Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club
Ricorda la storia  |      
Autore: solomonty    19/11/2017    1 recensioni
"Il volantino diceva che ne “La casa del terrore” avrebbero conosciuto la vera paura: l’attrazione poteva contare su degli effetti speciali, attori in carne ed ossa che avrebbero disturbato la loro visita, scenari apocalittici, lugubri, vampireschi, ecc. in una girandola di emozioni che avrebbero lasciato lo spettatore preda della paura".
Makoto avrà il coraggio di entrare? E una volta entrato, cosa succederà?
Si può essere terrorizzati e al tempo stesso felicissimi di esserlo?
Si può, si può!
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Makoto Tachibana, Rin Matsuoka, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La casa del terrore
 

“Non ci penso proprio!” La voce categorica, Makoto scosse leggermente il capo con aria indifferente.
“Sei troppo pauroso, devi smetterla.” La presa in giro di Rin arrivò telefonata come poche cose al mondo.
“Andate voi, vi aspetto qui.”
“Mako–chan, dai, andiamo tutti insieme.” Nagisa lo tirò per la maglietta guardandolo con gli occhi grandi, spalancati e innocenti.
“Non è pauroso come sembra”, rincarò la dose Rei annuendo.
“Sì che lo è.” Ancora la voce di Rin a prenderlo in giro.
“Rin–chan, per favore.” La lagna nella voce di Nagisa lo obbligò ad alzare le spalle e le mani in segno di resa.
“E va bene… ti proteggerò io, dovessero assalirti”, disse con voce impostata, come fosse un genitore attento e premuroso.
Makoto lo guardò e gli fece una smorfia.
“Grazie, me la caverò da solo” soffiò gentilmente a dargli sui nervi.
Rin sogghignò divertito; sapeva come pungolare Makoto e fargli credere di aver preso una decisione in autonomia.
Nagisa appallottolò il cartoccio di zuccherini e se l’infilò nella tasca laterale dei pantaloni. Sorrideva contento insieme a Rei, contando gli spiccioli che aveva in mano.
Haru si guardava intorno, con la vaga speranza d’incrociare un qualche recipiente pieno d’acqua abbastanza capace da contenerlo, per potersi staccare da tutto quel frastuono: vociare di gente, petardi ai banchi dei fucili, musica di giostre.
Si chiese perché si fosse lasciato convincere ad andare al parco divertimenti che era stato allestito per la festa. La risposta era semplice: Makoto l’aveva impacchettato al solito, con due sorrisi candidi intercalati da uno sguardo–mammone che gli aveva suggerito “dai, su, accompagnami ad accompagnare i tuoi fratellini alle giostre” e lui si era ritrovato in strada anche se non gli andava, certo di essere un fratello maggiore.
 
Quando erano entrati ne “La casa del terrore” non avevano fatto caso a come fosse composta la loro fila indiana, che procedeva lungo corridoi bui tra ululati e fili come ragnatele che pendevano sopra le loro facce.
Il volantino diceva che ne “La casa del terrore” avrebbero conosciuto la vera paura: l’attrazione poteva contare su degli effetti speciali, attori in carne ed ossa che avrebbero disturbato la loro visita, scenari apocalittici, lugubri, vampireschi, ecc. in una girandola di emozioni che avrebbero lasciato lo spettatore preda della paura.
Il corridoio che erano obbligati a seguire non era abbastanza largo da starci in due fianco a fianco e quindi, Nagisa in testa, camminavano uno dietro l’altro.
Rei, dietro Haru, si passava indispettito le dita davanti agli occhiali per cercare di togliere le ragnatele, approfittando di un po’ di luce lagunare che al momento li avvolgeva.
Con un sorriso malignetto sulle labbra, Rin girò di poco la testa per sbirciare Makoto, l’ultimo della fila, che procedeva ammutolito e terrorizzato.
 
