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Autore: Anya_tara    18/11/2017    0 recensioni
" Lyfia ... anche se questo corpo scomparirà, la mia anima continuerà a vegliare su di te ". Le ultime parole di Aiolia, e il suo medaglione sono tutto ciò che resta a Lyfia dell'uomo che ha amato come mai nulla, e nessuno prima di lui in questa vita.
E non ha potuto nemmeno dirglielo.
Ma la vita continua, e Lyfia si ritrova suo malgrado costretta a prendervi parte. Tuttavia quella promessa è ancora viva nell'anima della ragazza. Forse più di quanto gli altri possano immaginare.
Questa storia vorrebbe porsi - siamo in zona esperimento - l'intento di riempire quel vuoto. A modo nostro, come sempre!
P.S: il titolo proviene dal brano ononimo dei The Rasmus. Avrei voluto intitolarla "Midnight sun" ma per ovvi motivi l'ho scartato.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Leo Aiolia, Lyfia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Say my name
So I will know you're back you're here again
For a while
Oh let us share
The memories that only we can share
Together

You touch my hand
These colors come alive
In your heart and in your mind
I cross the borders of time
Leaving today behind to be with you again

 
Within Temptation, Say my name
                                                                                                                                             
 
“Cinque settimane prima
 
Ho bisogno di te.
Quella voce … uno strale dritto al petto. Il ciondolo che porta allacciato alla gola ne è la punta, la prova evidente di quel che è stato, e che non si può cancellare.
Aiolia? Aiolia, dove sei?  E i piedi che balzano dal letto, nel mezzo di una notte luminosa di giugno che sembra pieno gennaio. Dopo la breve parentesi di gioia fittizia, è tornato il freddo eterno, ad Asgard.
Ma le piante nude non percepiscono il gelo, solo le fiamme dell’impazienza. Dove sei, Aiolia?
Vieni. Sono qui, Lyfia. Ho bisogno di te.
Fa appena in tempo a raccogliere la mantella, a gettarsela sulla testa in fretta e furia. Corre fuori dalla sua camera, stando ben attenta a richiudere la porta e ad uscire senza far rumore.
Già la guardano strana. Pensano che … sia impazzita, che il dolore per la perdita di Aiolia l’abbia fatta uscire di senno. Se la vedessero scappar fuori in piena notte - anche se è luce, solo due giorni prima hanno celebrato i riti per il solstizio, il ritorno del Sole di Mezzanotte - davvero non avrebbero più dubbi.
Ma a lei non importa nulla. Sapeva di aver ragione per Andreas, e infatti così è stato.
Così ha ragione adesso. Lui è qui. Lo sente. Tutte le sue vene, i suoi muscoli, i suoi tendini vibrano, esaltati dalla sua presenza. Le sue ossa tremano liquefacendosi, le viscere pulsano dolorosamente assieme a cuore e stomaco riversandosi come lava nel resto del corpo, mentre i piedi affondano nello spesso strato di neve granulosa, diretti verso la foresta.
Stavolta non è una fioritura falsa e nociva. Non è una primavera inattesa e a doppio taglio.
E’ estate. Un’estate greca, calda e profumata di Mediterraneo, di sole, salsedine e tutti i meravigliosi frutti che l’Antica Ellade può elargire, non ultimi i suoi figli, i suoi eroi. Un’estate dal cielo trapunto di stelle, in cui contarne quante ne vengono giù, scie di desideri avverati, di preghiere accolte dagli dei.
Potrebbe pensare ad un miraggio, un’illusione, un trabocchetto di qualche altra divinità intenzionata a portare male nella terra del Nord.
Ma appena gli si ferma davanti, ogni possibile ragionevole dubbio si volatilizza. 
<< Aiolia … >>. Gli getta le braccia al collo, stringendolo forte. L’ha sognato ogni notte, tutte le notti, da quando è andato via.
Ma questo non è un sogno. E’ vivo, reale. Sente i suoi muscoli guizzare sotto i palmi, il suo odore inebriante stordirle i sensi. << Aiolia … >>.
