava particolarmente non perdeva tempo a scattargli una foto da aggiungere alla sua collezione. Perfino Jungkook gli veniva spesso in mente, quando passando in rassegna i canali televisivi la sera si imbatteva in un film che non aveva mai visto, ma sapeva essere famoso e immaginava come il più piccolo, con il suo solito modo un po’ impertinente, lo avrebbe preso in giro. Questi ragazzi continuavano ad essere con lui tutto il tempo e si sentiva senza scampo. Quando se ne era accorto si era però anche iniziato a chiedere che scampo ci fosse da trovare. Era davvero questo da cui doveva trarsi in salvo? Dai ricordi delle persone che avevano reso la sua vita a Seul più bella, più piena, più sensata? Come poteva trattarli come se fossero loro stessi il problema? Perché non erano loro il problema. Non lo era Jimin, non lo era Jungkook. Non lo è nessuno tranne che la mia fottuta paura di avvicinarmi alle persone e farle avvicinare a me. Se non fosse stato così chiuso, così guardingo come sempre, forse si sarebbe accorto prima dei suoi sentimenti per Jimin e forse avrebbe anche trovato il modo per farsi ricambiare dal ragazzo, aprendoglisi di più, lasciandogli uno spiraglio aperto. Era stato un comportamento stupido e la cosa che lo rendeva ancora più stupido era il fatto che si era anche rivelato inutile. In un modo o nell’altro, a un certo punto, non soltanto Jimin, ma anche ognuno di quei ragazzi gli era comunque entrato dentro. Erano passati sotto la sua corazza silenziosamente mentre lui credeva ancora di avere le redini del gioco in mano, di aver deciso di aprire la porta per farli entrare appena, ma essere ancora perfettamente in grado di scegliere quando richiuderla. Era quello che credeva di fare partendo: chiuderla. Invece no, non aveva più nessun tipo di controllo, perché ormai queste persone erano diventate qualcosa di più di una semplice presenza nella sua vita a cui lui dava il permesso di rimanere. Avevano preso casa dentro di lui e avevano deciso di non andarsene. Questa cosa lo metteva incredibilmente in crisi, perché sentiva adesso di aver forse preso la scelta sbagliata a comprare quel dannato biglietto. Aveva assecondato come sempre i suoi timori, credendo di poter fare ciò che aveva sempre fatto, mettere dei confini tra lui e il resto del mondo, ma si stava sempre più rendendo conto che in questo caso non era possibile. Come aveva potuto pensare che lo sarebbe stato? Come aveva potuto trattare Jimin come uno qualsiasi? Come poteva non averlo capito prima, che nel suo caso i suoi soliti stupidi metodi per difendersi non potevano funzionare? Non era una persona a cui poteva semplicemente voltare le spalle. Tutto ciò che aveva a Seul non era qualcosa a cui poteva voltare le spalle, perché se anche avesse provato a farlo sarebbe lo stesso tornato a prenderlo. Dunque se fosse tornato a prenderlo, continuando a perseguitarlo per sempre, e se il dolore era destinato a rimanere lì, stanziato in lui come una vedetta fin troppo solerte, che senso aveva a questo punto soffrire da solo? Yoongi in quel momento aveva pensato che se avesse dovuto continuare a star male, tanto valeva tornare a star male nel posto dove stava meglio.