Sin da bambini l’avevano preso in giro perché era un fifone. Makoto non se la prendeva a male e lasciava fare. Capitava, ogni tanto, però, che sostenesse risoluto che fosse vero, sì, lui era un fifone e poi aggiungeva come Haru fosse uno sgombro, Nagisa un tappo e Rin un piagnone. Quando lo guardavano stupiti per l’intraprendenza dimostrata, lui solitamente mite, sorrideva dolcemente e diceva: “per questo stiamo bene, noi quattro insieme”. Aveva ragione; era vero, sì che lo era! La loro amicizia era durata negli anni, con addii e ritorni, con gare, piscine e nuovi compagni e Makoto pronto a dire che proprio le singole diversità erano l’attrattiva che faceva di loro un gruppo di amici molto unito.
 
“Quando usciamo, quando usciamo?” pensò impaurito Makoto, col collo incassato nelle spalle.
Non gli piaceva il terrore, né qualunque cosa lo riguardasse; era davvero troppo fifone. Ma come si dice? Contro la paura cosa vuoi fare?
Mica si divertiva ad avere paura e si trovava pure piuttosto ridicolo, grande e grosso com’era. Eppure, bastava una luce bassa, un sentore di pericolo e zac! il terrore regnava sovrano. E lì, ora, era tutto così buio, con quei rumori sinistri e soffi d’aria improvvisi e zombies sanguinolenti che gli camminavano incontro e clangore di catene e bare che si aprivano con cigolii stridenti e quei maledetti fili di ragnatela che… All’improvviso qualcosa si aggrappò alla sua spalla e lui gridò talmente forte che l’attore vestito da fantasma trasalì.
Rin, davanti a Makoto, si spaventò e si mosse repentinamente: spostò il fantasma di lato e, benché ci fosse pochissimo spazio, lo spinse oltre sé, alle calcagna di Rei che ridendo come un matto cominciò a camminare a passo svelto spingendo Haru e Nagisa; fatti sei o sette passi vennero inghiottiti dal buio e Rin non riuscì più a vederli.
Ascoltò il respiro agitato di Makoto, però, e si sentì in colpa; lui e la sua boccaccia! Non si scherza con la paura, e lui lo aveva provocato e sfidato a entrare.
Certo che al fantasma gli aveva dato uno spintone! Sì, però un conto è giocare e un conto è la paura che aveva sentito nella voce di Makoto, si disse. Lui difendeva i propri amici e così aveva fatto con Makoto: normale amministrazione.
Normale amministrazione un corno, altroché: aver sentito Makoto così spaventato lo aveva tramortito e sorpreso come uno schiaffone in faccia; in un istante era stato chiaro e lampante che mai, mai, mai più nella vita, Makoto avrebbe dovuto spaventarsi in quel modo, mai più e l’istinto l’aveva fatto muovere contro l’attore fantasma.
Restò lì, in silenzio, spalla a spalla con Makoto per un minuto, forse due, finché non sentì il suo respiro quietarsi.
Stupido, stupido, stupido, si disse Rin. Makoto era sempre dolce e attento, con chiunque di loro… era uno dei motivi per i quali gli piaceva tanto ed ora era lì, impaurito e umiliato.
La sua indole, così facilmente incline al pianto, si sentì stuzzicata, ma Rin scosse un poco la testa e accennò un colpo di tosse; voleva dare a Makoto tutta la sicurezza del mondo, tutto il conforto possibile.
Nel quasi buio che c’era, risparmiato da una leggerissima luce rossa, Rin alzò la mano e scompigliò i capelli di Makoto che soffiò via un respiro e gli appoggiò stanco la testa alla spalla. Restarono così per un tempo che parve loro lunghissimo.
Quando Rin si mosse per riprendere il corridoio buio, allungò la mano all’indietro andando a tentoni finché non trovò quella di Makoto; la strinse e se la portò davanti a cingersi la vita, sentendo il petto di Makoto appoggiarsi alla sua schiena.
“Va tutto bene, ci sono io, non devi avere paura” disse a bassa voce con tono dolce e gentile.
“Matsuoka…” accennò Makoto piuttosto sorpreso, ma l’altro emise un grugnito.
“Sta’ zitto, Tachibana, la paura non t’ha tolto la parola?” borbottò ruvido, al suo solito, cercando però di rimanere serio.
Makoto gli strinse la mano, facendo smorfie sorridendo, con il cuore a tremila, gli occhi chiusi e le labbra sui capelli rossi. Non aveva più paura; Rin non avrebbe permesso a niente e a nessuno di spaventarlo. Lo sapeva per certo anche se non sapeva come faceva a saperlo, anche se la situazione era davvero strana, anche se era spaventato da tutto il calore che sentiva arrivargli dallo stomaco.
 
