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Autore: Myra11    19/11/2017    1 recensioni
Sequel di "You Are Not Trivial", ambientato circa sei mesi dopo la storia principale.
Un Alec devastato dal dolore, e un Magnus curioso, e affascinato.
Come andrà a finire?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
 
I knew you were trouble
When you walked in
 
Ci mise qualche secondo a ricordare, il mattino dopo.
Spostando lo sguardo vide Magnus comodamente sprofondato in una poltrona che – ne era quasi sicuro – il giorno precedente non c’era. La prima cosa che notò furono i capelli ricoperti di gel e glitter, poi gli abiti. Lo stregone indossava una giacca di pelle rossa, pantaloni neri così aderenti da sembrare dipinti sulle gambe e un paio di anfibi blu elettrico, ma se si considerava il suo abbigliamento alle feste quel completo era quasi sobrio.
Alec si prese qualche momento per osservarlo, risalendo con lo sguardo lungo le gambe snelle, salendo su ogni particolare del petto e scivolando sulle braccia, fino alla cicatrice sbiadita delle Runa dell’Alleanza sulla mano, per finire alla …lettera dell’Istituto?!
«Che cos’è quella?» Domandò sistemandosi meglio sul divano. Si sentiva decisamente più in forma, ma una parte di lui non voleva ammetterlo dato che le sue ferite erano un modo per avere lo stregone accanto.
«Brutte notizie.» Il Nascosto si alzò e gli gettò la lettera addosso. «Io esco. Non toccare niente fino al mio ritorno.»
Il cacciatore ascoltò i passi dello stregone e la porta che si chiudeva prima di leggere la lettera.
Riconobbe all’istante la scrittura di sua sorella, quella grafia veloce ed energica, che spiegava l’emergenza ad Idris e le sue conseguenze, dicendo che lui era ancora troppo debole per attraversare un portale fino alla città e quindi Magnus avrebbe ricevuto un aumento di paga se l’avesse ospitato per un paio di settimane, dato che l’Istituto era deserto.
Rilesse l’intera comunicazione un paio di volte prima di riuscire ad assimilare davvero ciò che era successo. Pochi mesi prima avrebbe fatto di tutto per passare del tempo con lo stregone senza preoccuparsi dei suoi genitori, ma ora quella situazione era semplicemente un disastro.
Non voleva e non poteva rimanere lì con lui, non sarebbe riuscito a sopportare di vederlo in giro per l’appartamento mezzo nudo, o con qualcun altro.
Con uno sforzo che lo lasciò intontito riuscì a mettersi seduto sul divano, e il Presidente Miao venne a strusciarsi sulle sue gambe.
«Almeno tu ti ricordi di me.» Borbottò rivolto al gatto mentre appallottolava la lettera di Isabelle e la buttava nel camino, lasciando che la fiamma che vi bruciava dentro la incenerisse.
Si appoggiò al bracciolo e si alzò in piedi di scatto. La vista gli si offuscò, ma lui respirò profondamente e fortunatamente quell’attimo di debolezza scomparve in fretta.
Abbassò lo sguardo verso il pavimento, ma la desolazione in cui versava la sua divisa lo spinse a rinunciare a indossarla di nuovo. Si accigliò, abbassandosi a cercare la sciarpa in mezzo a tutto quel nero. Dopo aver controllato anche sotto il divano, si rese conto che non l’avrebbe trovata in casa.
Forse l’aveva presa Magnus…Ma perché avrebbe dovuto farlo?
Sospirò seccato e si alzò, andando all’armadio per prendere almeno una giacca. L’odore di sandalo dello stregone gli strinse il cuore mentre indossava la giacca foderata di pelliccia.
Si strinse in quell’odore mentre zoppicava fuori dalle scale, scoprendo che aveva iniziato a nevicare nella notte. Premendo una mano sul filo che gli ricuciva il petto, si avviò lungo la strada.
Ben presto la vista gli si offuscò di nuovo, e per un istante gli sembrò di vedere l’inquietante figura di Azazel al lato del suo campo visivo. Si voltò di scatto, ma l’unica cosa che vide fu una distesa bianca.
Crollò pochi passi più avanti, aggrappato ad un lampione della luce, socchiudendo gli occhi nel vedere il sangue gocciolare sulla neve fresca. La ferita si era riaperta sotto le sue dita.
Scivolò a terra, e nel suo campo visivo comparve un’indistinta macchia rossa.
«Alexander!»
Lasciò la presa, e prima che finisse in mezzo alla neve le braccia fasciate di pelle di Magnus lo circondarono, stringendolo contro il suo petto.
«Che diamine pensavi di fare, eh?»
Alec si lasciò scappare un breve sorriso, sentendosi improvvisamente al sicuro.
 
