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Autore: summer_time    16/11/2017    0 recensioni
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Iris si è sempre sentita troppo rossa: dal colore dei suoi capelli, dalla sua armatura, dal suo copriletto fino alle sue stupende ali. Ma non è un rosso caldo e accogliente, bensì un rosso cupo e sanguinolento, come piace a Micheal. Anche se lei non lo sa.
Micheal invece ha una passione sfrenata per l'orrore: si diverte a essere violento verbalmente, schiacciando coloro che intralciano il suo cammino con semplici ma efficaci parole; non sopporta assolutamente il lavoro di squadra. Forse se Iris glielo chiedesse cambierebbe idea, ma niente è certo con uno come lui.
Entrambi dovranno però adattarsi a una nuova profezia, insieme a un gruppo di sfortunati semidei, proprio su di loro: perchè nessuno di loro in realtà vuole che il Leviatano si liberi dalla sua gabbia di ghiaccio.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12 

Successe tutto in fretta. Micheal piombò come una furia su Kyros: il figlio di Phobos prima aveva lanciato la sua spada contro il pugnale sacrificale con una precisione millimetrica, salvando la vita di Arthur, e ora si era letteralmente lanciato addosso alla figura pallida del ragazzo – loro nemico – intenzionato a suonarle di santa ragione a quel pazzo; Ninette invece correva per tutta la stanza, lasciando scivolare da una grossa tanica un liquido maleodorante e oleoso, mentre stava al contempo comandando un’orda intera di ragni e serpenti velenosi, che assalivano senza pietà la folla intorno gli altari sacrificali: sulla spalla della rossa troneggiava trionfante un grosso aracnide con una striscia rosso sangue sull’addome, quasi compiaciuto dal lavoro impeccabile - e mortale - portato avanti dalla sua numerosa prole.

Florian arrivò trafelato all’altare dove Arthur era ancora legato: tentò in un primo momento di sciogliere le catene, poi a sfilarle ma niente riusciva a smuoverle. Spazientito dalla situazione pericolosa e dalle continue domande del figlio di Ade, prese la sua preziosa spada e colpì ripetutamente le grosse catene, sfogando tutta la sua frustrazione, la sua rabbia e la sua preoccupazione – creando scintille rossastre a ogni contatto tra i due metalli. Con qualche aiuto tecnico di un Arthur ormai completamente sveglio e attento ma debilitato, Florian riuscì a spezzare le catene che tenevano inchiodato il moro, liberandolo: il figlio di Afrodite fece cadere la sua spada a terra e aiutò Arthur a sedersi, frugando nelle tasche della sua giacca di Trussardi alla ricerca di una barretta di ambrosia e una piccola borraccia di nettare; gli fece bere e mangiare alla svelta, il ragazzo doveva assolutamente riprendere forze per aiutarli a tirarsi fuori di lì e a fermare la fine del Mondo.

“Ce la fai?”

Arthur annuì, l’ambrosia stava facendo già effetto, il dolore alla testa era sparito del tutto e sentiva la forza tornargli nei muscoli ma avrebbe dovuto aspettare qualche minuto per esserne certo. Intanto si guardò intorno, con il cuore più leggero: i suoi compagni l’avevano inspiegabilmente trovato, l’avevano salvato da una morte orribile. L’avevano trovato, lui che temeva di morire disperso chissà dove, solo e in mezzo a gente nemica.

“Al volo!”

Quasi non sentì l’urlo di Iris, impegnato com’era a rimuginare nella sua testa: la ragazza stava volando a una velocità inaudita in tondo alla stanza, impegnata a tener lontano da loro due possibili mostri; inoltre gli aveva lanciato la sua katana, custodita probabilmente in uno dei tanti depositi del covo ma era stato Florian a prenderla al posto suo, nonostante avesse corso il rischio di farla cadere due o tre volte. Una scena comica in un contesto decisamente triste e sconsolato ma a Arthur servì: non tutto era perduto. Loro erano ancora là e avrebbero combattuto fino alla morte pur di sconfiggere il Leviatano, pur di salvare il mondo, i loro amici, le loro famiglie. Fino a che c’erano persone a lui care ancora vive, avrebbe rischiato la sua vita in battaglia.