<< Lyfia >>. Le sue mani che le raccolgono le guance roventi, i suoi grandi occhi scintillanti che la fissano come prima del loro addio. Con struggente, devastante dolcezza. << Psyké mou >>.
Lyfia non parla il greco, lo conosce molto poco, ma sente con l’anima. E appunto essa ha compreso di essere stata chiamata a sostituire quella che è rimasta a vegliare su di lei, per conto del Custode di Leo.
<< Sei tu … mia Freyr, sei proprio tu … >>.
<< Lyfia … non sono tornato. Non … come vorremmo entrambi >>. Sospira, afflitto. << Grazie ad un intervento divino … mi è stato concesso … un breve lasso di tempo, per venire in Terra >>.
<< Intervento … divino? >>.
<< E’ il ventitré giugno, Lyfia >>.
Ma certo. Questa data, secondo molte credenze che però non appartengono ai miti di Asgard, è la notte in cui il confine tra questo mondo e l’altro si fa labile. In cui accadono cose inspiegabili. Una notte magica, in cui il Bene vince sul Male, la Luce sulle Tenebre. << E sei venuto qui … per me?>>.
<< Ne dubitavi forse? Ti … veglio ogni giorno, da dove mi trovo adesso. Ogni mio pensiero … è per te. Non immagini che gioia immensa è per me … stringerti di nuovo >>. Le posa una mano sulla nuca, come allora. << Sono tornato … perché … c’è una cosa, che avrei voluto dirti. Dovevi saperlo. Dovevi … sentirlo … dalla mia bocca >>. La stacca piano da se, guardandola negli occhi. << Ti amo, Lyfia >>.
<< Aiolia … >>. L’emozione è così forte, così improvvisa che le ginocchia le cedono. Lo sapeva ma sentirglielo dire, è tutta un’altra cosa.
Soprattutto cinta dalle sue braccia forti che la sostengono contro il proprio petto. Ascoltando il suo cuore che batte, potente, inarrestabile. << Aiolia >>.
Poche ore. Forse nemmeno.
E le piccole dita pallide si muovono sulla pelle dorata dell’impavido, fiero Leone, quasi animate di volontà propria. Slacciano, disserrano, svelano, vittime di un’urgenza che non si può esprimere a parole, dacché Lyfia stessa non ne conosce l’origine.
Sa soltanto che prova terrore, potrebbe svanire di nuovo, tra le sue braccia. Lasciandola soltanto con quelle parole che anche se profonde e sincere, non saranno sufficienti a colmare il vuoto che le si aprirà dentro, quando il tempo sarà scaduto.
E allora, il pensiero si fa azione, anch’essa potente e inarrestabile. << Lyfia, no … >>.
<< Perché? >>.
<< Per lo stesso motivo … per cui non ti ho detto allora che ti amo. Per … non doverti poi abbandonare … Ah, Lyfia >>. La sua mano pallida, chiusa ad artiglio. Per graffiare, non ferire, ma sfidare.
Una sfida che a differenza di tutte le altre, il Cavaliere di Athena non coglie. Prende invece quella piccola mano pallida, dissimile dalle sue, grandi e forti, e la tiene stretta. << Non posso farti questo >>.
<< Temi forse …che in me … vi sia ancora … lo spirito del dio? >>. Le parole sono assolutamente ragionevoli, ma il tono, velato di una malizia che non le è affatto usuale, fanno trasalire Leo che sembra farsi ancora più incerto, quasi smarrito.
E gli fanno arrossare gli zigomi.
Lyfia trae un sospiro. No, la malizia non fa parte di lei. Come tante altre cose: l’ironia, la sensualità, e quell’improvviso desiderio di posarsi il bel capo dai ricci bronzei in grembo, come quello di un bimbo nel vederlo così indifeso. Un senso materno confuso e squisitamente femminile, ancestrale.
Si accontenta di accarezzargli una guancia, così calda, lievemente ruvida. Un uomo bellissimo, inimitabile, davvero simile agli Dei; e lei non è mai stata tanto donna.
Anche di questo ha merito lui. Nei pochi giorni trascorsi assieme  le ha fatto provare cose altrimenti sconosciute. Distanti da lei, ragazzina cresciuta nell’impenetrabile fortezza di Asgard, protetta dalle mura di pietra ma ancor più dalla coltre di ghiaccio perenne.
