Resto
senza parole a fissare la facciata della casa di Rukawa…
Fa
paura.
Con
questo buio pesto fa dannatamente paura.
È
completamente immersa nell’oscurità.
Sembra
circondata da un’aura maligna più tetra del buio più assoluto.
Forse
sono solo io a impressionarmi troppo, però… è
incredibilmente inquietante.
La
piccola villa è circondata da entrambi i lati da alberi neri e spogli con rami lunghi e
sottili, nodosi e intrecciati.
Il
cancello automatico si apre lento, cigolando.
Mi
scorre un fremito lungo la schiena…
La
ghiaia scricchiola assestandosi sotto i nostri piedi e il silenzio si fonde con
il fischiare sinistro del vento.
Questo
posto mette davvero i brividi.
-Dì
un po’, ma sei una sottospecie di demone, tu?-, chiedo
per spezzare il silenzio, tremando.
Per
il freddo! Non per la fifa, sia chiaro…
Kaede,
che mi volta le spalle, si ferma a pochi passi da me, lungo il vialetto.
Quando si volta, un urlo mi si strozza in gola.
Mi
stanno fissando delle orbite vuote e inespressive, dalle quali fuoriescono
vermi e fango denso.
Laddove
è presente, la pelle di Rukawa è squamosa e
attraversata da crepe.
Aderisce
agli zigomi, alla mascella e alla mandibola, ridotti a
ossa di un colore verde sporco.
Si avvicina a me, lento e rapido, la sua voce è un rantolo
rauco e sibilato.
-Beh?
Che fai, non entri?>.
La
stessa domanda che gli avevo fatto io mi mostra un
Kaede perplesso che, sulla soglia di casa, mi tiene la porta aperta,
completamente fradicio.
- A-arrivo!-.
Kami Sama, che infarto! Mi faccio troppo
suggestionare!!!
Varco
la soglia di casa e il mio stato d’animo non migliora di molto.
C’è
buio pesto pure qui dentro!
E,
come se non bastasse, si gela non poco!!!
-No,
fammi capire, Kaede, sei un vampiro oppure solo una semplice Kitzune polare che ha tutta l’intenzione di diventare un
autentico ‘AISSSSSSBERRRRG’ ??!?-.
Hanamichi
mi fissa arrabbiato, incredulo o, forse, impaurito.
Kaede…
mi ha chiamato Kaede…
Hanamichi
mi ha chiamato KAEDE….
-Hn?-, riesco a chiedergli guardandolo incantato.
Sakuragi
sembra non essersene accorto.
Ringrazio
mentalmente l’oscurità che cela il mio sguardo ebete che gli rivolgo.
-Maledizione,
qui dentro si gela! Ma come diavolo fai a resistere a
queste temperature???!!?-.
Nella
penombra vedo Hana tastare le pareti da una parte e dall’altra.
-Ma
dove cavol…?-.
-Più
a destra.-, gli rispondo.
Quando accende la luce, strizzo gli occhi.
Io
di solito la tengo spenta.
Ci
vedo ugualmente e in più risparmio.
Così,
i soldi che mi mandano i miei li conservo per lo più
per gli abbonamenti delle riviste di sport e basket e per il cibo per me, oltre
a quello per il mio gatto.
-Ma
tu non le tieni accese, le luci, in casa???-, mi
chiede fuori di sé Hanamichi.
-Hn, risparmio…sono parsimonioso, io!-, gli rispondo alzando un
sopracciglio.
-No,
aspetta, sto facendo un po’ di confusione… sei pure un
pipistrello, oltre che un vampiro e una volpe-iceberg? E
altro che parsimonioso! Diciamo che sei piuttosto
TACCAGNO!-, Hana mi continua a guardare come se mi fossi messo a ridere a
crepapelle.
È
enormemente sconcertato e gesticola come un matto.
Sbuffo.
Quant’è carino quando s’
infervora…!
-Hai
almeno qualcosa che somigli a una stufa, a un camino o
a qualcosa che scaldi, qui da queste parti, al polo sud?-, mi chiede sorridendo
con aria furba.
È
ancora più bello…
Mi
volto e con un mezzo cenno della testa lo invito a
seguirmi.
Apro
la fusuma scorrevole in carta di riso rossa in fondo
al corridoio ed entro nell’ enorme sala.
