Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: DameVonRosen    18/11/2017    3 recensioni
Un Sandor Clegane crudele e spietato, ma anche incoerente, sofferente e combattuto, che mai vorrebbe fare i conti col proprio passato e con le proprie paure, ma che col tempo si renderà conto dell'inevitabilità di questo scontro.
Storia ambientata nel contesto di GOT, con personaggi nuovi e completamente scollegati rispetto ai libri o alla serie TV; solo alcuni sono stati estrapolati, cercando di farlo nel modo più fedele possibile, mantenendo inalterato il loro Background, la loro storia e il loro carattere.
Amo le storie in stile SanSan, ma in giro ce ne sono davvero molte e il rischio di ripetere quanto già prodotto da altri, o anche scadere nel banale e nel "già letto" era alto. Ho quindi optato per qualcosa di differente :) adoro il personaggio del Mastino, adoro quella sua profonda complessità che ogni tanto emerge.
Non temete se all'inizio il nostro amato Sandrone è apparentemente posto in secondo piano rispetto alla storia, non sarà sempre così ;)
Attenzione: possibile (probabile) linguaggio volgare, scene violente o contenuti forti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bronn, Nuovo personaggio, Sandor Clegane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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Si fece riaccompagnare nella sua stanza, ormai era notte fonda, ma Nymeria non avrebbe mai dormito: l’agitazione per quello che sarebbe accaduto l’indomani era troppo forte, così decise di iniziare a pensare e preparare il necessario. Si fermò subito tuttavia, perché tra le insicurezze sulla scelta che stava per intraprendere emerse un nome: Sandor Clegane.

Non voleva non vederlo più , voleva parlagli, raccontargli, chiedergli scusa. Il fatto che il tempo passato con lui stesse per finire le mise addosso una strana angoscia mista a tristezza. Non voleva lasciarlo, non voleva che quello strano rapporto finisse lì.
Indossò un mantello e uscì, diretta verso le stanze dei Cassel.

Come previsto era lì, con l’armatura e lo sguardo truce, pieno di odio verso il mondo. Si avvicinò finchè la potesse vedere, per poi arrestarsi: non sapeva cosa dire o fare, avrebbe dovuto pensare a un dialogo, a un discorso, a qualcosa di sensato. Invece era proprio davanti a lui, con la faccia di chi non sa perché è lì. Si sentì un’idiota.

<< Ehm, buonasera, Sandor. >> si avvicinò rivolgendogli un sorriso nervoso ma sincero, che egli colse.

<< Buonasera, mia signora, cosa ci fate in giro a quest’ora? >> domandò con astio e sfrontatezza, come sempre.

<< Io ehm, speravo di scambiare qualche parola con voi, se vi va. >> rispose lei, mentre lui la guardava accigliato.

“E sarebbe questa l’ora di scambiare due chiacchiere?!” pensò, ma ella continuò.

<< Io ehm, vi devo delle scuse, Sandor, per come mi sono comportata quella notte in cui cercai di parlare con Adrian. È stato infantile e stupido il modo in cui vi ho escluso. >>

<< Non mi dovete spiegazioni. >> rispose secco lui, sebbene con un tono più morbido di prima. Lei si stava scusando, cosa che tendenzialmente le lady sono restie a fare, e lui stava facendo il difficile. Non era molto gentile, lo sapeva.

<< Lo so, ma ci tengo a darvele, voi non siete uno sconosciuto per me, siete una persona che mi ha aiutata molto e che ha dimostrato di tenerci a me, più di molti altri. Per cui, se per voi va bene, vorrei darvi delle spiegazioni. >>

Era inutile discuterci, pensò Sandor. In realtà le spiegazioni le voleva, ma era troppo orgoglioso per ammetterlo, fece quindi uno sguardo indifferente.
E Nymeria gli raccontò tutto: la conversazione con Adrian, la storia del contadino ucciso da Qoren, la promessa fatta da Adrian e infine il fidanzamento ufficiale con Qoren, a cui ella non poteva più sottrarsi.
Gli raccontò i suoi timori, le sue paure, il terrore all’idea di sposarsi con quell’uomo così strano e malvagio. In tutto questo lui ascoltò in silenzio, raccogliendo tutti quei pensieri e facendoli propri, sebbene esternamente ostentò il suo miglior sguardo annoiato.