Con uno sforzo prese la sua katana, la maneggiò per qualche secondo poi guardò Florian: era pallido come un fantasma ma stringeva la sua spada tra le mani. Non l’aveva mai visto così deciso come lo era in quel momento, l’intera missione lo aveva cambiato, lo aveva trasformato tirando fuori un Florian meno superficiale e più serio. Il ragazzo in questione annuì alla sua domanda muta posta però con gli occhi, pronto a scendere anche lui in campo, a combattere e uccidere: con decisione entrambi si lanciarono al fianco di Ninette, schiena contro schiena, per la gloria e per l’onore.

 
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“Hai ferito la ragazza di sui sono innamorato da sempre.”

Due lame si scontrarono, producendo stridori assordanti. Micheal aveva recuperato la sua fedele arma e ora si confrontava contro Kyros, in un duello a tutti gli effetti mortale: non si erano mai scontrati prima, durante l’attacco sulla barca Kyros aveva avuto modo di sperimentare solo il potere semidivino del giovane ma tanto gli era bastato per capire di non dover sottovalutare Micheal e la sua furia.

“Hai rapito e quasi ucciso il mio migliore amico!”

Parò un fendete e tentò di colpire il fianco sinistro del semidio ma Micheal riuscì a evitare la lama, spostandosi lateralmente e, piroettando, assestò una dolorosa gomitata sul naso di Kyros che indietreggiò irritato.

“Hai ucciso due miei compagni. Due ragazzi innocenti. Due semidei.”

Le lame si scontrarono più e più volte: Micheal era veloce e possedeva una discreta forza ma Kyros era preciso e combatteva per uccidere, conscio che avrebbe potuto utilizzare anche il sangue del figlio di Phobos per liberare il suo Signore, nonostante non si trovasse sull’altare e non stesse utilizzando il pugnale sacrificale ma il suo fidato fioretto.

“Vuoi uccidere tutti. Non te lo permetterò!”

Con urlo di rabbia Micheal tornò a duellare con il nemico più abile contro cui si era mai scontrato: stava trattenendo il suo potere solo per permettere ai suoi compagni di recuperare Arthur, e a Iris di trovare il modo per impedire la fine del Mondo. Dovevano farcela. Doveva farcela, anche a costo di ucciderlo.

 
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Iris stava impazzendo. Aveva cercato ovunque, setacciato tutte le stanze che era riuscita a trovare ma non aveva risolto nulla di concreto. Si stava facendo prendere dal panico, sentiva le sue mani tremare vistosamente ma non doveva cedere, non ora. Doveva trovare una soluzione e alla svelta. Tornò nel salone principale, dove il caos regnava sovrano: si liberò in fretta di un gruppo di mostri, trapassandoli tutti con i suoi due fidati sai. Vedeva Ninette, Florian e un ritrovato Arthur combattere fianco a fianco, si davano una sorta di turno di riposo mentre gli altri due combattevano contro tutti: erano una strampalata macchina da guerra ma sembravano funzionare, in qualche modo; Micheal invece teneva impegnato Kyros, duellando contro un avversario forse più forte d lui: Iris sapeva di doversi muovere per permettere al ragazzo di utilizzare il suo potere per mettere in ginocchio l’intera sala.

Si librò in aria, scendendo poi in picchiata, avvicinandosi ai due altari sacrificali: se non aveva trovato niente nelle stanze probabilmente c’erano dei simboli incisi sul pavimento vicino a essi o sui stessi altari. Con  un nodo alla gola si avvicinò al cadavere di Julie, ancora con il pugnale piantato nel cuore: amaramente si trovò a pensare che se ne andavano sempre i più giovani in guerra, in qualsiasi guerra di qualunque periodo storico. Si prese un momento per dimenticarsi del macello della realtà in cui ancora viveva e si concentrò in una bolla – una bolla solo sua – dove con una calma apparente prese una dracma e l’appoggiò sopra la lingua della semidea, per poi chiuderle con delicatezza gli occhi. Non avevano trovato il cadavere di Neos, almeno per Julie voleva fare le cose per bene. Meritava la sua dracma e meritava i Campi Elisi: sperò  in una sua rinascita, sperò che fosse più fortunata e si trovò a sorridere amaramente alla sfortuna della figlia della Fortuna.

