Videogiochi > The Elder Scroll Series
Segui la storia  |       
Autore: Helmyra    18/11/2017    2 recensioni
“Mi piace la musica,” commentava l’estraneo, nella vita e nel dolore di Elanilde, “e mi serve uno scudiero. Canterai per me di sera, quando i soldati saranno in congedo e noi due soli, in qualsiasi luogo che abbia attorno quattro mura. Ti terrò per questi motivi, e quando non sarai più utile... ti ucciderò”.
______
Spin-off di "A wine of character". Nuovi personaggi e nuove situazioni, a parte la presenza di Dorisa e Sanguine.
Elanilde si prepara al suo debutto in società, attendendo l'assenso di Voranil, gentiluomo e mecenate di Cheydinhal.
La guerra è finita, ma le conseguenze del Concordato d'Oro Bianco forniscono ai Thalmor un'occasione di vendetta.
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Daedric Maidens'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Aveva vissuto la scena, erano passati mesi, forse più di un anno. I continui pellegrinaggi per le città di Skyrim l'avevano fortificata, ma anche estenuata. Provava l'ardente desiderio di tornare a Winterhold, in quella casa che lei stessa aveva reclamato, dopo aver lasciato la natia Solstheim per studiare al Collegio.

L'attendevano una tisana alla lavanda e un piatto di biscotti, mentre il fuoco scoppiettava vivace e l'intero ambiente veniva rischiarato dal chiarore proveniente dalle braci. Sam propiziava il suo risveglio, spaccando legna nell'orto o abbrustolendo patate sulla graticola.

Proprio com'era stato nel giorno in cui avevano sancito il loro eterno legame, quando l'aveva resa totalmente sua, pegno di una strenua lotta contro il drago di monte Anthor.

Casa... lì avrebbe preferito stare, era lì che voleva tornare.

“Ehi, bella addormentata... il dovere ci chiama”.

Sam aveva vegliato su di lei, durante il sonno, prima del risveglio. Dorisa schiuse appena le palpebre e tese le dita per carezzargli il viso. Giocò con una lunga ciocca che gli incorniciava la guancia e, delicatamente, gliela appuntò dietro l'orecchio. L'uomo, rallegrato, ricambiò, posandole le labbra sulla fronte, con dolcezza.

“Tirati su, mia cara, c'è anche Sulak a farci compagnia.” Già, l'ospite inatteso. L'ultimo sprazzo di lucidità l'aveva abbandonata mentre aggrovigliava gli steli rugosi della lavanda attorno ai soffici fiori di campo. Ebbe l'impressione di essere in uno stato di semi-coscienza, in una morte apparente che l'aveva sottratta all'innocenza della sua occupazione per catapultarla nei tortuosi oblii di Coldharbour.

E ne era venuta fuori, respirando aria a piene boccate, risalendo le correnti sotterranee fino alla piena vista della luce. Sanguine l'aveva avvinta a sé, facendole scudo con l'armatura e incidendole i polsi con la punta sottile di un guanto. Di lì a poco era come se tutto il veleno fosse sgorgato via, purificandole le vene.

Almeno era ciò che credeva di aver visto.

“Eravamo insieme.” Balbettò, incerta. “Mi hai sospinto verso la fine dell'abisso e...”

“...Adesso, olio di gomito!” Sulak le si era inchinato davanti, porgendole l'abito porpora, riservato per i rituali più sontuosi. “Girati a lato e accogli la festeggiata. Anche lei ha bisogno di un bel vestitino, non trovi?”

“Che ci fa qui Elanilde, come...!” Dorisa sussultò, alla vista della ragazza stesa sul sacco a pelo affianco, in totale catalessi. Poi inarcò le sopracciglia, contrariata. “Mi dovete una spiegazione.”

“Presto detto.” Sam si lustrò la punta del naso con un dito. “Sulak si è travestito da legionario e l'ha attirata qui, sono stato io a fargli la soffiata. Non è il massimo scegliere una rovina draconica per aprire un portale verso l'Oblivion, tartina alla crema, ma è anche vero che nessuno avrebbe mai messo piede qui dentro se non ti fossi intestardita a isolarti per meditare. Come sempre, prendi le cose alla lettera.”

“C'è dell'altro?” Osò domandare, osservando Sulak con espressione supplicante. Lui scrollò le spalle, vittima quanto lei delle vicissitudini.