<< Io ehm, vi ho raccontato tutto questo anche per dirvi un’altra cosa, una decisione che ho preso. Io ecco… domani sera, dopo i funerali di Adrian, me ne andrò via e Bronn verrà con me. Non sto fuggendo, voglio solo andarmene da questo posto a cui non appartengo più e a cui non ho più nulla che mi vincoli. >>

Il Mastino era oltremodo scosso e sorpreso. Non pensava che una lady cresciuta in mezzo a tutti quegli agi fosse pronta a fare a meno della sua vita da un giorno all’altro. Sicuramente non pensava che potesse avere quelle palle, quel coraggio. È vero, aveva dimostrato di saper affrontare situazioni difficili ed era sicuramente sveglia e intelligente, ma non pensava che si sarebbe mai ribellata alla sua famiglia, che avrebbe preso in mano la sua vita affrontando tutto questo da sola, o quasi. Era grato del fatto che non andasse via per i fatti suoi, da un lato, ma dall’altro comprese che quasi sicuramente non l’avrebbe mai più rivista, cosa che gli provocò una strana stretta allo stomaco. La guardò negli occhi.

<< Credi davvero di potercela fare? >> le chiese senza giri di parole, parlandole con il tono informale e colloquiale che si riserva a un amico. Lei lo guardò:

<< Non ne ho idea, ma sono certa che non potrei farcela qui. Fuori ho una speranza. Solo che… insomma non volevo non vedervi più, volevo parlare ancora un po’ con voi… >> era paonazza, si sentiva una ragazzina stupida incapace di fare un discorso sensato. La verità era che non sapeva nemmeno lei il perché fosse lì: provava emozioni troppo contrastanti verso quell’uomo.

<< Io ehm… sentivo il bisogno di starvi vicino, quest’ultima sera. >>

“Che cazzo sta dicendo?” fu il primo pensiero di Sandor. Benché passare la notte a parlare con quella ragazza non fosse una brutta idea ai suoi occhi, era comunque una situazione assurda. Decise però di assecondarla. Anche perché, da quel che diceva, non si sarebbero mai più parlati o rivisti; tanto valeva godersi qualcosa di diverso.

<< Sei davvero una ragazza strana. >> constatò lui, Nymeria piegò le labbra carnose in un timido sorriso.

<< Già, me lo dicono in molti. La realtà è che a volte non so perché faccio certe cose, mi faccio guidare solo dal mio istinto. Spesso faccio fatica io stessa a comprendere certe mie scelte. >>

<< Credo che stiate facendo la scelta giusta, in ogni caso. >>

Ella lo guardò più intensamente.
<< Dite davvero? Non è una cosa folle? >>

<< Lo è, ma come hai detto, sarebbe più stupido sposare quel coglione. Ed è giusto andarsene verso quello che vogliamo. Io sto al servizio dei Cassel solo per i soldi che mi danno: nel momento in cui troverò qualcosa di meglio, farò come voi. >>

Sentire quelle parole la rincuorarono, sebbene non fosse molto abituata a quel linguaggio scurrile. Lo guardò meglio: l’enorme cicatrice che gli deturpava il viso era spaventosa, si muoveva insieme alle sue labbra quando parlava, era una parte di lui. Si chiese se anche nell’anima avesse una parte carbonizzata e una sana, si chiese cosa potesse mai essere accaduto per ridurgli il viso (e il carattere) in quello stato. Gli occhi grigi la scrutavano nervosi, quasi si sentisse in pericolo e stesse squadrando il nemico, pronto ad attaccare. Era sempre sulla difensiva, Sandor Clegane, non si rilassava mai, non si fidava mai.

<< ‘Beh? Avete perso la lingua? >> domandò spazientito. Lei si riscosse, imbarazzata.

<< Scusate io stavo… stavo pensando. >>

<< Già, come no. Risparmiatevi le menzogne, con me non funzionano, le colgo tutte ogni volta. >> al che lei ribatté a tono:

<< Beh non mi pare, visto che stavo pensando davvero! >> e lui rimase muto, non sapendo come ribattere. Il modo in cui lei esprimeva liberamente il suo pensiero dimostrava il fatto che non lo temesse minimamente; non aveva paura di lui e questo non gli era praticamente mai accaduto, salvo che con sua madre. Lei non si sottometteva a una voce raschiante e roca, a uno sguardo truce o a una cicatrice orrenda.
“Lei ha conosciuto la vera paura” concluse tra sé e sé, con un profondo senso di sollievo, rilassandosi un po’.

<< Mi piace che dite quello che pensate, non siete una di quelle dame ammaestrate che sanno solo annuire e sorridere. >> si era intanto seduto su una balaustra, restando comunque considerevolmente più alto di lei.

Nymeria alzò lo sguardo su di lui, tranquilla.
<< In realtà mi hanno insegnato molte cose da lady e le so fare tutte, però diciamo che non amo tutte quelle attività. Mi piace cucire e fare vestiti, dipingere e cantare, ma non riesco a comportarmi da vera lady con le persone. >> disse con una certa delusione.