E adesso, ha la maledetta sensazione che stia sprecando tempo. Intuisce le sue resistenze, le giustifica, ma non può accettarle.
Non può più accettare che siano gli altri a disporre di lei. Sia pure per il giusto, per il bene.
Allora deve osare. Muoversi, più rapida dell’alba. Prima che il sole ricominci a salire, e faccia impallidire la luce di colui che è tornato ancora, per lei sola.
Lo afferra per le spalle e si tende verso le sue labbra. E’ un bacio ingenuo, inesperto ma non innocente; è disperato, e affamato, e …
Lo è anche lui. Che ricambia con pari forza, serrandola in una morsa quasi dolorosa.
<< Allora … tu vuoi >>, ansima, appena si stacca dalla bocca di Aiolia.  
<< Lyfia. Cosa ti fa pensare … che sia il contrario? Non sono forse … umano anch’io? >>. Segue il profilo armonioso, delicato della sua mascella, fino al mento. Lo preme tra pollice e indice. << Sono un uomo, amore mio. E … me l’hai fatto ricordare … proprio tu >>.
Un timido sorriso vittorioso spunta sul volto di Lyfia. Che prende il legaccio del corsetto e tira, mostrando il biancore della pelle d’alabastro, lo sterno che s’alza e s’abbassa fremente. Il morbido solco tra i seni, in cui si è annidato il medaglione che le ha donato.
Senza timore, né vergogna, inutili vestigia di un passato ormai estinto gli cerca le mani, le guida sopra di sé; sussulta, quando trovano le piccole gemme sensibili e vi indugiano con lenta maestria.
Forse per Aiolia … non è come per lei. E questo pensiero le dà una breve puntura d’afflizione nel cuore: avrà conosciuto, amato altre donne, prima di lei? In quello stesso modo?
E loro saranno state meno sciocche, più consapevoli di ciò che necessita al corpo di un uomo, per … provare piacere.
Lei ha soltanto l’istinto, dalla sua. Il desiderio che attinge a piene mani nella fonte del primordiale, coadiuvato da rari accenni colti per caso tra le mura di palazzo, celati negli angoli bui, segreti alle orecchie della Sacerdotessa di Odino e della sua casta sorella. Bisbigli e pettegolezzi uditi di sfuggita tra la servitù.
Quello, e il bruciore inconfessabile della sua stessa carne, sorto improvviso, inatteso come un temporale estivo. Momenti che si era sforzata di ignorare, impressioni che aveva fatto in modo di disperdere immediatamente davanti a lui;  il tempo che avevano trascorso vicini, loro due da soli, anche contando il grave pericolo che correva Asgard, era bastato a destare una parte di lei rimasta ad ibernare, nel gelo e nel buio. 
Si è invaghita di lui un istante dopo averlo incontrato. Si è accorta di amarlo appena era accorso in suo aiuto, quando Frodi e i suoi soldati l’avevano accerchiata.
E dall’istante in cui, sfinito, le era crollato addosso, schiacciandola con il suo peso, e quello della Cloth sulle sue spalle, aveva sentito il resto. Quella pulsione incomprensibile. Che si era affrettata a scacciare … lui era ferito, privo di sensi, esausto. Il marchio degli Einherjar appariva ad intermittenza sul suo bel viso, sul suo corpo e lei … si sentiva così inutile, fragile e …
Incapace. Come adesso. 
<< Lyfia >>. Le sue dita si fermano, abbandonano i seni per scivolare piano sui fianchi, e ricadere nell’aria fredda, come petali di fiori abbattuti dal vento. << Non voglio mentirti. Io … ho paura di farti del male. Non credere che sia una scusa per non stare con te. Ma non potrei mai perdonarmi … se ti causassi sofferenza >>.
Lyfia deglutisce aspro. Aveva udito anche questo, che la prima volta … l’amore fisico può essere doloroso, perfino traumatico, per una fanciulla intatta. Non le è ben chiaro il motivo e non ha pensato di erudirsi al riguardo, certa che per lei non sarebbe mai giunto un momento simile. Nemmeno dopo Aiolia.