Adoro
questa stanza! È la più grande di tutte!
Ha
le pareti bianche.
Incassato
in quella in asse con l’entrata, sta il caminetto.
Spento
da almeno tre anni.
Sulla
destra ho lasciato una sedia con due cuscini appoggiati ai braccioli.
Accanto
c’è il divano letto dalla struttura in legno scuro.
Ebano,
per la precisione.
Mio
padre me l’ha mandato dopo un viaggio in oriente.
Il
suo regalo migliore, non c’è che dire.
Oltre
alla mia prima palla da basket, ovvio!
A
sinistra, invece, appoggiato contro la parete, si staglia una
scaffale ad angolo, a due metri
di distanza dal caminetto. Nella parte bassa della libreria, ho fatto mettere
delle ante bianche in carta di riso, in tinta con il resto della stanza.
Davanti
allo scaffale vi sono altre due sedie, identiche a quella di fronte.
Il
pavimento, invece, è in legno chiaro.
A illuminare ulteriormente il salotto ci pensa un lampadario
con
-Oh,
un caminetto! Fantastico!!-, sorride, -Ma la legna…?-.
Indico
una piccola cassa panca di fianco al camino.
-Ma che schifo! Ci sono milioni di ragnatele, dentro!!-, vedo Hana che salta all’indietro disgustato.
-Ti
fanno PAURA?-, lo stuzzico mantenendo il mio solito
sguardo impenetrabile.
Sakuragi
mi rivolge uno sguardo truce.
-Sono
anni che non lo accendo. Quella legna è lì da allora.- ,
continuo contemplandolo mentre pone rametti e pezzi di legno più grandi nel
camino.
-AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRGGGHHHHH!!!
CHESCHIFOCHESCHIFOCHESCHIFOCHESSSSSSSSSSSSSCCCCCCHHHHHHIFO!!!!!!!!!-.
…
No,
aspettate, fermate tutto….
Com’è
che mi ritrovo Hanamichi IN
BRACCIO?????
Altro
che “in braccio”… direi che “avvinghiato a mo’ di
polipo o koala che sia” o “appiccicato come una sanguisuga” siano termini molto
più adeguati…!
Sembra
quasi che abbia una fifa tremenda di…
Ah!
…di uno enorme scarafaggio setoloso che sta
attraversando in fretta e furia il pavimento diretto verso la piccola cassa
panca di legno!
-Che imbecille…- comincio assumendo una faccia da idiota.
Mai
come quella di Hanamichi, ovvio…
-Come
osi…!- mi sibila di rimando.
-..Grande e grosso come sei…-.
-Guarda
che mica sono il Gori ! ti
stai rintronando, Rukawa?-
-..Non dirmi che hai paura di uno stupido insetto
insignificante…!-, lo provoco.
Accidenti,
sto diventando loquace e acido come solo Mitzui sa
fare…
-Eh?
Ma no, che dici! Volevo solo contemplare il PANORAMA…-.
Che babbeo…-Hai fifa, ammettilo…-.
-Affatto!-
ribatte sicuro balzando a terra e avvicinandosi allo scarafaggio -Devo, anzi,
ammirare le dimensioni straordinarie di questo meraviglioso esemplare…-,
commenta da finto esperto osservando l’insetto con una lente immaginaria.
Volgo
lo sguardo verso la finestra.
La
pioggia picchietta contro i vetri scendendo in piccoli rivoli.
Devo
riprendermi dal contatto avuto con te,Hana…
Il
tuo torace, i tuoi fianchi, le tue cosce contro di me, le tue braccia attorno
al collo… mi
hanno dato alla testa. Mi hanno bruciato
dentro.
Mi
sento quasi ubriaco…
Ubriaco,
sì. Ubriaco DI TE, Hanamichi.
Ma tu…
Non
ti sei reso conto di nulla,
vero…?
Lo
osservo muoversi sicuro dalla cassapanca al focolare, la maglia fradicia
incollata ai muscoli della schiena e delle spalle che guizzano ad ogni suo
minimo movimento.
Non
parliamo del suo fondoschiena, poi. Dire che è
scolpito di-vi-na-men-te è poco!!!
-E dei fiammiferi? Un accendino? Li…-
Sakuragi
si volta di scatto e mi ritrovo a fissare..beh…
-…hai?-.
