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Autore: JanineRyan    12/11/2017    3 recensioni
Non sono tanto brava nelle intro, ma proverò comunque...
E se il viaggio verso il Monte Fato fosse stato differente? E se la compagnia fosse stata di undici membri e non nove?
Insieme agli originari membri della Compagnia dell'Anello ne faranno parte anche due guerriere elfiche: Estryd e Alhena, figlie di Elrond di Gran Burrone.
Genere: Avventura, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Boromir, Legolas, Nuovo personaggio, Thranduil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao! Ed ecco qui un nuovo capitolo... buona lettura, alla prossima!
Mi inizia a dispiacere che ormai sono quasi giunta alla fine... beh, spero di non deludere nessuno con il finale che ho scelto!
A presto!
J



Dal mare, dove si era consumata la battaglia tra gli spettri e i corsari, la capitale di Gondor, Minas Tirith, distava, con vento favorevole, poco più di mezza giornata in barca. Lo scontro era andato bene, anzi magnificamente! Gli spettri avevano tenuto fede al loro giuramento e, una volta arrivati sul campo di battaglia, avevano sopraffatto l’esercito di Umbar con fin troppa facilità. Dopotutto i dannati non avevano nulla da perdere; tuttaltro, quest’alleanza avrebbe arrecato loro solo vantaggi. Avrebbero ottenuto la loro libertà, il meritato riposo che da secoli tanto agoniavano… da quando avevano voltato le spalle alla richiesta d’aiuto di Isildur, quand’erano ancora vivi.
Terminato il conflitto, Aragorn aveva chiesto al loro Capitano di seguirli fino a Minas Tirith e combattere anche quella guerra al suo fianco; senza indugio aveva accettato, bramoso di ottenere il suo riscatto e quello dei suoi uomini.
Prima che il giorno lasciasse spazio alla notte, Aragorn, con l’aiuto dei suoi compagni, legò delle robuste cime da un’imbarcazione all’altra; avrebbero guidato l’intera flotta governando la nave più robusta che sarebbe stata collocata in testa. Gli spettri avrebbero viaggiato a bordo delle imbarcazioni minori, nascosti nelle stive.
La nave in testa era governata da Aragorn con l’aiuto di Boromir, esperto della zona. Dopo aver imboccato la via per Minas Tirith, il clima sulla barca era cambiato. La tensione nell’aria era palpabile... la guerra, che avrebbe avuto luogo sulla prateria fuori dai confini murati della Cittadella, chiamava in raccolta gli eserciti più forti della Terra di Mezzo.
Da un lato avrebbero combattuto gli uomini di Gondor e di Rohan, dall’altro le armate di Mordor, composte non solo da orchi, ma anche dai nove; ben più temibili e micidiali... soprattutto in sella ai loro draghi alati.
Gli elfi, invece, non avevano raggiunto il campo di Gondor; già da mesi erano impegnati a contrastare le armate di Mordor presenti sui confini nord. Combattevano nei pressi di Dagorlad dove, già nella prima era, i popoli liberi avevano affrontato Sauron.
“Sei nervoso, amico mio...” disse Boromir, avvicinandosi ad Aragorn e studiando il volto contratto dell’uomo. “Presto rivedrai il tuo regno… la corona di Gondor sarà, come di diritto, tua...” sospirò. “Il palazzo bianco, in questa stagione, è davvero incantevole.”
L’uomo annuì; non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva nemmeno se avrebbe accettato di rivendicare la corona dei Re. Dopo Isildur, per intere generazioni, il popolo di Gondor era stato governato dal Sovrintendente; Aragorn temeva che il popolo non l’avrebbe mai accolto volentieri... dopotutto lui era solo un ramingo del nord, non lo conoscevano e, quindi, come si sarebbero potuti fidare di lui?
“Non angosciarti...” continuò Boromir, intuendo le preoccupazioni di Aragorn. “Sono secoli che la tua gente attende il ritorno del legittimo Re... durante questo viaggio ho capito che tu sei degno d’essere l’erede al trono. Il popolo di Gondor non potrebbe sperare di meglio. Sei saggio, leale e umile... tutte doti che fanno di un Re, un grande Re.”
“Anche tu, all’inizio, eri diffidente nei miei confronti...” disse Aragorn.
“In questo viaggio, ho imparato a conoscerti. Tutti, con il tempo, impareranno. E ti apprezzeranno come io ho iniziato a stimare te.”
