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Autore: Myra11    18/11/2017    0 recensioni
Sequel di "You Are Not Trivial", ambientato circa sei mesi dopo la storia principale.
Un Alec devastato dal dolore, e un Magnus curioso, e affascinato.
Come andrà a finire?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

And now all your love is wasted
And who the hell was I?

 
 
«Alec, stai bene?»
Isabelle alzò lo sguardo dalla spada angelica che stava affilando, gli occhi socchiusi e seri.
Suo fratello non diede segno di averla sentita e continuò a tracciare rune sulle aste delle frecce.
«Alec!»
Solo in quel momento il ragazzo alzò gli occhi. «Che c’è, Iz?»
La mora sgranò gli occhi, scuotendo piano la testa mentre una morsa di preoccupazione le stringeva lo stomaco.
Erano passati sei mesi dal loro ritorno dall’Inferno e anche se di solito sembrava tutto normale c’erano momenti come quello, in cui Alec sembrava lontano chilometri dal mondo.
Isabelle sapeva che in quelle occasioni la sua mente era distante, persa in attimi che solo lui poteva ricordare.
«Stai bene?» Ripeté gentilmente, osservando gli occhi cupi del fratello.
Il loro azzurro si era incupito, assumendo una sfumatura quasi grigia, malinconica e disperata, esattamente come le urla che risuonavano nell’Istituto praticamente tutte le notti.
Ogni volta che succedeva lei o Jace correvano in camera di Alec, cercando di placare il suo dolore, ma il più delle volte ottenevano solo lividi verdastri nei punti in cui le dita del Nephilim si stringevano, attaccandosi come se volessero impedire al proprietario di scivolare nel vuoto.
«Si, sto bene.» Mormorò Alec, alzandosi e sistemandosi la faretra sulla schiena in modo che la sciarpa azzurra che indossava praticamente sempre non gli intralciasse i movimenti.
La ragazza sospirò mentre si alzava a sua volta, afferrando la frusta sul tavolo e un paio di spade angeliche. Era contenta di quella caccia, ma non le piaceva per niente doverla affrontare con Alec, che in quegli ultimi mesi aveva collezionato più cicatrici che in tutta la vita.
Si buttava negli scontri con noncuranza, come se non gli importasse davvero il suo compito o il risultato di un combattimento. Come se non avesse più niente per cui valesse la pena di vivere davvero.
«Andiamo, allora.» Sorrise e uscì dall’armeria, sentendo i passi del moro dietro di lei.
C’era una cosa positiva, in tutta quella storia: Alec non era mai stato così sicuro e letale.
Un viaggio di andata e ritorno all’Inferno l’aveva reso ancora più simile alle poche cose che Isabelle sapeva su Will: schivo, cupo ed efficiente, incline a non esternare i suoi veri pensieri.
Rivoleva suo fratello, colui che si vantava di essere l’unico maggiorenne, che si era sforzato di non piangere al funerale di Max, colui che sorrideva poco ma quando lo faceva era un’espressione sincera, quello che parlava di Magnus con le guance arrossate e gli occhi brillanti.
Uscirono dall’Istituto insieme, e s’infilarono nel caos di New York.
 
