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Autore: Napee    16/11/2017    7 recensioni
[Demoni!AU]
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Fece velocemente il conto abbassando le dita ogni volta che aggiungeva un giorno al suo calcolo.
“20, 21,22…” bisbigliò fra sé e sé, mentre il panico iniziava a scorrerle forsennatamente nelle vene.
Troppo vicino. Troppo vicino. Troppo vicino.
Non era pronta ancora, non si era neppure preparata i bagagli…
“Ma è ancora presto, non è possibile…” iniziò Kasumi con la voce rotta dal pianto.
Nabiki rimase in silenzio, spostando lo sguardo sulla minore per scrutarne le reazioni.
La disperazione e la paura svettavano sul suo volto, ma la giovane principessa cercò di dissimulare il più possibile ostentando una falsa tranquillità che proprio non le apparteneva.
“Ha ragione Nabiki…” iniziò Akane schiarendosi la voce a disagio.
“Siamo ormai al 27… è solo questione di tempo in fondo…”
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Demons




28 Ottobre
 
Il sole filtrava dalle finestre maestose, illuminando la biblioteca con la luce intensa di quel pomeriggio autunnale.
I libri polverosi, i tomi antichi, giacevano sugli scaffali intonsi ormai da secoli e l’odore acre della delle pagine pregne di umidità si mischiava con il profumo degli ultimi fiori del cortile interno.
Ranma giocherellava pigramente con il pennello da calligrafia, talvolta lo mordicchiava, talvolta la faceva ruotare fra le dita, mentre le lezioni del professore continuavano ad annoiarlo.
Diritto politico e rudimenti su come governare il feudo… esiste qualcosa di più soporifero?
 
“Se non imparerai le basi, come pretendi di riuscire a governare?”
 
“Certamente commetterai gli stessi errori che sono stati fatti dai tuoi predecessori se non imparerai dal passato!”
 
“Come pensi di riuscire ad avere il sostegno del popolo se neppure sai ciò che spetta loro?”
 
Tipiche frasi con cui i suoi insegnanti privati andavano a tediarlo solo per riportarlo con la testa al presente.
Con un sorriso innocente e lo sguardo fintamente pentito, annuiva colpevole fingendo di interessarsi nuovamente alla lezione. In verità la sua mente era altrove, verso cime irraggiungibili, verso cieli infiniti e nuvole candide in cui tuffarsi.
Cos’avrebbe dato per tornare a volare ancora?
Poterlo fare liberamente, ogni giorno, senza doversi nascondere. Essere il vero sé stesso sempre, ogni giorno, per tutta la vita.
Spostò lo sguardo sul calendario che svettava sul muro della silenziosa biblioteca.
Il pennello gli cadde dalle mani, rotolando sulla scrivania, mentre un sorriso estasiato si dipinse sulle sue labbra.
Mancavano davvero pochi giorni a quella data.
Presto avrebbe assaggiato nuovamente la libertà, volando sopra terre sconfinate che chiedevano solo di essere guardate dall’alto.
Già non stava più nella pelle, Ranma. L’adrenalina gli scorreva nelle vene e l’eccitazione per quel peculiare evento andava crescendo di minuto in minuto.
Presto sarebbero spuntate nuovamente le sue ali di Tengu, così come accadeva ogni anno dalla sua nascita nell’ultimo giorno di Ottobre.
Amava quel giorno. Quella data aveva il sapore della libertà più vera.
Toccare le fronde più alte degli alberi con i piedi, salire talmente in alto nel cielo finché l’aria non inizia a scarseggiare, sfrecciare nell’oscuro cielo stellato mentre gli altri dormono tutti, erano tutte sensazioni ed emozioni inspiegabili, ma che gli riempivano il cuore di un senso d’onnipotenza.
Trepidante, attendeva quell’unico giorno all’anno e, quando volgeva al termine, la tristezza s’impossessava di lui all’istante.
Così come le sue piume cadevano al suolo, anche la sua libertà sfioriva, sfuggendogli dalle mani come fosse stata sabbia.
Mentalmente, ogni giorno, ringraziava i Kami per quella fortuna che gli era stata concessa quasi per caso una sola volta all’anno.
 