Mentre scorreva i titoli scritti sulle costine impolverate dei libri si chiese se fosse il caso di mandare un messaggio a Namjoon per chiedere un consiglio, per poi rispondersi che no, non era probabilmente il caso. Ecco di nuovo, il bisogno dei suoi amici. Come quella sera di due giorni prima in cui aveva finalmente realizzato tutto ciò, ovvero che nessuna distanza fisica sarebbe mai stata sufficiente a slegarlo da queste persone. Appoggiato al parapetto del ponte a un certo punto si era sentito solo, tanto solo, troppo. Di ciò che stava vivendo al momento, dei suoi sentimenti per Jimin, dei veri motivi per cui era voluto fuggire da Seul, non era riuscito a parlare neppure con il suo migliore amico e dunque adesso si stava sentendo estremamente isolato. E proprio in quel momento, con lo stomaco contratto e mentre si sentiva solo come non mai nella sua vita, i volti di tutti e sei i ragazzi avevano preso a sfilargli davanti agli occhi. E aveva sentito la morsa della solitudine allentare la sua presa. Li vedeva tutti chiari di fronte a sé e sembravano dirgli che solo non era, non lo sarebbe mai stato. Si era sorpreso perché aveva iniziato a comprendere che le stesse persone da cui si stava isolando volontariamente erano però anche le uniche che avrebbero avuto il potere di non farlo sentire solo. Perché lui non era solo, quando li aveva affianco. Adesso stava iniziando a capirlo e li voleva di nuovo vicino a sé. Voleva tornare dalla sua famiglia. Sì, a Min Yoongi la solitudine andava bene. Gli andava stretta a volte, ma la accettava come parte di sé stesso. Questa era la regola. Ma se c’era una regola doveva esserci un’eccezione. Occorreva un’eccezione. Questi ragazzi erano la sua. Non poteva nascondersi da loro perché da alcuni affetti semplicemente non si può scappare. Non è giusto scappare. E ciò che aveva fatto non era giusto. Nei confronti di nessuno, né sé stesso né loro. Aveva mentito, li aveva abbandonati da un giorno all’altro. Come aveva potuto? La sua vita era cambiata grazie a questi ragazzi, tutto ciò che aveva adesso, ciò che era adesso, era anche merito loro. Aveva pensato a tutto quello che ognuno aveva fatto per lui. Tutti in un modo o nell’altro lo avevano accolto, lui che era così strano e così difficile da gestire. Jin, subito così disponibile e che non aveva esitato ad offrirgli la sua stessa casa. Namjoon, che si era subito fidato di lui e anche se l’interesse artistico tra loro era reciproco era stato il primo a considerarlo davvero un amico, chiedendogli consigli e mostrandogli ciò che creava (cosa che Yoongi invece non aveva mai ricambiato e un po’ di senso di colpa aveva fatto capolino). Anche i più piccini, Taehyung e Jungkook, erano stati sempre e solo gentilissimi e pazienti con lui, e pensò a come sarebbe potuto essere uno hyung migliore per loro. Con Taehyung se la prendeva sempre, mentre Jungkook… chissà, forse se gli avesse prestato più attenzione avrebbe anche potuto comprendere meglio la situazione. Inutile poi enumerare tutto ciò che Hoseok aveva fatto per lui durante la sua vita. Inutile anche cercare di spiegare quanto avesse significato l’amicizia di Jimin, averlo accanto tutto quel tempo, a sostenerlo, supportarlo. Eppure, nonostante queste realizzazioni, nonostante Yoongi avesse capito di aver bisogno di tornare ad avere questi ragazzi nella sua vita ciò non lo aveva comunque aiutato a capire cosa avrebbe dovuto fare se avesse mai deciso di tornare a Seul. Va bene, la sua vita nella capitale gli mancava, ma come avrebbe potuto risolvere i problemi che vi aveva lasciato? Come doveva comportarsi nei confronti di Jimin? Non sapeva da che parte cominciare. Avevano un rapporto speciale che stava mandando in malora e anche una persona chiusa e introversa come lui si rendeva conto di quanto poco senso tutto ciò avesse, esattamente come non aveva senso escludere tutti gli altri ragazzi dalla sua vita. È vero, non voleva soffrire, ma come aveva già capito la sua permanenza a Daegu non stava aiutando a lenire il dolore quindi non era la soluzione. Ma se fosse tornato a Seul, a casa, quali passi avrebbe dovuto compiere per stare meglio? Come avrebbe potuto scappare dalla sofferenza che sapeva lo aspettava? Questa cosa gli faceva paura, andare ad affrontare consapevolmente qualcosa che sapeva lo avrebbe fatto star male. Oltre al fatto che non si fidava di sé stesso, continuava a temere di ferire Jimin se mai si fosse trovato in uno dei suoi momenti no. Dunque, come poteva fare ad evitare tutto ciò? Soffrire, far soffrire? Qual era la soluzione, quale era il passo giusto che gli avrebbe permesso di porre fine a quel dolore e sistemare la situazione? Andare lontano da Seul, come aveva visto, non lo era. Ma ignorare Jimin nemmeno.