Tornare alla realtà fu dura ma doveva resistere, per Julie e Neos. Iris s’inginocchiò, cercando incisioni sia sugli altari sia sul pavimento dove poggiavano e finalmente ne trovò alcune: il sangue di Julie – rosso, scuro, denso – era colato lungo un solco apposito fino all’esatto centro della stanza, dove si era raccolto in una conca. Essa era piena a metà – l’altra metà avrebbe dovuto riempirla Arthur con il suo sangue – e attorno a essa erano incise delle parole in greco antico in una spirale, leggermente sbiadite a causa del tempo.

“Qui giace il Leviatano – Iris incominciò a leggere, speranzosa di trovare una soluzione – custode del gelo e del caos. Sangue divino si deve versare se il sigillo si vuole spezzare, calore ustionante si deve dare se il sigillo si vuole riparare.”

Calore ustionante. E lei dove lo trovava il calore? Era in senso metaforico o letterale? Perché tutte le cose e le persone strane capitavano nella sua vita!

Stizzita, Iris si alzò e si prese la testa fra le mani, non sapendo più cosa fare: non aveva risposte per le troppe domande che la sua mente continuava a porre. Si guardò nuovamente attorno, stordita: erano ancora tutti vivi, stavano combattendo, stava rischiando la loro vita e lei era ferma. Poi sentì la folata di vento freddo, freddissimo, gelido, penetrare la sua armatura e raggiungere la pelle della sua schiena e
corrucciò le sopracciglia: com’era possibile esistesse del vento in una caverna sotto un vulcano e vicino a un lago?

“Già. Sotto a un vulcano…”

E partì.
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“Questo è per Neos!”

Lo squarcio sul petto avrebbe dovuto sanguinare copiosamente: in realtà Kyros strinse i denti ancora più forte, controllando che il suo sangue non uscisse dalla ferita ma che comunque iniziasse a cicatrizzarsi mentre continuava a tenere testa alla furia di Baey. L’arrivo di quei semidei non era previsto, certo aveva sentito la presenza di uno di loro alcuni giorni prima ma non si immaginava riuscissero a trovare l’entrata, a superare tutti i posti di controllo e a piombare in mezzo alla sala, interrompendo il rito sacrificale e mandando tutto il suo lungo e duro lavoro all’aria.

“Questo è per Julie!”

Purtroppo il rito l’aveva sfiancato, nonostante fosse completo a metà, e in più il figlio di Phobos non gli dava un attimo di tregua: a un altro profondo taglio – questa volta sul braccio dominante e causato da un suo attimo di distrazione – dovette impegnare le sue risorse di controllo sul sangue, ma a lungo andare sapeva che avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa poiché era sul petto che doveva curarsi.

“Questo è per Arthur!”

Non vide neanche arrivare la lama, concentrato sul controllare il suo stesso sangue per prestare la dovuta attenzione allo scontro, ma sentì il sapore del sangue in bocca e il dolore alla tempia sinistra che aveva battuto sul terreno: sentiva il taglio percorrergli la parte destra del volto, quasi tagliandogli la guancia a metà. Si rialzò a fatica, disorientato e con il volto pregno di sangue, alzando il fioretto in un gesto meccanico di protezione: Baey lo guardava con odio, non ancora soddisfatto della sua prestazione ma ancora una volta non gli diede il tempo di metabolizzare le sue ferite e riattaccò, aggressivo e deciso come non mai. Kyros non lo biasimava, sapeva che il ragazzo per sconfiggerlo totalmente avrebbe dovuto eliminarlo con una ferita profonda, tanto che neanche la sua magia avrebbe potuto curare una simile ferita.