“Sì, Sevan e il suo nuovo amico nelle catacombe.”

“E hai permesso che andassero da soli? Ti rendi conto di cosa...”

“Sono dei maestri in battaglia.” Troncò il discorso con un gesto affettato. “Se ci tieni a sapere tutta la storia, te la racconterò dopo. Non è carino che due bulli mettano le mani sul corpicino di questa elfetta illibata... specie se c'è un toro scatenato lì fuori che non vede l'ora di reclamare la giovenca! Le modiste dei miei Reami hanno dedicato un modello anche a lei, cosa ne pensi, Dorisuccia-uccia?”

“Osceno.” La sacerdotessa storse il naso, quando le venne presentata una toga di organza iridescente, sottilissima al tatto. “Come i nomignoli che continui a darmi. È praticamente nuda!”

“E questo è il bello!” Sam schioccò le dita, trionfante. “Lui la vede e sotto l'armatura, il fuoco purificatore di Auri-el fa yee-ah, hai presente?

“Come quando si incita un cavallo già imbizzarrito?”

“Stai migliorando!” Lui batté le mani. “Almeno quella parte l'hai capita, il resto no.”

“Battutacce da quattro septim!” Commentò Sulak, stanco di sporcarsi le mani e stare in silenzio. “Il buon vino invecchia bene... ma voi, capo, avete perso lo smalto!”

“Misero fanfarone! In tal modo ripaghi la generosità di chi ti concede un ruolo di prim'ordine nelle trame più dissolute?”

“Ora basta.” Strillò Dorisa, estenuata dalle loro smargiassate. “Vi sarei grata se giraste alla larga per il cambio d'abito, ovviamente senza sbirciare. Vero, Sam?”

“D'accordo, mia cara.” La canzonò, esagerando un inchino formale e ritirandosi nel retro del vestibolo. “Adesso tocca a te.”

Finalmente un po' di tranquillità. Dorisa emise un sospiro di sollievo, sollevando la toga e lisciandone gli orli spiegazzati. La tinta viva, luminescente, attirava su di sé i fuochi fatui dei bracieri. Non scorse la patina comune degli oggetti incantati, ma la veste pareva persuaderla a farsi indossare, rivelando il suo potenziale seducente. Non indugiò troppo sulle sensazioni, passò direttamente all'azione: barattò il cuoio e il lino dell'esploratrice per la più sontuosa seta.

I fiori le avrebbero fatto da gioiello, non chiedeva altro. Aveva conservato una certa praticità verso rituali che avrebbero solleticato curiosità e meraviglia negli astanti, durante lo spettacolo di un bardo. Magari era quella la dote dei musici... rendere eclatanti atti che, in realtà, erano semplici come la giornata di un contadino.

Chissà, forse un giorno qualcuno scriverà una canzone su di me, ridacchiò Dorisa, svolgendo con dolcezza i legacci della brutta casacca di Elanilde. Era una madrina per lei, e lei una bambola tra le sue braccia, che sarebbe stata presto esibita sull'altare per una nuova consacrazione. Un sordido sospetto la bloccò, mentre svolgeva le bende sul seno: temeva che la festa giocosa si tramutasse, ad un certo punto, in un'offerta cruenta. Sam non si era dilungato troppo, aveva illustrato il rito in maniera scanzonata, com'era solito fare. E se quei fiori adornassero l'altare proprio per suggerire all'inquisitore di macchiarli con la propria voluttà, colorandoli col rosso del vino e della vergogna?

Non poteva opporsi, era uno strumento. Eppure, la coscienza la invitava a porre un limite a quelle follie dei sensi, ad evitare che una ragazza finisse nelle grinfie di un amante burbero e ambiguo, solo perché aveva stretto un patto con la divinità. Il dubbio di esser stata oltremodo sfruttata alimentò il paradosso della vicenda.

“Sono come te.” Le bisbigliò in un orecchio. Elanilde rimase ferma nel sogno. “Servo, non ho scelta e forse... pagherò le conseguenze delle mie decisioni obbligate.”

Invidiò coloro che si dichiaravano senza dio. A loro spettava il premio dell'assoluta libertà.

La consolò la vista delle stelle scintillanti, di cui tracciò la scia su quel tessuto trasparente. L'altmer era radiosa, improvvisamente e violentemente donna, pronta ad attendere colui che da anni era stato il tormentatore dei suoi pensieri sul drappo rosso, come un trofeo di caccia.