Merda,
se ne è accorto.
Fingo
completa indifferenza uscendo con nonchalance dalla
sala.
Com’è
che fa improvvisamente così caldo…?
Afferro
le prime cose che mi capitano tra le mani in cucina, mi dirigo verso il
salotto, faccio un profondo respiro ed entro a passi lenti ,
porgendo apparentemente tranquillissimo l’accendigas e le scatole di Corn-flakes spiegazzate ad Hanamichi.
Lui
resta lì un po’ titubante, poi li afferra e si china davanti al camino.
E le nostre dita si sfiorano…
Resto
inebetito a fissarlo da dietro, mentre sistema il cartoncino tra la legna e dà fuoco al tutto soffiando un po’ sopra le fiamme.
Non
riesco a distogliere lo sguardo dalla sua immagine che si staglia davanti alle
fiamme che cominciano a sfavillare, ravvivando di riflessi i capelli bagnati di
Hanamichi.
Non
so per quanto restiamo così immobili…
Quando mi riprendo il fuoco è ormai allegro e
scoppiettante.
A
riportarmi alla realtà è stato un rumore sordo.
È
il mio stomaco che si fa sentire sempre nei momenti più inopportuni…
-Ma tu non mangi mai?-.
Abbozzo
un ventesimo di sorriso alla sua domanda fatta con lo stesso tono di un
bambino.
-Non
molto.-, rispondo alzando lo sguardo.
E i miei occhi s’incatenano ai tuoi.
-Non
hai qualcosa? Comincio a sentire un certo languorino
anch’io…-.
E ascolto le tue parole ubriacandomi della tua voce sensuale
e ingenua allo stesso tempo.
Sinceramente…
non mi fido del tuo “languorino”…
-Non
ho nulla di pronto.-, e poi faccio schifo in cucina.
Ti
fisso.
E mi perdo nei tuoi occhi…
-Neanche
un panino?-, mi chiedi.
Sei
meraviglioso…le fiamme mandano bagliori di luce sulla tua pelle che risplende
d’arancio.
Scrollo
le spalle come risposta.
E la tua bocca socchiusa è ancora più invitante…
E ti guardo e sto male dentro.
La
stanza oscilla e tu sembri assorbire l’energia del fuoco e irradiare la stanza
di luce
mentre l’oscurità s’infittisce cristallizzandosi
nell’aria gelida al di là della finestra.
Vorrei
avvicinarmi a te,
ma ho i piedi incollati a terra.
Sento
il battito cardiaco aumentare,
il cuore martellare sotto lo sterno e risalire verso la gola…
le gambe mi cedono e il mio corpo è percorso da fremiti.
Ti
fisso e avvampo
cercando di resistere alla tentazione di abbracciarti da
dietro.
Muovo un passo verso di te, vorrei sfiorarti, sorriderti…
E invece mi blocco.
Perché? Perché mi succede questo?
Perché non riesco a dirti tutto?
Perché non capisci?
PERCHÉ
NON CAPISCI?
Ho
davvero così tanta paura di uno stupido rifiuto?
Già…È
così..
Ho
una paura tremenda, un terrore che mi angoscia,
che mi deprime…
timore di un rifiuto che non sarebbe affatto stupido…
perché sarebbe il tuo…
IL TUO…
E che potrebbe allontanarti da me… per sempre…
Aiutami,
Hana, ti prego… maledizione, perché diavolo sto
piangendo?