^^^
 
Akane si strinse nel kimono pregiato, sfregandosi le spalle per scaldarsi.
Alzò gli occhi al cielo, dove l’azzurro intenso regnava sovrano ed il sole brillava incontrastato.
Nei campi del feudo di suo padre, i contadini lavoravano instancabili intonando canti e dandosi manforte l’un l’altro.
Sembravano accaldati ed il sudore scendeva copioso sulle loro fronti abbronzate. Eppure lei tremava.
Si guardò le mani pallide, sfregandole fra loro per produrre un po’ di calore.
Perché aveva così freddo?
Neppure riusciva a tenere in mano l’ago ed il filo da ricamo per completare l’arazzo al quale stava lavorando con le sue sorelle.
“Akane, tutto bene?” Le chiese apprensiva Kasumi, carezzandole il viso amorevolmente.
“S-sì, credo. Non so… sento molto freddo in verità.”
Senza indugiare, la maggiore le poggiò la mano sulla fronte, cercando di capire se la sorella avesse o meno la febbre.
“Sei molto fredda-…”
“Siamo vicine a quel giorno, Akane.” Le interruppe Nabiki, la mezzana delle tre principesse, scrutandola con sguardo triste.
Akane impallidì all’istante, mentre calde lacrime di disperazione andavano pian piano a formarsi nei suoi occhi color cioccolato.
Era giunto di nuovo quel giorno?
Anche quell’anno pareva esserle volato via dalle dita, mentre quel tragico supplizio che l’attendeva era già pronto per ghermirla senza che lei se ne fosse accorta.
Si passò nervosamente una mano fra i capelli spettinandosi la frangetta scura.
Come poteva essere già arrivato l’ultimo giorno di Ottobre?
Fece velocemente il conto abbassando le dita ogni volta che aggiungeva un giorno al suo calcolo.
“20, 21,22…” bisbigliò fra sé e sé, mentre il panico iniziava a scorrerle forsennatamente nelle vene.
Troppo vicino. Troppo vicino. Troppo vicino.
Non era pronta ancora, non si era neppure preparata i bagagli…
“Ma è ancora presto, non è possibile…” iniziò Kasumi con la voce rotta dal pianto.
Nabiki rimase in silenzio, spostando lo sguardo sulla minore per scrutarne le reazioni.
La disperazione e la paura svettavano sul suo volto, ma la giovane principessa cercò di dissimulare il più possibile ostentando una falsa tranquillità che proprio non le apparteneva.
“Ha ragione Nabiki…” iniziò Akane schiarendosi la voce a disagio.
“Siamo ormai al 27… è solo questione di tempo in fondo…”
“Ma non è mai iniziato così presto…” uggiolò Kasumi afferrando concitata le mani della sorellina e rabbrividendo non appena notò quanto fossero fredde.
Che fosse già troppo tardi?
Akane le sorrise comprensiva. Anche lei non sopportava l’idea di separarsi dalle sorelle, anche se si trattava di solo pochi giorni e solo per la loro incolumità.
Abbassò lo sguardo sulle sue mani pallide, notando il particolare colore bluastro sul quale viravano ormai le sue unghie.
“È già iniziata…” sospirò infine affranta, era già giunto il momento di andarsene.
Si alzò pigramente, rabbrividendo non appena il kimono scese sulle spalle e le lasciò esposta la pelle chiara del collo.
“Domani preparerò le mie cose e partirò per le montagne.” Dichiarò infine, dirigendosi verso la porta con passo strascicato.
“Tesoro, non devi per forza andare…” cercò di consolarla Kasumi, ma ogni parola era superflua in quella situazione.
“Invece sì… non voglio che accada di nuovo.”
“Nessuno te ne fa una colpa.” La informò Nabiki scrutandola comprensiva.
Akane sospirò stanca.
Il legno che toccava la sua mano già era divenuto gelido e qualche cristallo di ghiaccio andava formandosi sulla sua superficie.
“Io me ne faccio una colpa.” Dichiarò infine, prima di uscire dalla stanza del cucito per dirigersi nella sua stanza a preparare i bagagli.
 
 28 Ottobre ore 20.37
 
Akane ripiegò con cura anche l’ultimo kimono nella cassa da viaggio.
Fece mentalmente, ancora una volta, il conto dei giorni che sarebbe stata via affinché, anche per quell’anno, l’inverno nelle sue terre non giungesse prima del previsto.
Quattro giorni e poi sarebbe tornata a casa, quattro giorni e la sua vita sarebbe tornata normale.
Fece scattare le serrature della cassa e controllò che fosse ben chiusa. Carezzò il legno scuro con la mano, passandola in quell’angolo dove il sole poggiava i suoi raggi.
Il caldo tepore le carezzò l’epidermide chiara ed un sospiro di tristezza le sfuggì dalle labbra.
Ancora sei giorni e tutto sarebbe passato.
Si guardò la mano, sempre più fredda, sempre più chiara, dove le unghie ormai erano diventate blu cianotiche e le dita iniziavano a congelare.
Volse lo sguardo altrove, incapace di sopportare ancora quella maledizione al quale era stata destinata fin da piccola.
Ancora quattro maledettissimi giorni.
 
29 Ottobre ore 00.56
 
Le grida del principe echeggiavano nei bui corridoi quasi come i rimbombi dei tuoni.
Quella notte silenziosa si era presto trasformata in un via vai di serve che trasportavano stracci pregni di sangue dalla camera del giovane verso la lavanderia.
Ranma si contorceva nel letto  in preda al dolore più sconquassante che avesse mai provato in vita sua.
Prono nel letto, con la schiena dilaniata e solo i singhiozzi silenziosi di sua madre a confortarlo.
“Mi dispiace figlio mio… è colpa del mio retaggio se ti tocca soffrire queste pene ogni anno…” uggiolò la donna asciugandosi le lacrime che le rigavano le guance.
“N-no… non è colpa… tua…” ansimò Ranma, mentre l’ennesima fitta di dolore gli percorreva la colonna vertebrale come se qualcosa volesse spezzargliela.
Le sue ali, per quanto meravigliose ed imponenti, quando gli perforavano la schiena per uscire, portavano con sé un dolore pressoché insostenibile.
La pelle sulla base del suo collo era ormai coperta di piume scure, se ci passava la mano poteva sentirle chiaramente.
Ma la parte che pareva ardere, erano le scapole.
Le sentiva crescere, allungarsi, forargli la carne ed uscire dal suo corpo con fiotti caldi di sangue.
La mano di sua madre che gli carezzava i capelli scomposti lo distrasse momentaneamente da quel supplizio. Voltò lo sguardo di lato e le sorrise debolmente ormai stremato.
“Sono la cosa più bella che mi potesse capitare.” Esordì risoluto, sincero.
“Amo questa piccola parte demoniaca di me ed amo le mie ali più di ogni altra cosa al mondo…” l’ennesima fitta di dolore gli fece mordere le labbra.
Un sospiro ansante e riprese fiato, cercando di apparire più tranquillo possibile, nonostante il sangue che colava copioso macchiando il letto.
“Devo ringraziarti, madre.” Concluse infine sorridendole sincero.
La donna trattenne a stento i singhiozzi che premevano per fuoriuscire dalle sue labbra e, dissimulando quel magone che ancora le opprimeva il cuore, sorrise a suo figlio incoraggiante.
Presto sarebbe passato tutto.
Presto il suo bambino sarebbe tornato normale.
 