Sarebbe arrivato presto, molto presto.

Perciò non aveva fatto altro che adagiarla sull'altare e ritirarsi dietro il colonnato, in una vigile attesa.

Sperava che non accadesse mai. Invece, il portone cigolò senza troppe cerimonie, e una figura incappucciata varcò la soglia con intento ferale. Si lanciò in un'osservazione da poco, poi si diresse senza indugio verso l'altare, colto dalla peggiore angoscia.

“Elanilde, cosa t'hanno fatto?” La lussuria prese il posto dello sgomento, quando si avvide che ogni sua forma, ogni suo segreto, era esposto ai suoi occhi. Ansimava, preso dal dilemma del peccato, colto dal delirio di voler divorare quelle carni che lambiva tentennando. Quando strattonò il cappuccio, imperioso, ebbe un sussulto. Dorisa disse a se stessa di far prevalere la calma, la ragione.

Non attese oltre. Sbucò dal suo nascondiglio e lo salutò deferente.

“Benvenuto nel mio piccolo santuario improvvisato, Inquisitore.” Non mancò di calcare le ultime sillabe, per ricordargli il peso della sua posizione.

“Tu!” Era lì, incredulo, colto sul fatto. Pronto per essere ricattato ancora una volta, almeno secondo la sua mentalità da Thalmor.

“Ma come? L'avevo detto che sareste tornato. E io, come promesso, vi sto accogliendo a braccia aperte.”

“Non ho bisogno della tua ironia, serva d'un demonio!” L'apostrofò Ondolemar, rosso in viso. “Il nostro accordo è cessato nel momento in cui vi ho consegnato il registro con i dettagli che abbiamo raccolto.”

“E io vi sto ricompensando in modo adeguato. Sanguine non dimentica nessuno, aiuta persino coloro che sono reticenti ad affidasi a lui. O a ricordare il perché di tanta devozione.”

“Cosa significa? Io onoro Auri-El, Trinimac, Pynaster. Il tuo è un falso dio!”

“Ah, non funziona con me.” Dorisa sottolineò l'ironia della situazione, agitando l'indice, quasi stesse rimproverando uno scolaretto. “Conservate le frasi fatte per i poveri paesani, che temono per i loro pochi averi e la vita. Io non ho nulla da perdere poiché Sanguine mi ha dato tutto. E tutto darà a voi, se lo permettete, messere. Oggi avverrà un miracolo, a voi piacendo.”

“Cosa vai insinuando, strega?” A quell'epiteto, Dorisa scoppiò a ridere. Avrebbe tirato fuori tutto il repertorio riservato agli eretici, se gliene avesse dato il mezzo. “Non permetterò che tu abbia la meglio su di me con false lusinghe. Puoi anche gettare il tuo incantesimo, ma non sarò mai schiavo!”

“Voi avete deciso di chiedere aiuto, e no, non è la vostra dura cantilena che desidera. Lui... lui... ha scelto questa ragazza.”

Vi fu un silenzio improvviso. Ondolemar la fissava esterrefatto, offeso da tale presunzione. Dorisa, invece, non sapeva più cosa dire per motivare le proprie pretese.

Fu in quel momento che un profumo di rose e mosto si diffuse nell'aria, al suono di cimbali e tamburi roboanti. Una risata gracchiante echeggiò nel tempio dei morti e le pietre su cui si reggeva furono scosse dalle fondamenta.

“Oh, misero mortale!” Lo canzonò una voce. Ondolemar cominciò a guardarsi intorno, a scostare le offerte votive gettandole a terra. Il cavallo, quieto fino ad allora, nitrì impennando, nonostante la corda gli impedisse i movimenti. Tutto era confusione, strida disarmoniche. “Puoi anche non credere alle parole della mia ancella, sta di fatto che non puoi negare l'evidenza di fronte all'abilità ventriloqua di Sanguine, proveniente dalle viscere della terra!”

“È lui?” Sibilò l'Inquisitore, parandosi le orecchie con le mani.

“Sì, proprio lui.” Confermò Dorisa, sorridendo.