<< Quando provo affetto per una persona, così come antipatia, sono più propensa a dire le cose in modo impulsivo ed emotivo, il che è considerato sbagliato. >>

<< Chi lo considera sbagliato? >> domandò il Mastino. Ancora una volta Nymeria si ritrovò a corto di risposte, era snervante.

<< Ehm, credo la società in generale, la mia famiglia, la mia septa… un po’ tutti. >>

<< E a te interessa quello che è sbagliato secondo loro? >>

<< Sono loro che mi hanno insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato, se sono quello che sono è anche grazie a loro. Inoltre sono cresciuta ventiquattro anni in mezzo a queste regole, non è facile distaccarsi. >> sorrise.

<< Già. >> concordò lui << Basta solo un buon motivo per farlo. >> le sorrise di rimando.
Non era pronta a quel sorriso, non se lo aspettava. Era un evento talmente raro che suonava quasi sorprendente: vedere che un volto così orribilmente deturpato era ancora capace di risultare piacevole, rilassato e sorridente. Le si scaldò il cuore, era bello vederlo sorridere, era bello sapere che appoggiava la sua scelta di andarsene.
Il sorriso di lei si spense lentamente, pensando al fatto che di lì a poco se ne sarebbe andata, ma si ricompose: non voleva rovinare una conversazione piacevole.

<< Esattamente. Perdonatemi Sandor, ma ora forse è il caso che torni nei miei alloggi. Mi ha fatto molto piacere parlare con voi. Vi ringrazio di avermi ascoltato. >>

<< Non state sempre lì a ringraziare e a scusarvi per tutto, se non avessi voluto ascoltarvi state certa che non vi avrei fatto
parlare. >> rispose secco lui. L’atmosfera divenne nuovamente tesa ed entrambi, impacciati, non sapevano come salutarsi. Fu Nymeria a parlare per prima.

<< D’accordo allora, direi che ci salutiamo. Domani credo che vi vedrò ancora ai funerali di Adrian, ma suppongo che non ci parleremo mai più. >> era visibilmente triste e il Mastino lo notò, non senza una certa confusione.

<< Mai dire mai, può darsi che ci rincontreremo. Buona fortuna per il vostro viaggio. Portatevi dietro delle pietre focaie, delle armi e del denaro, con quello si compra qualsiasi cosa. >>
Lei annuì e fece per dargli la mano e stringerla, come fece la prima volta che si incontrarono, ma stavolta fu Sandor a fare qualcosa di inaspettato: le prese la mano e se la portò alla bocca, lasciandole un delicato bacio sul dorso. Nymeria era stupita e incredula: non pensava che quelle labbra, dalle quali uscivano solo parole dure e imprecazioni, fossero capaci di tanta dolcezza e delicatezza. Si sentì lusingata e grata per quel gesto, arrossendo e chinando il volto, nascondendo il sorriso.

<< Grazie Sandor, a presto. >> si voltò e si incamminò verso i bui corridoi del palazzo. Il Mastino restò a guardarla andarsene, finché non la vide più. Era dispiaciuto, dentro di sé sapeva che stava facendo la scelta giusta, ma egoisticamente avrebbe voluto dissuaderla. Lei era la prima persona che riusciva a guardarlo davvero, che non aveva paura di lui e che gli importava quello che diceva o pensava. Lo mettevano a disagio quegli occhi color ametista puntati addosso, sentiva come se lo guardassero dentro, come la prima volta che la vide. Poco prima però il disagio non è stato così forte, l'imbarazzo era inferiore: si sentiva piuttosto insicuro e scoperto, senza sapere cosa fare o come muoversi.
Si rese conto che avrebbe potuto raccontarle di Gregor, della sua famiglia e di quanto si somigliassero. Sapeva che avrebbe capito, che sarebbe rimasta zitta ad ascoltarlo per ore, se lo avesse chiesto. Dopotutto realizzò quanto lei gli avesse detto della sua vita, quante cose delicate e private era venuto a sapere proprio per mano sua. Le tornò in mente quella notte in cui la riconobbe vestita da popolana, in città: era ubriaco e poteva violentarla da un momento all’altro, ma lei mai si dimostrò impaurita verso di lui.
Nymeria gli aveva dato così tanto senza nemmeno accorgersene: le aveva dato parte della sua vita, della sua storia, tutte le sue paure o speranze erano state condivise con lui; gli aveva regalato la sua fiducia, il suo sorriso, la sua attenzione. Si era aperta verso di lui senza ricevere nulla in cambio, senza volere nulla in cambio. Si sentì vuoto, in debito e anche arrabbiato: mai gli era capitato un comportamento simile, una sensibilità simile, e non sapeva come sentirsi a riguardo.