29 Ottobre ore 10.43
 
Akane avanzava cavalcando su un sentiero di montagna impervio e scosceso.
Il cielo sopra di lei era già divenuto uggioso e le nubi biancastre promettevano una bufera di neve tremendamente violenta.
Sospirò sconsolata: era colpa sua se quelle intemperie si sarebbero abbattute nel feudo.
Strinse la mano candida a pugno percependo chiaramente il rumore del ghiaccio che si spezza.
La maledizione del sangue demoniaco continuava inarrestabile e per quell’anno pareva procedere con più velocità, avanzando incontrastata.
Si scrutò il braccio più per mero masochismo che per curiosità: la mano era ormai completamente congelata, la pelle chiara completamente sostituita dal ghiaccio che si estendeva fino a metà braccio.
“Dannazione…” imprecò fra sé e sé, arrotolandosi la manica del kimono fino alla spalla per controllare quanto fosse realmente estesa la maledizione.
“Fino al gomito…” sospirò affranta percependo chiaramente quel consueto senso di colpa che le stritolava il cuore.
Un singhiozzo uscì dalle sue labbra senza che lei lo controllasse, mentre un tripudio di lacrime si andarono a formare nei suoi occhioni cioccolato.
“Perché! Perché a me!” Gridò infine, esternando il suo dolore fino a raschiarsi la gola, fino a che non percepì il sapore ferrigno del sangue.
Il cavallo nitrì spaventato, iniziando a zampettare nervoso.
Insieme al pianto ed alle lacrime della giovane principessa, il cielo iniziò a tuonare minaccioso, echeggiando in tutto il feudo.
Fra le lacrime, la giovane scese dalla sua cavalcatura, liberando l’animale anche dal pesante bagaglio.
Il cavallo nitrì ancora, più spaventato di prima, percependo il temporale imminente.
Akane lo liberò dalle briglie e dalla sella, poi lo guardò fuggire via da lei terrorizzato.
“Fuggi da me, bravo… tutti devono fuggire se vogliono tenersi cara la vita.” Bisbigliò infine volgendo lo sguardo alla solitaria montagna, dove sulla cima vi sarebbe stata l’angusta dimora che l’avrebbe accolta per quei giorni come ogni anno.
Sospirò tristemente asciugandosi le lacrime che le percorrevano le guance candide.
Ancora pochi giorni e tutto sarebbe finito.
Strinse il bagaglio nella mano ed il rumore del ghiaccio che stride le fece venire il voltastomaco.
Si liberò dei calzari pregiati, non le sarebbero serviti e l’avrebbero soltanto intralciata in quella scalata che l’attendeva.
Distolse lo sguardo dai suoi piedi nudi non appena notò le dita già completamente ghiacciate.
Ancora pochi giorni…
Strinse i denti e, con la morte nel cuore, continuò quel percorso scosceso che ormai conosceva a memoria, cercando di non ricordare.
 
^^^
 
Ranma si svegliò frastornato a metà del pomeriggio. Il sole alto in cielo aveva già iniziato la sua discesa per morire nel mare.
Un cerchio alla testa lo torturava incessantemente, mentre un lieve dolore alla schiena, più simile ad un fastidio, gli impediva di stare supino.
Si alzò in ginocchio, lasciando che le bende e gli stracci pregni di sangue ricadessero sul pavimento intonso.
Un sorriso emozionato nacque spontaneamente sulle sue labbra: finalmente erano spuntate le sue ali.
Allungò una mano verso la schiena, fra le sue scapole, carezzando le piume scure.
Si spostò su un lato ed eccola lì: piccola e deforme, poco più di un’appendice di osso e brandelli di carne.
Ne carezzò la forma spigolosa e sgraziata, prestando attenzione a non farsi male e rabbrividì non appena le sue dita incontrarono l’osso che entrava nella sua schiena e lo squarcio ancora aperto.
Ritirò la mano: sanguinava ancora. Poco e niente, ma la ferita era ancora troppo aperta. Forse gli sarebbero serviti dei punti per agevolare la guarigione…
Sbuffò scocciato. Le rare occasioni in cui gli erano serviti dei punti, si era trovato costretto a volare poco e in modo particolarmente prudente per riuscire a non strapparli.
Tsè… proprio quell’anno che desiderava volare sulle montagne del nord ed aveva un disperato bisogno di muovere le ali in perfetta autonomia.
Lo shoji si aprì leggermente, rivelando la figura a capo chino di una delle serve che reggeva fra le mani una bacinella in legno e delle bende intonse.
“Giovane Signore, mi manda Vostra madre e sono qui per medicar-...”
“Piantala Ukyo, ci conosciamo da anni!” La interruppe lui bruscamente con un gesto annoiato della mano.
Ukyo girò lo sguardo intorno a sé, controllando che non vi fosse nessuno nei paraggi che potesse riprenderla.
“Sei uno stupido!” Esordì la ragazza infine, entrando nella camera come se vi abitasse lei stessa.
“Come puoi prenderti queste confidenze! Io sto lavorando e devo mantenere un certo rispetto nei tuoi confronti!” Aggiunse infine raggiungendolo furibonda.
Si sedette alle sue spalle, prese uno degli stracci ed iniziò a ripulire le ferite dalle piume nere che ci finivano dentro.
“Tsè…che assurdità!” Borbottò lui in risposta mordendosi le labbra per il fastidio che la ragazza le stava provocando.
“Sarà anche un’assurdità, ma sarebbe bene non avere queste confidenze quando avrai una moglie.
Nonostante la nostra amicizia, la tua futura principessa potrebbe non gradire.”
“Non dire baggianate!” Esordì lui voltandosi a guardarla con la coda dell’occhio.
“Non ho intenzione di sposare nessuna! Tantomeno una che non accetta la mia migliore amica!”
Ukyo sbatté le palpebre confusa, guardandolo immobile con la mano a mezz’aria.
“Mi ritieni la tua migliore amica?” Chiese d’un tratto speranzosa, mentre un sorriso fiducioso si aprì sulle sue labbra.
“C-cosa?!” Balbettò Ranma a disagio, tornando ad osservare il muro davanti a sé con le guance rossissime ed uno strano interesse.
“Non farti strane idee, era per dire!” aggiunse il ragazzo infine, desiderando internamente che quel giorno interminabile finisse al più presto.
Ukyo immergeva la garza nell’acqua calda limpida e, strizzando il panno sopra le ali, cercava di ripulire la ferita.
Poi sfregava la stoffa sulla carne viva finché le piume non si staccavano e lasciavano lo squarcio libero di richiudersi.
“Ahi!” Brontolò Ranma stringendo i pugni per il dolore.
“Scusami.” Uggiolò lei in risposta.
“Sai, il primo giorno, le tue ali sono davvero inguardabili! Sembrano due braccia che ti spuntano dalla schiena!” Lo prese in giro lei ridendo bonariamente.
“Ha. Ha. Che simpaticona…”
“Almeno lo sono solo per poco, il tempo restante sono meravigliose.”
Ranma sorrise di nascosto, fiero e compiaciuto di sentire quelle parole.
Le trovava splendide anche lui: grandi e maestose, forti e sicure. Erano il suo orgoglio, la sua gioia e la sua maledizione.
“Già… lo so…” sospirò stanco, prima che una fitta di dolore lo cogliesse impreparato.
“E fai piano Ukyo!” Si lamentò infine, voltandosi verso di lei e scrutandola con cipiglio irato.
Ma l’espressione pensosa è preoccupata che trovò sul volto dell’amica gli gelò il sangue nelle vene.
“Ukyo…” gracchiò rabbrividendo.
“Temo che ci vorranno dei punti di sutura, la ferita è davvero troppo brutta.”
“No, ti prego… lo sai che si strapperanno quando le ali cresceranno.”
“Ma Ranma… la ferita è brutta, profonda e ti arriva quasi a mezza schiena, non posso ignorare una cosa del genere!”
“E tu dì che te l’ho detto io!”
“Potresti collassare, idiota! O morire dissanguato!” Berciò lei sovrastando la voce del principe con la sua.
Ranma rabbrividì ancora, mentre la preoccupazione andava ad attanagliargli il cuore.
Rischiava la vita, rischiava di morire e tutto perché le sue ali non erano uscite correttamente…
Si morse il labbro inferiore a disagio. E se fosse capitato ancora?
Ormai erano diversi anni che le ali gli squarciavano la schiena. Non era mai capitato prima, ma ultimamente sembrava che il suo corpo non riuscisse più a contenerle correttamente, dunque aveva bisogno dei punti di sutura quando queste uscivano lacerando ogni cosa. Quando volava, i punti si strappavano sistematicamente ogni volta ed il dolore era così improvviso e dirompente che precipitava al suolo in un istante, pregando ogni volta per un atterraggio di fortuna.
“Ragiona.” Esordì lei infine carezzandogli una guancia con affetto.
“Fatti mettere i punti e sii prudente nel volo, prima che tuo padre ti impedisca di volare per la tua incolumità. Sappiamo entrambi quanto sia importante per te e che non sopporteresti una privazione così grande, quindi, ti prego, fatti ricucire.” Concluse infine, sorridendogli amichevolmente.
Ranma tacque e chiuse gli occhi sconfitto.
Ukyo lo stava letteralmente pregando per il suo bene, non avrebbe mai fatto qualcosa che andasse contro di lui. Di lei si fidava ciecamente ed in fondo sapeva che stava dicendo il vero.
Non avrebbe mai sopportato di non poter volare liberamente quell’unico giorno che gli era concesso, non sarebbe mai sopravvissuto alla privazione di quell’unico brandello di libertà.
Lentamente, annuì e strinse i denti, pronto a sopportare il dolore straziante dei punti di sutura.
 