“Lascia che ti tranquillizzi, pudico elfo, rendendoti partecipe di ciò che sta per accadere. Ho scelto questo usignolo proprio perché, con il suo canto, è stato capace di risvegliare la passione anche nei cuori più induriti. Tu ne sei l'esempio, vile bigotto! E non sai quale dispiacere m'arreca sapere che un talento così brillante non verrà mai fuori solo perché tu – sì, solo tu! – l'hai messo a marcire sotto strati e strati di contrizione! Tieniti i tuoi déi se vuoi, ma lei... non l'avrai mai. Non si sveglierà più dal sonno che l'ha rapita finché non sarai sincero con te stesso!”

“Sincero con me stesso?” Ripeté Ondolemar, come un ebete.

“Già.” Un coro di voci maschili concordò con il responso del principe daedrico. Erano due giullari bretoni, di cui il più anziano era Sam. L'altro, giovane e lentigginoso, si mostrò ai due per la prima volta, ma non aveva meno sfrontatezza rispetto alla controparte. “Parole sacrosante!”

“Che scherzo è mai questo?” Tuonò il Thalmor, l'unico essere rabbioso fra le danze irriverenti dei nuovi arrivati. “E di quale perversione siete figli? Potrebbe rimanere così per sempre... e voi siete lieti d'aver causato la sua dannazione?”

“Se sarà dannata o no... dipenderà solo da te.” Fischiettò Sam, dandogli una pacca alla nuca. Sulle sue brache a sbuffo, strisce di velluto cremisi spiccavano sul nero della seta, in un gioco allegro e al contempo inquietante. Il ragazzo, invece, aveva indosso le tinte della volta celeste, blu scuro e argento. Al primo era riservata un'anfora di terracotta, su cui erano dipinte scene orgiastiche presiedute da un idolo suadente, cornuto. La sua ombra occupava tutto lo sfondo della composizione, e i corpi dei fedeli, avvinghiati l'un l'altro, suggerivano quale potere infondeva sui seguaci mortali.

Il secondo giullare, invece, gli porgeva il calice in un tacito, eloquente invito.

L'Inquisitore ne fu inorridito, sdegnato. Sentiva che qualcosa stava venendo meno, dentro di lui. I balletti dei due comici erano ridicoli, ma lo era pure la sua vita, costruita su menzogne alle quali aveva fatto affidamento. Una visione gli restituì una parte del suo vissuto: era piegato sul liuto, piangente. Provò un'infinita pena.

“No, basta!” Era sul punto di impazzire. L'ansia e la frustrazione erano uguali a quelle d'un tempo, se non avesse avuto abbastanza autocontrollo – così come gli avevano insegnato – sarebbe scoppiato a piangere davanti la sacerdotessa che, invece, gli faceva da guaritrice in quel passato malato.

Infine, la vide: raggiante, innocente, con la soffice mano poggiata alla balaustra di legno. La lunga treccia graziava un volto candido e i suoi occhi erano per lui, lui soltanto.

“Ondolemar.” La pronuncia non era perfetta, dato l'accento nella lingua comune, ma che gioia incontenibile udire il suo nome, sebbene fosse cosciente di vivere un sogno ad occhi aperti! Anziché cantare, la piccola Elanilde scese le scale. Non le importava della differenza d'età, che fosse lì come un nemico. Prima o poi le cose sarebbero cambiate, sarebbero cambiate e...

“Non può essere!” Urlò. “Non può essere... perché Valermo le ha ucciso il padre, ha ordinato di dar fuoco alla casa e di torturare i prigionieri, e lei... lei! Si è salvata a causa di un capriccio, ero io a volerla baciare, ma lei no... rifiuta il mio affetto, le mie attenzioni...”

“Non puoi esserne certo.” Lo consolò Dorisa, stringendo le sue dita attorno al fusto del calice. “Però, puoi annientare il dolore e tu hai intuito... hai intuito cosa fare.”

“Il mio dolore...” Cercò dentro di sé, andò nel profondo. Identificò le cause, col pensiero le trasformò in idoli dorati, scintillanti, che gettò in un pozzo nero. Uno dopo l'altro.

Le labbra di Ondolemar si aprirono in un sogghigno isterico.

S'avventò sull'anfora e la strappò dalle braccia di Sam, scoperchiandola in una presa convulsa, feroce. Vino! Nessuno l'avrebbe visto, nessuno avrebbe saputo: ficcò il calice sotto l'orlo del recipiente e ne versò in gran quantità. E bevve, a sorsate folli, finché l'alcol non gli bruciò la gola.