Cambiare città, girare il volto da un’altra parte… pensava sempre a come evitare qualcosa. Possibile che l’unica cosa che fosse in grado di fare era scappare? Possibile che appena aveva paura si tirava indietro? Jimin meritava di più. Molto di più. Quello che avevano meritava di più. Spezzare quel legame così dal nulla, fare finta che non fosse mai esistito… Chi lo diceva che era la cosa migliore per Jimin? Chi gli dava il diritto di far questa scelta per lui? Seppure mossa dalle più buone intenzioni, questa sua fuga per quanto ne sapeva poteva aver fatto male a Jimin esattamente come le parole che gli aveva rivolto. In effetti, in entrambi i casi, aveva trattato il ragazzo peggio di come avrebbe meritato. Non lo aveva salutato. Non gli aveva scritto. Jimin era parte della sua vita da anni e anche se lui aveva accettato l’idea che forse non ne avrebbe più fatto parte come prima, rimaneva il fatto che Yoongi era parte a sua volta della vita di Jimin. Lui non sapeva il posto che il ragazzo gli avrebbe riservato, anche durante la sua relazione con Jungkook. La verità era che con questa fuga Yoongi non stava facendo un favore a nessun’altro se non a sé stesso. Stava solo assecondando il suo bisogno di fuggire e tornare al sicuro. Affrontare tutto, nonostante il dolore. Questo avrebbe dovuto fare. Era la terza via che ancora non aveva provato. Aveva cercato di far finta che Jimin non esistesse. Aveva cercato di far finta che la sua vita a Seul non esistesse. Inutile. Era tempo di scegliere l’opzione di cui era più spaventato, quella che forse lo avrebbe lasciato con più ammostature di tutte, ma era l’unica che gli avrebbe forse ridato il coraggio di guardarsi allo specchio sentendosi in pace con sé stesso.

Prendendo un libro dalla copertina rossa e cercando di concentrarsi sulla trama sbiadita, Yoongi sbuffò leggermente. Erano un paio di giorni ormai che faceva i conti con questi pensieri. Va bene, fuggire per sempre non era un’opzione, ma continuava lo stesso a sentirsi paralizzato. Che cosa avrebbe dovuto fare una volta tornato? Che cosa avrebbe dovuto dire? Con chi avrebbe dovuto parlare? Non sapeva da dove iniziare. Va bene, affrontare, ma in che modo esattamente? Yoongi sentiva di non essere bravo nei rapporti interpersonali. Tutte le persone a cui era legato erano tali o perché avevano fatto loro il primo passo o perché semplicemente una serie di cause aveva portato alla situazione presente. Yoongi non aveva mai effettivamente lavorato per costruire un’amicizia. Gli erano sempre andati incontro tutti. Un movimento alla sua destra lo colpì, come se fosse passata un’ombra di corsa. Guardò in quella direzione e vide che c’era un’altra piccola saletta piena di libri. Per qualche motivo se ne sentì incuriosito e volendo anche capire se iniziava ad avere le allucinazioni o meno, vi entrò passando attraverso la piccola volta di pietra che faceva da ingresso. Era effettivamente un’altra stanza della libreria. Le scaffalature giravano tutte in tondo ai tre lati della stanza e ce ne era poi un’altra proprio nel centro, a dividere l’intera sala in due parti. A Yoongi per qualche motivo vennero in mente le navate di una chiesa, forse per via dell’architettura, forse per l’aura di sacralità che i luoghi pieni di libri hanno per alcune persone. Notò nella parte sinistra della sala due bambini che si stavano dirigendo verso il fondo. Non aveva visto un fantasma, erano loro l’ombra che aveva attirato la sua attenzione. Yoongi seguì il loro trotterellare senza riuscire a trattenere un sorriso. Non avevano probabilmente più di quattro o cinque anni, i faccini paffuti e i corpicini che ancora avevano intatte tutte le rotondità dell’infanzia, e sembravano ancora più piccoli ai piedi degli alti scaffali pieni di libri. Si fermarono proprio nell’angolo più remoto, che collegava la scaffalatura del muro sinistro a quella appoggiata alla parete che dava dirimpetto a quella dell’ingresso. Si accoccolarono seduti lì e presero a confabulare. Yoongi decise di non disturbarli, ma era interessato a questa parte della libreria, dove i volumi sembravano essere ancora più vecchi. Per non dare nell’occhio, si spostò in punta di piedi nella parte destra e sempre cercando di fare il minor rumore possibile prese a camminare anche lui verso il fondo della sala, protetto dalla vista dei bambini dalla scaffalatura centrale. I bambini presero ad un certo punto a parlare leggermente più ad alta voce e i loro discorsi giunsero così alle orecchie di Yoongi:

– Adesso io ti ho detto il mio segreto. Tu devi dimmi uno tuo.