La luce in fondo al tunnel diceva che la passeggiata nel terrore era terminata.
Usciti sul piazzale, uno a fianco all’altro, si guardarono senza dire niente.
Se Rin sembrava tranquillo, come se non fosse successo nulla, come se non si fossero tenuti per mano, stretti l’uno addosso all’altro, Makoto cercava di essere indifferente e si guardava intorno come a cercare qualcosa: doveva distrarsi e non far vedere quanto fosse agitato.
Guardò Rin ed ebbe l’impulso di tirargli uno scappellotto: per lui sembrava tutto normale, ma nulla era normale: non ci si tiene per mano tra amici… non in quel modo, non con quella normalità… eh, no… Cos’era successo ne “La casa del terrore”? Perché si sentiva preoccupato ma felice? Perché una volta tanto, Rin si era occupato di lui? Boh, sì, può darsi, anzi, sicuramente… ma perché il cuore a tremila? Sentire la mano di Rin stringere la sua, appoggiarsi a lui e trovarlo accogliente… santa pace, ma cosa stava succedendo? Gli piaceva Rin? Sì, certo, Rin piace a tutti… No, no, Makoto, non in quel senso e lo sai; ti piace e basta, ti piace come ti aspettavi ti piacesse una ragazza, ecco la verità.
Si girò a guardarlo ancora e trovò la faccia da schiaffi di Rin bellissima, come mai prima.
 
Nagisa gli corse incontro entusiasta.
“Mako–chan, non ti sei spaventato, vero?”
Lui incassò leggermente le spalle.
“Un po’ sì, devo ammetterlo.”
“Però è divertente.” Nagisa cercò di mitigare quel momento di ammissione.
“Già… ti sei divertito, Mako?” chiese Rin con una smorfia furba delle labbra.
“Grazie a te mi diverto sempre, Rin–chan.”
“Non mi va che mi chiami Rin–chan.”
“Guarda la mia faccia” e s’indicò; “pensi mi interessi, Rin–chan?”
No, non gli interessava neanche un po’; ma neanche a Rin interessava; la faccia di Makoto gli piaceva da matti e contento gli fece l’occhiolino e un sorriso.
Makoto si sentì rosso come un peperone; se nessuno gli avesse detto qualcosa, avrebbe capito di avere degli amici molto discreti.
“Dai, Mako–chan, che t’importa, tanto è tutto finto”, lo consolò ancora Nagisa.
“È tutto vero, invece” disse Rin voltandosi a guardarlo. “Tutto quello che è successo lì dentro è vero!” confermò serio.
Makoto allungò leggermente il passo e lo raggiunse, mentre gli altri, poco avanti a loro, si erano già voltati e avevano preso uno dei viottoli del parco.
“Smettila, adesso” riuscì a dire a Rin in tono serio.
“Volevo solo farti sapere che è tutto vero… se ti va” gli spiegò Rin, lo sguardo in terra, un po’ in difficoltà, con voce bassa ed emozionata.
Makoto si rese conto di poter esercitare un potere immenso; avrebbe potuto rendere felice Rin e questo lo riempì di orgoglio e contentezza. E avrebbe reso felice se stesso, perché voleva assolutamente stringere le mani di Rin ancora tante volte.
Gli diede una botta alla spalla con la propria.
“Mi va” sussurrò all’orecchio di Rin con una voce tanto calda e suadente da fargli venire i brividi.
Makoto lo lasciò lì, qualche passo indietro, ridendo soddisfatto di sé.
Rin restò fermo per un istante, confuso e scombussolato. Sbuffò aria, sorrise e svelto colmò la distanza che c’era tra loro.
“Aspetta… che voce era? Fammela sentire di nuovo!”
 

 
 

 
Prima incursione in questo fandom. Vado matta per “Free!” e soprattutto per Makoto e Rin. Trovo la MakoRin molto interessante.
Monty


Disclaimer: Makoto "Mako" Tachibana, Rin Matsuoka, Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki e Haruka Nanase non li ho inventati io!
 

 
 
 
 
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club / Vai alla pagina dell'autore: solomonty