Jace incrociò le caviglie sulla scrivania, gli occhi socchiusi fissi sulla ragazza accovacciata sul letto.
«Smettila di guardarmi così.» Borbottò Clary senza neanche alzare lo sguardo dal suo disegno.
Il biondo si lasciò andare ad una breve risata. «Così come?»
«Come se fossi la cosa più bella che tu abbia mai visto.»
Clarissa alzò gli occhi con un sorriso appena accennato, e Jace cedette.
 Si alzò dalla sedia e con un movimento fulmineo fu sopra la ragazza, fermandola sul letto per i polsi e le sorrise. «Ma tu sei la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Quando la rossa si sporse verso di lui per incontrare le sue labbra sentì scivolare via tutto.
Per quel lungo e luminoso istante, ogni preoccupazione svanì, il senso di incompletezza e dolore che veniva da Alec, tutto si perse in quel bacio.
Esisteva solamente Clary, la morbidezza delle sue labbra e il calore del suo corpo, il profumo di vaniglia che gli inebriava i sensi.
Le mani della ragazza erano infilate sotto la sua maglietta quando accadde.
Una fitta di dolore lancinante gli mozzò il fiato, facendolo crollare addosso a Clary.
«Jace! Jace, che è successo?»
Il ragazzo respirò profondamente, cercando di non cedere alla sofferenza che sentiva dilaniargli il petto, le dita di Clary che gli accarezzavano lentamente i capelli.
Sentiva il cuore della sua compagna battere contro il proprio petto.
«Alec…»
Si alzarono entrambi, e la rossa allungò subito la mano verso il cellulare nello stesso istante in cui si mise a suonare.
Rispose alla chiamata e dall’altra parte sentì la voce terrorizzata di Isabelle.
«Che sta succedendo?»
«Clary! Ho bisogno di aiuto! Alec…»
Jace le rubò il cellulare, e per la prima volta Clary lo sentì veramente preoccupato.
«Iz! Dove siete?»
Il biondo si alzò di scatto dal letto e si risistemò gli abiti, tenendo il cellulare bloccato tra la guancia e la spalla, poi staccò la chiamata e si voltò verso Clary.
«Devo andare. Tu vai da Magnus e avvertilo che stiamo arrivando con un ferito.»
«Aspetta! Che è successo?»
Fermo sulla porta, Jace sembrava fremere di agitazione. «Magnus, Clary. Vai.»
Uscì di corsa dalla porta, lasciando la ragazza sola nella camera ma, proprio come aveva scordato praticamente tutto con lei, ora era totalmente concentrato sul suo parabatai.
Se aveva sentito un tale dolore, Alec non doveva essere in buono stato.
Ringraziò l’Angelo che Marise e Robert fossero a Idris e si gettò a capofitto nella confusione di New York, infilandosi in mezzo alla folla come acqua. L’unica cosa importante era la runa sul suo petto, che bruciava come fiamma viva sulla pelle.
Spalancò la porta della cattedrale e vide Isabelle al fondo della navata, il sangue sulle sue mani e il corpo inerme di Alexander tra le sue braccia.
Fece gli ultimi passi che lo separavano da lui con un macigno sul petto, e crollò al suo fianco appena gli fu vicino. Nonostante la protezione della divisa, aveva il petto ricoperto di veleno di demone, che gli stava corrodendo la pelle e i muscoli, e come se non fosse stato sufficiente perdeva sangue da una lunga ferita decisamente troppo vicina al cuore.
Era tutto troppo simile a sei prima, quando il moro, quasi fatto a pezzi dal demone, era riuscito a resistere perché cedere avrebbe significato perdere Magnus.
Ma ora che aveva perso comunque lo stregone, per cosa avrebbe lottato?
Jace si abbassò verso di lui e gli prese il viso fra le mani, ignorando i singhiozzi soffocati di Izzy.
«Alec, non provare a morire. Sei uno stupido se pensi di essere solo, perché tu hai Isabelle, hai me, Clarissa, i tuoi genitori.» Si accigliò, posando la fronte su quella pallida del suo parabatai.
«Jace…» La voce di Isabelle, per la prima volta, suonò triste di pianto.
Il diciassettenne si alzò di scatto. «Dobbiamo andare da Magnus, ci sta aspettando.»
Mentre aiutava la ragazza a trasportare il compagno privo di sensi verso Brooklyn, continuò a sussurrargli incoraggiamenti che forse servivano di più a lui e a Isabelle che ad Alec.
Arrivati a destinazione scoprirono che la porta dell’appartamento di Magnus era già aperta, così entrarono e si diressero verso la camera da letto.