Boromir posò una mano sulla spalla dell’amico e gli sorrise con affetto; Gondor non poteva sperare in un Re migliore. “Con te, porti la speranza per Gondor...”

Con l’arrivo della notte, il cielo si tinse di blu e milioni di stelle brillavano tenuemente nel cielo. Per precauzione, Aragorn, decise di ormeggiare le barche in prossimità di un villaggio; la stagione era stata arida ed il fiume si era ritirato, rendendo difficoltosa la navigazione soprattutto di notte.
Nessuno riusciva a prendere sonno, tutti erano troppo agitati per la battaglia imminente.
Aragorn e Boromir si erano coricati accanto al timone, ma continuavano a fissare l’oscurità con occhi pieni di paure. Gli elfi, invece, erano seduti vicino all’albero maestro e si erano persi nei loro pensieri, osservando le stelle.
“Scendo a terra.” annunciò Alhena ad infima voce, alzandosi in piedi e interrompendo il silenzio.
Il fratello e Legolas la guardarono senza parlare. Elladan si alzò, ma la bionda scosse il capo e, guardandolo, continuò: “Vorrei scendere a terra sola. Ho bisogno di pensare... ho bisogno di restar sola.”
“Non credo sia prudente...” iniziò a dire Elladan.
“Non mi allontano.” promise lei. “Per favore.” aggiunse guardando il fratello negli occhi.
Elladan non era mai riuscito a negare qualcosa alla sorella, soprattutto quando lo guardava negli occhi abbassando il capo.
“Va bene... ma se ci sono dei problemi, urla... correremo in tuo soccorso.”
Legolas annuì.
Mentre la bionda scendeva a terra, percorrendo il barcarizzo di legno posato al molo, Elladan tornò ad accomodarsi accanto all’amico e, guardando dove poco prima Alhena era scomparsa, posò la testa contro l’albero maestro.
“Sono così felice d’averla ritrovata...” sussurrò. “Avevo perso le speranze… l’ho cercata per anni… mi stavo preparando al peggio.”
“Posso solo immaginare quanto hai sofferto durante questi viaggi... per un periodo è rimasta a Bosco Atro per poi fuggire nel cuore della notte...”
“Bosco Atro?” fece eco Elladan. “Alhena è stata a Bosco Atro? Nel tuo regno?”
“Si... per un periodo.” rispose Legolas, guardando l’amico chiaramente irritato. “Non lo sapevi?”
“No!” rispose a denti stretti il principe di Gran Burrone per non disturbare il riposo dei due uomini. “Sono stato a reame boscoso e… e tuo padre mi ha detto che lei non era mai stata ospite nelle vostre terre!”
Legolas guardò l’amico; probabilmente era accaduto prima che Alhena arrivasse o subito dopo la sua fuga.
“Avevo intuito che mi stava nascondendo qualcosa quando l’avevo incontrato... ma non pensavo... non credevo fosse capace di mentire su questioni così delicate... ero disperato quando sono giunto ai confini di Bosco Atro...”  continuò Elladan. “Sono stato in pena per lei per anni! L’ho cercata per tutta la Terra di Mezzo senza trovarla! Credevo fosse morta o peggio! Aveva scritto ad Estryd alcune lettere… ma così raramente che...” prese fiato e, guardando Legolas negli occhi, concluse: “E lei.... e lei si nascondeva nei confini di reame boscoso... a casa tua...”
“Credimi, non sapevo nulla di tutto questo... non sapevo che tu fossi venuto a cercarla... ti avrei subito condotto da lei...”
Elladan osservò con attenzione l’amico, cercando di capire i suoi pensieri... di una cosa era certo, Legolas diceva il vero.
“Come mai Thranduil mi ha mentito?” domandò Elladan.
Il biondo chinò il capo; la risposta a questa domanda era la ragione per cui lui temeva di parlare con la bionda.
“Io gli ho chiesto di mentirti.” rispose Alhena.
Era in piedi a pochi metri dai due e li osservava attentamente; il cappuccio del mantello tirato sul volto.
Entrambi la guardarono.
“Non volevo creare problemi a Thranduil che era stato così gentile nell’ospitarmi... nostro padre non avrebbe approvato questa sua cordialità nei miei riguardi.” continuò lei.
“Gentile?” chiese Legolas, irritato. Thranduil l’aveva cacciata, era stato lui a nasconderla per mesi, contravvenendo agli ordini del Re.