– No, no, non posso.

– Si, devi dimmelo. Se dici un segreto poi devi… Pecché tu devi dire quando io ti dico un segreto uno tuo di segreto.

– Ma io non te lo voglio dire il mio segreto.

– Allora non siamo più amicci.

– Pecché? – Il bimbo che chiaramente non ci teneva a condividere le sue informazioni più intime era sull’orlo delle lacrime. Yoongi non poté fare a meno di simpatizzare con lui – Pecchè non siamo amicci?

– Pecchè se io sono amico tuo dico il segreto a te e se tu sei amico mio mi dici il tuo a me.

– Va bene... ti dico mio segreto.

Mentre i bambini riprendevano a confabulare di nuovo tra loro, a Yoongi salì un groppo improvviso su per la gola. Con gli occhi sbarrati prese a fissare un punto a caso delle pagine che aveva aperto, le lacrime prossime ad uscire. Gli sembrò tutto sensato. Se io sono tuo amico dico un segreto a te e tu ne dici uno a me. Come era potuto essere così stupido da non capire una cosa tanto semplice? Non bisognava essere esperti di amicizie o relazioni interpersonali o psicologi di fama mondiale per rendersi conto che ciò che doveva fare non era nulla di complicato. Il dialogo tra i due bimbi aveva risvegliato un ricordo in Yoongi. Gli aveva fatto tornare in mente la prima volta che aveva incontrato Hoseok.

Quel giorno uno Yoongi di sette anni si trovava come spesso gli accadeva seduto in un angolino del cortile interno del suo condominio, solo con le sue scarpette un po’ sporche, le sue ginocchia sbucciate, i suoi calzoncini corti. Era estate, faceva caldo e le giornate erano lunghe, per cui la mamma non aveva problemi a farlo rimanere all’aperto un po’ più a lungo. Il cortile poi era sicuro, non c’era motivo di preoccuparsi. Erano le sei e mezzo di sera, ma sembravano ancora le quattro di pomeriggio e a Yoongi questa cosa piaceva. Gli dava l’impressione di vivere giornate infinite, come se fosse in una favola. Era il motivo per cui amava l’estate, era una stagione magica per lui. Una leggera brezza ora si era levata e a lui piaceva stare lì ad assaporarla. Niente scuola, niente compiti, nulla da fare. Poteva dormire finché voleva. Si, l’estate era davvero un periodo magico. Il furgone non se ne era ancora andato. Parcheggiato in un angolo del cortile, sembrava non esserci mai fine a ciò che avrebbe sputato. Sedie, tavoli, bauli. Yoongi aveva seguito le manovre di quel trasloco fin dal giorno prima. Non aveva molto di meglio da fare, per cui erano due giorni che trascorreva a spiare quello che quegli uomini sudati in maglietta bianca e cappellino azzurro facevano entrando e uscendo dal grande camion. Aveva visto anche la famiglia che avrebbe preso il posto dei signori Choi. Era contento che finalmente se ne fossero andati, a Yoongi non erano mai piaciuti. Puzzavano entrambi e avevano un chiaro odio nei confronti dei bambini. Il nuovo nucleo familiare era invece composto da madre, padre, una figlia, un figlio. La bambina sembrava più grande di lui, ma il bambino probabilmente aveva più o meno la sua età. Li aveva potuti osservare poco però, i genitori evidentemente li tenevano in casa mentre loro invece indaffarati andavano avanti e indietro dall’appartamento, su e giù per le scale, dentro e fuori dal camion. Solo un attimo i loro sguardi si erano incrociati. Il giorno prima Yoongi stava risalendo con la mamma, dopo essere andato con lei a fare spesa. L’appartamento dove la nuova famiglia si sarebbe trasferita era nello stesso corridoio di quello della famiglia di Yoongi, solo tre porte a separare le due abitazioni. Camminando verso il portone di casa insieme alla mamma Yoongi era rimasto un attimo indietro, quando passando davanti all’appartamento della nuova famiglia aveva trovato la porta aperta. Aveva dato una sbirciata, preso dalla curiosità come tutti i bambini. I suoi occhi ne avevano incrociato un altro paio, che subito si era illuminato e il visetto ovale del bimbo di fronte a lui si era aperto in un sorriso. Yoongi si era spaventato, non credeva di trovare qualcuno, e timido com’era non aveva nemmeno ricambiato il sorriso ed era corso ad aggrapparsi alla gamba della mamma. Si era poi voltato, per vedere se il bimbo lo stesse seguendo, ma no, non lo aveva fatto, Probabilmente, esattamente come lui, aveva il divieto di uscire di casa. Oggi però si sentiva più coraggioso, e ripensando all’episodio si sentiva un pochino in colpa. Quel bambino era stato così carino e lui non aveva nemmeno salutato. Forse ormai non avrebbe più voluto giocare con lui, come già era capitato con tanti altri bambini. Perso a guardare il cielo della sera, aveva ad un certo punto sentito uno scalpiccio di passi nel vialetto. Il bimbo era lì. Camminava mano per mano alla mamma, cercando di tenere il ritmo nella maniera migliore che i suoi piccoli passi gli permettevano, e nell’altra mano teneva un piccolo mazzolino di fiori molto belli. Yoongi si accorse che lo aveva visto, lo vide dire qualcosa alla madre e vide lei accennare un sì con un sorriso. Le loro mani si staccarono e il bambino si mise a correre verso di lui, fermandoglisi davanti. Aveva il viso gentile e delicato, carnagione olivastra, più scura della sua, e corporatura esile. Indossava un paio di calzoncini rossi, con un paio di macchie qua e là – forse erano stati nella campagna vicina, Yoongi aveva visto solo il marito occuparsi di parlare con i signori con il berretto azzurro – e una cannottierina nera. Yoongi lo guardò e il bambino tenne il suo sguardo, fissandolo con occhi dolci e morbidi. Sorrise di nuovo e senza dire niente prese due fiorellini dal suo mazzo e glieli porse. Yoongi non capiva il perché di quel gesto, ma quella condivisione così spontanea lo aveva colpito. Tese la manina e prese i fiori da quella dell’altro bimbo.