«Dove state andando?» La voce pacata di Magnus li raggiunse all’improvviso, ed entrambi si voltarono.
«In camera da letto.» Fu la risposta di Jace, i cui occhi dorati avevano assunto una sfumatura quasi scarlatta, come notò Clary mentre si avvicinava. Non ne sapeva molto del legame tra parabatai, ma notando il fatto che il suo respiro e quello del moro svenuto fossero perfettamente sincronizzati le venne da pensare che fosse l’energia di Jace a mantenerlo in vita, costringendolo a respirare.
Magnus inarcò un sopracciglio, osservandoli con scetticismo. «State scherzando, spero.»
«No.» Sibilò Isabelle, dedicando un’occhiata di fuoco allo stregone, che si limitò a indicare il divano. Jace la zittì prima che ribattesse di nuovo: insieme sistemarono il fratello sui cuscini del divano, e il movimento gli strappò un gemito.
«Come sta?» Sussurrò Clary, stringendo un braccio di Jace.
«Non bene.» Rispose lui, la voce strozzata dalla lunga e delicata camminata, e da qualcos’altro, una fatica che non aveva niente a che fare con lo sforzo fisico compiuto.
La rossa spostò lo sguardo su di lui e si accigliò. «Lo stai obbligando a continuare a respirare, vero?»
«Non ti sfugge proprio niente, eh?» Il ragazzo accennò un sorriso spostando lo sguardo da Izzy in ginocchio con una mano del fratello tra le proprie alla giovane al suo fianco.
Il suo sorriso si spense nel notare il turbamento sul viso che amava. «Si, comunque. Il problema non è il suo fisico, per quanto messo male, ma la sua mente. É devastata dal dolore per la perdita di… per ciò che ha perso, Alec non ha la forza di riprendersi del tutto.»
Jace sospirò e Clary gli prese il viso fra le mani, ben sapendo che il biondo, sotto strati di baldanzosa ironia aveva bisogno di lei più che mai.
Il cacciatore sorrise lievemente e riprese a parlare. «Anche se in questi mesi sembrava tranquillo come al solito, c’erano attimi in cui mi sembrava di non avere più un parabatai. Dove avrebbe dovuto esserci il suo calore e la sua forza non c’era altro che un’ombra. La sua mente è crollata, Clary. Non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidersi, ma ora che il suo corpo è ferito così gravemente, si sta lasciando andare. Perciò si, gli sto trasmettendo la mia volontà di vivere.»
«Ti costerà molto?»
«Non lo so. Una volta che Magnus avrà curato il suo corpo, dovrebbe riprendersi.»
Entrambi si voltarono verso lo stregone, che se ne stava in piedi a poca distanza, avvolto da una lunga vestaglia da camera di un rosso relativamente sobrio per lui: sarebbe sembrato quasi normale, se non fosse stato per i glitter nei capelli e per le oscene babbucce verdi a forma di alieno.
«Convinci Izzy ad andarsene, io parlo un attimo con Magnus.»
Clary annuì e si avvicinò alla ragazza, strappandola quasi con la forza dal capezzale del fratello, mentre Jace, preso un ultimo, profondo respiro si avvicinò al proprietario dell’appartamento.
«Che cosa vuoi, Nephilim?»
«Avvertirti. Ti pagheremo, ma se lascerai morire Alec giuro sull’Angelo che troverò un modo per ucciderti, Bane, anche a costo di doverti strappare il cuore dal petto con le mie mani.»
Magnus sorrise, una lieve e sprezzante piega delle labbra. «Un giuramento in nome dell’Angelo non è una cosa da ignorare.»
«Non lo farò, credimi.» Jace si accigliò, ma il Nascosto non lo stava più guardando. I suoi occhi erano fissi su un punto dietro di lui, e scommise con sé stesso che stesse osservando Alec, e si chiese se ci fosse un modo per fargli ricordare ciò che gli era stato fatto dimenticare.
«Non morirà.» Affermò Magnus, la voce così intensa che per un secondo il ragazzo pensò di essere tornato indietro nel tempo, alla prima volta che lo stregone aveva curato suo fratello, ma fu solo un fugace istante, perché gli occhi felini dell’uomo tornarono su di lui, maliziosi e beffardi mentre completava la frase. «Se mi pagherete abbastanza.»
Il ragazzo scosse la testa e tornò dalle sue compagne, facendo loro cenno di andarsene mentre Magnus si avvicinava al divano.
Le urla di dolore iniziarono mentre scendevano le scale, e loro affrettarono il passo.

 
  
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