“Si. Ricordo perfettamente ogni cosa.” rispose Alhena, intuendo ciò che Legolas pensava. “Ricordo l’inizio... ma ricordo anche il seguito... mi è stato vicino e abbiamo parlato molto mentre tu, Legolas, eri in missione... ho scoperto aspetti di lui che non conoscevo... aspetti che mi hanno fatto vedere quanto straordinario sia...”
Legolas si alzò; dunque le risposte alle sue domande stavano per giungere... nel petto sentiva il cuore andare in frantumi. Cercava di farsi forza, di non piangere... ma gli occhi gli bruciavano... stava per perdere l’amore... l’unica donna che era mai contata davvero qualcosa per lui, la stava perdendo… in quel momento; distolse lo sguardo per un secondo, non riusciva a sostenere i suoi occhi azzurri.
Elladan guardò la sorella e, intuendo la delicatezza del discorso, si alzò e si allontanò dai due; avevano bisogno di restare soli... da giorni aveva notato la tensione tra loro e, solo ora, iniziava a capirne le ragioni.
“Dunque mi stai dicendo ciò che penso?” chiese Legolas, incrociando lo sguardo dell’amica. “Ciò che temo?”
“Legolas...”
Avvicinandosi, Alhena prese tra le sue mani quelle dell’amico: “Ho cercato… ho tentato con tutta me stessa... ci ho provato davvero, ma non sono riuscita... non ho potuto… io lo amo.”
“Lo ami...” ripeté Legolas, con un filo di voce.
Alhena annuì: “Ma ciò non ha importanza alcuna... io per lui sono solo una ripicca... mi ha confessato i suoi sentimenti e, per un attimo, ci ho anche creduto, ma erano solo un abbaglio... non penso abbia mai dimenticato tua madre.”
L’elfo rimase in silenzio, non sapeva cosa fare. I sentimenti di Thranduil non erano un abbaglio... amava davvero Alhena... la guardò, indeciso sul da farsi. Lei lo stava osservando; gli occhi colmi di speranza.
“Lui ha amato mia madre... solo lei in tutta la sua vita.” mentì.
Lo sguardo della bionda si rabbuiò udendo quelle parole. Legolas abbassò il capo; si sentì subito in colpa per la bugia detta, non l’aveva mai fatto prima.
“Alhena...” la chiamò, intenzionato a dirle la verità, ma lei posò una mano sulle sue labbra e, scuotendo il capo e abbozzando un sorriso tirato e finto, lo interruppe.
“Non dire altro... in fondo penso d’averlo sempre saputo. Scusami, ma ora desidero riposare.”
Senza aspettare una risposta, Alhena si voltò e, attraversando il ponte della nave, scese nuovamente a terra. Superò le poche capanne del villaggio e si addentrò per alcuni metri nel bosco, camminando tra gli alberi tutti dall’aria antica... i pugni stretti così forti che le nocche le erano diventate bianche, le facevano male i palmi delle mani feriti dalle unghie...
Si arrampicò su una collina e, superando dei massi, si lasciò cadere a terra, tra le foglie secche che coprivano del muschio... respirava a fatica mentre due grosse lacrime silenziose bagnavano le sue guance... era così doloroso... aprì la bocca e un urlo silenzioso ne uscì... avrebbe voluto che tutta quella sofferenza cessasse, faceva così male... si passò le mani tra i capelli, afferrandoli con forza dietro la nuca e, celando il volto al mondo, pianse in silenzio.


Il campo ai piedi del Monte Fato si svuotò; dei migliaia di orchi ormai non era rimasto nessuno. Estryd e Frodo scesero con cautela la collina, cercando di non far rumore. L’erba dell’altopiano era ingiallita e schiacciata sotto il peso degli orchi; varie braci, ancora fumanti, erano posizionate a intervalli regolari. Frodo era sfinito; annaspava ad ogni passo. Solo grazie ad Estryd riusciva a proseguire. L’elfa lo trascinava utilizzando tutta la forza di cui disponeva. L’aria era asfissiante per il fumo e per il caldo che proveniva dal Monte Fato; ad ogni passo, Estryd controllava il grande occhio... voleva essere certa che la sua attenzione fosse indirizzata sempre verso Gondor.
Attraversarono l’altopiano in silenzio, senza scambiare nemmeno una parola. Proseguirono lentamente e, dopo due ore di cammino, Frodo si fermò... non riusciva più a proseguire, era troppo stanco... troppo.