I giullari si burlarono di lui, ridendo a crepapelle.

“Non basta.” Strillò, gettando il bicchiere a terra. Il vetro s'infranse in una miriade di punti luminosi.

“Ancora?” Chiese Dorisa. L'anfora si era riempita per magia, il vino avrebbe saziato un intero reggimento. E lui ne era soggiogato, contemplava i movimenti del dolce succo come se fosse una fonte purificatrice, sgorgata dalle rocce di un sacrario.

Ondolemar non rispose e trangugiò direttamente dall'apertura. Stava dimenticando chi fosse, scuoteva l'otre e si dimenava avanti e indietro. L'ancella e i suoi accompagnatori si erano dileguati, o forse era l'ebbrezza ad averli cancellati dalla visuale. Adesso c'era solo Elanilde distesa tra i petali dei fiori, bella quanto quella sera, prima dell'inferno.

Le posò un tenero bacio sulla guancia, nulla accadde. Temeva di corromperla, di imbrattare per sempre quell'animo candido con un fervore animalesco, celato per anni. Percorse con la punta del naso la strada che congiungeva gli zigomi rosei fino alle labbra, le accarezzò con le proprie, ma non bastava ancora.

“Cosa devo fare per risvegliarti? Sanguine... canaglia che non sei altro. Mi rendi tutto ciò che desidero e non ho il coraggio di farlo, io...”

L'avrebbe perdonato... l'avrebbe ucciso, nel peggiore dei casi. Le spostò le gambe a lato, creando un varco, e subito s'arrampicò sul tavolo. Ora che le stava sopra, sostenendosi con le braccia, il suo ventre, il suo petto, gli parvero ancora più invitanti. Ansimò di fronte quelle curve che ondeggiavano tenui, sospese in una serie di lunghi respiri. Il vino l'aveva disinibito, dato che – senza rendersene conto – le sue dita erano sotto l'organza, ad assaporare il calore di ciò che ricopriva.

“Elan... non mi odiare. Non mi lasciare!” Aveva intuito, già... c'era solo un modo. Si strappò la divisa da dosso, sferrò pugni al cielo ed esultò, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo. Si era liberato di un peso ed ora era un nuovo Ondolemar a sollevarle il mento per baciarla sul collo. Ingabbiò Elanilde col proprio peso, il torace formava con le braccia un giogo di ferro al quale l'elfa era incatenata. Lei non avrebbe pianto, non avrebbe opposto resistenza... e fu quel pensiero che lo convinse ad agire.

Si slacciò le braghe, poi si coricò tra le sue gambe. Aveva i lombi in fiamme e non poteva più resistere, colmo com'era di fervida smania. Tutto ciò che aveva immaginato divenne reale, la sfiorò ancora, e ancora una volta... Non si era mai sentito così felice, se solo avesse ricambiato!

“Ritorna a vivere, mia cara.” Le raccomandò, scivolandole su come un rettile e negandole un gemito. Non seppe quanto a lungo l'aveva baciata, solleticata, pizzicandole perfino le natiche per strapparle un gridolino di sorpresa. Dormiva, e Ondolemar si perse d'animo.

Era tentato di rialzarsi, di tornare col triste bottino a Markarth per poi adagiarla tra la seta, su cui avrebbe giaciuto finché gli déi lo avrebbero concesso. Qualcosa, comunque, gli sfuggiva. Nonostante avesse bevuto fino ad avere la vista annebbiata, gli arti intorpiditi, non era sceso nel più buio dei peccati.

Aveva di fronte degli indizi per risolvere il mistero, ma nulla aveva senso. A meno che...

“Il vino...” Era una fantasia assurda, eppure avrebbe potuto funzionare. Distese un braccio per afferrare l'anfora che aveva deposto sotto l'altare e buttò giù un'altra sorsata. Trattenne il respiro e parte della bevanda in gola; poi si sporse su di lei e le socchiuse la bocca, facendo scivolare le mani fino a chiuderle con decisione sui seni.

Bevi, bevi dalle mie labbra! Sgranò gli occhi e riversò il contenuto dentro di lei, esitando a mollare la presa. Gli era rimasta un'ultima possibilità, leccò via il residuo agli angoli della bocca e tirò giù la parte superiore dei calzoni, guidato da un proposito che i sacerdoti di Alinor avrebbero considerato oltraggioso.

