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Autore: Inevitabilmente_Dea    21/11/2017    0 recensioni
I Radurai, o quello che ne rimane, hanno finalmente attraversato il Pass Verticale che li ha catapultati in una nuova realtà che tutti ormai avevano dato per scomparsa.
Finalmente Elena, i Radurai e tutti gli altri Immuni hanno la possibilità di ricostruire la loro vita da zero, lontano dalle grinfie della W.I.C.K.E.D. e lontani dagli obbiettivi violenti del Braccio Destro.
Torture, esperimenti e sacrifici sono finalmente terminati.
Ora esiste solo una nuova vita da trascorrere in un luogo sicuro e privo di Eruzione. Un vero e proprio paradiso terrestre.
Ma se qualcosa arrivasse a turbare anche quello stato di quiete, minacciando nuovamente i ragazzi?
Se in realtà la corsa per la sopravvivenza non si fosse mai fermata?
Dopotutto nulla è mai come sembra.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gally, Minho, Newt, Nuovo personaggio, Teresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Era ormai notte fonda quando sentii bussare forte sulla porta di casa. I colpi erano veloci e sonori, dati con decisione e fretta. Nonostante fosse tutto scuro riuscii ad individuare la figura di Gally che, dall'altra parte della stanza, si era drizzato a sedere sul letto proprio come me. Lo vidi voltarsi in mia direzione e fissarmi in quello che interpretai come uno sguardo di intesa. I colpi si fermarono per qualche secondo, poi ripresero ancora più forti e frequenti di prima. Senza pensarci due volte rotolai fuori dal letto e accorsi alla porta quasi rischiando di cadere. Non sapevo nemmeno io perchè avevo esitato così tanto prima di decidere di aprire, ma di sicuro era colpa del mio cervello che, appena svegliato, non riusciva nemmeno ad elaborare il mio stesso nome.

Spalancai la porta con il fiato corto per il panico: in quei brevi secondi tutti gli scenari possibili mi erano passati per la testa, da un nuovo attacco della W.I.C.K.E.D. all'atterraggio di un asteroide nel mare. Non feci nemmeno in tempo ad abbandonare la presa sulla maniglia che qualcuno si precipitò dentro la stanza, urtando la mia spalla e fiondandosi all'interno senza nemmeno dire una parola.

Sentii Gally mormorare qualcosa ma non ci feci caso e nel frattempo iniziai a tastare vicino alla porta per riuscire ad individuare la candela da accendere. Quando tastai la forma irregolare della cera me la portai al petto, sorridendo quasi senza volerlo. Prima che i bambini venissero presi dalla W.I.C.K.E.D. Stephen aveva insegnato loro come ricavare delle candele dal grasso animale. Era stato una serie di progetto divertente ed educativo in cui ogni bambino aveva prodotto qualcosa di fondamentale per la nostra vita in quel posto, dato che non avevamo a disposizione l'elettricità, e poi ogni bambino aveva donato la sua piccola creazione a chi preferisse.

La mia candela era stata creata da Elizabeth e se mi sforzavo un pochino potevo ancora vedere la bambina correre in direzione mia e di Gally, mostrando in aria la sua candela, sul volto un sorriso fiero e con qualche dente mancante.

Fino a quel momento avevo mai avuto il coraggio di accenderla, sia per paura di consumarla troppo in fretta, sia perchè in realtà durante il giorno la luce di una candela non serviva a nessuno e durante la notte nè a me nè a Gally piaceva restare svegli, di conseguenza a nessuno dei due serviva un lume. Mi morsi il labbro quando realizzai che in quel momento ero effettivamente obbligata ad usare quel regalo che ora mi era così caro, ma buttai giù la malinconia e mi decisi ad accendere uno dei fiammiferi per poi avvicinarlo alla candela. 

Una piccola fiamma bianca e gialla spiccò nel buio e in pochi secondi illuminò la stanza con la sua luce fioca, rivelando la figura presente al centro della stanza. Il mio cuore si fermò di un battito, poi quando riconobbi la persona davanti a me riprese a battere.

 

Teresa, con una mano sopra il cuore e un gran fiatone, era leggermente piegata all'avanti, i suoi occhi fissi nei miei. La ragazza non disse nulla, semplicemente mi allungò un piccolo radar e lo lasciò cadere nelle mie mani.

