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Autore: Sospiri_amore    14/11/2017    0 recensioni
TERZO LIBRO DI UNA TRILOGIA
Elena se ne è andata via da New Heaven appena finite le scuole superiori, da ragazza ha lasciato gli USA per l'Europa. Tutte le persone a cui ha voluto bene l'hanno tradita, umiliata e usata.
Dopo quattordici anni, ormai adulta, Elena incontrerà di nuovo le persone che più ha amato e odiato nella sua vita, si confronterà con loro rivivendo ricordi dolorosi.
Torneranno James, Jo, Nik, Adrian, Lucas, Kate, Stephanie, Rebecca più altri personaggi che complicheranno e ingarbuglieranno la vita di Elena.
Come mai Elena è tornata in America?
Chi è il padre di suo figlio?
Elena riuscirà a staccarsi dal passato?
Chi si sposerà?
Riusciranno i vecchi amici a trovare l'armonia di un tempo?
Elena riuscirà ad amare ancora?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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OGGI:
Cin cin







... vi avviso, il capitolo è molto lungo...

 

 

Sono ancora con il biglietto di Rebecca tra le mani.

 

Alice Drobawy.

 

Rileggo il nome scritto a mano cercando di capire se possa fidarmi o meno. Conoscendo Rebecca non mi stupirei se volesse fregarmi in qualche modo, ma allo stesso tempo, lo slancio con cui mi ha dato il nome, la sua spontaneità mi fa pensare che forse non stia macchinando nulla contro di me e il matrimonio di Kate.

 

Alice Drobawy.

 

Cammino a passo di lumaca per il corridoio che mi porta al mio piccolo ufficio dove mi aspettano diverse registrazioni da ascoltare. La frenesia, i movimenti veloci delle persone accanto a me paiono accelerate. Sembrano strisce che scorrono, macchie di colori informi. 

Ogni mio passo ha un peso specifico maggiore del piombo.

Arranco.

Mi sento scollegata proprio come mi capita ogni volta che non so cosa devo fare.

 

Devo andare con Kate in questo negozio?

E se la proprietaria fosse in combutta con Rebecca?

 

Di sicuro Rebecca non può aver organizzato già tutto, sempre nel caso si tratti di uno scherzo. Il fatto che a Kate serva il vestito è uscito per caso nella conversazione in ascensore, l'idea però potrebbe essere balenata in testa a Rebecca all'improvviso.

Devo capire se fidarmi o meno, per questo la tempistica è tutto, da quello che ho imparato con Bottari e Salti, il modo migliore per avere informazioni è muoversi per primi e andare di persona.

 

«Ciao, Elena». Caroline sta scrivendo al computer.

«Ciao». Le rispondo senza espressione mentre la mia mente progetta piani e strategie.

«Hai visto un fantasma? Sei più pallida del solito», mi dice con sufficienza. «Il tuo fidanzatino ti sta aspettando in ufficio».

«Cosa?», chiedo con l'aria stralunata.

«Nik. L'avvocato Martin. Il tizio con cui ti sei fidanzata ti aspetta in ufficio», Caroline parla con voce annoiata.

«Ah, sì... scusa. Stavo pensando ad altro». Mi blocco davanti alla sua scrivania tenendo tra le mani il biglietto di Rebecca.

«La porta è di la», mi dice sgarbata indicando con il dito la porta dell'ufficio di Nik.

 

Elena, riprenditi.

 

«Certo. Certo. Scusa ancora», le dico prima di entrare nell'ufficio di Nik.

 

Il sole di febbraio colpisce il pavimento in marmo dell'ufficio di Nik. Le strisce grigie e nere, intrecciate tra loro, paiono centinaia di serpenti arrotolati su loro stessi. Immobili, addormentati. Il legno della scrivania riflette e mostra le venature che corrono per tutta la superficie. 

Nik cammina avanti e indietro, sta parlando al telefono.

Mi fa un cenno con la mano.

Mi siedo nella sedia di fronte alla scrivania e aspetto.

 

«... va bene... grazie per l'informazione. Era quello che mi serviva sapere. No. No. Andrò da solo, non voglio rischiare che ti possa bruciare o farti scoprire... sì, andrò io in fondo a questa faccenda una volta per tutte... ok, va bene... ci sentiamo più tardi». Nik chiude la chiamata poi si accomoda sulla sua sedia.