Clary strinse la mano di Jace mentre scendeva le scale, ben consapevole delle lievi gocce di sudore sul viso del ragazzo che l’accompagnava, segno che doveva essere accaduto qualcosa ad Alec.
Non che lei non avesse i suoi problemi.
Erano appena arrivati a Idris e le avevano chiesto di vedere Sebastian.
«Non sei obbligata a farlo.» Mormorò Jace mentre percorrevano il lungo corridoio con le celle da una parte. Erano praticamente tutte vuote, buchi di oscurità nel nulla.
«No. Voglio farlo.» Rispose, e poi il Fratello Zaccaria fece loro cenno di fermarsi.
La ragazza si allontanò dal proprio fidanzato e fece un passo avanti, osservando l’interno della cella.
Il giovane uomo nella cella era di spalle, ma lei riuscì a vedere il lieve bagliore dei capelli bianchi.
«Sebastian.»
«Ciao, Clarissa.» Mormorò il ragazzo mentre si voltava, e i tre Nephilim poterono scorgere il luccichio divertito del suo sguardo nero, come se un pezzo di notte avesse improvvisamente assunto una personalità, ed era una personalità malvagia.
«È una delizia rivederti, sorellina. Jace.»
«Sebastian.» Il saluto del biondo assomigliò di più ad un ringhio, e Clary allungò una mano per stringere la sua, cercando di calmarlo prima di rivolgersi nuovamente a Sebastian.
«Cosa ci fai qui?» Gli chiese Clary, osservando il sorriso sprezzante sul suo viso.
Avevano dei tratti in comune, in effetti, ma si sforzò di scacciare quei pensieri prima che le facessero venire la nausea.
Sebastian si appoggiò alle sbarre, le lunghe dita affusolate strette intorno al metallo. «Non è ovvio? Le vostre guardie sono diventate più brave e mi hanno catturato.»
Jace scoppiò a ridere con aria beffarda. «E ti aspetti che noi ci crediamo?»
Il figlio di Valentine gli gettò un’occhiataccia, poi tornò a guardare la sorella e allungò una mano verso la sua guancia, accarezzandola lievemente.
Clary non ebbe nemmeno il tempo di pensare di reagire che Jace la tirò indietro e si avventò contro il prigioniero, stringendo le mani sulla sua gola.
«Non toccarla.»
La risata di Sebastian iniziò piano, salendo dal petto e scuotendogli le spalle, e ben presto risuonò in tutto il corridoio. «Sai, trovo molto tenero il tuo atteggiamento.»
«Fottiti.» Mormorò Jace prima di lasciare la presa e andarsene dalla prigione, il passo secco e veloce di quando era davvero arrabbiato.
Clary si voltò verso di lui mentre saliva le scale. «Jace, aspetta!»
«Clarissa, cara, lascialo andare. Ci sono cose più importanti da fare che seguire un marmocchio permaloso.»
Sforzandosi di ignorare l’insulto a Jace la ragazza si avvicinò, rimanendo abbastanza distante da impedire al fratello di toccarla.
«Tipo?»
Sebastian sorrise, in quel modo seducente e dolce che l’aveva intrigata prima che conoscesse la sua vera identità. Ora come ora, quel sorriso le provocava una sensazione mista tra disgusto e fascino ch la terrorizzava.
«Convincerti che ho ragione, mia cara.»
La rossa sbuffò e si allontanò ancora, rivolgendosi al Fratello Silente che attendeva all’entrata.
«Non lasciare che nessun’altro venga qui. È pericoloso anche adesso.»
Lo so, non preoccuparti. Fu la risposta mentale del Fratello. Ora vai, Jace ha bisogno di te.
Clary sorrise e salì le scale di corsa, scoprendo che Jace la stava aspettando.
Lo abbracciò di scatto, stringendosi al suo petto e riuscendo a scacciare la sensazione di inquietudine e paura che le provocava Sebastian. Ogni volta che lo vedeva si sentiva ancora più grata a sua madre per averla portata lontano da Valentine e averle impedito di diventare come il giovane uomo che aveva appena incontrato.
«Va tutto bene.» Sussurrò Jace al suo orecchio prima di baciarle la fronte e sorriderle.
Clary ricambiò il sorriso e si alzò in punta di piedi per raggiungere le sue labbra.
«Ti amo.»
 