<< Sandor! >> era talmente assorto dai suoi pensieri da sussultare all’udire il suo nome da una voce che ormai conosceva troppo bene e che era proprio davanti a lui. Non l’aveva neanche sentita arrivare, guardò meglio e vide che stava ridendo.

<< Vi ho spaventato? >> era divertita, lo aveva finalmente colto impreparato, ma non gli diede il tempo di rispondere che sollevò la mano destra, che reggeva una splendida rosa appena colta. Il buio della notte storpiava i colori, ma avrebbe giurato che fosse viola, del colore dei suoi occhi. Gliela stava porgendo.

<< Non so se è decoroso regalarvela, però quando sono passata accanto al mio roseto e l’ho vista, ho pensato che mi sarebbe piaciuto farvene avere una, sono molto profumate. >> e sorrise imbarazzata.

<< Profumate? >> domandò lui con la prima cosa che gli venne in mente, mentre riceveva quel dono tra le sue grosse mani. Era altrettanto imbarazzato e non sapeva come venirsene fuori da quella situazione. Lei, come al solito, lo colse e gli facilitò la cosa.

<< Già. Buonanotte. >> sorrise, si voltò e se ne andò.

Il Mastino restò fermo, immobile, scrutando quella rosa. La portò sotto la luce di una lanterna e poté constatare di aver azzeccato le previsioni sul colore. Chiuse gli occhi mentre se la portava al naso: era un profumo così lontano, così diverso da quelli che sentiva quotidianamente. Non gli capitava di sentire l’odore dei fiori da quasi vent’anni, era come tornare indietro nel tempo.

La gratitudine e il calore che percepiva in fondo all’addome lo fece sorridere impercettibilmente, nell’ombra della notte.

 


 


<< Mia signora, è quasi ora. >> la voce di Irina destò Nymeria dai suoi pensieri, che si alzò dal letto e si osservò allo specchio: il lungo abito scuro che ella stessa aveva preparato anni prima le stava ancora a pennello, constatò. Indossò le scarpe, il profumo e uscì, accompagnata dalla sua ancella.

Il funerale si svolse piuttosto velocemente, il che le fece piacere: odiava le cerimonie lunghe, soprattutto di quel genere. Non pianse molto, se non quando gli diede l’ultimo bacio, prima che il suo corpo fosse dato alle fiamme. Non parlò con sua sorella o suo padre: era ancora titubante sullo scrivere o meno una lettera di addio, ma sicuramente non gliene avrebbe parlato. Vide Bronn e il Mastino, in lontananza, vicino a Lord Cassel: era visibilmente distrutto, così come Finn e Qoren; guardando quest’ultimo Nymeria si sentì furiosa e umiliata. Come poteva piangere davanti a quello che egli stesso aveva fatto? Che diritto aveva di stare lì, insieme alla sua famiglia, a fare la parte del disperato?

Quando tornò nei suoi alloggi, iniziò a preparare il necessario per andarsene, chiedendo alla sua ancella di uscire: non sapeva se parlarne o meno a Irina, ma sapeva che l’avrebbe sicuramente dissuasa o magari avrebbe addirittura voluto venire con lei. Però non era il caso di coinvolgerla in questa cosa, convenne mentre sistemava sul letto i vestiti che avrebbe usato. Non avrebbe voluto usare dei pantaloni, li riteneva poco femminili e indecorosi, ma erano il miglior indumento per cavalcare, insieme alle camicie larghe e comode. Si legò i lunghi capelli e raccolse il denaro che possedeva: non era stato difficile racimolarlo, sebbene fosse una somma considerevole: mise tutto in un piccolo sacchetto che si legò alla vita, sotto la maglia. Come armi, non essendo molto esperta, aveva rubato dall’armeria uno stiletto lungo e abbastanza sottile, insieme a una fondina da legare alla gamba: non sarebbe stata in grado di difendersi con una spada, mentre l’arco sarebbe stato difficile da rubare e nascondere.
Constatò però che avrebbe dovuto legarsi l’arma all’esterno dei pantaloni, per poterla estrarre quando le fosse servito, ma così facendo sarebbe stata sempre visibile. Indossò allora una sottana sopra i pantaloni, in modo da coprire il tutto e dare meno nell’occhio.
Era pronta, tutto era pronto.
Bronn sarebbe venuto a prenderla e poi sarebbero passati dalla scuderia a prendere i cavalli. Si decise quindi a scrivere due parole per la sua famiglia, cercando di spiegare le ragioni del gesto che stava per compiere e sperando di essere magari compresa. Si sentì nervosa, lo stomaco era teso e uno strano senso di nausea si insinuò:

“Ma cosa sto facendo?”