Estryd intuì che lo hobbit aveva raggiunto il suo limite e, con cura, lo adagiò per terra accanto a un falò spento.
Tremava e stringeva nel pugno la collana e l’Anello; faceva una gran pena all’elfa.
Restando in piedi la bruna si guardò attorno; il Monte Fato era così vicino... riusciva a distinguere chiaramente la via che saliva zigzagando fino a raggiungere il passaggio scavato nella roccia e che avrebbe condotto nel cuore della montagna. Elrond aveva raccontato alla figlia la storia della battaglia contro Sauron e del vano tentativo di convincere Isildur a distruggere l’Unico. Le aveva descritto ogni dettaglio del sentiero, ogni scavatura nella toccia o intaglio...
“Mi dispiace...” sussurrò Frodo, interrompendo i pensieri di Estryd.
L’elfa guardò l’amico e gli sorrise con affetto.
“Non scusarti... sei forte, ma sei stanco... sei stato messo alla prova infinite volte in questo viaggio. E ora il suo potere si fa sempre più intenso... indebolenti... succhiando la tua vita...”
Si accomodò al suo fianco e, carezzandogli il capo, concluse: “Hai dimostrato il tuo coraggio. Sei un piccolo uomo, ma sei davvero grande.”
Gli occhi del portatore s’inumidirono; era davvero grato ad Estryd.
“Dormi... tra qualche ora ti sveglio… proseguiremo al calar della notte.” convenne la bruna.
Mentre Frodo si addormentava, Estryd afferrò l’anello di Boromir e lo strinse forte. Gli mancava tantissimo... gli mancava sentire la sua voce, la sua risata... gli mancavano i suoi occhi quando la guardavano e le sue mani quando la sfioravano... gli mancava lui.
Avevano vissuto così pochi attimi insieme che poteva contarli sulle dita delle sue mani, momenti che purtroppo erano volati...
L’elfa chiuse gli occhi e riportò alla mente il suo volto; era bellissimo... per la prima volta pensò all’eventualità di presentarlo a suo padre... avrebbe approvato o avrebbe ostacolato il loro amore come aveva fatto all’inizio tra Arwen e Aragorn? Si sfiorò il ventre; era diverso, per loro... lei portava in grembo il suo bambino... suo e di Boromir.
Guardò Frodo riposare al suo fianco; sembrava così stanco... erano fermi già da due ore, Estryd si alzò lentamente e spiò l’altopiano e il Monte Fato; incredibilmente non c’erano orchi che sorvegliavano il passaggio, una leggerezza che avrebbe agevolato la loro missione.
Un gemito fece voltare l’elfa, Frodo si stava alzando in piedi; tremante e pallido.
“Frodo...” sussurrò Estryd, cercando di farlo sedere.
“Estryd no... dobbiamo procedere. Dobbiamo. Non ci capiterà mai un’occasione simile.”
Frodo annuì debolmente ma non si mosse, ricadde a terra seduto; troppo stanco per alzarsi.
Chinandosi verso di lui, l’elfa disse: “ Mangia qualcosa... hai bisogno di forze...”
Tolse dallo zaino una galletta elfica e gliela porse: “Forza, mangiala. Ti farà bene...”
Il portatore la prese e la avvicinò alle labbra, l’elfa lo osservò con attenzione; sembrava nauseato all’idea. La bruna gli sorrise e Frodo annuì, addentando la galletta. Sapeva che Estryd aveva ragione; senza forze non avrebbe mai raggiunto il Monte Fato.

 

“Dove sei stato?”
Legolas raggiunse il padre non appena fu avvisato del suo rientro a Bosco Atro, era sparito per due giorni senza lasciare a nessuno informazioni su dove si trovasse. Era stato in pena per lui, l’aveva cercato dentro e fuori i confini di Bosco Atro.
Appena lo vide, intuì che aveva sbagliato i posti dove l’aveva cercato; era chiaramente ubriaco.
“Da quando devo riferire a te, o a chiunque altro, i miei spostamenti?” ribatté, guardando solo di sfuggita il figlio.
Il giovane principe si avvicinò al padre e, guardandolo attentamente in volto, trovò i segni della stanchezza e nei suoi occhi vide una profonda delusione.
Legolas rispose, sostenendo lo sguardo del genitore: “Ero preoccupato per te. E, da ciò che vedo, ne avevo tutte le ragioni...”