 

Nik mi guarda, sembra euforico.

 

«Che succede?», gli chiedo.

«Forse ho trovato qualcosa. Salti e Bottari hanno un appuntamento strano oggi pomeriggio al porto. Potrebbe essere la pista che stavamo cercando. L'investigatore dell'ufficio lo ha scoperto da poco», mi dice a bassa voce riuscendo a stento a trattenere le emozioni.

«Ma non avevi detto che il vostro investigatore non aveva trovato nulla? Come mai adesso ha questa nuova informazione?».

«Perché il magazzino non era intestato alla loro società, ma solo a Salti», mi dice come fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Cosa vuoi fare adesso?», gli chiedo un po' preoccupata.

«Casualmente mi farò trovare lì. Casualmente assisterò al loro incontro strano». Nik pare al settimo cielo.

«Ma non è pericoloso?».

«Elena, finalmente avrò una volta per tutte in mano quei due», dice mentre si alza in piedi per avvicinarsi a me.

«Ho solo paura che possa succederti qualcosa di brutto», gli dico mentre lo abbraccio.

«Non ti preoccupare, appena sono a casa ti chiamo. Anzi, passo dal tuo appartamento, così saluto pure Sebastian». Nik mi bacia le guance.

«No, Seb è a casa del suo amichetto Samuel. Pigiama party», gli dico mentre gioco con il nodo della sua cravatta.

«Meglio. Così avremo tutta la sera per noi. Ti piace come idea?». Nik mi bacia la bocca con delicatezza.

«Io... io...».

 

Sono confusa. 

Il pensiero di quel dannato bigliettino datomi da Rebecca mi fa impazzire.

 

«Facciamo così. Oggi pomeriggio non riesco a sentire le registrazioni devo andare in un negozio per vedere se c'è una cosa per il matrimonio di Kate. Non so quanto ci metto visto che ho diverse commissioni. Possiamo sentirci per telefono. Potrei essere distrutta stasera e...».

 

Toc. Toc.

Qualcuno bussa la porta interrompendo le mie parole.

 

«Certo che Caroline ha un tempismo perfetto», dice Nik sbuffando.

«Non ti preoccupare, possiamo continuare a parlare dopo», gli dico accennando un sorriso.

 

«Avanti». Nik si sistema la giacca e gli occhiali pronto ad accogliere Caroline.

 

Ma.

C'è sempre un ma.

 

Non entra Caroline, ma Andrew.

 

«Scusa, Nik. Scusa il disturbo...», dice Andrew interrompendosi appena mi vede.

«Nessun problema, dimmi pure», risponde Nik invitandolo ad entrare.

Andrew tiene in mano una scatola: «Sono felice che tu sia qui, Elena. A dire il vero mi fa comodo. In questo modo faccio tutto in una volta sola».

«Che cosa vuoi?», gli chiedo diretta senza tante manfrine. 

«Ecco... insomma...», Andrew pare imbarazzato, sembra addirittura arrossire, «Volevo scusarmi con il mio comportamento inappropriato alla festa organizzata da George per il suo pensionamento. Mi hanno riferito che io sia stato leggermente molesto con alcune Signore e... ecco... visto che ho i ricordi un po' annebbiati, non sono in grado di ricordare se ho infastidito Elena o meno. Per questo sono venuto qui da te, Nik, volevo chiederti... chiedervi... scusa. Visto che siamo soci in affari e sono in ballo molto soldi, non vorrei compromettere nulla». Andrew allunga una scatola di legno con dei sigari cubani.

Nik ride: «Stai tranquillo, eri solo un po' alticcio. Mi fa piacere questo regalo, molti miei clienti apprezzeranno queste delizie», dice mentre prende la scatola esaminando i sigari perfettamente adagiati e avvolti nella carta velina.

«L'altra sera non eri diverso da come sei di solito», ribatto acida.

Nik sghignazza mentre Andrew si irrigidisce imbarazzato.

 

È ora che io lasci l'ufficio, voglio andare da Alice Drobawy il prima possibile e togliermi ogni dubbio.