Prima, però, carpì l'ultimo aroma di vino adagiandosi su di lei. Ondolemar le alitò sul viso, poi divaricò le gambe in un gesto amorevole. Il cuore gli scoppiava, poteva finalmente esultare e infonderle col corpo una devozione inespressa. Stava per diventare tutt'uno con lei, in un morbido, appagante abbraccio... e qualcosa lo fermò. Non lo scrupolo morale, non il castigo divino.

“Brutto stronzo!” Volò letteralmente giù dal tavolo e la caduta fu addirittura più ridicola, con i pantaloni attorno alle ginocchia e le pelvi del tutto scoperte. All'urlo infuriato seguì un singhiozzo, quando si voltò di fronte seminudo, per abbigliarsi come meglio poteva sul basolato.

“Elanilde?” Strascicò Ondolemar, incredulo. “Sei tu, non è vero?”

L'elfa cercò di ricomporsi, seduta sul tavolo. Notò, allarmata, che la stoffa trasparente le dava poco di che coprirsi, perciò portò le mani al petto e lo guardò sottecchi, dopo essersi assicurata che lui avesse allacciato la cinta in vita.

“Mi sarei aspettato qualcosa di più... carino, non importa, comunque. Puoi parlare ed è questo ciò che conta.”

Davvero era stata lei? Credeva di aver udito i propri pensieri ad alta voce. Tastò la gola con il palmo della mano, si fece forza e provò di nuovo a pronunciare delle frasi.

“E cosa v'aspettavate che dicessi? Cerco di liberarmi di voi, colgo al volo la prima occasione che ho per rifarmi una vita... ma no! Proprio quando credevo di aver raggiunto l'intento, scopro di essere stata ingannata e poi attirata dentro queste mura da un falso esercito imperiale. E come se non bastasse, qualcuno mi ha sedata, svestita e poi messa qui sopra con lo scopo di farvi piacere, padrone! L'empatia non è mai stata il vostro forte e me lo confermate, viscido maniaco.”

Ondolemar si grattò la testa, in imbarazzo.

“So che non potrai mai metterti nei miei panni e lo capisco. Ho usato le maniere forti e compiuto azioni ingiustificabili. Ho cercato di fare qualcosa di buono, stavolta; ho tentato di tutto, pur di destarti e rompere l'incantesimo! Siamo stati condotti qui dai seguaci di Sanguine... ricordi la sacerdotessa?” Provò a distogliere la sua attenzione e, soprattutto, a infilarsi di nuovo la palandrana. “Le ho chiesto di intercedere per te, in modo che riavessi la voce. A quanto pare, il Principe della Dissolutezza ha potere laddove i miei déi falliscono.”

Elanilde saltò giù dal tavolo. S'era fatta una ragione della propria nudità, era più interessata a vedergli confessare un fiume di peccati. Accorciò le distanze e prese a squadrarlo, scorgendo in lui un carattere diverso. Una debolezza.

“Certo è strano vedere fino a che punto può avervi spinto il senso di colpa... giocarvi la perfezione, dopo la transizione mortale... per me? È questo che avete sempre voluto?”

Tamburellò sul dorso duro della casacca, mettendo a dura prova la sua presunta impassibilità. Era risoluto a non ripetere l'assalto, decise di fidarsi.

“Mi basta e sono stato debitamente ripagato.” Asserì, lanciando un'occhiata in tralice verso quei seni che l'aria fredda della cripta rendeva ancora più invitanti. “Ricordi ciò che ti dissi quella maledetta sera, quando ti rifugiasti nella tua stanza, rannicchiandoti sotto lo scrittoio?”

“E come potrei dimenticare?” Ribatté Elanilde, girando a largo. Gli occhi dell'Inquisitore erano puntati su di lei come la punta lustra di un dardo. “Avrei cantato per voi, ovunque voleste... finché la cosa non vi sarebbe venuta a noia. In tal caso, mi avreste tolto la vita.”

“Cambiamo le regole, invece.” Le propose lui, con un'espressione eloquente sul volto. “Puoi far sì che avvenga in modo lecito, in tal caso ti conviene sposarmi. Altrimenti, se hai fretta, puoi farla finita qui. Ecco, ti do un lasciapassare per il futuro, il mio desiderio s'è avverato. Arruolati, impossessati del mio denaro, fa' quel che t'aggrada. Per quel che mi riguarda, posso agevolarti il compito.”