"E questo dove lo hai preso?" domandai curiosa, rigirandomi l'oggetto tra le mani per capire a cosa servisse.

"L'ho rubato... ad una delle guardie che... abbiamo ucciso." mormorò la ragazza tra un respiro affannoso e l'altro. 

Gally si alzò in piedi e mi raggiunse, ponendosi dietro di me e osservando il radar nelle mie mani da sopra la mia spalla. "A cosa serve esattamente?" domandò il ragazzo dubbioso, prendendo la candela dalle mie mani e avvicinandola di più al piccolo aggeggio.

Teresa prese un bel respiro e fece qualche passo in nostra direzione, poi ignorando completamente la domanda di Gally iniziò a parlare: "Un bambino si è finalmente ricordato del chip. Ha lanciato il segnale, ma non riuscivo bene a comprendere cosa mi stesse dicendo. Le voci erano... confuse, storpiate. Sicuramente colpa delle interferenze, della distanza, magari perfino dei materiali con cui è costruita la nuova struttura della W.I.C.K.E.D, non so." la ragazza si interruppe e dopo essersi schiarita la gola, poi riprese fiato e continuò a parlare. "Ma sono riuscita a guadagnare abbastanza tempo per intercettare la loro posizione. Ho semplicemente convertito le coordinate del radar e collegandolo alle onde ricevute dall'auricolare sono riuscita a trovare la posizione da cui il segnale è partito. Purtroppo non è la posizione precisa, ma almeno ora sappiamo dove dirigerci, una volta arrivati sapremo da soli dove proseguire, ne sono certa."

Avrei voluto gettarmi ai suoi piedi e lodarla, avrei voluto saltarle addosso e riempirla di baci, avrei voluto perfino prenderle le spalle e agitarla convulsamente, ma mi limitai ad allungare una mano e a poggiarla sul suo braccio. "Grazie Teresa, veramente." mormorai stringendo il radar al petto. "Non so come avremmo fatto senza di te."

"Aspetta un secondo..." interruppe Gally con un tono dubbioso. "Non credo di aver afferrato bene... Chi ha dato il segnale a cosa?"

Alzai gli occhi al cielo con un sorriso stampato sulle labbra e sentii Teresa ridacchiare. Era come se dopo l'aiuto enorme della ragazza la situazione drammatica si fosse alleggerita un poco, facendo diradare la nebbia di brutte sensazioni. 

"In breve, testa di sploff, ora sappiamo dove sono i bambini." semplificai, sorridendogli e vedendo il suo sguardo illuminarsi.

"Veramente? E cosa ci facciamo ancora qui?" esultò lui, precipitandosi verso il suo letto e afferrando la felpa accasciata ai piedi della coperta.

"Frena, Pive." lo bloccai. "Anche io vorrei poter partire adesso, ma è buio e in più abbiamo bisogno di riposo. Non sappiamo cosa ci aspetti lì fuori, quindi abbiamo bisogno di energie. Domani mattina ci prepariamo le provviste, raccogliamo tutti e poi partiamo. Spero solo che gli altri abitanti non cerchino di fermarci, non credo di avere la forza di combattere pure loro."

"In quel caso potremmo semplicemente aspettare la notte e partire di nascosto." propose lui, ricevendo un mormorio di intesa da Teresa. 

"Sì, suppongo che possa essere il nostro piano B." annuì Teresa, raccogliendosi i capelli neri in una coda.

Annuii in risposta e porsi il radar alla ragazza. "Prenditi un po' di riposo, okay? Ti vengo a svegliare io quando stiamo per partire. Immagino tu sia stata sveglia tutta la notte."

La ragazza mi sorrise e prese il piccolo marchingegno. La sentii ringraziarmi e dopo esserci augurati la buona notte la osservammo camminare fuori, diretta verso la sua casa.

Mi voltai verso Gally e gli sorrisi, finalmente sollevata che qualcosa iniziasse ad andare per il verso giusto. Il ragazzo non ricambiò il sorriso, ma la sua espressione si fece profonda, come se stesse provando troppe emozioni tutte allo stesso tempo per riuscire a mostrarne anche solo una. Il sorriso si spense sulle mie labbra e il mio cuore perse un battito. Cosa stava succedendo?Mi sembrava quasi che lui sapesse qualcosa che io ignoravo e la cosa mi faceva sentire vulnerabile. Non era felice di aver finalmente un piccolo sentiero verso la speranza?