 

«Nik, io vado nel posto che ti ho detto prima, appena finisci la tua cosa chiamami così possiamo metterci d'accordo per stasera», dico pronta a lasciare l'ufficio.

«A proposito di stasera. Ho organizzato una cena in un mio ristorante con gli altri dell'ufficio. Una cosa informale. Vengono pure Bottari, Salti, Stephanie e Adrian. Ovviamente siete invitati anche voi», dice Andrew, «Nuovo menù da testare. A quanto pare devo estendere le mie scuse anche a Rebecca e Stephanie. Credo di aver avuto un po' la mano pesante con loro».

«Veramente abbiamo impegni che...»., provo a dire, ma Nik mi interrompe.

«Ci saremo di sicuro», dice Nik stringendo la mano ad Andrew.

«Perfetto. Vi aspetto intorno alle venti, questo è l'indirizzo». Andrew allunga un biglietto da visita: Ristorante Empereur. «L'ho ristrutturato da poco».

«A stasera allora», dice Nik mente osserva Andrew uscire dall'ufficio.

 

Io.

Adesso.

Lo.

Strozzo.

 

«Che cavolo ti salta in testa? Accetti un invito da Andrew?».

«Ci saranno Bottari e Salti stasera. È un colpo di fortuna. Se non dovessi scoprire nulla dal loro incontro strano al porto di Boston avrò modo di avere più informazioni durante la cena, da una chiacchierata rilassata si possono carpire molte informazioni. Se invece scoprissi qualcosa oggi pomeriggio avrò l'occasione di smascherarli davanti a tutti», mi dice Nik già pronto ad indossare il suo cappotto.

«Mi sembra tutto dannatamente complicato. Non sarebbe meglio passare la serata in tranquillità?», chiedo.

«Elena, fidati. Aspettami al ristorante. Adesso vai a fare le tue commissioni, vedrai che qualunque cosa accada tutto si risolverà per il meglio». Nik mi abbraccia forte poi prende la sua valigetta ed esce di corsa dall'ufficio.

 

Mi sento come un cane abbandonato sul ciglio della strada.

Possibile che Nik sia così ostinato e fissato?

Il suo modo di fare mi irrita sempre di più.

 

Elena, calma.

Lascialo perdere.

 

Non ho voglia di stare a farmi il sangue amaro. Se Nik ha voglia di giocare a guardia e ladri con Bottari e Salti che vada pure, io ho di meglio da fare.

Devo capire se il negozio che mi ha indicato Rebecca è affidabile e se lì posso trovare l'abito giusto per Kate.

 

Esco dall'ufficio senza esitazione. 

Non saluto Caroline che mi squadra dall'alto al basso.

Evito un paio di tirocinanti barcollanti pieni di fascicoli.

Ascensore.

Arrivo al piano terra in pochissimo tempo.

L'atrio è semi deserto, la maggior parte degli impiegati sono negli uffici.

Chiedo alla guardia di chiamarmi un taxi, non ho voglia di cambiare tre linee di metropolitana per raggiungere il negozio di Alice Drobawy.

Cammino avanti e indietro.

Aspetto.

Guardo fuori le vetrate, il sole splende.

Aspetto.

La guardia del palazzo mi avvisa che il taxi è arrivato.

Esco.

Salgo.

 

«Mi porti in Millenium Street 32. Grazie», dico all'autista.

L'uomo parte senza esitazione immettendosi rapido nel traffico. A quest'ora del giorno le strade sono più libere quindi non trova grossi ostacoli durante il viaggio. Passiamo attraverso i quartieri finanziari con grossi palazzi per poi dirigerci verso la zona più vecchia della città, nella zona opposta a dove abito io. Sfiliamo per piccole vie con abitazioni e locali di nuova generazione non molto lontani dallo studio fotografico di Kate.

 

Dopo una ventina di minuti siamo arrivati.

Millenium Street 32.

 

Pago il tassista.

Scendo.

 

Davanti a me c'è una piccola boutique con una grande vetrina finemente decorata. Due manichini in legno vestiti con graziosi abiti colorati. Si nota a colpo d'occhio che sono fatti a mano, le finiture e i dettagli sono unici. 

 

Sono impressionata.

Stai a vedere che Rebecca ha voluto veramente darci una mano.