“Non devi...” replicò Thranduil, mentre si avvicinava alla mensola sulla quale c’era sempre un decanter contenente il più pregiato vino elfico.
“Pensavo avessi smesso... è mattina.”
Thranduil fulminò il figlio con lo sguardo; nei suoi occhi però non vide odio, ritrovò ancora la delusione.
“Sai che puoi parlarmi... dimmi dove sei stato... dimmi cos’è successo!” lo supplicò il principe.
“Puoi andare.” concluse il Re con tono freddo.
“Padre...” tentò ancora.
“Vattene!” urlò, accompagnando la parole con un gesto secco, indicando la porta.
“Bene. Credo che andrò a Gran Burrone per un paio di settimane...”
“Gran Burrone?” chiese il re, ritrovando il controllo del tono della sua voce.
“Si. Ci saranno i festeggiamenti per il compleanno dei gemelli Elladan e Elrohir...”
Annuendo, Thranduil si avvicinò al figlio: “Vengo con te.”
“Non ti è mai interessato partecipare a eventi simili... quale ragione hai per venire?” chiese Legolas, anche se sospettava che le motivazioni del padre potessero riguardare Alhena.
“Legolas...” disse strascicato. “Le mie ragioni, mi appartengono.”

Il viaggio verso Gran Burrone durò un paio di giorni, durante i quali Thranduil non rivolse parola al figlio. Legolas soffriva per quel silenzio e non riusciva a comprendere le ragioni che l’avevano portato a questa crisi... aveva dei sospetti, ma nulla di più.
Questa era la stagione migliore per recarsi nella terra di Elrond; c’era caldo e i giardini erano fioriti, donando al palazzo un’aria incredibilmente romantica.
Elrond attendeva gli ospiti nella piazza che conduceva al cancello, al suo fianco i quattro figli osservavano nella sua stessa direzione. Avevano ricevuto conferma poche ore prima che anche il Re di reame boscoso gli avrebbe fatto visita... erano anni che Thranduil non si recava a Gran Burrone ed Elrond era felice di rivedere l’amico... ma, quando lo vide seduto sull’alce, lo sguardo trasognato e la postura morbida, intuì che aveva abusato del vino e che un peso gravava sul suo cuore.
Con discrezione si chinò verso Arwen e, cercando di non farsi sentire, sussurrò: “Porta delle gallette e un infuso di zenzero nelle stanze di Thranduil...”
La bruna, dopo aver guardato il Re, annuì e si allontanò dal padre, portando con sé anche la sorella minore.
“Legolas che piacere averti qui a Gran Burrone!” esclamò Elrond avvicinandosi al principe. “Elladan ed Elrohir erano ansioni di averti qui...” continuò mentre i gemelli, sorridenti, si avvicinarono all'amico. “Thranduil, amico mio... ero sorpreso quando mi è stata annunciata la tua presenza...”
Il Re di Bosco Atro scese dall’alce con, nonostante tutto, innata eleganza e con passo non altrettanto aggraziato, raggiunse il signore di Gran Burrone.
“È una gioia anche per me!” rispose.
“Legolas, i miei figli ti accompagneranno nelle stanze che abbiamo preparato per te...”
Il biondo, senza replicare, seguì gli amici chiacchierando allegramente e ridendo.
Una volta rimasti soli; Elrond guardò Thranduil e, scuotendo il capo, raggiunse l’elfo.
“Vieni... permettimi di accompagnarti...”
Tenendo Thranduil per un braccio, lo guidò lungo varie scalinate e per le vie del palazzo fino a raggiungere una grande porta di legno intagliata a mano.
“Pensavo ti fossi ripreso...” disse Elrond, mentre apriva la porta ed entrava nella camera.
La luce filtrava dalle ampie finestre, corniciare da fini tendaggi di lino bianco. La stanza offriva un magnifico panorama sulla cascata e, il più piccolo dettaglio era risaltato dal sole che illuminava i muri dipinti di bianco e i mobili di pregiato legno.
Thranduil seguì l’amico e iniziò a girare per la camera, osservando ogni cosa.
“Lembas e infuso allo zenzero?” domandò quando, avvicinandosi ad un vassoio posato sul tavolo, annusò il contenuto del calice.
“Sì, niente vino... penso che tu ne abbia già abusato a sufficienza...” rispose Elrond, accomodandosi su una sedia, davanti all’elfo. Lo guardò preoccupato; chinandosi verso di lui, gli domandò: “Cosa sta succedendo?”