Magnus scostò il Presidente Miao con un piede e riprese la sua marcia avanti ed indietro sul tappeto.
Erano passate quasi sei ore da quando aveva ritrovato Alec semi svenuto in mezzo alla neve e al sangue ed era riuscito a salvarlo per un pelo. Sei ore in cui lui aveva dovuto fare i conti con una preoccupazione sconosciuta che gli attanagliava il petto.
È solo per i soldi, si ripeteva continuamente, come un mantra. Il ragazzo non c’entra.
Era solo una seccatura che gli era capitata tra i piedi.
Certo, una seccatura con un gran bel fisico e praticamente identico a Will, ma pur sempre un intralcio. Si fermò davanti al nuovo divano che aveva fatto apparire per sostituire quello ormai rovinato, e osservò attentamente il suo occupante.
«È ora di svegliarsi.» Esclamò all’improvviso, costringendosi a distogliere lo sguardo e andando a sedersi sulla poltrona di fronte.
Si impose di calmarsi, e quando riaprì gli occhi, il cacciatore si trovò davanti un sorriso beffardo.
«Che è successo?» Borbottò, sforzandosi di mettersi seduto.
Magnus socchiuse gli occhi osservando quel movimento: aveva guarito l’unica ferita rimasta al giovane Lightwood, ma sentiva che c’era ancora qualcosa di malato dentro di lui. Se aveva davvero un Carnefice alle calcagna, era plausibile che quel qualcosa fosse un marchio infernale.
«È successo, stupido Nephilim, che stavi per far finire in fumo i miei soldi andandotene a passeggio in mezzo alla neve.»
Ancora una volta fu più brusco del solito, ma solo in quel momento si rese conto che si comportava così perché tutto di Alexander Lightwood lo innervosiva.
Assottigliò ancora lo sguardo e guardo il ragazzo dritto negli occhi: per un istante gli sembrò di scorgervi qualcosa di simile al modo in cui Jem aveva guardato Tessa decenni prima, un amore così forte e sincero che poteva spingerti a credere che sì, diamine, potevi essere salvato. Fortunatamente quell’emozione scomparve dall’azzurro che ricambiava il suo sguardo, lasciando posto alla malinconia.
«Stabiliamo delle regole, ok?»
Alec annuì in silenzio, gli occhi felini di Magnus che lo trafiggevano con la loro aria maliziosa e distante.
«Perfetto. Allora…Prima di tutto, non devi entrare nella mia camera o nel mio ufficio. Poi, quando c’è un party, tu devi sparire. Ti chiuderai nella stanza degli ospiti, non voglio vederti o sentirti. Chiaro?»
«Chiaro.» Mormorò Alec, sentendo un groppo doloroso formarsi in gola. Pochi mesi prima buona parte delle attività dello stregone erano vederlo e sentirlo. Si era sempre divertito a vedere quanti suoni diversi era in grado di strappargli dalle labbra, mentre erano avvinghiati tra le coperte.
Arrossì appena e quel pensiero e distolse lo sguardo per impedire al proprietario di casa di notarlo.
«Non devi toccare niente quando non ci sono e, per l’amor del tuo Angelo, non uscire mai di casa.»
Quelle parole pronunciate con una veemenza diversa dal resto attirarono nuovamente l’attenzione del diciottenne.
«C’è qualcosa che mi aspetta là fuori, vero?»
Magnus rimase silenzioso per qualche istante, poi rispose con un’altra domanda. «Hai visto qualcuno, o meglio qualcosa, prima che ti trovassi in mezzo alla neve, giusto?»
Ripensandoci Alec ricordò l’ombrosa figura che aveva intravisto con la coda dell’occhio, che era svanita quando si era voltato nella giusta direzione, quindi annuì brevemente.
Il Nascosto si alzò dalla poltrona e scostò un ciuffo di capelli ribelli che avevano resistito al gel.
«Lo sapevo.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Voglio dire, Alexander, che hai un Jallada alle calcagna, un Carnefice infernale che si diverte a torturarti per conto di uno dei Principi.»
Quella notizia raggelò il ragazzo, che sentì solo indistintamente la voce setosa di Magnus intimargli nuovamente di non uscire di casa e annunciargli che era in ritardo per un lavoro mentre usciva.
Quando il tonfo della porta riecheggiò nel piccolo appartamento Alec lasciò andare il respiro che non si era nemmeno accorto di aver trattenuto, la rivelazione appena ricevuta che gli trapanava il cervello come un chiodo.
Azazel non aveva solo rubato i ricordi a Magnus. Il suo prezzo era diverso da ciò che aveva detto: il Principe Infernale voleva il suo dolore, fisico ed emotivo, e molto probabilmente anche la sua morte.

 
 
 
 
  
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