Ti
amo… e ho
paura…
Ripenso
a questa sera…
La
radio suonava “Dreams” una vecchia canzone di
Gabrielle…
Fissavo
le fiamme e ad ogni nota vedevo te in situazioni diverse…
Una
tua potente schiacciata,
I
tuoi capelli mossi dal vento,
i
tuoi passi,
tu
in bici,
la
tua schiena,
tu
che mi guardi,
la
tua mano che stringe la borsa da basket,
tu
che afferri il mio panino,
la
tua bocca chiusa
tu
che mi inviti a venire da te sotto la pioggia,
i
tuoi occhi,
tu
che stai sopra di me,
una
mano stretta a pugno,
tu
ed io in riva al mare,
il
tuo viso vicino al mio,
tu
che corri,
un
tuo accenno ad un sorriso,
tu
davanti al sole…e le note cambiavano,
nel
dolce suono di “Everything you
want” dei Vertical Horizon…che si diffondeva nella stanza vedevo…
tu
che sbuffi,
le
tue espressioni corrucciate,
tu
che palleggi,
il
tuo sguardo insonnolito,
tu
che mi mostri l’ombrello sfasciato,
i
tuoi capelli d’ebano,
tu
che ti schianti contro la facciata della scuola,
il
tuo respiro,
tu
che dormi sul terrazzo,
le tue lacrime,
tu
accasciato su di me,
io
e te sotto la tettoia di casa mia a fare gli idioti davanti a una vecchietta,
la
tua pelle illuminata dalle fiamme del camino…
tu
che ti passi le mani sulla maglia inzuppata,
la
tua felpa stesa sullo schienale della sedia,
tu
che accendi lo stereo,
la
tua maglia accanto alla felpa,
tu
che prendi un cd,
i
tuoi jeans sopra la maglia.
I
miei vestiti accanto ai tuoi,
il
calore del fuoco che lentamente li asciuga…
tu
che ti passi una mano tra i capelli,
il
tuo viso arrossato,
tu
che lasci la sala,
il
tuo frigo vuoto,
tu
che afferri un mio tramezzino,
io
che mi scaldo davanti al camino,
tu
che chiudi gli occhi e li riapri,
io
che mangio e intanto ti osservo,
tu
che scuoti piano la testa per non so quale motivo,
io
che mi sto lentamente rilassando,
tu
che mi fissi,
giuro, fra un po’ mi addormento,
tu
che mi guardi,
ecco, il primo sbadiglio,
tu
che mi fissi,
mi
stiracchio, hai gli occhi lucidi,
tu
che mi guardi, un sorriso triste,
io
che mi alzo, barcollo e tu che non riesci a reprimere un singhiozzo.
Era
la tua musica ad essere stregata, Kaede?
O
sei tu che hai stregato me?
Lacrime
copiose hanno cominciato a inondarti le guance,
alcune morendo nella tua bocca,
altre deviando verso il mento, scivolando lungo il tuo collo
e
raccogliendosi nell’incavo della tua gola
per
poi riprendere la loro corsa in discesa lasciando una trasparente scia salata
al loro passaggio.
Ho
mosso un passo, poi un altro…
Ti
ricordo indietreggiare di mezzo passo, barcollando, con le lacrime che ti
offuscavano la vista.
Ho
sorriso e ti ho abbracciato piano, le mani che ti sfioravano i fianchi…
E
il tuo pianto è aumentato, dividendosi,
percorrendo la mia schiena e riversandosi sul mio torace.
Perché piangevi, Kae?
Ma
soprattutto…
Perché poi mi hai respinto così a malo modo?
Erano
davvero nervoso, rabbia, rancore, odio… quelli che
leggevo in quei tuoi splendidi occhi che evitavano a tutti i costi i miei?
Per
quale motivo? Perché non hai voluto dirmelo? Perché? DANNAZIONE, PERCHÈ?
PERCHÉ?
Perché …?
Sospiro.
Stanco di starmene sdraiato, mi siedo muovendomi piano per non
rischiare di svegliarti.
Rimango
zitto, in silenzio, ad ascoltare il tuo respiro lento e regolare.
Nella
penombra intravedo la tua muscolatura rilassata e riflessi azzurri tra i tuoi
capelli d’ebano.
Piego
le ginocchia e vi appoggio le braccia incrociate.
Scusami
se ti ho inzuppato d’aranciata…
Non
volevo…
Ripenso
alla tua espressione sbalordita, senza parole…
Alla
tua reazione fulminea, mentre afferravi la bottiglia quasi piena, la agitavi e
la aprivi puntandomela contro socchiudendo gli occhi con aria di gelida sfida.
Mi
punto con le mani e scivolo via dal letto.
Rabbrividisco.
Fa
freddo.
Perché..perché
ti sei incazzato…
Perché
alla fine mi hai picchiato..?!?
Perché
eri aggressivo, violento..?
Per
quale ragione l’hai fatto con rabbia..?
Per
quale motivo mi hai costretto a fare altrettanto..?
Perché
quando ti sei fermato ansante… avevi un’espressione traboccante d’amarezza?