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30 Ottobre ore 1.46
 
Akane, ansante, compì gli ultimi passi strascicati sul sentiero, trascinandosi stancamente dietro il bagaglio.
Dopo ore ed ore di cammino in quella strada rocciosa ed impervia,  giunse infine a destinazione.
Il tempio di famiglia fra le montagne spiccava imponente e solitario, circondato dalla maestosità dei monti.
Al centro dell’immenso giardino, una statua in marmo, completamente coperta di neve, raffigurava un suo antenato sconosciuto. Forse il capostipite.
Intorno alla statua, decine e decine di pietre segnavano le tombe dei membri della casata.
Più in lontananza sorgeva il tempio vero e proprio dedicato ad una qualche divinità propizia, di cui le sfuggiva il nome, che proteggesse e vegliasse sulla sua famiglia.
Il tutto circondato da mura solide ed importanti affinché preservassero intatta la sacralità del luogo.
La neve copriva già il terreno con il suo candore immacolato, il cielo era scuro e minaccioso sopra di lei, ma tutto ciò che i suoi occhi riuscivano a vedere era solo il piccolo monolito in pietra che svettava a pochi metri davanti a lei.
I kanji incisi sopra le straziarono il cuore nell’istante esatto in cui li lesse.
E neppure sentiva più la stanchezza, o i muscoli delle cosce che dolevano, o la sua maledizione che ormai era già estesa in quasi tutto il corpo lasciandole libero solo il busto ed il viso.
Abbandonò a terra il bagaglio che emise un tonfo sordo non appena impattò contro la fredda neve.
Azzardò una passo.
Il cuore che stava per esploderle nel petto.
Troppi ricordi, troppo dolore.
Il volto sereno di sua madre le apparve nella mente. Bellissima e sorridente come era sempre stata, anche quando la stringeva a sé, quella notte, poco prima che l’ipotermia le strappasse il soffio della vita.
Una lacrima le corse sul viso, fredda e solitaria, poco prima che altre gocce salate seguissero la sua scia.
“M-mamma…” bisbigliò fra sé e sé portandosi una mano congelata sulle labbra.
Un passo ancora verso il simbolo della sua colpa.
Il cielo illuminò il paesaggio a giorno con un lampo minaccioso. La prima neve iniziava a cadere candida e leggera: la sua maledizione stava infine giungendo al culmine.
“Mi manchi tanto, mamma” Disse sommessamente, mentre già altre lacrime iniziarono a solcarle le guance pallide.
Avanzò ancora. Ad ogni passo, il macigno sul suo cuore pareva appesantirsi sempre di più.
Se solo la maledizione del sangue demoniaco non l’avesse colta…
Si morse il labbro inferiore trattenendo un si ghiozzo.
Era colpa sua, era solo colpa sua.
Se lei non fosse mai nata, suo padre avrebbe ancora una moglie amorevole e le sue sorelle una madre.
Era colpa sua, era solo colpa sua.
Se solo fosse fuggita, sua madre, abbandonandola nel castello quando la maledizione si manifestò per la prima volta.
Se solo avesse messo da parte l’amore che provava per lei, quella piccola parte di sangue demoniaco che le aveva donato non l’avrebbe strappata prematuramente alla vita.
Se solo l’avesse lasciata sola quel giorno di molti anni fa, se solo fosse fuggita invece di stringerla e rassicurarla su quello che stava accadendo, allora sarebbe lì ancora.
Non si accorse neppure, Akane, di star correndo.
I piedi nudi impattavano silenziosamente nella neve e, quando infine fu dinanzi alla tomba, si lasciò cadere a terra incurante del gelido terreno che l’avrebbe accolta.
E si strinse alla roccia fredda, piangendo disperata quel dolore che mai l’avrebbe lasciata.
 