“Come farò a sopravvivere?”

“Non posso prendere e abbandonare la mia casa.”

“Forse non è la scelta giusta.”

Il leggero ma deciso bussare alla porta della sua stanza la fece sobbalzare e il cuore le salì in gola.

<< Oh per gli Dei. >> e andò ad aprire. Come previsto, si ritrovò l’ex mercenario davanti a se, non più vestito in armatura, ma con abiti in cuoio e con una cintura piena di armi di ogni genere. Vedendo gli occhi sgranati e impauriti di lei colse subito il problema e le parlò, tenendo la voce bassa.

<< Nymeria, se non ve la sentite io lo capisco, siete ancora in tempo per cambiare idea. >> le rivolse un sorriso sincero. Lei aveva il cervello che andava a mille in quel momento, mille pensieri e mille timori tutti condensati in pochi secondi; si ricordò dei motivi per cui stava facendo quella scelta e prese coraggio.

<< No, Bronn. Sono pronta, andiamo. >> egli annuì, per poi squadrarla da capo a piedi.

<< Una gonna? Per andare a cavallo non sarà affatto comoda. >> e Nymeria gli mostrò i pantaloni e lo stiletto, insieme al denaro.

<< Mmh si, può andare... >> convenne lui << …però sarebbe meglio se indossaste un mantello anche. >>

<< Un mantello? >> chiese lei confusa.

<< Già, sareste riconoscibile nei villaggi vicini, per cui è meglio non mostrare il volto. >>

Capì che aveva ragione, così andò a prenderne uno: scelse il più lungo e coprente che aveva, di velluto nero con un grande cappuccio. Indossarlo voleva dire avere molto caldo in quel periodo dell’anno, ma non aveva alternative.

<< Ottimo, vogliamo andare? >> Bronn le fece strada fuori dalla porta e Nymeria guardò un’ultima volta la sua stanza: non l’avrebbe mai più rivista, non avrebbe mai più indossato i vestiti che aveva cucito, non avrebbe mai più fatto colazione sulla terrazza guardando il mare. La malinconia era forte, ma non si scompose e si avviò di fretta verso la porta, chiudendola delicatamente a chiave.

Passarono per i corridoi secondari e i passaggi più bui, passando poi accanto alle Colonne Bianche e poi verso il giardino, diretti verso le scuderie. Bronn avrebbe preso il suo stallone e Nymeria il suo, un bellissimo purosangue muscoloso e forte, color nocciola.
In lontananza Sandor Clegane osservava i due fuggitivi andarsene, sentendosi impotente e nervoso: si rese conto che mai nella vita aveva incontrato una persona tanto bizzarra quanto interessante e sensibile; era un vero peccato perderla. Ma d'altronde ella aveva avuto il coraggio di sfidare il mondo intero per prendersi la vita che voleva, lui forse non ne era mai stato capace.
 
<< Forza, siamo quasi arrivati. >> la incitò Bronn e Nymeria allungò il passo.

<< Guarda un po’ chi c’è. >> quella voce la fece paralizzare e sentì il sangue nelle vene ghiacciarsi.

Qoren.

<< Esattamente dove avreste intenzione di andare? >> disse col suo solito tono mellifluo, mentre entrambi si voltarono di scatto a guardarlo: era dietro di loro, probabilmente li aveva inseguiti per tutto il tempo. La libertà era a un soffio e lui stava nuovamente ostacolando i piani.

<< Direi che non sono cazzi tuoi dove va la mia signora, ragazzino. >> rispose Bronn.

<< Beh, si dà il caso che io sono il signore di Starfall, quindi ho tutto il diritto di sapere dove vanno gli abitanti del mio palazzo. >>

<< Tu non sei il signore di un bel niente. Lord Cassel è il signore di Starfall. >> intervenne Bronn, che continuò << …e in ogni caso, non dovresti essere a let… >>

<< Me ne sto andando Qoren. >> intervenne Nymeria. Aveva capito che lui voleva fosse lei a parlare, così lo accontentò. Al che egli assunse un’espressione falsamente stupita.

<< Questo lo vedo, mia cara, ma perché fuggi da casa tua? >>

<< Questa non è casa mia, non lo è più. Non ho niente che mi leghi qui, voglio essere libera di vivere la vita che voglio. >>

<< Io ci tengo a te. >> disse lui, spiazzandola. Sperò di cogliere dell’ironia o della falsità nelle sue parole, ma non ve ne era traccia: era sincero e lei non poteva crederci.