– Mi chiamo Hoseok. Questi sono i due più bei fiorellini – disse guardandolo sempre sorridente.

– Yoongi – anche lui aveva fatto un piccolo sorriso, ma più timido, perché ancora si sentiva un po’ in imbarazzo per quella gentilezza gratuita – Grazie del regalo.

Hoseok aveva scrollato le piccole spalle e sorriso ancora di più. Yoongi era rimasto affascinato dalla sua spontaneità, dal modo in cui per lui sembrava essere facile andare da un bambino che non conosceva e dargli dei fiori. Yoongi non aveva molti amici, era troppo timido e troppo chiuso, non giocava quasi mai con nessuno. Non poterono dirsi molto di più quel pomeriggio perché la mamma di Hoseok lo chiamò, riprendendogli la manina e guidandolo per le scale verso il loro nuovo appartamento. Era stato un paio di giorni dopo che Yoongi lo aveva incontrato di nuovo, nel parco dietro casa, quello dove tutti i bimbi del quartiere andavano per giocare. Era anche quello un luogo sicuro, e le mamme si mettevano d’accordo a turno per controllare i bambini. Yoongi si trovava come sempre sull’altalena, unico gioco che gli permettesse di rimanere abbastanza per conto suo, quando vide arrivare Hoseok. Lo riconobbe subito e il suo primo istinto fu quello di andare a salutarlo. Ma poi si bloccò subito. Si vergognava, meglio fare finta di non averlo visto continuando a dondolarsi. Continuò a darsi spinte con i piedi su e giù senza nel frattempo staccare mai gli occhi da Hoseok. Si soprese quando vide che sembrava aver difficoltà ad avvicinarsi agli altri bimbi nel parco. Il suo visino non trasmetteva la serenità della sera in cui gli aveva regalato i fiori, ma piuttosto insicurezza. Aveva cercato a un certo punto di mettersi a giocare con altri bambini, ma loro si conoscevano tutti a vicenda e quindi dopo un po’ lui era rimasto escluso. Yoongi era a quel punto sceso dall’altalena. Aveva camminato a passo svelto e aveva in breve coperto la distanza tra lui e Hoseok. Il bambino era di schiena e per attirare la sua attenzione invece che chiamarlo lo prese per una mano. Hoseok si girò subito di scatto e appena lo riconobbe Yoongi vide tornare sul suo volto la stessa luce che vi aveva visto due sere prima.