Esco
piano dalla camera.
Non
sento alcun rumore all’infuori del ronzio del mio sangue che mi scorre dentro.
Perché mi hai costretto a vedere la tua pelle umida dopo la doccia?
Ad
inebriarmi del tuo profumo quando sono andato a lavarmi dopo di te?
Perché
io cerco di aiutarti e tu non fai altro che complicarmi la vita?!?
Perché mi fai soffrire così, Kae, perché?
Apro
piano una fusuma e la chiudo con estrema lentezza
alle mie spalle.
Spiegami
perché ti sei chiuso in un glaciale silenzio,
perché STAVI in silenzio ed ESIGEVI silenzio.
Perché mi guardavi artico se solo provavo a palare.
Spiegati.
Chiarisciti.
Perché diamine non me ne sono andato prima…
Mi
bastava urlare e uscire sbattendo la porta, mandandoti al diavolo e avrei risolto tutti i miei problemi!
No…che
dico…
Entro
in sala al buio e sbatto una tibia contro il divano.
Sparo
mentalmente una decina di DOLCI parole in merito all’accaduto mentre indosso i
pantaloni ormai asciutti e la maglia arancio.
Lo
stereo è ancora acceso, a bassissimo volume suona “Same Direction”. Un pezzo di non so
quale gruppo americano…
Non
c’è che dire, Rukawa ha cd di musica provenienti da mezzo mondo!
Nel
caminetto scoppiettano le ultime braci ancora ardenti.
Mi
accorgo di un gatto dal pelo fulvo scompostamente sdraiato su una sedia a
pancia in su visibilmente nel pieno della fase REM…
Prendo
il cellulare, incapace di resistere dal fargli una foto.
La
metterò insieme a una mia che mi ritrae in una
posizione praticamente identica!
Afferro
la felpa e la infilo lisciandola poi con le mani.
Mi
trattengo dal dare una grattatina al felino, nel caso abbia
un carattere simile a quello del padrone e mi volto a fissare i pochi tizzoni
nel camino un’ultima volta prima di andarmene.
Salto
di mezzo metro per un tuono che scoppia improvviso e il mio sguardo cade su un porta foto appoggiato su una mensola sovrastante il
focolare.
Strano,
non prima non c’era.
Mi
avvicino piano, stordito dal sonno e dal ritmo ipnotico e insistente della
pioggia che s’infrange rabbiosa contro i vetri.
Allungo
una mano e avverto il tiepido calore del ripiano in
legno.
Afferro
la foto e la accosto al viso.
Dannazione,
non vedo un benemerito fico strasecco!
La
inclino verso il caminetto.
Niente.
Solo
un’ informe sagoma nero-rossiccia.
Magari,
soffiando un po’ sulle braci…
Mh…
…
Sento
solo silenzio.
Eppure…
Qualcosa
mi ha svegliato.
Ascolto
meglio e, risvegliandomi dal torpore, distinguo la pioggia che scende
torrenziale da giorni e il vento sibilare al di là dei
vetri.
Manca
qualcosa.
Ma cosa…?
Per
piovere, piove; il vento soffia esattamente come ore
fa…si aggiunge il debole ticchettare della mia radiosveglia e l’ululato lontano
di un cane.
I
rami della pianta qui fuori graffiano i vetri della finestra.
Come
al solito non ho abbassato la tapparella.
E ad un tratto capisco.
Avverto
a malapena soltanto il mio flebile respiro.
Ne
manca uno.
Manca il suo.
Allungo
rapido ma leggero il braccio nel posto accanto a me.
Morbido.
Tiepido.
Vuoto.
Hanamichi!
Scosto
di scatto il lenzuolo …Perché cazzo l’ho picchiato..!
Perché l’ho aggredito in quel modo..!
…e mi alzo compiendo un unico movimento, fluido e rapido.
Rabbrividisco
a contatto con il pavimento.
Perchéccavolo non ho risposto alle
sue domande…! Perché non ho trovato come al solito
quello strafottutissimo coraggio di merda che mi
manca SEMPRE quando mi ritrovo solo con lui…!?
Spalanco
la fusuma e mi precipito fuori
dalla stanza.
Neanche un briciolo di fermezza, di decisione avevo!
Solo tutta quella cieca rabbia
che avrei voluto scaricare su di ME e non su di lui!