<< …come scusa? >> lui si corrucciò, come confuso.

<< Ho detto che ci tengo a te, è così strano? Mi sono affezionato in questo periodo, sei una ragazza gentile e intelligen… >>

<< Tu mi hai violentata! >> sussurrò lei con tutta l’indignazione e la rabbia repressa che aveva.

<< Mi hai violentata per due volte, picchiata, frustata, tagliata, graffiata e umiliata. Mi hai ridotto a un ammasso di sofferenza, hai ucciso quel contadino, hai ucciso Adrian! >> le lacrime le pizzicavano gli occhi, ma non le fece cadere sul viso, le trattenne.
Lui rimase in silenzio a fissarla, serio come non lo aveva mai visto.

<< Vorrei che ci ripensassi, vorrei che non te ne andassi via. Mancheresti alla tua famiglia, mancheresti a tutti, qui. >>

Era imbambolata. Non credeva di avere a che fare con la stessa persona che aveva conosciuto fino ad ora, era troppo diverso. Per un attimo si sentì insicura sul da farsi, la sua sicurezza vacillò.



 
“Non farlo, non dargliela vinta.” Sandor avrebbe voluto urlarle addosso di andarsene e di non voltarsi indietro, di non farsi abbindolare dalle parole di quel verme.

“Che cazzo fai, ci pensi su? Tira fuori le palle e vattene. Vattene via, stupida ragazza!” non voleva avvicinarsi, non voleva prendere parte a quella discussione che non lo riguardava, inoltre sapeva che non era affar suo: questa cosa avrebbe dovuto risolversela lei. La guardò riflettere, poi la sentì parlare.

<< Io me ne vado, Qoren. Insieme a Bronn. Ti chiedo di lasciarci andare, abbiamo il diritto di andarcene. >> l’espressione del ragazzo divenne indecifrabile: si poteva vedere la rabbia, la sorpresa, l’incredulità, la tristezza. Rimase in silenzio per molto tempo a guardarla, come se non credesse a quanto aveva appena sentito.

<< Forza Nymeria, andiamo. >> fu Bronn a parlare e lei lo seguì, voltando le spalle a Qoren.

<< Tu non te ne andrai di qui. >> ora era tornato quello che Nymeria conosceva: con una voce glaciale e fredda. Lei rispose con il medesimo tono indifferente.

<< Oh, sì che me ne andrò. Non sei in grado di fermarmi, nulla mi fermerà. >>

<< Su questo non ne sarei sicuro. >> era divertito, era tornata la persona malvagia che conosceva. Ma come poteva cambiare da un momento all’altro in modo così repentino? Nymeria si voltò, insieme a Bronn, anche se ormai erano una decina di metri lontano da Qoren e vicini alla scuderia. Sarebbe bastato un niente, una corsa verso i cavalli e la libertà sarebbe stata loro.

<< Qoren, vattene… >>

Accadde tutto in una frazione di secondo.

Un rumore di tessuto strappato, il fragore di una lama nella carne, il verso di sorpresa di chi non riesce più a respirare.

Bronn era ancora in piedi, il coltello era nel suo petto fino al manico e lui lo guardava con un’espressione stupita e impaurita, per poi lasciarsi cadere a terra.
Nymeria assistette a quella scena e si fiondò sotto di lui per reggerlo mentre cadeva. Non si rendeva conto di cosa fosse accaduto, non riusciva a concepire una cosa del genere.
E lui la guardava. Quei profondi occhi blu che sempre erano stati sicuri, forti e fieri ora erano intimoriti, terrorizzati, doloranti.

<< Nymer… >>

<< Sssh, non parlate, non parlate. È tutto a posto, è tutto ok. >> cercò di tranquillizzarlo accarezzandogli la testa e i capelli, sistemandoglieli dietro alle orecchie

<< Ho un pugnal… un pugnale nel petto Nymeria. Non è tutto ok. >> ella era sotto shock, non aveva più pensato a Qoren o ad andarsene; in quel momento esisteva solo Bronn. Il Mastino appena aveva assistito era corso verso di loro, mentre Qoren si allontanava lentamente verso i suoi alloggi. Non stette neanche a fermarlo, non gli importava.
Aveva pugnalato Bronn di proposito:

“Non sei in grado di fermarmi, nessuno mi fermerà” e lui aveva trovato quella che probabilmente era l’unica leva per non farla andare via.