“Cosa intendi?” chiese Thranduil. “Cosa dovrebbe succedere?”
“Thranduil... era da quando Aredhel...” Elrond s’interruppe ed osservò le reazioni dell’amico. Sul volto dell’elfo non vide alcuna emozione; anzi, il Re sorrise leggermente, senza però esprimere gioia.
“Siamo entrambi Re... ed entrambi abbiamo perso la donna che amavamo... ognuno di noi reagisce al dolore come crede... Aredhel è la madre di mio figlio... e ho disperato per lunghi anni la sua morte.”
Il biondo si accomodò sulla sedia libera, davanti al signore di Gran Burrone. Afferrò con entrambe le mani la tazza e, avvicinandola al volto, inspirò il profumo piccante dell’infuso.
“Avevo trovato una persona che mi faceva sentire me stesso... mi faceva sentire vivo... mi faceva sorridere…”
Elrond attese alcuni secondi che l’amico continuasse.
“Thranduil...” lo incoraggiò.
“Se n’è andata appena ha visto in me il mostro.”
Elrond si sistemò meglio sulla sedia: “Il mostro era morto ormai da tempo... le cicatrici della guerra erano state curate da lady Galadriel e il segno sul tuo volto era diventato minimo… oserei dire impercettibile. Hai mostrato solo quello che ritenevi potesse spaventare costei.”
“Mi aveva appellato in quel modo un giorno mentre litigavamo... se credeva che io fossi un mostro; non l’avrei delusa!”
Elrond rise: “Mentre litigavate? Hai conosciuto qualcuno che sa tenerti testa?”
“Ormai non ha importanza alcuna. È andata e penso non tornerà più.”
“Non se n’è andata. L’hai allontanata, amico mio... sono due cose molto diverse.”
“Allontanata, andata; il risultato è il medesimo. Ma ora ho compreso l’importanza che lei aveva nella mia vita. Se solo avrò ancora un’occasione… credimi: non la sprecherò!”

 

La cittadella era in fiamme; il fumo si alzava da dentro le mura diradandosi nel cielo. Gli orchi avevano abbattuto il portone di robusto legno e ferro, iniziando a saccheggiare e uccidere chiunque incontrassero: uomini, donne e, perfino, i bambini. Alcune urla erano così forti, così strazianti, che attraversavano varie miglia fino a raggiungere le fini orecchie dei tre elfi.
Dal fiume Aragorn osservò senza parole lo svolgersi degli eventi... forse avevano tardato troppo, forse non avevano più tempo. Sul campo, oltre agli orchi di Mordor e ai nove, c’erano anche uomini del sud, in sella a degli olifanti; quelle creature, per molti, erano solo leggenda ma incredibilmente erano lì.
I cinque li guardarono da lontano senza fiato... erano creature maestose ma, allo stesso tempo, micidiali. Erano stati armati, legando alle loro corna, delle travi chiodate che non lasciavano scampo né agli uomini di Gondor né ai cavalieri di Rohan.
“Siamo con te, amico.” esclamò Legolas, impugnando la spada.
Accanto al biondo, anche Elladan, Boromir e Alhena annuirono, mentre stringevano le proprie armi. Questo era il loro destino, questo era quello per cui avevano intrapreso quel viaggio; combattere per dare a Frodo una possibilità, per dare al mondo una possibilità.
Mentre si avvicinavano al porto, alcuni orchi di Mordor che sorvegliavano il fiume, avanzarono verso di loro con andatura spavalda.
Il loro Capitano superò i suoi soldati, fino ad arrivare davanti alla nave mentre si posava con un tonfo contro il molo di pietra.
“In ritardo come al solito, feccia dei pirati! Ci aspetta un lavoro di coltello! Forza, topi di fogna! Scendete dalla nave!”
I cinque si guardarono negli occhi; Alhena strinse la mano del fratello, come sempre era nervosa.
“Sarò al tuo fianco, sempre.” sussurrò lui, premuroso.
Poi, tutti insieme avanzarono fino al parapetto e, salendovi sopra, saltarono oltre l’imbarcazione, atterrando sul molo di pietra.
Alhena alzò la spada e, avanzando con passo sicuro, incrociò gli occhi spalancati dalla sorpresa del Capitano di Mordor.
Un movimento sciolto, la lama tagliò l’aria e la testa dell’orco.
“Che la guerra abbia inizio!”

  
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