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30 Ottobre ore 16.57
 
Il sole brillava ormai alto nel cielo ed i suoi luminosi raggi infastidivano il giovane principe.
Ranma si schermò gli occhi con la mano e li strizzò appena per la troppa luce che bagnava il feudo del padre.
Guardò in alto, a nord, verso quel cielo terso ed uggioso che non lasciava presagire niente di buono.
Uno sbuffo scocciato abbandonò le sue labbra.
Da quando aveva memoria, sulle montagne del nord c’era sempre stata una bufera di neve nel giorno in cui nascevano le sue ali.
Ogni volta aveva desistito dall’andare a sorvolare quelle terre sconosciute a causa del forte vento che imperversava e che non era certo di saper gestire al meglio.
Quell’anno aveva deciso che ci sarebbe andato lo stesso, incurante del tempo avverso che gridava a gran voce suicidio.
Certo, sapeva già che i punti di sutura si sarebbero strappati alla prima folata violenta, ma le montagne del nord erano una meta proibita che lo tentava tremendamente.
Non poteva rinunciarvi anche per quell’anno. Quanti anni aveva passato volando su terre che già aveva visto? Ormai le conosceva a memoria ed il suo cuore bramava nuove avventure ed i suoi occhi reclamavano di riempirsi con luoghi sconosciuti.
Aveva già preparato un piccolo kit di primo soccorso per sopperire immediatamente al danno che si sarebbe causato quando i punti si sarebbero squarciati.
Ovviamente, né i suoi genitori e né Ukyo sospettavano alcunché riguardo al suo piano suicida.
“Ranma!” La voce della sua amica gli solleticò le orecchie, mentre un sorriso birichino si delineò sulle sue labbra constatando la tempestività con la quale era giunta da lui.
Eppure l’aveva vista parlare con sua madre solo pochi minuti fa nel giardino principale…
“Sono qui.” Rispose lui voltandosi nella direzione dalla quale proveniva la voce della ragazza.
La vide incespicare con le braccia, insicura su dove reggersi per non precipitare e schiantarsi al suolo.
Un sorriso derisorio gli adornò le labbra. Perché sua madre si ostinava a mandare da lui Ukyo a parlargli nonostante la giovane soffrisse di vertigini?
“R-Ranma! Vieni subito a prendermi!” Gracchiò lei spenzolandosi dalla finestra della mansarda e gesticolando animatamente con le braccia.
“Perché sei venuta a parlarmi quassù se non sopporti l’altezza?!”
“Perché me lo ha chiesto tua madre, idiota! Come fa ogni anno perché tu sei un figlio degenere che non vuole informarla su dove hai intenzione di volare!”
Ranma sbuffò scocciato. Quante volte aveva già sentito quel discorso?
“Ve lo ripeto da anni ormai! Non lo so! Non pianifico niente ed ogni anno mi lascio guidare dal vento!” Disse infine camminando sulle tegole del tetto del castello.
“Bugiardo!”
“E perché mai scusa?” Chiese mentre raggiungeva il bordo del cornicione.
Spiegò le ali. I punti tirarono all’istante, le ossa dolsero leggermente indolenzite, ma il senso di libertà che gli gonfiò il petto sanava ogni cosa.
Le piume corvine vibrarono leggere, mosse da quella lieve brezzettina che gli solleticava l’epidermide.
Poi un passo nel vuoto, un movimento lesto ed un turbine di piume scure piombò dinanzi alla giovane ragazza.
“Perché guardi troppo spesso verso il nord.” Sentenziò lei acida, aggrappandosi forte alle spalle nude del ragazzo.
“Tsé! Sarà un caso…” dissimulò vago.
Un altro battito d’ali ed i due giovani si ritrovarono sul tetto dell’imponente castello.
“Non diciamo scempiaggini!” Esordì lei sciogliendo cautamente l’abbraccio nel quale l’amico l’aveva stretta.
“Sono anni ormai che guardi quelle montagne con gli occhi sgranati! Tua madre sospira preoccupata ogni giorno dell’anno per questa tua insensata ossessione!”
“Sono solo incuriosito, va bene?!” Sbottò infine lui, allargando le braccia esasperato.
Ukyo sorrise trionfante, conscia del fatto che quella testa calda del suo amico aveva appena dato ragione alle sue parole.
Si sedette sulle tegole, la ragazza, raccogliendo le ginocchia al petto e facendo cenno al principe di fare altrettanto.
Ranma si morse il labbro inferiore a disagio. Era arrivato il momento di vuotare il sacco.
Si sedette anche lui sulle tegole calde e rivolse nuovamente lo sguardo alle montagne coperte con infauste nubi scure.
“Ogni anno c’è sempre una bufera tremenda a nord.” Iniziò lui sospirando.
“Ogni anno rimando l’esplorazione di quelle terre perché non voglio farvi stare in pensiero, ma non riesco a togliermi dalla testa l’idea di andarci.”
“Sono montagne però, ci sarà solo neve.” Constatò Ukyo.
Ranma sorrise divertito.
“Non credo. Non può essere un caso se ogni anno in questo periodo c’è una bufera di neve.”
“Le bufere sono comuni al nord.”
“Vero” concordò Ranma.
“Ma non è a nord la bufera, bensì solo sulle montagne. Precisamente su di una in particolare.”
Ukyo corrugò le sopracciglio confusa da quella rivelazione.
“Quindi?”
“Credo che ci sia qualcuno come me da quelle parti.” Confessò infine guardandola negli occhi serio.
“C-cosa?!” Gracchiò lei spaventata e stupita.
“C-come può essere?! No, è impossibile! Il sangue demoniaco segue lignaggi per precisi, definiti, e non tutti lo possono ereditare!”
“Ma io l’ho fatto!” Esordì Ranma alzando la voce.
“Io ce l’ho! L’ho ereditato questo sangue e perché non può esistere un’altra persona a questo mondo che sia degna come lo sono io?”
Ukyo si zittì all’istante non riuscendo a replicare a quell’argomentazione.
Ranma aveva ragione. Certo, era solo un’ipotesi su una situazione più unica che rara, ma perché non poteva essere?
Dopotutto, aveva smesso di credere all’impossibile quando al suo migliore amico erano spuntate le ali da corvo.
Sospirò sconfitta.
“Dirò a tua madre che andrai a ovest, quindi dirigiti di là stasera prima di virare verso nord.”
“Aspetta… stai dicendo che per te va bene? Che mi credi?” Chiese Ranma allibito.
“No.” Rispose Ukyo passandosi una mano fra i capelli con aria stanca.
“Significa soltanto che ti reggo il gioco finché non verrai scoperto. A quel punto, mi tirerò indietro e dirò che è stata solo una tua idea.”
Ranma rise divertito. La sua migliore amica non cambiava davvero mai!
“Sei la migliore, Ukyo!”
 