Soprattutto, dopo Aiolia. 
Ma finora non è accaduto. Il tocco delle sue mani già le manca, quei piccoli deliziosi brividi simili a scosse, che si ripercuotono ovunque, in particolare in determinati punti.
Per questo spasima, appena una di esse torna a carezzarle l’arco della spalla, fino al collo, nell’incavo sotto l’orecchio. Un lampo le attraversa la mente: vuole che le conficchi le sue zanne, le affondi il suo morso, mentre le unghie le incidono la pelle della schiena.
Non teme la fiera. Ne è perdutamente innamorata … è già preda, brama soltanto che la bracchi, e la faccia sua.
Ma Aiolia esita ancora. Continua a sfiorarla con attenzione, uno sguardo tormentato nelle iridi di smeraldo.  
<< Aiolia … >>. Cerca ancora la sua mano, la stringe tra le dita. << Me ne stai già causando anche così >>, dice soltanto.
Non le pare di aver detto nulla di speciale, solo la verità. Ma evidentemente basta perché riprende a baciarla, con meno cautela; la fa indietreggiare fino ad un tronco, non senza premurarsi di porle un braccio dietro la schiena perché la corteccia scabra e gelata non le arrechi fastidio. Con un solo gesto rapace le slaccia del tutto il corsetto, denudandole i seni: immediata, l’attenzione si sposta su uno di essi, risucchiandone in bocca uno dei fragili boccioli che lo coronano.
Eccola. La fame del Leone. Lyfia impara a conoscerla senza mezze misure: serra le labbra chinando il volto sul suo capo, per non gridare. Ha come il presentimento che la sentirebbero da palazzo ma ansima comunque ai piccoli morsi che le assesta scendendo sullo stomaco, sui fianchi, inginocchiandosi dinanzi a lei, infilandole le mani sotto la gonna, risalendole i polpacci, percorrendole le gambe dalle caviglie all’attaccatura delle cosce.
Quando la lambisce tra di esse le ginocchia le tremano. E appena il bacio si fa più profondo cedono del tutto: quasi lo sapesse Aiolia tende le braccia a sostenerla, mentre scivola giù. Un tocco di fuoco … fiamme alte, furiose le sferzano le vene, le danno le vertigini, scatenano dentro di lei reazioni che non può tenere a bada né tanto meno controllare.  
Reclina la testa, e il cielo sfumato di grigio, azzurro e arancio sopra di loro non le è mai apparso così vicino. I confini sono così indistinti … lo sguardo le si appanna, ad ogni umida carezza che la bocca di Leo elargisce al suo sesso in boccio. Ad ogni delicata intrusione delle sue dita.  
Lyfia si perde. Chiude gli occhi e si lascia andare, la mente si stacca dal contatto con la realtà, mantiene solo quello più importante, con Aiolia.
E la travolge. Un’onda traditrice, violenta e inattesa le monta dal ventre sbattendole contro, annientandola.
Si aggrappa a lui come all’ultima salvezza. Spalanca le palpebre e lo ritrova, bagnato di pallida, evanescente luce polare che filtra tra le cime maestose e innevate degli abeti.
Non ricorda più niente. Né come si chiami, chi sia, perché o dove. Non sa se è morta, o se vive ancora, se il suo cuore si è fermato o batte così rapido e leggero da non poterlo percepire.
<< Lyfia … >>. I suoi occhi limpidi come smeraldi, splendenti di luce propria. Il modo in cui la fissano … perché la guarda come fosse un prodigio? E’ lui il miracolo, la dimostrazione dell’esistenza degli Dei, della loro benevolenza sia pure così fuggevole.
Si raggomitola contro il suo petto, affinché la stringa. Perché quell’improvviso desiderio? Di farsi abbracciare, consolare … come se fosse stata ferita gravemente. Eppure non le ha fatto del male.
Posa la fronte contro la sua, deglutendo con forza, abbassando le palpebre dalle lunghe ciglia nere, malgrado l’oro, il bronzo del resto del suo corpo. << Lyfia, io … perdonami >>, mormora, il respiro spezzato. 