Gally fece un passo in avanti e poi un altro, fino a quando non arrivò ad un palmo dal mio naso. Sentii il suo respiro caldo e calmo sulla pelle del mio collo, poi il ragazzo si chinò all'avanti e mi abbracciò. Sbattei le palpebre più volte e rimasi pietrificata. Cosa stava succedendo?

O meglio: cosa mi stava succedendo?

Non sapevo perchè il mio corpo stava reagendo in quel modo, ma all'improvviso mi sentii calma, rilassata, come se tutte le preoccupazioni fossero sparite con il resto dei miei pensieri. Ero come un foglio bianco, vuoto e la sensazione era indescrivibile, magnifica.

Quel gesto fu totalmente inaspettato e forse era per quello che mi aveva fatto piacere.

Ricambiai la stretta e affondai il volto nella sua maglia.

"Andrà tutto bene, vedrai." sussurrò lui, come se avesse capito che non riuscivo nemmeno a comprendere me stessa e i miei sentimenti. "So che fa paura. Ogni volta che sembra che le cose stiano andando bene succede qualcosa e..." il ragazzo si interruppe e in quel silenzio io iniziai finalmente a capire. "Ti prometto che farò di tutto per far sì che questa spedizione sia un successo, dovessi dare la mia stessa vita. Nessuno vuole un altro insuccesso, e tu fra tutti sei quella che si merita di meno un altro fallimento."

Mi morsi il labbro, chiedendomi come avesse fatto a capirmi quando nemmeno io stessa ero riuscita a decifrare le mie emozioni.

Ero talmente abituata ad essere sulla montagna russa delle emozioni che oramai mi ero dimenticata del terrore di non sapere quando le cose sarebbero di nuovo precipitate dalla felicità al caos e alla negatività.

Ero stata talmente tanto a contatto con la tristezza e la frustrazione che avere un momento di sollievo dai pensieri era come vedere la luce in fondo al tunnel.

Inspirai profondamente e mi gustai il tepore delle braccia di Gally per qualche altro momento, attorno a noi solo il silenzio tremolante della notte. Mi concessi per un piccolo istante di essere debole, di non pensare ai problemi che ancora avevo da risolvere o alle cose che ancora dovevo fare, permisi a me stessa di essere coccolata per una volta, lasciai che fosse Gally ad avere le redini della mia vita, e anche se era solo per qualche secondo mi sentii libera, sollevata.

Abbandonai tutto il mio peso su di lui e sentii le sue braccia aumentare la presa su di me, sostenendomi in tutti i sensi.

Mi era mancato essere abbracciata. Mi era mancato essere debole.

 

 

 

Durante quella notte mi svegliai più volte, attanagliata dal pensiero della partenza e bombardata dai continui sogni confusi in cui succedeva qualcosa di inaspettato che ogni volta ostacolava il nostro viaggio verso la W.I.C.K.E.D.

Mi ritrovavo madida di sudore, a sedere sul letto, intenta a fissare fuori dalla finestra nella speranza che il sole spuntasse fuori e mi liberasse da quella lenta tortura senza fine. Volevo semplicemente alzarmi e uscire dalla casa per andare a preparare le provviste, ma allo stesso tempo sapevo che avevo bisogno di riposo perchè non ero certa di quando avrei potuto usufruire di un letto così confortante di nuovo.

Mi rimisi a dormire un'ultima volta e quando mi svegliai dopo l'ennesimo incubo, notai con sollievo che la lieve luce del sole stava filtrando silenziosa attraverso le assi di legno sul muro.

Quel piccolo cambio di tonalità nel buio della stanza mi bastò come scusa per sgusciare fuori dal letto e sgattaiolare in Cucina.

Mi guardai attorno alla ricerca di Frypan e non mi sorpresi quando non lo vidi dietro ai fornelli intento a cucinare qualcosa: era appena l'alba, di sicuro stava ancora dormendo.