 

Osservo con attenzione l'interno del negozio. Non vedo molto. Noto parecchi capi appesi alle grucce, ma non mi pare di scorgere abiti da sposa, puzzi, tulle o cose simili.

Metto le mani intorno agli occhi per cercare di ripararmi dalla luce e cercare di capire meglio di che tipo di negozio si tratti.

 

«Se ti interessa puoi entrare, senza impegno ovviamente». Una ragazza dalla pelle color caramello mi sorride, indossa uno splendido abito color corallo in stile anni '50 e una bandana contiene una lunga massa di capelli neri.

«Hmm... grazie». Non voglio svelarle le mie carte, preferisco fingere di essere una acquirente qualsiasi.

 

Il negozio è molto curato, alcuni vestiti sono appesi sulle pareti e altri sono esposti in stand sparsi per la stanza. Non è molto grande, ma è accogliente, mi trasmette emozioni positive.

 

«Faccio tutto a mano, sono una sarta e stilista. Puoi trovare dei modelli già fatti, ma se preferisci posso cucire le parti che più ti piacciono tra di loro. Ho dei modelli di gonne, pantaloni già pronte che puoi abbinare a top o bluse. Io assemblo il tutto come piace a te adattandoli alla forma del tuo fisico. In questo modo il vestito ti calzerà a pennello», mi dice la ragazza con un sorriso.

«Guardo quello che è esposto, poi ti faccio sapere», le dico mentre i miei occhi cadono su un capo all'altro, sono tutti bellissimi.

La ragazza si dirige ad un grande tavolo di lavoro pronta ad armeggiare con la sua macchina da cucire lasciandomi il tempo di dare un'occhiata.

 

Sono in paradiso.

Ogni capo è realizzato alla perfezione, ogni stoffa e decoro sono di alta qualità e tutto è molto curato. La morbidezza, la delicatezza dei pizzi, i colori vibranti, i tagli moderni e originali sono tutto ciò che Kate ha sempre cercato.

Peccato che non si tratti di abiti da sposa.

 

«Posso chiederti una cosa?», mi avvicino con discrezione al tavolo di cucito.

«Certo, dimmi pure», mi risponde cortese Alice.

«Se io portassi una mia amica a scegliere un abito potresti aiutarla? Si deve sposare tra un mese e mezzo e non ha trovato nulla che le piacesse».

«Non vorrei apparire poco modesta, ma io sono in grado di cucire tutto alla perfezione», dice con una irriverente impertinenza impossibile da non adorare. «Se vuole un abito a meringa, moderno, a sirena, in pizzo io lo faccio. Tutto, io cucio tutto».

«Credo che lei volesse qualcosa di diverso. Credo che l'azzurro sia il colore che le sta meglio. Ovviamente non voglio che sembri la fata turchina, ma fare in modo che sia presente quel colore nell'ambito», dico ad Alice che pare in preda ad una visione estatica.

«Vieni con me». La ragazza mi porta sul retro del negozio che, colmo di rotoli di stoffe, scatole con bottoni, nastri e decorazioni, è affollato e stracolmo di oggetti. «Guarda questa seta bianca», mi dice mostrandomi una seta di una morbidezza mai sentita prima, sembra borotalco fluido. Dei riflessi azzurri, color ghiaccio, lo rendono più simile all'acqua che a un tessuto senza risultare pacchiano o di cattivo gusto.

«È stupenda». Non ci sono parole per descrivere quello che sto vedendo è meraviglioso.

«Facciamo, così. Porta la tua amica, così vediamo se posso aiutarla», mi dice Alice.

«Contaci! Ti dispiace se adesso do un'occhiata? Mi piacerebbe vedere se  trovo qualcosa anche per me». Non voglio perdere l'occasione di provare abiti stupendi». Mi sento un po' sciocca, superficiale, ma non posso farne a meno. Mi sento come una bimba in un negozio di caramelle, pupazzi e cuccioli.

 

Passo le due ore successive a indossare, toccare, provare decine di abiti. Sono uno più bello dell'altro. Mi innamoro di ogni capo finché non vedo quello successivo. Alice è uno spasso, ha sempre la battuta pronta e non si fa problemi a dirmi come mi sta un vestito. È molto sincera e diretta, proprio come piace a me.