Con uno sgambetto Kyros finì a terra e una pestata sul suo polso lo costrinse a mollare l’impugnatura del fioretto. Vide la sua arma venir calciata lontano, troppo lontano. Sentì alcuni denti saltar via quando Baey lo prese a pungni e si vide messo a sedere su una sedia, miracolosamente intatta. Guardò, per quello che vedevano i suoi occhi ora gonfi, il viso del semidio che lo stava per giustiziare: aveva fallito. Non aveva tenuto conto di tutto e questa era la sua punizione. Ma sarebbe rinato e ci avrebbe riprovato, un’altra volta, come suo padre aveva fatto, e suo padre prima di lui fino a raggiungere il loro capostipite, Caino. Sarebbe tornato per uccidere tutti i semidei. L’aveva giurato.

Micheal Baey non gli riservò una parola. Vide la sua lama arrivare verso il collo – veloce, silenziosa e letale come la peggior vipera – ma non riuscì a guardare oltre: chiuse li occhi. Era un codardo.


 
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Iris corse a perdifiato, corse fino ad agguantare per la maglietta Arthur e a salvarlo da un fendente diretto alla schiena di quest’ultimo: la ragazza non perse tempo e colpì il mostro, disintegrandolo. A gesti radunò anche Ninette – sporca di schizzi di sangue su tutti i vestiti chiari e sul volto – e Florian – vistosamente zoppicante e con la sua maglia a brandelli.

“Ho trovato il modo per risolvere questo casino!”

Lo disse quasi urlando a causa del continuo chiasso di grida. Tutti la guardarono speranzosi ma Iris stava cercando Micheal, l’unico che ancora mancava all’appello e che non aveva visto.

“Dov’è Micheal?”

Non lo vedeva ma non poteva essere morto. No. Non l’avrebbe accettato, non ora.
Con sollievo lo vide correre verso di loro, anche lui completamente coperto di sangue come se fosse stato un vero templare. La sua spada era più rossa che altro ed Iris non sapeva se il sangue fosse suo o di qualcun altro: ma sinceramente non voleva neanche saperlo, lui era lì e questo era l’importante.

“Ho trovato il modo!”

Micheal annuì attento, aspettando come tutti una spiegazione: avevano poco tempo per parlare prima che i mostri tornassero alla carica.

“Ho trovato una portone sbarrato da un potente sigillo. Quel sigillo emanava freddo, un vento talmente gelido da avermi quasi congelato le ali. È il portone che collega la camera magmatica del vulcano a questa sala ed è stato chiuso chissà quando: il calore aumenta la potenza del sigillo che tiene imprigionato il Leviatano mentre il freddo lo indebolisce, insieme al sangue.”

“Perfetto, come facciamo a disattivare questa cosa?”

Florian aveva il fiatone, probabilmente se tutto finiva per il meglio, avrebbe appeso la sua spada sopra il letto e avrebbe detto addio a missioni, combattimenti, palestre e sudore. Iris gli sorrise, nonostante la pessima situazione.

“È scomparso. Non so come, non so perché ma meglio per noi. Perciò sono qua: dovete andare via. Ora.”

Lo sguardo atterrito di Ninette sarebbe stato per sempre impresso nella sua mente, se sarebbe sopravvissuta: era una domanda muta, condivisa da tutte le facce stravolte e confuse che la circondavano.

“Uno di noi deve rimanere a tenere le porte di questo portone aperte, affinché il magma invadi la sala e riempia ‘sto schifo di posto. E io sono stata creata per questo: anche la profezia ne parla. È il mio destino, l’ho sempre saputo che sarei dovuta morire in questa missione. Ma voi no, vi dovete salvare.”
“Non esiste, non ti lasciamo qua!”