Presi alcuni sacchi e iniziai a riempirli di carne essiccata, bacche e vegetali vari, poi afferrai i lembi di ogni sacco e li legai assieme in un nodo bello grosso. Feci lo stesso processo ancora un paio di volte, assicurandomi di prendere abbastanza cibo, ma allo stesso tempo stando attenta a non riempire troppo i sacchi: era vero che dovevamo sopravvivere per chissà quanti giorni con quelle provviste, ma dovevamo anche muoverci velocemente e troppo peso sulle spalle ci avrebbe solamente rallentato.

Per ultima cosa raggiunsi la piccola dispensa nell'angolo della stanza e mi chinai per afferrare i piccoli sacchi di pelle che i Costruttori avevano fabbricato utilizzando la pelle di animali più piccoli o gli avanzi di quelli più grandi. Osservai attentamente le cuciture che legavano ogni pezzetto assieme e mi domandai se avessero la capacità di contenere dell'acqua senza farla filtrare di fuori. Feci spallucce e decisa di tentare presi quattro sacchi, pregando che sarebbero stati delle perfette borracce.

Con passo affrettato mi inoltrai nel bosco e quasi automaticamente i miei piedi mi condussero al piccolo fiumicello, noto anche come la sorgente e la ragione della nostra sopravvivenza in quel posto.

Attesi pazientemente che tutti e quattro i sacchi si riempissero fino all'orlo e poi testai la loro resistenza agitandoli, strizzandoli, facendoli cadere. Dopo diversi test constatai che i Costruttori avessero fatto un ottimo lavoro, come sempre d'altronde. 

Con non poca fatica riuscii a trasportare tutte e quattro le piccole borracce nelle mie braccia, stringendole con attenzione per paura di farne cadere qualcuna. A grandi passi raggiunsi di nuovo la Cucina e appoggiai le borracce vicino ai sacchi. Il mio cuore continuò a battere emozionato anche quando uscii dalla stanza per dirigermi verso l'Armeria.

Mi sentivo come una bambina la mattina di Natale, piena di speranze e impaziente di aprire i regali, solo che nel mio caso l'unica cosa che non vedevo l'ora di fare era uccidere ogni singolo membro della W.I.C.K.E.D. una volta per tutte.

Spalancai la porta e quando vidi qualcosa volteggiare vicino al mio volto per poi oltrepassarmi, il mio cuore si fermò veramente per qualche secondo, e questa volta non per l'emozione.

Mentre la mia testa rimaneva pietrificata nella stessa posizione, i miei occhi ruotarono lentamente verso la porta aperta vicino a me e si puntarono sulla lama luccicante e affilata del coltello conficcato nel legno. Un sibilo uscì dalle mie labbra e con mano tremante afferrai l'impugnatura e tirai con forza per liberare la punta dell'arma dalla porta.

Una volta ottenuto il coltello alzai lo sguardo e incrociai due occhi a mandorla spalancati per il terrore. Solo dopo qualche secondo il ragazzo si decise a parlare, o meglio balbettare. "S-Scusami." mormorò. "Stavo puntando alla porta quando l'hai spalancata e... avevo già lanciato il..." Minho si interruppe e si schiarì la gola. "Mi fa piacere vederti viva, bambolina."

"Oh, anche io sono felice di essere viva, senza ombra di dubbio." borbottai in risposta. "Da quanto tempo precisamente hai la passione per..."

L'omicidio ragazze innocenti. Completò il mio cervello.

"...il lancio dei coltelli?" composero le mie labbra.

Minho fece spallucce e si guardò intorno con aria innocente, evasiva. 

Sollevai un sopracciglio e dopo aver chiuso la porta dietro di me, mi avvicinai al tavolo delle armi, dove allineai il coltello vicino agli altri sette.

"Spesso non riesco a dormire..." confessò il ragazzo lasciandosi cadere sulla sedia accanto al tavolo. Gli lanciai uno sguardo preoccupato: Minho aveva un'aria esausta, come se avesse appena combattuto contro sette Dolenti.

"Violet russa?" provai a scherzare nel tentativo di farlo sorridere. Tuttavia il ragazzo rimase terribilmente serio e la paura mi attanagliò lo stomaco. "I suoi piedi puzzano più dei tuoi?" tentai di nuovo, non ricevendo alcuna reazione.