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Il buio della sera calò repentino dove prima la terra era bagnata dalla luce. Le tenebre si fecero fitte in breve tempo, inglobando anche l’ultimo spiraglio luminoso che ancora osava contrastarle.
La luna, unica protagonista di quella sera senza stelle, si ergeva imperiosa in tutto il suo splendore vestita con il suo abito argenteo.
Ranma raccolse le ultime cose e le lanciò nella borsa da viaggio in malo modo. La chiuse e cercò di non guardare il kit di primo soccorso che -sperava- rimanesse intatto.
Raggiunse la finestra con passi veloci, eccitati.
Spiegò le ali nere come la notte. Una sorta di saluto all’unico astro che lo avrebbe assistito nel suo viaggio.
Balzò lesto sul davanzale e si lasciò cadere nel vuoto.
Il vento gli scompigliava i capelli, gli schiaffeggiava la pelle e gli smuoveva le piume scure con violenza.
Inspirò a fondo l’aria gelida di quella sera: la caduta nel vuoto era il suo momento preferito.
Poi direzionò le ali, l’aria s’accumulò sotto di esse e con un movimento lesto era già in cielo, sopra mille e più case, fra le nuvole soffici.
Uno sguardo indietro, malinconico, verso l’unica stanza del castello dove ancora non era stata spenta la candela e la figura di sua madre affacciata a guardarlo preoccupata.
Strinse la borsa fra le braccia angosciato, mentre piegava maggiormente un’ala in modo da cambiare direzione ed allontanarsi nel buio dell’ovest.
Non gli era mai piaciuto mentire ai suoi genitori, particolarmente a sua madre.
Chissà se gli fosse capitato qualcosa, cosa avrebbe fatto quella donna che tanto si angosciava per quel sangue misto che gli aveva tramandato.
Scosse la testa allontanando da sé quei pensieri e si voltò indietro.
Il castello ormai era solo un puntino lontano. Piegò le ali, un fruscio di piume e, con una virata poderosa, dinanzi a lui si manifestarono le montagne del nord in tutta la loro imponenza.
Sorvolò le valli innaturalmente coperte con abbondanti fiotti di neve, mentre il gelido vento ululava tempestoso.
Candidi fiocchi cadevano al suolo con violenza, scagliati a terra da una forza impetuosa che pareva voler distruggere quel luogo.
Ranma si ritrovò ben presto in difficoltà, arrancando senza fiato e trattenendo gemiti doloranti ogni qualvolta i punti gli tiravano la pelle.
E più si avvicinava, più quel tempo pareva peggiorare.
Il vortice bianco era ormai inarrestabile e Ranma si ritrovò spaventato e disorientato. Intorno a lui, solo bianca neve.
Non riusciva più ad orientarsi, a capire dove fosse o ,più semplicemente, a vedere dove stesse andando.
E fu inevitabile trovarsi a pochissimi metri da un’imponente costruzione che si ergeva fiera in mezzo a quel deserto candido.
Stava per impattarci contro, il vento era troppo forte, non sarebbe mai riuscito a schivarla con una curva larga.
Non aveva scelta.
Spiegò le ali completamente e virò all’improvviso evitando la costruzione.
I punti si squarciarono all’istante ed un ringhio sofferente forzò le sue labbra.
Perse il controllo e cadde al suolo, impattando sopra a quel manto bianco e morbido.
Il sangue sgorgava a fiotti abbondanti, macchiando il candore immacolato che lo circondava.
Rabbrividì sentendo la neve che gli ghiacciava la ferita calda e pulsante.
Le piume scure erano già un grumo appiccicaticcio di sangue e plasma che gli avrebbe impedito di riprendere il volo.
Cercò la borsa da viaggio un po’ alla rinfusa, affondando le mani nella neve e guardando in qua e là.
Ma tutto ciò che vedeva, tutto ciò che sentiva, era solo il freddo manto innevato che lo avrebbe intrappolato lì.
“C-chi sei?” Una voce. Pareva spaventata ed esitante.
“Chi sei tu! E dove diavolo sei?” Rispose il principe girandosi di scatto, ma la ferita gli strappò una fitta intensa di dolore non appena compì quel gesto.
“I-io sono la Donna delle Nevi. Come osi salire fin quassù senza il mio consenso?”
“Donna delle Nevi?!” Scoppiò a ridere Ranma, sguaiatamente, incurante di ciò che potesse pensare quella presenza.
“Come osi?!”
“E piantala! So benissimo che sei una come me!” Esordì infine indicandosi le ali dietro le spalle.
“La manifestazione del tuo demone è un filino più appariscente della mia però.” Aggiunse infine Ranma, guardandosi attorno per vedere la ragazza in questione.
Akane sorrise tristemente mentre osservava il ragazzo dinanzi a sé.
“È la mia maledizione. È toccato a me reggere l’onere di questo sangue misto.” Bisbigliò fra sé e sé, mentre qualche lacrima chiara osò bagnarle le guance di ghiaccio.
“Per me invece è una benedizione!” La stupì lui, sorridendo fiero e tracotante delle sue meravigliose ali corvine.
“Amo le mie ali, sono il simbolo di quella libertà che mi è concessa una sola volta all’anno.”
“Sei prigioniero?”