Florian guardava Iris scandalizzato, quella ragazzina con i capelli rossi come il fuoco e gli occhi verdissimi, due ali a renderla diversa: ormai era una delle poche che fosse riuscita ad andare più a fondo nel suo animo. Come poteva decidere di morire senza il consenso di Florian Pride?
Ninette guardava Iris senza parole, quando aveva sentito per la prima volta dire che doveva morire, ancora nella Casa Grande del Campo, aveva fatto una smorfia ma niente di più: pensava scherzasse. Che fosse una espediente per calmare le acque. Come aveva potuto lo stesso accettare la missione sapendo del destino incombente su di lei? E perché Baey se ne stava zitto? Perché, per una volta che serviva fare il fidanzato geloso e iper-protettivo, se ne stava in silenzio, senza muovere un muscolo?

“Iris ha ragione. Arthur, un viaggio ombra per la superficie e allontanati dal vulcano, non sappiamo se erutterà o meno con l’apertura delle porte.”
“Come? Non se ne parla!”

Arthur pensò di aver sentito male ma vide Iris mettere via i suoi sai e Micheal – il suo migliore amico, il ragazzo che sarebbe morto pur di difendere la rossa – rinfoderare la sua spada. Non poteva crederci, era un enorme sbaglio, non potevano lasciarla lì da sola a morire, in preda ad atroci sofferenze causate dal fumo e dal magma. Non era concepibile. Vide la ragazza sorridere a una Ninette visibilmente incredula e abbracciare con trasporto Florian, che si stava ripetendo che non era possibile lasciarla lì; la vide prendere la mano destra di Micheal – ancora coperta da sangue - a testa bassa e mormorargli qualcosa, ricambiata dalla voce spezzata del ragazzo. Poi la vide avvicinarsi e cingergli le spalle leggermente.

“Te li affido. E pensa a Micheal se non tornerò.”

Gli sorrise triste e si allontanò leggermente da loro. Micheal avvicinò tutti i ragazzi e li fece prendere per mano. Poi guardò Iris per l’ultima volta probabilmente, fino a che Arthur, completamente a malincuore e completamente controvoglia, eseguì l’ordine: l’ombra inghiottì i quattro ragazzi, lasciando Iris sola contro il Leviatano.

 
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Era davanti alla porta, spaventata. E rassegnata. E decisa. E tremante. Sapeva che quello era il suo destino, lo sapeva da quando era nata, era stata progettata per quello.
Il sigillo gelato era scomparso, lei doveva aprire solo la porta e tenerla aperta: cosa ci voleva?

Si sistemò la sua armatura e tolse un po’ di polvere per poi avvicinarsi: incominciò a forzare le porte e le vide aprirsi lentamente, doveva aprirle di più se ci teneva a finire questo lavoro in fretta. Aumentò la forza di colpo e di rimando le porte si aprirono consistentemente di scatto, lasciando entrare copiosamente il magma: Iris si alzò in volo, per evitare di essere scottata – era sì immune al fuoco ma quello non era fuoco. Fumo e gas solfurei riempirono tutta la sala mentre essa si riempiva e si scaldava, inglobando e bruciando cadaveri, cose, mostri ancora vivi. Tutto.

Iris continuò a tenere aperte le porte anche quando la terra iniziò a tremare – probabilmente lo spostamento di magma stava raggiungendo un nuovo equilibrio oppure era il Leviatano che ruggiva inferocito – e strinse i denti per il dolore lancinante, doveva tenere le porte aperte, anche quando il magma si riversò velocemente e occupò tutto lo spazio disponibile, anche quando ormai non sentiva più le sue gambe, coperte dal bollente strato semiliquido. Il dolore stava raggiungendo livelli troppo elevati per la sua soglia del dolore e inoltre lei stava per morire asfissiata, dai gas, e bruciata. Avrebbe voluto lasciarsi andare ma doveva ancora resistere, solo un altro po’: con un urlo disumano Iris spalancò il portone e venne inghiottita dalla lava che finì di riversarsi sulla sala.

 
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Appena sbucarono all’ombra di una casa, Micheal si mise a piangere come solo un bambino poteva fare. Non gli importava che tutti lo vedessero, che i suoi compagni lo osservassero preoccupati, per lui ormai nulla aveva importanza: la sua luce si era spenta e niente avrebbe potuto portarla indietro. E con lei si era spento anche lui: Eros o Cupido - quello che era maledizione! – lo aveva obbligato ad assistere alla morte della sua amata senza che potesse cambiare il suo destino e lui aveva accettato perché altrimenti sarebbe stato il Mondo a pagarne le conseguenze e in ogni caso Iris sarebbe morta. Almeno così aveva avuto una morte onorevole, una magra consolazione anche se nessuno, tranne i semidei, avrebbero saputo del suo coraggio.