– C’è un bel posto qui, ma nessuno lo conosce. Se vieni con me ti faccio vedere. Ma devi promettere che non lo dici a nessuno, è il mio posto segreto.

Hoseok aveva annuito e promesso, e Yoongi lo aveva così portato con sé tenendolo per mano nel suo rifugio segreto, il luogo dove andava a nascondersi quando era triste, pensieroso o semplicemente voleva starsene da solo. Non lo aveva mai mostrato a nessuno, ma Hoseok era stato così carino a condividere con lui quel mazzetto di bellissimi fiori e lo aveva fatto così senza motivo che Yoongi aveva sentito il bisogno di ricambiare in qualche modo. Voleva condividere anche lui qualcosa di proprio e questa era stata l’occasione perfetta.

Si asciugò le lacrime. Tutto era chiaro adesso.

La relazione più importante che avesse mai avuto era quella con Hoseok. Era stata anzi l’unica relazione davvero fondamentale per lui fino a quel momento. Il discorso, così ingenuo ma vero, dei due bambini gli aveva fatto ricordare un dettaglio importante. È vero, durante la sua vita, era stato quasi sempre Hoseok tra i due ad essere quello più paziente, più tollerante, più estroverso e forse aveva fatto per Yoongi molto più di quanto Yoongi non sentisse di aver fatto per lui. Però se la loro amicizia aveva avuto modo di mettere radici non era stato solamente grazie all’estroversione di Hoseok o dei passi che aveva continuamente fatto nella sua direzione. La loro amicizia era sbocciata perché aveva fatto lui stesso un passo in avanti, e ciò che aveva fatto dopo avergli preso la mano era stato il vero punto di svolta: aveva condiviso qualcosa di proprio. Era questa la differenza che c’era tra il rapporto che Yoongi aveva con Hoseok rispetto alle altre persone, rispetto anche agli altri ragazzi. A Hoseok aveva dato subito un pezzo di sé. Se io sono tuo amico dico un segreto a te e tu ne dici uno a me. La reciprocità. Erano quelle le basi fondamentali per costruire un rapporto saldo e duraturo con un’altra persona. E anche se poteva essere spaventosa l’idea di mostrarsi a qualcun altro era anche l’unico modo per creare fiducia e complicità. Yoongi ripensò all’altra relazione che si era adesso reso conto essere fondamentale per lui, quella con Jimin. Era così diversa da quella con Hoseok, ma allo stesso tempo così simile. Anche ciò che aveva avuto con Jimin era non a caso nato nel momento in cui lui stesso si era aperto. Jimin esattamente come Hoseok tanti anni prima gli si era avvicinato per primo, ma lui, esattamente come aveva fatto con Hoseok, non solo non lo aveva allontanato, ma gli si era anche aperto, e questo non lo aveva fatto davvero con nessun’altro. Tornò un attimo all’origine del suo interesse per Jimin. Il ragazzo lo aveva subito messo a conoscenza di determinati fatti su di sé per poi dirgli esplicitamente ciò che pensava della sua musica. Yoongi ricordò la sensazione di piacere che gli era nata nel petto all’idea di poter mostrare ciò che aveva da dare senza aver paura di giudicato. Era proprio questa sensazione che lo aveva spinto ad invitare il ragazzo a passare il tempo con lui ed aiutarlo. Aver condiviso una parte importantissima della sua vita con Jimin… solo adesso si rendeva davvero conto di che ruolo fondamentale e prezioso avesse giocato nella costruzione del loro rapporto. Condiviso. La chiave era lì. Se da Jimin e da ciò che c’era stato tra di loro non poteva scappare, se l’unico modo per uscire da questo dolore era affrontare la situazione di petto, avrebbe provato ad uscirne così, lottando per continuare ad avere almeno la sua amicizia. Ma per far ciò doveva esporsi di più. Doveva fare con Jimin ciò che aveva fatto con Hoseok. Ciò che aveva già una volta fatto con Jimin stesso. Sarebbe ripartito da lì. Forse non avrebbe funzionato, forse Jimin gli avrebbe chiuso la porta in faccia, ma era una scelta che avrebbe lasciato a lui. Lui, Min Yoongi, per una volta nella sua vita non sarebbe stato il primo a voltare le spalle per scappare dal dolore, ma avrebbe provato ad affrontarlo a testa alta. Non poteva vivere senza Jimin esattamente come non avrebbe potuto vivere senza Hoseok. E ora che ci pensava senza nessuno dei ragazzi. Meritavano anche loro qualcosa di più dei suoi malumori e delle sue stranezze. Comprò un paio di libri in quel negozio, e venne a sapere che i bimbi erano il nipote del proprietario e un suo amichetto. Yoongi lanciò uno sguardo affettuoso in direzione della saletta laterale e uscì dal negozio, tanta gratitudine nel cuore. Tornò a casa, accese il computer e comprò un biglietto del treno. Sarebbe tornato a Seul.