Il dolore arriva intenso, improvviso. Il fiato le viene meno, le unghie divengono lame e si conficcano nella sua pelle ambrata, a fondo. Un grido le sfugge suo malgrado e s’irrigidisce, cedendo a quell’invasione con l’istinto più ovvio, naturale di ogni essere umano: quello di ritrarsi, difendersi quasi.
Pensava di essere preparata, ma si rende conto che non è così. E si infuria con se stessa: cosa pensava, che avesse fatto di tutto per dissuaderla giusto per posa? E’ un uomo, anzi, un guerriero. Per quanto potesse essere nelle sue intenzioni non provocarle sofferenza, non può cambiare la realtà delle cose.
Aiolia è immobile su di lei, solo il respiro affrettato lo tradisce. Sa di averla ferita e di certo è per questo che non osa alcun movimento. Sembra quasi voglia fermarsi, tornare indietro.
Lyfia inspira, e il suo profumo le riempie ancora una volta le narici, come lui ha fatto col suo corpo. Quell’aroma inconfondibile, adorato la acquieta un istante. 
Assieme alla sua voce. Teneramente inquieta … pervasa dal senso di colpa. Alle sue mani, che le cingono il volto schiudendole le labbra. << Lyfia … >>.
<< Shhh >>.
<< Perdonami … >>.
<< Shhh … va tutto bene, Aiolia. Va tutto bene >>. Per rassicurarlo, sfrega la punta del naso contro quello di lui. Gli accarezza i serici ricci, sorridendogli piano. << Ti amo >>.
In risposta si china a posarle un breve, delicato bacio a fior di labbra, mentre si ritrae leggermente, tremando;  Lyfia riprende fiato, il peggio … ammesso che possa definirlo tale … dev’essere passato.
Ma il dolore invece di scemare aumenta. Aiolia scivola con lentezza sul suo torso sottile, e Lyfia avverte lo sforzo che sta esercitando su se stesso per controllarsi. I tendini fanno più che mai fede al loro nome, sono funi sottopelle; una vena in rilievo gli pulsa sulla gola, potrebbe contare i battiti del cuore da lì.
Quella fitta lancinante era soltanto l’inizio. Più si spinge in avanti, più la pressione si fa insostenibile. E’ una dura prova, da cui sa che per uscirne vittoriosa deve resistere.  
E resiste. Resiste finché lui non si ferma nuovamente, esitando. La sofferenza adesso si è condensata in lacrime cocenti, Aiolia ne raccoglie una con lo zigomo, passandolo contro il suo. << Amore mio … >>.
Lyfia non riesce a trovare parole per rassicurarlo, adesso. Teme perfino di aprir bocca: le sembra che il suo ventre sia stato racchiuso in una pressa rovente, dai denti affilati, e se solo batte le palpebre finirà dilaniata.
Ma non smette di volerlo. Non può impedirsi di amarlo, di desiderarlo, di bramare quelle braccia serrate al suo corpo ora così fragile, di abbandonarsi al bacio appassionato con cui adesso la cattura, un bacio che le fa dimenticare per un attimo il supplizio che aveva cercato di evitarle.
Senza staccarsi da lei, compie l’ultimo passo. La sensazione di qualcosa che le si lacera dentro è nitida; non è stato come un colpo netto di forbice, di lama ma lo strappo difficoltoso di un drappo riccamente intessuto.
Tutte le forze, fin lì tese all’inverosimile evaporano d’un tratto. Le pare che scivolino via assieme al calore fluido tra le sue cosce.  
E’ finita. Stavolta è finita sul serio.
Lyfia reclina la testa, stremata. Ha la vaga, nebulosa percezione che stia morendo … che possa portarla con sé, adesso.
Che sia appunto per questo che è tornato? Per permetterle di valicare quel confine mano nella mano con lui, e far sì che rimangano insieme per sempre?  
Un folle pensiero che dura solo un attimo. Il tempo che Aiolia, dopo averle concesso un secondo di tregua, riprenda a muoversi sopra di lei.
