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Autore: Ash Visconti    19/11/2017    2 recensioni
Quando in un supergruppo di aspiranti supereroi rischia di essere rovinato dalla follia di uno di loro...
Storia partecipante al contest "Tredici storie per tredici fratelli", indetto dal The XIII Order Forum.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una tranquilla sera del mese di maggio a Roma, e per Jessica sarebbe stata una serata normale, se non fosse stato per il fattaccio che l’aveva sconvolta.
Camminò a passo svelto verso la porta del complesso extraurbano, l’animo in preda ad una grande agitazione.
Ufficialmente quel complesso era un piccolo centro di ricerca medica, e a una prima occhiata appariva tale, ma nessuno sospettava che in realtà era la Tana, così i suoi abitanti avevano soprannominato la base segreta di un gruppo di aspiranti supereroi di cui Jessica faceva parte.
Gruppo che ora era compromesso per colpa di un emerito idiota.
Alla porta dell’edificio trovò Tommaso, uno del suo gruppo, intento a fumarsi una sigaretta. Espirando fumo fece per salutarla.
“Oh, Jessica, che…”
“Dov’è Roberto?” scattò lei.
Tommaso la fissò un po’ perplesso.
“E’ al minibar della sala relax, era molto…”
“Molto cosa?” scattò Jessica.
“Euforico, credo…” Tommaso la fissò accigliato. “E’ successo qualcosa con tuo fratello?”
“Te lo spiego dopo” tagliò corto lei. “Anzi, magari te lo spiegherà il telegiornale domani”.
Detto questo, si fiondò all’interno della struttura, diretta all’area relax, la coda di cavallo che sbatteva sulla schiena.
Immagini dei mesi precedenti le scorrevano davanti agli occhi: la selezione dei candidati, le prove per dimostrare di essere idonei, i mesi in cui si erano addestrati a controllare le armature, i momenti di gruppo, la scelta dei nomi in codice, l’entusiasmo di far parte dei Guardiani del Bel Paese, il primo gruppo di supereroi italiano!
Tecnicamente non erano supereroi in senso stretto perché non erano metaumani e non avevano poteri paranormali, tutto derivava dalle loro armature tecnologiche, ma a quei tempi, nonostante il severo addestramento, il morale era davvero alto!
Era un sogno, un sogno che diventava realtà ed ora Jessica non poteva credere che sarebbe andato tutto all’aria per colpa della follia di Roberto!
Come preannunciato da Tommaso, trovò l’imbecille al minibar della sala relax; non c’era nessun altro nella sala: molti giovani del gruppo erano andati fuori, od erano da tutt’altra parte della struttura.
Roberto indossava ancora la sua armatura tecnologica che lo dotava di potenza e velocità superiori, ai bracciali erano innestate due lame retrattili che gli avevano fatto guadagnare il nome in codice di “Artiglio”.
Stava tracannando da una bottiglia di birra, al suo fianco ce n’era una seconda vuota; il solo pensiero che stava brindando all’impresa appena compiuta la fece alterare ancora di più.
Si avvicinò a lui a passo di carica, e quello, sentendo i passi, girò la testa verso di lei. Aveva gli occhi lucidi.
“Oh, sorellona, mi chiedevo…”
“CHE CAZZO HAI FATTO!?”
Quello sussultò per lo scoppio improvviso di rabbia.
“Ehi, ehi, che diavolo c’è?”
“Lo sai cosa c’è!”
Roberto la fissò un attimo in silenzio, poi comprese.
“Oh, la faccenda alla villa…”
“Che cosa hai fatto?”
“Non è ovvio?” commentò scrollando le spalle. “Giustizia!”
“Giustizia? Giustizia? Hai fatto una strage, porca puttana!”
“Nessuno piangerà la loro morte”.
“Dannazione, noi siamo i protettori della gente, non i suoi carnefici!”
“Cristo, Jessica, è morto un cazzo di mafioso! Un figlio di puttana che si arricchiva con giri di droga, prostituzione ed altro!”
“Avevamo le prove per arrestarlo, cosa che avremmo fatto tranquillamente domani!”
“Ed una settimana dopo sarebbe uscito di prigione, quindi meglio cadavere che libero per colpa di un sistema corrotto e mezzo malavitoso pure lui!”
“L’hai massacrato! Secondo i carabinieri gli hai fatto patire le pene dell’Inferno prima di dargli il colpo di grazia!”