 

 

Note dell’autrice: Questo capitolo forse è un casino? Avrei dovuto farlo più lineare, ma pur avendo provato fino alla fine a renderlo più chiaro non ci sono riuscita. Quando si tratta di Yoongi so sempre cosa pensa, ma non riesco mai a spiegarlo come vorrei. Il nostro Yoongi elabora come sempre un milione di cose e nel corso delle sue tortuose riflessioni giunge finalmente a due conclusioni. La prima è che non può scappare per sempre. Soffre e si sente solo, ma si rende conto che l’essersi isolato lo ha fatto sentire ancora peggio. Ha bisogno dei cinque ragazzi nella sua vita e soprattutto ha bisogno di Jimin e visto che la fuga non si è rivelata una soluzione per porre fine al suo dolore, ha capito una cosa arrivando alla seconda conclusione: deve affrontare il tutto e l’unico modo per farlo è cercare di salvare il rapporto che ha con Jimin. Come? Semplicemente facendo ciò che ha già fatto quando si è trattato di fare amicizia con Hoseok e rifare ciò aveva, inconsapevolmente, fatto anche all’inizio della sua relazione con Jimin. Yoongi deve imparare ad aprirsi di più, perché può essere doloroso, ma può anche portare tanta gioia. Il chiudersi d’altronde lo ha portato fin qui, quindi perché a questo punto non scommettere su una strada diversa?

Questo è fondamentalmente ciò che accade nella mente di Yoongi, detto in modo molto sbrigativo, ben più sbrigativo delle dieci e più pagine con cui ho cercato di farlo capire nel capitolo ahah Questa era la parte ce mi premeva di più far leggere. Il capitolo X si era concluso in quel modo così drammatico, con Yoongi che scappa da Seul, solo perché poi avevo in mente di smorzare l’angst già dal capitolo successivo, mostrando subito il suo ripensamento. Ma mi dilungo sempre e dunque si è dovuto aspettare di più, mi dispiace.

La parte iniziale mostra invece Jimin e Taehyung. Esploriamo meglio ciò che il primo pensa e scopriamo che inizia a recuperare frammenti di memoria che potrebbero essere importanti. Vediamo il secondo tentare di raccogliere particolari in più e soprattutto fare domande un tantino più mirate. Jimin ricorderà di più? Taehyung inizierà a far più luce su tutto ciò che sta accadendo? Cosa farà Yoongi una volta tornato a Seul? Qualcosa inizierà a muoversi un pochino di più? Varie domande che verranno affrontate nei prossimi capitoli, continuate a seguire per favore ~ Non sono sicura se il prossimo capitolo uscirà mercoledì perché potrebbero esserci cause di forza maggiore che mi impediranno di pubblicarlo quel giorno, ma intorno a giovedì/venerdì dovrei riuscire. Alla peggio posto domenica, quindi comunque l’attesa non sarà più lunga di una settimana ^-^

Sperando che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e non eccessivamente confuso, vi saluto per il momento, ringraziando sempre per aver letto fino a qui ♥♥

Alla prossima, baci Elle ~

   
 
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