Impercettibilmente, dei lievi spasmi prendono ad avvolgerle il ventre, la sommità delle cosce. Si allargano come i cerchi nell’acqua, goccia, dopo goccia.
E si fa chiaro nella sua mente. E’ lui. Dentro di sé. Come un amuleto … per scacciare le ombre, i demoni, come la prova evidente ch’è vivo e vero, tra le sue braccia.
Le fitte si fanno meno brucianti, a questa riflessione. No, non è lì per ucciderla dolcemente ma per farla tornare in vita.
La sua pelle rovente, imperlata di lieve sudore odoroso di sandalo nonostante il freddo. E quella sensazione di gioiosa, esaltante sopraffazione solo apparente, per necessità di cose.
Viva. Come mai prima di quel momento.
Dimentica del dolore Lyfia gli si avvinghia addosso, allacciandogli le gambe alle reni, per farlo scivolare più a fondo, fin dove è possibile. Non sente il gelo morderle le carni, non il duro suolo sotto la schiena a malapena riparata dalla mantella.
Sente solo lui. La sofferenza che il suo essere uomo, possente, glorioso le stava infliggendo si dipana, lasciandole intravedere, presentire il piacere, il fuoco, l’ebbrezza lucente dell’amplesso condiviso, totale. Gli afferra la nuca, la spalla, la schiena, come capita, per sentirlo ancora, di più, oltre ogni possibile immaginazione.  Per bruciare assieme a lui, nella luce del sole di mezzanotte. << Aiolia >>, esala, un fiotto di voce che si perde in un gemito non più trattenuto.  
<< Sono qui, Lyfia >>. Le morde piano la gola, il cordoncino della collana le sfrega dietro il collo. Le raccoglie i capelli, respirandovi dentro, prima di ricadere sulle sue labbra, catturandole ancora, rubandole il respiro, strappandole altri gemiti che echeggiano nella silenziosa barriera della foresta.
L’attira a sé, drizzandosi in ginocchio, serrandola ai suoi fianchi. La mano che le preme sull’osso sacro, l’altra dietro la nuca, il calore del suo respiro sul volto, sulla gola palpitante, i loro ansiti furiosi che si confondono e si placano soltanto quando uniscono le loro bocche. I suoi lunghi capelli slegati, pieni di aghi, di terriccio si raccolgono su una spalla di lui, danzando nel vento leggero ad ogni spinta.
Oddei … è questo, allora, che significa amare? Fondersi con la persona amata tanto da non percepire più dove termina l’uno e cominci l’altra? Intrecciare le dita, sprofondare con lo sguardo negli occhi dell’amato, e annegarvi, e cercare l’aria dalla sua bocca?
Questo è amare? Non sopportare, ma aprirsi senza paura a quel dolore che l’altro vorrebbe invece risparmiarci? Scoprire che è come un cristallo sfaccettato oltre il quale si cela la luce pura?
Le freme dentro, e Lyfia lo avverte con estrema chiarezza. Non è più nemmeno piacere, non soltanto; è vita, l’unica possibile, è cielo e terra e mare … è l’infinita antica saggezza dell’Universo, che le si riversa in grembo nella sua forma più elementare, la fiamma creatrice della passione.
Alza una mano e Aiolia le cinge il polso con la propria, la riporta giù, la schiaccia quasi, con prepotente disperazione. E’ l’ultimo istante, l’atto finale del loro tempo insieme pronto a scadere.
Lyfia si morde un labbro, per non lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento, una lacrima. Nella sua mente inizia a formarsi un vago pensiero, di negazione e rabbia, che cerca di esorcizzare ripetendosi all’infinito di non andare oltre, di non sfidare la bontà divina, e sciupare tutto.
Sii … Felice e grata di aver ricevuto questo miracolo … felice e grata … felice e grata …
Ma quel pensiero prende il sopravvento. << All’inferno! >>, sbotta di colpo, la voce un graffio imbevuto di pianto e furia che ferisce il silenzio calato d’un tratto; e invece di ritrarsi esterrefatto, Aiolia la abbraccia più stretta. Un singhiozzo le percuote la gola; non viene da dentro, ma da fuori. Da lui.