“Se lo meritava, anzi avrei potuto fargli altro ora che ci penso!”
Seguì un attimo di silenzio, Jessica lo guardò come se avesse davanti uno sconosciuto, poi riprese a parlare in tono più calmo.
“Ed i due uomini che erano nella villa?”
Roberto fece spallucce.
“Sgherri. Tirapiedi di un bastardo. Anche loro hanno avuto quello che si meritavano”.
Jessica strinse i pugni.
“Ho sempre pensato che essere un Guardiano ti esaltasse, ma non che fossi un mostro”.
“Cazzo Jessica, la puttana di quel mafioso non ha neanche un graffio, se fossi veramente un mostro non l’avrei risparmiata, no?”
“E per la cronaca è dalla sua testimonianza sui tuoi artigli che siamo risaliti a te. Fortuna vuole che i Carabinieri hanno contato prima il Professore e prima me, la leader del gruppo! Merda, ma… hai una vaga idea del disastro che hai fatto?”
“Da quando fare un favore al Bel Paese è un disastro?”
“Merda, ma non ci arrivi?” sbottò lei. “Quelli della Justice League hanno accettato l’idea di creare piccole squadre di vigilantes tra alcuni paesi selezionati, hanno definito il modo in cui tali squadre devono essere legate ad un governo ed ai corpi di polizia, Cyborg ci ha aiutato, costruendo per noi volontari queste armature, la Justice League intera ci ha dato fiducia… a patto però che rispettiamo le regole!”
“I Guardiani sono slegati dall’autorità del governo italiano, ci limitiamo a collaborare con le forze dell’ordine”.
“Ma non ci dà il diritto di stabilire chi deve vivere e chi deve morire!”
Roberto la ignorò, e Jessica esasperata, decise di arrivare dritta al punto.
“Ascoltami bene, questa tua cazzata comprometterà tutta la squadra: il governo ci vedrà come un’accozzaglia di esalti che se ne fregano di ogni legge esistente e fanno quel cazzo che gli pare, l’opinione pubblica positiva che avevamo prima sarà compromessa e probabilmente verremo sciolti”.
Roberto ora sembrava ascoltarla, restando in silenzio.
“A meno che…” riprese lei. “Chi ha sgarrato non venga punito”.
Roberto si girò verso di lei.
“Come?”
“Ne ho già parlato col Professore” spiegò lei riferendosi all’organizzatore del progetto italiano dei vigilantes. “Domani sarai giudicato per questo. Ti cacceranno via, stanne certo. O forse ti sbatteranno in carcere per omicidio”.
“Oh, dai non possono farlo sul serio! Jessica, convincili. Convincili a…”
“A COSA?” urlò lei.
Gli puntò contro l’indica accusatore.
“TU HAI SBAGLIATO, TU DEVI PAGARE! Non aspettarti niente da me”.
Quello si alzò in piedi di scatto, facendo rovesciare le bottiglie vuote.
“Ehi, mi scarichi, così? Sono tuo fratello!”
“Mi spiace, ma non sono io quella nel torto qui, ed il fatto che tuo sia mio fratello minore non vuol dire che ti farò favoritismi!”
Roberto aprì la bocca ma da essa non uscì alcuna parola.
“Ascolta, fratellino… Ti ho sempre dato il mio appoggio sin da quando eri nella culla, ma non tollererò che tu mi ripaghi così! In tutta onestà non riesco a credere che tu sia mio fratello. Adesso togliti quell’armatura”.
Roberto rimase zitto, il volto alterato dalla rabbia.
“Roberto, togliti quell’armatura!” ripeté.
“Sapete che vi dico?” sibilò lui. “ANDATE A FANCULO TUTTI!”
Prima che potesse dire o fare qualcosa, Jessica volò in aria atterrando di schiena sul pavimento della sala relax, con un forte dolore in tutto il corpo. Dannazione quelle armature facevano veramente male su chi non le aveva!
“Non ho bisogno di voi! Porterò a modo mio la giustizia!”
Mentre cercava di mettersi a sedere con un gemito, udì Roberto fiondarsi fuori dalla relax, forse fuori anche dalla struttura.
Avrebbe voluto gridare il nome di suo fratello, ma le mancava ancora il fiato per il dolore e riuscì solo a sibilare “Maledetto… idiota!”.
Tuttavia promise a sé stessa che prima avrebbe indossato l’armatura, poi l’avrebbe trovato e gli avrebbe inculcato il buon senso a calci in culo.
   
 
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