Tirò un pugno sul muro della casa, accecato dalla tristezza e dall’impotenza. Nessuno degli altri tre semidei stava parlando, nessuno provava a consolarlo e di questo Micheal gli fu grato: non aveva bisogno di parlare ora, lui avrebbe voluto solo tornare indietro e morire insieme a Iris, al suo fiore nell’armatura. E invece doveva guardarla morire: la sua vita era uno schifo.

Il grande boato e il tremore della terra riscosse non solo l’attenzione dei semidei ma anche quella dei mortali cileni: molti iniziarono a gridare, indicando il grande vulcano Llaima da cui uscivano copienti vampate di fumo nero e cenere, altri si fecero prendere dal panico, altri filmavano il tutto con i propri  telefonini, altri caricavano la famiglia e i pochi averi preziosi su automobili sgangherate e partivano a tutta velocità. Solo il gruppo di semidei restava fermo e in silenzio perché l’eruzione significava solo una cosa: le porte erano aperte, la missione era compiuta e Iris era morta.

Videro cenere, lapilli e bombe di lava riversarsi sulla foresta ai piedi del vulcano, sul lago poco distante ma non sembrava volesse eruttare in modo massiccio, sembrava solo uno scarico di gas tossico e cenere. I lapilli e le bombe si fecero più grandi e più veloci, alcune di queste raggiunsero il villaggio dove i semidei erano sbucati, colpendo alcune case, incendiando alberi e scatenando il panico generale.

“Dovremmo andarcene da qui.”
Ninette fu la prima a parlare ma neanche lei era molto convinta. Era ancora scossa ma non voleva rischiare la sua vita, ancora. Aveva già perso abbastanza oggi.
“Ancora cinque minuti. Poi partiamo per il Campo. Vi prego, solo cinque minuti.”

Tutti annuirono alla richiesta di Micheal, neanche Florian aveva voglia di replicare. La pioggia di bombe infuocate continuava, incominciando a tempestare il villaggio e dandolo presto alle fiamme; alcune creavano crateri infiammati sulle strade, altri distruggevano tetti, altri atterravano su giardini fino a che una di queste creò un largo solco sulla strada senza però incendiare niente. E le urla di una donna, che indicava proprio il nuovo cratere fu quello che spinse Ninette ad andare a vedere, curiosa e ormai senza più nulla da perdere: a prima vista neanche lei riuscì a capire bene di cosa si trattava, una palla di terra bordeaux che però – sì era calda, ma non così calda; Ninette guardò meglio, non sembrava terra ma non riusciva a capire di cosa era fatto questo piroclasto, aveva delle pieghe e sembrava coperto di sangue incrostato: a dire la verità a Ninette sembrava pelle bruciata da un’ustione di quarto o terzo grado. Sembrava pelle. Il suo cuore perse un battito e si lanciò su quella che in realtà era una persona: si avvicinò e cercò la testa, il volto, doveva essere lei, poteva essere lei. Stava respirando, flebilmente ma lo faceva, la figlia della Miseria trattenne fiato e lacrime quando vide il volto, il suo volto coperto di ustioni, senza gli indomabili capelli rossi, senza le sue ali ma con due enormi ferite sanguinanti sulla schiena.

“Micheal!”

 

ANGOLO AUTRICE

Questo è in assoluto il capitolo più lungo che io abbia mai scritto per questa storia! È stato lungo, è stato impegnativo, è stato difficile ma ce l’ho fatta e ne sono molto orgogliosa. Ma ora spetta a voi l’ardua sentenza: ne sarà valsa la pena?
Ormai siamo agli sgoccioli! Il prossimo capitolo è l’epilogo quindi tenetevi stretti ;)

Summer_time
  
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