Paura,
ansia, felicità, agitazione, brividi, amore, risolutezza, rabbia, nervosismo e
miriadi di altre sensazioni contraddittorie scorrono
dietro il mio sguardo gelido.
Scandaglio
le stanze lungo il corridoio alla sfrenata ricerca di Sakuragi senza trovarne
la minima traccia.
Se n’è andato davvero…
Vorrei
urlare il suo nome, gridarlo con tutta la voce che ho dentro per sentirlo
rimbombare tra le pareti di casa in attesa di una
quasi simultanea risposta, ma la testa mi martella da impazzire e sento la
lingua che s’incolla al palato, la gola seccarsi.
Te
ne sei andato sul serio…!
Beh,
poco importa! Sono disposto a restare sotto la pioggia per tutta la notte tra
le strade di Kanagawa pur di ritrovarti!
Devo
chiarire tutto con te, ammettere davanti ai tuoi occhi, ciò che ho voluto
negare fino all’ultimo…
Completamente assorto nelle mie considerazioni
apro istintivamente la fusuma della sala dopo aver
visto di riflesso una fioca luce.
Il caminetto è acceso.
Riconosco le ultime note di “Iris”, un brano dei
Goo Goo Dolls provenire dallo
stereo.
E lui, inaspettatamente,
è lì.
Bellissimo.
Fantastico.
Sempre più splendido ogni
volta che appare.
La sua ombra si proietta fino ai miei piedi.
Mi fissa sbalordito, sussultando, e un porta foto gli scivola dalle mani.
E, mentre s’avvicina
rapido al pavimento, scorgo tre foto.
Le tre foto a cui tengo
di più.
Quella in cui sorrido
con mia madre, l’esatta copia di me stesso.
Quella che immortala l’ammucchiata sul Gorilla
sotto canestro, io e te su di lui che ci prendiamo normalmente a pugni e Mitzui su di noi che aiuta Miyagi a fare la sua prima
“grande” schiacciata tenendoselo sulle spalle.
E quella, scattata di
nascosto, che ritrae un indescrivibile Hanamichi accaldato e senza maglietta
che sorseggia acqua da un rubinetto, gli occhi chiusi nascosti da ribelli
ciocche di capelli di fuoco incollati al viso.
Un’immagine paradisiaca che si sfregia e si
graffia, come le altre fotografie, mentre il vetro va in frantumi,
infrangendosi al suolo e spargendosi ovunque.
Migliaia di piccoli e taglienti cristalli che
riflettono le fiamme nel camino.
Fiamme nascoste da quel ragazzo che fissa le
foto, inquadrato dai miei occhi.
Un ragazzo colto di sorpresa, frastornato e
confuso, che non sa cosa dire.
E tutta la mia fermezza
viene meno,
amore e coraggio mutano
nuovamente in odio e rabbia, frustrazione e angoscia.
E mi scaglio nuovamente
contro di te, accecato da miriadi di visioni.
Dalle foto che si lacerano a tutte le volte in
cui non sono mai riuscito a confessarti ciò che provo.
E, mentre sferro un pugno
verso il tuo viso, mentre ti conficco un gomito nel tricipite, mentre ti pianto
un calcio nel ginocchio, so che dovrò dirtelo.
Che ti amo e che ti voglio
come non ha mai voluto e amato nessuno.
Che voglio te, voglio te,
voglio Te e Te soltanto!
Che pretendo il tuo corpo ma che desidero il tuo amore,
prima di tutto il resto.
Che voglio viverti sino in fondo e condividere con te il resto
della mia insignificante esistenza.
Che tu sei sempre stato il sogno presente in ogni mio pensiero,
in ogni mia scelta, in ogni mia riflessione, in ogni mia decisione.
Troverò
un modo per dirtelo, uno qualunque.
Ma
intanto continuo a picchiarti, convinto di avere di fronte un altro me stesso su cui
sfogare tutto il mio rancore.
Dopo
momenti di esitazione ti sento reagire.
I
tuoi pugni fanno male.
Colpiscono
un punto preciso, ma io sento il dolore propagarsi in tutto il resto del corpo.
E ci ritroviamo a terra, intenti a picchiarci fra milioni di
schegge di vetro.