<< Adesso si sistemerà tutto. Ora andrò a chiamare il maestro e vi aiuterà… Oh Sandor, andate a chiamare il maestro! Sandor! Sandor andate vi prego, ha bisogno di essere medicato! >> ma il Mastino era immobile, sapeva già cosa sarebbe accaduto, non avrebbe fatto in tempo nemmeno ad arrivare da qualsiasi maestro. Così le appoggiò una mano sulla spalla, ma lei si scostò con vigore e sollevò leggermente Bronn.
Il corpo di lui era supino, con Nymeria che, inginocchiata a terra, gli teneva sollevato il busto e il viso, stringendolo a sé.

<< Non toccatemi! Andate a chiamare il maestro! >>

<< Non serve… Nymeria. >> alla voce flebile di Bronn lei si voltò di scatto verso di lui e gli sorrise.

<< Bronn ora vi aiuto io, vedrete che passerà tutto. >> ed egli sospirò, tossendo.

<< Il sorriso… più b-bello m-mai visto. >> disse lui, sorridendo a sua volta, facendo scorrere un rivolo di sangue al lato della bocca. Nymeria era confusa, non capiva.

<< Cosa? >>

<< Quello che mi avete fatto ora…. È s-stato bellissimo. B-bellissimo. >> ella iniziò a reagire allo shock, iniziò a realizzare cosa stesse accadendo e gli occhi color ametista divennero terrorizzati e impauriti, per poi gonfiarsi di lacrime.

<< No Bronn, non fate così, vi prego. >> lo strinse forte a sé, con il viso di lui premuto sul suo collo.

<< Non ve ne andate, restate con me! Restate con me! >> ormai singhiozzava, tremava di paura e anche di qualcos’altro. Sandor non l’aveva mai vista in quelle condizioni e ne rimase spiazzato, impotente.

<< Bronn, vi prego! >> continuò lei, guardandolo negli occhi:

<< Siete la mia famiglia, siete mio amico! Noi dovevamo prenderci la libertà insieme, dovevate essere libero con me! Me l’avete promesso, non potete abbandonarmi ora! >> lui la guardò seriamente.

<< L-lo farai, p-promettimelo. >> disse duramente, con la forza che ormai lo stava abbandonando.

<< Cosa? Cosa devo fare? >>

<< Essere l-libera. S-sii libera anche per me. Va e conquistal-la, fallo p-per me, Nymeria. >> e lei pianse, bagnandogli il viso con le lacrime e dandogli un bacio sulla fronte.

<< Ma non posso Bronn, non posso fare niente senza di voi! Voi mi avete dato la forza di fare questa scelta, senza di voi non avrei potuto mai! >>

<< Io sarò s-sempre con te, piccola m-mia. Da quando t-ti ho salvato lav-vita ti ho s-sempre amata c-come una figlia. Non ti lascerò m-mai. >> e Nymeria lo guardò: si guardarono in silenzio per una manciata di secondi, lei incredula e confusa, continuando a scuotere il capo.

<< Non lasciatemi Bronn, vi prego! Non andatevene, ho bisogno di voi. >> ormai non riusciva a dire altro. Sentiva che lui stava per prendere una strada che lei non poteva percorrere, si sentiva abbandonata.

<< Sarò d-dove vorrai, Nymeria. Sarò nella t-tua libertà, da questo g-giorno, fino alla fine d-dei miei giorni. Sarò sempre con te, s-sempre con t-te. >> le palpebre erano sempre più pesanti, ormai non sentiva nemmeno più il dolore, vedeva solo Nymeria in lacrime che si disperava e voleva calmarla.

<< Ehi. >> le disse, e lei si calmò per ascoltarlo.

<< Va tutt-to bene. È tutto o-ok. Starò bene. P-promettimi che te ne andrai d-davvero, fallo p-per me. E abbi s-sempre la forza di essere t-te stessa, n-non piegarti m-mai. >> lei lo guardò: ormai se ne stava andando, cercò di dargli una risposta sensata, ricomponendosi un poco.

<< D’accordo, Bronn, lo farò. Mi dispiace tanto per questo, non doveva accadere. Non doveva succedere questo, voi avete lottato per la mia vita e vi siete preso una pugnalata. >> lo guardò e gli accarezzò il viso.

<< Vi voglio bene Bronn, cercherò di rendervi orgoglioso di me. Meritavate di meglio da questo mondo, meritavate di più. >> e lo guardò con infinita tristezza.