Con una forza che non sa da dove provenga si tira su a sedere, allarga le gambe per allacciargliele ancora ai fianchi, le braccia alle spalle, le dita nella nuca e lo serra a sé. << Portami con te … ovunque tu debba andare, Aiolia … portami con te >>.
La guancia calda si muove contro la sua. << Non posso … tu devi vivere, Lyfia >>. Si stacca finalmente, e in quegli occhi ardenti Lyfia ritrova tutto il suo stesso supplizio, l’identica sconfinata impotenza, la rabbia per quell’ingiustizia.
Poi Aiolia abbassa le palpebre per un attimo; i gesti tornano quieti, la voce pacata. E’ uno sforzo disumano, Lyfia ne percepisce l’estenuante lavorio nel battito del cuore che aumenta contro il suo. << Vivi per me, Lyfia. Promettimi … giurami che vivrai anche per me >>. Le lambisce piano la guancia con il pollice. << Perché io … non sapevo di esser vivo … finché non ho incontrato te >>. Un bacio ancora, per suggellare quel patto di cui testimoni silenti sono il pallido, gli alberi e le stelle lassù nell’alto, invisibili custodi di una notte ora lontana.
Non può fare altro che dire di sì. << Sì, Aiolia >>.
<< Dillo ancora. Per favore … >>.
<< Sì, Aiolia … sì >>. E’ a tutt’altra domanda che avrebbe voluto poter dare quella risposta, Lyfia; sa che  anche per lui è lo stesso.
E sa che vuole che ripeta il suo nome. Come un incantesimo, per non farlo svanire all’alba, come un sogno che si dissolve nelle pallide, rosee luci del cielo. << Sì, Aiolia … >>. Si lascia sdraiare nuovamente, ritrovando la terra ghiacciata come una vecchia amica. Il calore del suo corpo, che spera di poter trattenere  anche dopo che sarà andato via, le aderisce addosso. Le sue labbra, le sue mani. << Aiolia … >>. Un nuovo ansito. Stavolta non fa male, è tutto più semplice; e più terribile. Perché il male che non sente più nella carne l’anima lo sovraccarica su di sé; e trabocca, rendendo ancora più amaro l’addio che sarà.
Per tutto il tempo non ha smesso di ripeterlo. E Aiolia non ha smesso di ripetere quello di lei, finché Lyfia non ha chiuso gli occhi, cedendo alla stanchezza, maledicendosi perché sta gettando via quegli ultimi, irripetibili istanti al suo fianco, tra le sue braccia. Mentre gli tiene l’orecchio sul petto, attenta ad ogni pulsazione vitale all’interno. E quella dolce melodia, unita al lieve canticchiare sommesso, a labbra chiuse, del suo amato che le accarezza i capelli, l’ha spinta nel buio pieno di luce”.
 
Quando si era svegliata, aveva trovato Freya accanto a sé.
E adesso è un nuovo risveglio. Da sola, senza neppure il conforto di una presenza amica accanto a sé. Leggera e vuota … ecco come si sente. Una lieve pulsazione tra le cosce, effetto dell’atto condiviso con Frodi durante la notte.
Un umidore viscoso, però, attira la sua attenzione ancora allentata. Si drizza a sedere, e una sfumatura d’irritazione le percorre lo stomaco; questa fredda realtà la infastidisce, venire a patti con queste cose altrimenti naturali le mette una vergogna, un disagio che, con Aiolia, sa non avrebbe provato.
Non sarebbe stato così fuori luogo, destarsi con addosso i segni dell’amore notturno. I rivoli del suo piacere sulla pelle ancora calda del tepore del letto, cercare la leggera traccia lasciata dal suo sonno sul guanciale accanto al proprio. E i giochi sotto le lenzuola, al buio … ridere e scherzare su cose anche stupide, leggere. Fare progetti. E una mano che cala lenta su una curva in fiore. E fare l’amore, anche in pieno giorno  un’urgenza improvvisa che chiude il mondo in fermento fuori dalla camera, dimenticarsi ch’è l’ora di mangiare, di studiare, di mettere in ordine. Scordarsi tutto, per rammentare solo la cosa più importante.