Prima
prevalgo io, poi tu, di nuovo io, poi ancora tu…
Ti
restituisco ogni colpo con tutta la rabbia che ho dentro, ma tu fai altrettanto,
dando vita ad una lotta senza fine.
Mi
sanguina un labbro, le braccia sono invase dai crampi e il vetro mi si conficca
nella schiena. Non capisco più niente, non vedo più niente, non sento più
niente all’infuori di un acuto dolore che sommerge l’intera stanza in cui ci
troviamo.
E ora di nuovo prevalgo io, e ti scaglio contro colpi a
raffica, contro gli zigomi, contro il mento, nello stomaco, contro le spalle,
le braccia, la mandibola…Furioso. Feroce. Violento.
E continuo, continuo, continuo, continuo…
Sentendomi
sempre più stanco, sempre più male, sempre più incerto vedendo che non ti
ribelli più in alcun modo.
Cerchi
solo di fermarmi conficcandomi le dita nei fianchi, provando, invano, a tenermi
lontano.
Mai.
Non
ci riuscirai mai, Hanamichi.
Non
riuscirai mai a tenermi lontano. Te lo impedirò io. Perché lo
sono già stato per fin troppo tempo.
Anche
se riesco di perderti per sempre, con questo cazzo di
mio comportamento da pazzo scriteriato.
E, senza capirne il perché, comincio a fremere, singhiozzi cercano
di risalirmi verso la gola e cerco di reprimerli con tutta la forza di volontà
che mi è rimasta.
Non
riesco più a picchiarti, i miei pugni colpiscono a vuoto, la vista si offusca
per via delle lacrime e mi sento ancora peggio.
Debole,
stanco, sfinito.
Ma mi è rimasta ancora un’arma.
Mi
accascio su di te senza fiato e ti mordo, con tutta la forza che conservo, al
muscolo elevatore della scapola. O forse al trapezio.
Non so. Non capisco più nulla, sono solo consapevole del fatto che mi ritrovo
su di te a morderti con le ultime energie che mi sono rimaste, mentre lacrime
salate che non riesco più a trattenere mi bagnano come fiumi
le guance e si riversano nell’incavo formato dal tuo collo e la
clavicola.
Addentandoti
il mio taglio alla bocca si allarga provocandomi un dolore allucinante.
Ti
sento gemere dal male.
I
tuoi muscoli sodi,compatti, massicci, forti guizzano provocanti contro i miei mentre
inverti le posizioni e mi schiacci sotto di te con tutto il tuo peso.
Ma
non mollo la presa, continuo a mordere la tua spalla chiudendola in una salda
morsa che quasi non mi accorgo di allentare.
La
schiena mi pulsa, i vetri che mi si conficcano sempre più in profondità.
Sento
i tuoi fianchi tra le mie cosce e le mie lacrime
sgorgare dagli angoli esterni dei miei occhi, scivolare lente tra i capelli.
Continuo
a tremare e in uno scatto nervoso alle braccia mi rendo conto di averle strette attorno alla tua schiena.
Resto
senza parole, mi si svuota la mente.
Il
respiro mi si blocca in gola e divento consapevole di rischiare seriamente un collasso quando poi mi accorgo della tua mano che mi
sorregge la nuca e di un tuo braccio che mi circonda le spalle.
È
davvero un abbraccio dolce, il tuo? O è la mia
consueta illusione…?
Dallo
stereo si propagano le dolci note di “ If you don’t know
me by now” una vecchio singolo dei Simply Red e avverto la tua dolce stretta aumentare.
No,
è proprio vero.. mi stai abbracciando sul serio…!
Sto
per scoppiare di nuovo a piangere..
Ti
prego Hana, non lasciarmi…
Né ora…
Né mai…
Mai…
Non farlo mai…
Mi
rintano sotto di lui lasciandomi scaldare dal suo torrido calore, appoggiando
la fronte nell’incavo del suo collo.
Stringo
il mio sogno con tutte le mie forze col timore che possa
svanire come neve al sole e accetto che gli occhi mi si inondino nuovamente di
lacrime.
Lascio
che gocce di dolce pianto scivolino dalle mie guance, corrano
lungo il collo e sulle tue braccia…
Mentre
piango e singhiozzo senza più riuscire a fermarmi.. Sorrido..
Ora
sono al sicuro….