Minho che perdeva la sua ironia e la sua voglia di scherza equivaleva al prosciugamento di ogni singola goccia d'acqua sulla terra: evento catastrofico, terrificante.

Il ragazzo sembrò disconnettersi dalla realtà, intrappolato così profondamente nei suoi stessi pensieri che non sbatteva nemmeno le palpebre e i suoi occhi sembravano nascondersi dietro un velo nero.

Feci un passo in sua direzione e appoggiai una mano sulla sua spalla cercando di confortarlo o almeno di attirare la sua attenzione, ma in realtà lo feci solo sussultare.

Minho mi concesse il suo sguardo e non appena vidi i suoi occhi luccicare per via della tristezza, immediatamente capii. Come se fosse stato Minho a suggerirmelo, sentii una voce estranea sussurrare nella mia mente un singolo, inconfondibile nome.

Newt

Dei brividi mi percorsero la schiena e le mie spalle si fecero improvvisamente pesanti. Le mie gambe iniziarono a tremare, così come le mie mani. Un freddo polare mi risucchiò tutte le energie facendomi sentire fragile, come se fossi costituita di ossa deboli e cenere.

Mi appoggiai sul tavolo e cercai di assumere sul volto un'espressione sicura, uno sguardo forte, che dona conforto e non panico.

"Non ti capita mai..." il ragazzo si interruppe e lo sentii ingoiare il groppo di saliva o forse di lacrime che aveva in gola. "Cosa fai quando..." la voce del Velocista tremò di nuovo.

"E' come se fosse una figura attaccata alle mie pupille. Lo vedo ovunque." continuò finalmente dopo aver preso qualche respiro profondo. Non ci fu nemmeno bisogno di spiegazioni, il ragazzo sapeva già che io avevo capito. "Mi fissa come si fissa il colpevole in una scena del crimine. E' come se avessi un dito puntato contro, ogni cosa che faccio, ogni respiro che prendo. Non capisco cosa..."

"Cosa mi sta succedendo, Elena?"

Le mie dita strinsero di più sulla sua spalla e dopo aver cancellato dalla mia mente l'intenzione di cadere sulle mie ginocchia e piangere, mi decisi ad aprire le labbra e ad usare la mia voce che tuttavia uscì come un sussurro, come se fosse troppo spaventata di svegliare il panico nel mio stomaco.

"Anche io avrei voluto prendere il suo posto." confessai, causando nello sguardo del ragazzo una scintilla di dolore, segno che avevo colpito a pieno il punto dolente. "Non sai quanto darei per vederlo anche solo per un minuto."

"Perfino respirare mi sembra sbagliato, come se non fossi autorizzato a vivere a pieno." continuò lui, nella sua voce sempre meno speranza. "Come se..."

"Come se fosse sbagliato provare a costruirsi una vita senza di lui." completai puntando lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.

"Già." sussurrò lui prima che un velo di silenzio cadde su di noi.

"Non è giusto." mormorai.

"Lo so. Pensavo di aver perso tutto con il Labirinto, pensavo di aver perso la mia casa, la mia vita, ma solo ora mi accorgo che casa non è il luogo, ma le persone." 

"E Newt era una delle colonne portanti." conclusi. "La colla che teneva tutti assieme."

*Angolo scrittrice*

Hey Pive! 

I'm back! 

Come vi è sembrato il capitolo? Qualche consiglio o richiesta sul continuo della storia? Intendo, so come procedere con gli eventi (mi sono fatta una scaletta eh eh), ma ho pensato che se avevate qualche idea o qualcosa che vi piacerebbe succedesse durante il viaggio o più avanti (es: i Radurai devono affrontare nuovi mostri creati dalla W.I.C.K.E.D.) sono felice di accontentarvi!

Scrivete qui sotto nei commenti e chissà, forse vedrete il vostro suggerimento prendere parte alla storia (con i crediti ovviamente).

Baci,

sempre vostra Elena ღ

PS: per chi mi volesse aggiungere su Snapchat mi chiamo Inevitabile_Dea. Di solito non posto niente sulla mia storia, ma rispondo sempre in chat ;)

 

   
 
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