Dopo abiti lunghi, corti, pantaloni, bluse e giacche, finalmente trovo l'abbinamento che più mi convince: una lunga gonna che scende morbida lungo i fianchi e un top con scollatura a cuore, spalline in tulle intrecciato e qualche cristallo per decorarlo. Il colore scelto è un rosa antico più scuro del solito, la stoffa ha riflessi luminosi, ma non troppo.

 

«Se porti i capelli sciolti vedrai che starai benissimo, basta qualche boccolo. Sarai una damigella d'onore con i fiocchi», mi dice Alice che ormai conosce tutta l'avventura, mia e di Kate, per la ricerca dell'abito da sposa perfetto. 

«Grazie. Ci hai salvate, Kate ti adorerà», le dico abbracciandola, «Adesso vado, il taxi che ho chiamato poco fa è arrivato. Voglio passare da casa a darmi una sistemata, ho un appuntamento a cena stasera».

Alice mi saluta caldamente prima di chiudere la porta del suo negozio.

 

Sono quasi le 18.00.

Devo sbrigarmi se voglio fare tutto.

 

Corsa in taxi.

Sfrecciare per le vie della città.

Incrociare le dita sperando di fare in tempo.

Passano i minuti.

Arrivo sotto casa mezz'ora dopo.

Corro per le scale del mio palazzo.

Mi lancio dentro casa.

Cammino e mi spoglio.

Apro l'acqua della doccia.

Indosso la cuffia.

 

Ahia! L'acqua scotta.

 

Mi lavo e in dieci minuti riesco a fare tutto.

Mi asciugo.

Crema.

Metto uno smalto perlato bianco.

Sventolo mani.

Con accortezza inizio a truccarmi.

Ombretto dorato.

Abbondante mascara.

Fondotinta, correttore e tutto il resto.

Ancora un po' di mascara.

Corro in camera.

Apro l'armadio in cerca di un tubino color petrolio molto elegante e una giacchetta abbinata.

Lo indosso.

 

Chiamo un taxi.

 

Faccio una lunga treccia che arrotolo in uno chignon.

Scarpe con il tacco.

Borsetta abbinata.

Bracciali dorati.

Cappotto corto in lana.

Mi guardo allo specchio, non sono male.

 

Sono pronta.

 

Esco di casa.

Il taxi mi sta aspettando.

19.45.

Merda, sono in ritardo.

 

«Ristorante Empereur. Grazie», dico con il fiatone all'autista mentre cerco nello specchietto che tengo in mano di vedere se il trucco è in uno stato decente o meno.

 

Elena, respira.

Elena, non succede niente se ritardi di qualche minuto.

 

Il taxi fa il possibile, ma c'è parecchio traffico. Molte persone stanno tornando a casa o cercando di raggiungere il centro città per passare una serata in compagnia di amici o con persone care. 

Il mio respiro è ormai tornato normale. Mi ritrovo a fissare fuori dal finestrino auto, negozi e persone sui marciapiedi. Con le dita gioco con la chiusura a scatto della borsetta.

Chiudo.

Apri.

Chiudi.

Apri.

 

Un pensiero affiora nella mia mente, così, all'improvviso.

 

Nik.

 

Non ho sentito Nik per tutto il pomeriggio.

Guardo il mio cellulare: nessuna chiamata persa, nessun messaggio.

 

Provo a chiamarlo.

Squilla.

Squilla, ma non risponde.

 

Riprovo.

Non risponde.

 

Lo troverò al locale.

 

Dopo nemmeno cinque minuti il taxi riesce a raggiungere una delle vie più eleganti di Boston tra i negozi più famosi e i locali alla moda della città. Il Ristorante Empereur è tra uno di questi.

 

Il taxi si ferma.

Sono passate le otto da venti minuti buoni, non sono troppo in ritardo, almeno lo spero.

 

Il locale ha una insegna molto elegante, l'ingresso è curato, si vede che sono finiti da poco i lavori di ristrutturazione perché tutto luccica e splende.

Mi avvicino all'ingresso dove un uomo alto e robusto mi guarda in cagnesco: «Il locale è chiuso», mi dice torvo.

«Ho un appuntamento, Andrew mi sta aspettando», dico con un filo di voce.