Intrufolò la mano in una tasca segreta della palandrana, dove v'era nascosto il fodero d'un pugnale di vetro. Si soffermò a giocarci un po', rigirandoselo tra le dita, e infine glielo porse con la lama rivolta verso la giugulare.

Elanilde sbiancò, disorientata e punta sul vivo.

“Avanti, non hai desiderato altro, per tutti questi anni.” Le suggerì, rapito dal suo sguardo da cerbiatto. “Falla finita, tanto prima o poi qualcuno mi ficcherà una lama in petto o ci penserà il drago... preferisco, allora, che sia tu a colpirmi. Almeno saprò che sarà stato per una buona ragione... una ragione che condivido, e non il male che quella sera Valermo ha perpetrato, schermandosi dietro il Credo, la Nazione e gli Antenati.”

“Non rendetemi difficile la decisione.” Elanilde abbassò le iridi verso il filo acuminato del coltello. La curva ondulata del metallo accentuava la letalità dell'arma. “Invitante come proposito, ma finora, padrone... quante volte, nella rabbia e nel rancore, avete dissimulato? E tra le varie ombre, sarò certa di identificare il vero Ondolemar?”

“Ho imparato a essere crudele, persino con te, per farmi rispettare. A giocare sporco, ma ti posso assicurare che non sono mai stato più sincero di così”.

Le rimase una questione irrisolta, sulla punta della lingua. Avrebbe potuto ferirlo a parole, dato che ora disponeva dell'arma definitiva per sentenziare l'inizio o la fine di quel sogno che l'aveva riportata indietro nel tempo, in una specie di dimensione parallela. Il cinismo della fredda villa paterna l'aveva intossicato.

“A tutto c'è un prezzo, cos'è che chiedete prima di rendermi il favore?” Sorrise Elanilde, in apparente accondiscendenza.

“Vuoi donarmi l'estasi?” Domandò Ondolemar. “Dammi l'unica cosa in cui ho sperato per tutti questi anni e sei libera.”

“Libera... se faccio l'amore con voi?”

La vista gli s'intorpidì. “Sì.”

Ponderò la richiesta e presto arrivò la conclusione. Non gli doveva nulla: essere lì in piedi, di fronte a lui e in posizione di potere era un evento incidentale, ucciderlo sarebbe stato un danno collaterale. Se ne sarebbe andato prendendosi tutto ciò che voleva, avrebbe ottenuto da lui una sorta di indennizzo, come se tutta la sofferenza e l'umiliazione patita per anni non fossero altro che parte del disagio di una lunga e fruttuosa trattativa commerciale.

“Oh, no.” Elanilde recuperò la daga e la sollevò, strappandogliela dalle mani nell'ira. Ondolemar non doveva uscirne come un santo, tuttavia tale sarebbe stato l'esito, se lei avesse colpito.

L'avambraccio le tremava, incapace di risolversi nel gesto.

“Non è così che risolverete i problemi.” Dorisa la bloccò, annullando qualunque ricorso alla violenza. “Finché sono qui presente, è anche a me che dovrete rispondere.”

“Credevo fossi dalla mia parte,” Elanilde stentava a riprendere il controllo, tanto salda era la sua presa. “preferisci invece che finisca tra le sue grinfie, perché è questo che vuole Sanguine, vero?”

“Nessuna passione scaturisce dalla schiavitù o dalla brama di sangue. Se colpisci gli renderai facile l'espiazione e perpetuerai la scia di morte che ha intaccato il tuo dono. Allora, cos'è che tu preferisci? Lasciare che ti chiamino ingrata, assassina... o rendergli la vita difficile?”

“Hai ragione... Codardo!” Gettò l'arma a terra, non appena si liberò da quelle mani scure ed eleganti. Ondolemar, incredulo per l'improvviso rivolgimento, cercò di impossessarsene nuovamente, ma Elanilde nullificò ogni intento calpestandogli la mano. L'elfo trattenne un lamento, ritraendosi nell'orgoglio.

“Non mi lasci altra scelta.” Ridacchiò l'Inquisitore, mentre lei spingeva il piede più in fondo. “Non posso morire, e di certo da qui non posso uscire. Intendi farmela pagare? Ci stai riuscendo bene.”