Lo immagina con tanta soave crudeltà che si sente spinta fuori dal giaciglio nuziale. Può perdonare a Frodi quella profanazione; ma a se stessa, può? Ha promesso ad Aiolia di vivere; ma lui non le ha chiesto questo. Di permettere ad un altro di far proprio ciò che era suo di diritto.
Anche se non c’è più.
E’ vero. Probabilmente sapendo di doverla abbandonare, immaginando … ciò che avrebbe potuto lasciarsi dietro forse sarebbe stato d’accordo.
Entra nel piccolo bagno adiacente alla camera, passandosi le mani sulla faccia. Non osa affrontare lo specchio: rivolge lo sguardo alla vasca già colma d’acqua calda. Frodi deve aver dato disposizioni affinché la sua novella sposa abbia tutti i riguardi possibili.
Prima di Aiolia, avrebbe stimato un sommo onore, divenire la compagna di quel giovane bello e coraggioso. Fin da piccola ha provato sempre un forte affetto, per lui. Lo prova anche adesso, nonostante tutto.
Ma quel sentimento non è che un pallido riflesso sfocato, in confronto a ciò che sente per Leo. Cogliendo lo scintillio dell’anello nuziale si sforza di non immergere la mano nell’acqua quasi volesse annegarlo, il rimorso per averlo tradito a quel modo.
In realtà li ha traditi entrambi.
Sfila la sottoveste che ha ancora addosso, con un pizzico di gratitudine nei confronti di Frodi perché non l’ha spogliata anche di quella. Forse anche lui era a disagio, imbarazzato e inesperto; Lyfia non si è domandata se abbia avuto altre amanti prima di lei.
Non le importava saperlo. E’ la cruda verità.
Quando si raccoglie ai suoi piedi Lyfia si avvede di alcune piccole chiazze rosse. Guardandosi si accorge che dei sottili rivoli dello stesso colore le percorrono le cosce.
E raggela.
Per un istante pensa che sia semplicemente venuto il suo tempo, e questo da un lato renderebbe vane tutte le sue inesplicate sensazioni dell’ultimo mese. Ma subito si accerta che non è così.
Inebetita, si accascia contro la porta chiusa. Mette il polso tra i denti, soffocando il grido angosciato che le sale dal fondo dell’anima.
Si sta sbagliando. E’ solo un orribile equivoco. E’ assolutamente certa che quello con Aiolia non sia stato soltanto un sogno.
Eppure quando ha ripreso i sensi di quella trafittura lacerante non era rimasto alcun segno. L’indolenzimento che avrebbe dovuto provare per essere rimasta sdraiata sul duro suolo ghiacciato, stretta sotto quel corpo ardente non c’era, come i segni dei morsi, della stretta appassionata delle dita salde e ambrate sulla sua pelle delicatissima.
Nulla.
Scivola piano verso il basso, stavolta non ha le braccia calde e forti di Aiolia a rallentare la discesa. Stende una mano e afferra la sottoveste, la appallottola tra le mani fino a ridurla ad un piccolo grumo bianco grondante sofferenza e tristezza.
Per niente. Ha sacrificato il suo amore, la sua verginità, per niente.
Forse, quella notte non è stato il Bene, la Luce a trionfare. Forse il Sole di Mezzanotte non è stato sufficiente a tenere lontani gli spettri, gli spiriti pronti ad ingannare, a tessere le loro reti per avvilupparvi gli sfortunati malcapitati.
Come lei.
Un dolore acuto come una pugnalata le straccia il cuore. Lunghi singhiozzi silenziosi fanno da amara nenia a quel piccolo muscolo agonizzante.
Ora Lyfia ne ha la certezza. I sogni, al pari delle menzogne, possono uccidere.


* Angolino di Saga: Bene, visto che siete stati così bravi e vi siete dato da fare in tanti, ho deciso di farvi un piccolo regalo e pubblicarvi il secondo capitolo! Avvisatemi se devo chiamare il mio avvocato, mi raccomando!
Un grazie speciale a Francine e mrosaria che non hanno perso tempo a recensire. Vi aspetto anche nei prossimi capitoli! :D
Buona lettura, 
Saga
 
   
 
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