<< Ho avuto il p-piacere di c-conoscervi, n-non avrei mai potuto av-vere qualc-cosa di migliore, qual-lcosa di piùb-bello. >> e gli occhi di Nymeria si gonfiarono di nuovo di lacrime. Non poteva sopportare di vederlo morire, di non poterci parlare più; era insopportabile pensare che stesse tutto per finire, che niente sarebbe più tornato. Avrebbero dovuto essere a cavallo, fuori nella notte, in quel momento; non meritava di morire agonizzando a causa sua.

Appoggiò il viso sul suo e chiuse gli occhi, singhiozzando sommessamente.
<< Mi dispiace tanto. Mi dispiace, mi dispiace… >> sulla sua pelle umida udì il respiro di Bronn farsi sempre più irregolare, per poi fermarsi.
Incredula e basita, si alzò di scatto e lui non era più lì: gli occhi erano aperti, ma vitrei, spenti.

Se ne era andato.

Per sempre.

Il panico la prese: non poteva essere reale, non era accaduto davvero.
<< B-Bronn? >> balbettò, appoggiandolo a terra.

<< Mia signora… >> Sandor cercò di sollevarla per portarla via, ma ella non si mosse di un millimetro.

<< Bronn? Bronn?! Bronn! Bronn no vi prego! No! Tornate da me! Tornate da me! >> non bisbigliava più ora, non le importava più di niente. Sandor le appoggiò una mano sulla spalla e lei stavolta non si ritrasse, probabilmente perché non l’aveva nemmeno sentita. Piangeva e singhiozzava mentre implorava il corpo davanti a sé, scuotendolo e tremando.

<< Bronn, tornate da me! Tornate da me! Vi prego, fatelo per me! Non lasciatemi, non lasciatemi… >> e sollevò il corpo inerme per stringerlo forte, con il viso nell’incavo del collo e i singhiozzi sempre più forti.

<< Vi prego, vi prego, vi prego… >> si staccò e gli prese il viso tra le mani, appoggiandoselo alla fronte e continuando a piangere.

Pianse per un’eternità, finché, esausta, si staccò dal viso di Bronn, stringendo sempre il corpo e tenendolo sollevato. Si voltò e incrociò lo sguardo di Sandor Clegane. Uno sguardo consapevole, vicino, sensibile. Uno sguardo che capiva, che accettava, che tollerava. Sembrava dirle “è finita, va tutto bene, è finita” e lei fu grata di non essere sola, in quel momento, al mondo. Fu grata di vederlo accanto a lei.

<< Bronn è… >> non le vennero le parole.

<< Morto. >> continuò lui. Nymeria aveva paura di quella parola, lo si vedeva lontano un miglio. Ma era importante che lo dicesse anche lei ad alta voce. Era importante che fosse consapevole fino in fondo.

<< Bronn… è…. Bronn…. Bronn è m-morto. >> lo disse con un filo di voce, per poi voltarsi di scatto verso la salma che aveva tra le mani, come se non fosse reale.

E lo vide.

Lo vide davvero, in quel momento.

E con un solo urlo squarciò il tempo e lo spazio circostante. In quel fragore c’era tutta la forza che Bronn le aveva trasmesso, tutta la rabbia per la sua morte, tutta l’ira, tutta la tristezza e la disperazione che aveva nel cuore. Sandor era paralizzato: non aveva mai visto nessuno reagire in quel modo alla morte di una persona cara; mai aveva visto un attaccamento e una sofferenza simile.

Era convinto che quel grido potessero sentirlo fino al Nord, fino al Mare Stretto, fino ad Essos.

Il mondo l’avrebbe udito per i prossimi mille anni.

Una forza devastante, più forte di mille armate, di tutte le magie del mondo, dell’acqua, del fuoco; più forte della morte.

Qualcosa capace di ammutolire tutto il resto; di silenziare anche il rumore più forte; di rendere effimera la cosa più durevole; di rendere stupida la cosa più importante; di far tremare le ginocchia ai re e far indietreggiare i cavalieri.


 
La potenza infinita dell’amore, che solo chi ha amato è capace di avere.




 
NOTE DELL'AUTRICE
Questo capitolo è stato complicato da scrivere e, sinceramente, anche abbastanza doloroso. La decisione di far morire Bronn non è stata facile (anche perchè è un personaggio che ho sempre apprezzato molto), ma ho cercato comunque di non creare qualcosa di banale e scontato. Ho voluto trasmettere dolore, rabbia, incredulità e sofferenza , sperando di esserci riuscita, perchè voglio che il lettore si immedesimi in ciò che legge, voglio che provi dei sentimenti, delle emozioni.
Mi auguro che il capitolo comunque vi sia piaciuto, alla prossima!
M

ps. grazie a tutti coloro che stanno leggendo questa storia e a chi la recensisce, siete davvero preziosi per me :)
   
 
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