“Potevo sposarvi, siete voi che non me lo permettete.” Lo spirito di rivalsa s'esaurì ben presto, quelle pratiche non erano per lei. Non le davano gusto. “Vi do la chiave per risolvere il mistero... come pretendete d'amarmi se, per anni, non avete mai amato voi stesso?”

“Ben detto!” Alla vista dei due giullari, Elanilde comprese i dettagli del piano. Riconobbe Bastian ma rimase fissa dov'era, mentre lui allungava all'uomo più anziano l'estremità di una lunga corda, recuperata da chissà quale recesso delle rovine.

“Legatelo.” Ordinò Dorisa, indicando il prigioniero e raccogliendo il pugnale. “Vuoterà il sacco, perché sono sicura che su questi presunti registri è stato omesso del materiale. A quest'ora i Thalmor staranno già setacciando le province per identificare il nascondiglio dei ricercati. Dunque, cos'è che sapete di Esbern e Delphine? Avanti, confessa.”

“Niente di tanto importante, rispetto a quello che già è stato scritto.” Rispose Ondolemar, indignato. “Potete farmi ciò che volete, non mi metterò a sbandierare segreti di stato come uno strillone al mercato. Cos'è la mia vita rispetto al Dominio Aldmeri?”

“Si vede che non parliamo la stessa lingua.” Dorisa si morse il labbro, stizzita. “Troveremo un modo per intenderci meglio, in futuro. Sarà il caso di dormirci su, non ti pare?”

Andò a recuperare l'anfora, e Ondolemar prese a scalpitare, a scalciare, non appena ebbe addosso i servi della dunmer. Nella foga non distinse chi fra i due lo piegò ai piedi del tavolo, mentre l'altro lo costringeva a ritrarsi, attanagliato in un groviglio di corde.

“Quella bevanda ha sortito su di lei l'effetto contrario, non mentire, strega.” La schernì. “Questi giochetti mentali non hanno effetto su di me.”

“Peccato che il vino sia reattivo e comprenda i nostri desideri più profondi.” Smentì Dorisa, pulendo le gocce che stillarono dall'otre prima con la punta dell'indice, infine della lingua. “E in questo istante desidero vedervi mite come un agnellino. Che dite, Sanguine accetterà?”

“Saranno i miei protettori ad impedirlo.” Fu l'ultimo moto di protesta, seguito da uno scherzo malevolo che Sam attuò, per obbligarlo a bere. Gli tappò le narici con le dita, e lui si ritrovò a spalancare la bocca per poter respirare. Fu così, con sottile ignominia, che trangugiò il liquido; poteva sentire i muscoli paralizzarsi e cadere poco a poco in un molle riposo.

“A dopo, signorino reticente.” Le concesse la beffa, ma gliela avrebbe fatta pagare. Oh, sì... lo avrebbe giurato ad Auri-el e di fronte a tutti gli splendenti. Nel suo cuore era ancora la nera ritorsione ad avere la meglio sul ragazzo tradito.


 

Avrei potuto interrompere la narrazione più in là, ma avrebbe richiesto almeno un'altra pagina, e non sono cattiva come Ondolemar. Descrivere la scena dell'incantesimo, senza farla apparire troppo stucchevole, è stata un'impresa. Non potevo trascurare i dettagli, perché questo è il momento che inizia a svelare tutti gli intrecci, almeno quelli disseminati nel corso della storia. Quindi, avevo una certa responsabilità nel curare al meglio questa parte, sperando che sia degna di quello che ci si aspettava.

Potevo utilizzare un linguaggio più elegante nel momento del risveglio, ma... sarebbe stato innaturale, almeno per Elanilde. Credo che quelle siano davvero le parole che ha tenuto in serbo per Ondolemar, un uomo con chiodo fisso. Che tipo. :)

Il ruolo dei personaggi, quindi, cambia a seconda delle situazioni. Cambia perché ero incerta se calcare troppo le emozioni. Quindi, speriamo che così ci sia equilibrio...

Ho cercato anche di fornire delle illustrazioni, come meglio potevo. Insomma, tutto il capitolo è dettato dallo sforzo, quindi, che lo sforzo sia con me!

Grazie per le recensioni, i consigli e i pareri su tutto, sempre così sentiti e costruttivi. A presto! :)

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > The Elder Scroll Series / Vai alla pagina dell'autore: Helmyra