“In un certo senso…” sospirò Ranma affranto.
“I miei genitori non riuscivano a concepire un erede ed io sono capitato quando ormai avevano già perso le speranze.
Ogni giorno dell’anno mi tengono chiuso a palazzo e mi è categoricamente vietato uscire perché loro temono qualche attentato alla mia vita o roba simile.” Spiegò velocemente, liquidando la questione con un gesto annoiato della mano.
“Capisco… mi dispiace.” Rispose Akane comprensiva, avvicinandosi maggiormente a quella macchiolina scura fra la candida neve.
Solo quando si fu avvicinata abbastanza, riuscì a notare quella pozza scarlatta che s’allargava sempre di più accanto al giovane.
“Ma sei ferito!” Trillò lei preoccupata facendo per corrergli in contro, ma all’improvviso si fermò.
Era giusto avvicinarsi?
Chiunque si avvicinava troppo a lei finiva per morire e quel ragazzo meritava quella fine?
Lei era un pericolo. Lei era la morte.
“Vai via.” Esordì infine lei. Severa e dura. Infatti flessibile.
“Cosa?! Perché? Ti fa paura il sangue?” Chiese lui schernendola, mentre faceva boccacce strane al nulla più assoluto.
“No. Ma se vuoi tenere cara la vita, vattene da me.”
“Tsè! Se proprio vuoi minacciarmi, almeno mostrati, mocciosa!” L’ennesima provocazione abbandonò le labbra del moro ed Akane s’accigliò infastidita.
“Io sono qui! Davanti a te, intorno a te!” Sbottò lei infine urlando ed il vento aumentò vertiginosamente, schiaffeggiando Ranma con forza fino a fargli perdere l’equilibrio.
“Sono ovunque! Sono la tempesta!” Urlò ancora stavolta avanzando nella neve a piedi nudi finché non gli fu davanti infine.
La veste candida e leggera di Akane sventolava senza sosta scoprendole le gambe candide ed i piedi nudi immersi nella neve.
Le spalline dell’abito le ricadevano lascivamente sulle braccia, mostrando una piccola porzione di un seno abbondante e prosperoso.
I capelli erano lunghi fino al terreno, non più un composto caschetto al pari delle orecchie e gli occhi erano completamente neri come la pece.
Circondata da tutto quel candore, Ranma riuscì a distinguere solo quest’ultimi e vi riconobbe dentro un dolore immenso e tanta tristezza.
“Che ti è successo?” La domanda gli abbandonò le labbra ancora prima che il suo cervello avesse avuto il tempo di formularla.
Akane sobbalzò sconcertata guardandosi intorno circospetta.
“Tu mi vedi?” Chiese curiosa.
“Poco, ti distinguo a mala pena con tutto questo bianco.” Rispose lui sincero facendo per avvicinarsi, ma Akane indietreggiò all’istante spaventata.
“Allontanati!” Pigolò lei. Più una supplica che un ordine.
“Perché? Non puoi farmi del male…”
“Sì invece! Posso!” Urlò la giovane ed il vento piegò impetuoso le ali del giovane, costringendolo a gemere di dolore.
“Non urlare!” La pregò lui, sconquassato dal dolore della ferita riaperta.
“Se urli, il freddo diventa più pungente ed il vento aumenta repentino.” Spiegò infine, cercando di rimettersi in piedi con qualche difficoltà.
“Perdonami… io non lo sapevo…” bisbigliò lei in colpa.
“Come potevi non saperlo? È il tuo dono…”
“Non è vero!” Lo interruppe lei bruscamente squadrandolo con occhi di fuoco.
“Non sai cosa significa per me avere il sangue misto, non puoi dire che sia un… un…” neanche riusciva a pronunciare quella parola.
“Guardati!” Insistette lei, indicandolo con la mano.
“Sei ferito, infreddolito e solo su una montagna. Come puoi definire tutto questo una ‘benedizione’?!”
“Non sono solo, ci sei tu con me.” Rispose semplicemente Ranma, sorridendole innocentemente.
“Forse sarebbe stato meglio che fossi perito cadendo. Stare con me ti porterà solo ad una lenta morte per assideramento.”
“Nha! Non credo.” La interruppe lui sorridendole sornione.
Non sapeva spiegarsi perché, ma quegli occhi scuri colmi di disperazione lo avevano colpito.
E gli avevano fatto male, quegli occhi, male nel profondo. Come quando si subisce un pugno dritto nello stomaco.
Il colpo è forte e fa boccheggiare senza fiato, ma poi c’è quel dolore fastidioso, pungente, che ti coglie alla sprovvista, quando rinizi a respirare di nuovo.
E Ranma sentiva di dover impedire che lei soffrisse ancora, che continuasse a respirare un dolore che presto l’avrebbe piegata in due.
“Io ho la pellaccia dura, sai?! E guarda quante piume!” Disse indicandosi il petto completamente ricoperto dal piumaggio color pece.
“Servono a tenermi caldo, sai?! Quindi puoi stare tranquilla, non riuscirai a farmi fuori tanto facilmente!”
Ed il tiepido luccichio che investì quegli occhi scuri, fu come un raggio di sole che filtrava attraverso la spessa coltre di nubi.
Quelli non erano più gli occhi tristi e cupi di prima, ma occhi ridenti, uno sguardo divertito, splendidamente luminoso come non ne aveva mai visti.
“Mi chiamo Ranma Saotome” Si presentò lui sorridendole amichevole.
“Akane Tendo. Piacere mio.”
 