«Nome?».

«Elena Voli».

L'uomo guarda un foglio che tiene in mano poi, senza preavviso, spalanca la porta d'ingresso.

 

Entro.

 

Il pavimento è tirato a lucido, decine di cristalli sul lampadario pendono dal soffitto. Una ragazza mi accoglie indicandomi la sala principale che sembra quella di un castello principesco: gli stucchi, le rifiniture, le tende, i tavoli e le sedie, tutto è il meglio che si possa avere, il massimo della qualità possibile ed immaginabile.

 

Sono senza fiato.

 

Tutti sono già arrivati: Rebecca, James, Jo, Lucas, Stephanie, Adrian, Bottari e Salti. Andrew mi viene incontro inchinandosi con eleganza.

 

Nik non c'è.

 

«Credevo non sareste più venuti. Dov'è Nik?», mi chiede mentre mi accompagna alla tavolata.

«Ha avuto un impegno, a-arriverà il prima possibile», mento il meglio che posso.

«L'importante è che ci sia tu, lui ha i sigari, questa cena è per te e per farmi perdonare», dice Andrew ridendo mentre si siede tra Rebecca e Stephanie di fronte a me. Mi accomodo vicino a Adrian. Il posto vuoto di fianco a me è quello dove avrebbe dovuto sedersi Nik.

«Hai molto da farti perdonare, mio caro. Fai in modo che questa cena sia all'altezza», dice Rebecca mentre sorseggia dello champagne.

 

Controllo il cellulare.

Niente.

Nik non mi ha richiamata.

 

Bottari mi fissa serio, troppo serio.

 

«Mi sono permesso di creare un menù di degustazione insieme al mio chef. Sono piatti semplici, ma dal grande sapore, spero ne apprezzerete il gusto», dice Andrew.

«Ho voglia di sapori nuovi, non vedo l'ora di iniziare», dice Lucas.

 

Sono preoccupata.

Perché Nik non è qui?

 

Salti gioca nervosamente con il tovagliolo.

Ogni tanto mi lancia occhiate cupe.

 

«Perfetto. Diamo il via alla cena». Andrew batte le mani.

Quattro camerieri portano piatti coperti da una cloche argentata.

 

Guardo il cellulare.

Cerco tra i messaggi.

Niente di niente.

 

«Uno. Due. Tre», dice Andrew. I camerieri alzano la cloche.

Un profumo speziato e aromatico invade le mie narici.

Profumi conosciuti che risvegliano in me ricordi.

 

«Un piatto semplice, ma genuino. Rivisitazione del Cocido madrileño e patata bravas. È il cavallo di battaglia del mio nuovo chef».

 

Andrew mi fissa.

 

Sto per svenire.

 

Andrew alza il calice.

 

Quel piatto lo conosco, lo conosco benissimo.

 

Andrew sorride.

 

Solo una persona può averlo cucinato.

 

«Cin cin», dice Andrew parlando nella mia direzione. «Un brindisi al passato, al presente e al futuro. Agli amici, agli affari e anche, perché no, ai nemici. A quelle persone che vuoi distruggere e annientare. A quelle persone che non hai mai smesso di dare la caccia nonostante il tempo... ma soprattutto a voi cari colleghi e soci. Cin cin».

 

Andrew sta parlando a me.

Andrew ha detto quelle parole a me soltanto.

Sono una sua nemica.

Lo capisco dall'aria beffarda che ha stampato in volto.

Non ha mai smesso di odiarmi per tutto questo tempo e questa cena né è la prova.

Il piatto che ho sotto gli occhi è un chiaro segnale.

Solo una persona può averlo cucinato, una soltanto.

Miguel, il padre di Sebastian.

Il padre di mio figlio.

 

Trattengo il fiato.

Arranco.

Guardo il piatto che conosco alla perfezione poi fisso la sedia vuota accanto a me.

 

Nik non c'è.

Nik non c'è.

 

Andrew infilza un pezzo di carne, osserva il condimento scivolare sui rebbi della forchetta. 

Lo addenta.

Andrew sorride glaciale mentre mastica.

 

Tremo.

Ho paura.

C'è lui dietro a tutto.

 

Nik non c'è per colpa sua.

 

   
 
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