Sei mesi dopo
 
Ranma strinse nervosamente l’orlo della sua casacca rossa impreziosita da ricami floreali dorati.
I bottoni stretti al collo pareva volessero soffocarlo, mentre quel lieve velo di sudore nervoso che gli imperlava la fronte non voleva saperne di andarsene.
Suo padre, al suo fianco, lo guardava con un cipiglio ilare e divertito.
Non era cosa di tutti i giorni vedere suo figlio così nervoso.
Il giovane principe stringeva convulsamente il labbro inferiore fra i denti, mentre i suoi occhi saettavano da una parte all’altra della stanza senza sosta alcuna.
Mille domande, mille dubbi, affollavano la sua mente senza trovare alcuna risposta.
Poi, infine, un lieve rumore di passi. Forse ancora lontani nel corridoio del castello, al di là della massiccia porta in legno scuro che gli occultava la vista.
Il rumore arrivava confuso, scoordinato, forse erano molte più persone di quante se ne fosse immaginato.
Drizzò d’impulso le spalle, scosso da quel pensiero ed una fitta straziante alla schiena gli provocò una smorfia di dolore.
“Ti da ancora fastidio la ferita?” Chiese suo padre in un sussurro.
Ranma si voltò nella sua direzione sorridendogli sereno, rassicurante.
“Non così molto. Ormai sto bene.”
Il genitore annuì sollevato, giusto un secondo prima che il suo volto mutasse in un’espressione di nera collera.
“Bene. Perché la prossima volta, giuro che non mando nessuno a recuperarti su quelle montagne!” Si lamentò infine borbottando scontroso.
Quella mattina gelida di Novembre, quando si era svegliato e di suo figlio ancora non v’era traccia, l’angoscia di non sapere cosa gli fosse accaduto, la disperazione al sol pensiero di non poterlo rivedere, gli strinsero il cuore in una morsa crudele mentre già si domandava come avrebbe fatto a sopravvivere ad una perdita così devastante.
Poi Ukyo aveva confessato il piano di quel figlio degenere e, senza esitare, aveva messo insieme un piccolo esercito ed era partito alla volta delle montagne impervie.
E lì, li aveva trovati.
Ranma ferito alla schiena, con quello squarcio che gli avevano procurato le sue ali che non voleva smettere di sanguinare. Stretta fra le braccia del giovane principe, una ragazza bellissima dalla pelle straordinariamente pallida.
“Lo so, papà.” Sbuffò annoiato Ranma.
“Ormai sono sei mesi che continui a minacciarmi con queste paro-…” il rumore dei cardini cigolanti del portone che ruotavano su sé stessi attirò la sua attenzione.
Volse lo sguardo, Ranma, verso quel capannello di gente che si apprestava ad entrare nel suo palazzo, nella sua casa.
Un piccolo esercito straniero che portava floridi omaggi con sé e doni per la festa imminente.
Un lieve tremore colse le ginocchia del principe.
Era pronto a quella nuova vita?
Avrebbe condiviso tutto il suo mondo con un altro essere umano da quel momento in avanti.
Era all’altezza di un simile privilegio?
L’avrebbe resa felice?
Paure e dubbi gli dilaniarono il cuore in un istante, ma quando gli occhi blu del ragazzo incontrarono quelli color cioccolato della principessa sua futura sposa, tutte quelle preoccupazioni si sciolsero come neve al sole.



*Mio angolino*
Buonasera personcine! Se siete arrivati alla fine di questo delirio senza addormentrvi, sappiate che vi siete appena guadagnati tutta la mia stima u.u
Ci tengo a precisare che ho riletto poco e niente la storia e non l'ho neppure passata alla mia fantastica Beta Manu per una questione di tempismo. In teoria 'sta roba doveva uscire per Halloween, ma in pratica... sorvoliamo che è meglio xD
Ora, io non ho mai letto nessuna AU nemmeno vagamente simile alla mia idea, quindi non so se classificarla come "demons!AU" sia corretto o meno. Nell'idea originale i protagonisti non sono semplici demoni o mezzi demoni, in verità sarebbero una specie di "discendenti" dei demoni originali... e spero che si capisca abbastanza dalla os, altrimenti questo mio sroloquio non ha davvero senso di esistere xD
Mi sono "divertita" giocando con i colori e la luce. Akane è rappresentata dal colore bianco della  neve: la sua pelle è candida, la sua veste è bianca, intorno a lei c'è  quasi sempre luce. Colore totalmente in contrasto rispetto al nero animo sofferente.
Per Ranma è l'esatto opposto. Il colore nero delle sue piume, il fatto che le ali gli spuntino di notte, sono tutti elementi che vanno in opposizione a quel senso di libertà e spensieratezza che il protagonista attende trepidante in quell'unico giorno dell'anno in cui gli è concesso.
Anche i colori della copertina non sono scelti a caso e volevo che richiamassero un po' questo concetto. In realtà, dopo mi sono accorta che il titolo si legge davvero male perché cade bianco su bianco, ma facciamo finta di niente u.u
Se ve lo state chiedendo, sì, mi sono voluta complicarela vita per nulla.
Ad ogni modo, ringrazio Martina e Manuela per avermi convinto a scrivere questa cosa <3 Grazie bimbe, senza di voi che mi convincete a fare 'ste cose, il fandom di Ranma sarebbe un posto migliore xD

Alla prossima!
Un bacione <3
  
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