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Autore: Nebula216    23/11/2017    2 recensioni
"[...] Kandida non poteva iniziare il suo racconto senza parlare di Lui.
Dell'uomo che l'aveva salvata da quelle orrende ballate.
Dell'uomo che l'aveva amata come nessun altro.
Dell'uomo che le aveva donato una vita piena di gioie e una bimba meravigliosa.
Lo stesso uomo che l'aveva resa quella che era adesso.
Prese un respiro profondo, guardando il suo riflesso sul vetro della finestra.
-Io ero la sposa di Kozmotis Pitchiner.-
-Kozmotis Pitchiner?-
Come aveva previsto, Tristezza non conosceva la precedente identità del suo sposo, come tutte quante le altre come loro.
Kandida strinse le mani sul tessuto cupo della gonna, cercando quella forza che stava iniziando a mancarle in gola.
-L'attuale...Pitch Black.- [...]"
Genere: Generale, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emily Jane Pitchiner, Fearlings, Nightmares, Nuovo personaggio, Pitch
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sacrifice


 

Il miracolo della vita è alimentato da una donna che ci ha dato amore e sacrificio….la mamma.”

(Joel Barquez)

 

 

 

Stava osservando da ore quei due fratellini giocare, eppure non si sentiva affatto stanca o stufa.

Osservava quel bambino sorridere mentre raccontava, con enorme gioia, il salto compiuto con lo slittino e il dente caduto a causa del divano.

Li guardò ridere e, per un momento, ne fu contagiata.

Da quanto non sorrideva?

Da quanto vegliava su quelle due creaturine?

Non lo ricordava nemmeno, non ci provava: sapeva che sarebbe stato troppo doloroso.

Le labbra scure tornarono al loro posto, nella solita espressione triste e vacua che l'aveva sempre contraddistinta.

Secondo il Giuramento fatto, lei doveva essere al di sopra delle parti, lontana dal conflitto fra Guardiani e... Lui; tuttavia, per quanto ci provasse, Kandida era consapevole della sua debolezza.

Non sarebbe mai stata totalmente neutrale.

Non quando si trattava dell'uomo che aveva tanto amato.

Istintivamente, si portò una mano alla collana in oro bianco che le avvolgeva il collo, lo stesso che il suo amato adorava baciare: quando tornava dalle riunioni, quando aveva bisogno di conforto... quando aveva bisogno di amore.

Prese un respiro profondo, Mademoiselle la Paura, affinché quelle lacrime pesanti non uscissero dai suoi occhi di ghiaccio, invano.

Una leggera brezza si sollevò, costringendola a rivolgere lo sguardo verso la donna che la stava osservando.

 

-Paura, hai bisogno di me?-

 

Kandida sospirò, nel vano tentativo di recuperare il suo contegno.

 

-No, Tristezza. Sto bene.-

 

-A me non sembra. Non compaio invano, lo sai.-

 

Purtroppo le costava ammetterlo, ma Tristezza aveva ragione: non compariva mai invano e vederla significava aver bisogno di uno sfogo.

Di una spalla su cui piangere.

Strinse le labbra scure, osservando nuovamente con la coda dell'occhio la ragazza vestita di un abito grigio blu: Tristezza era stata la prima ad essersi fatta avanti, la prima ad averle dato un po' di conforto in quell'Oblio di dolore e caos.

Appoggiò una mano sul vetro della finestra, osservando con occhi vacui e lucidi i fratellini.

 

-...Fa male...-

 

Tristezza non scostò il suo sguardo da Kandida.
 

-Cosa fa male?-

 

-Tutto Tristezza... tutto. I ricordi, questa nuova realtà che... dilania. Questa mia nuova natura... la lontananza e la paura di dimenticare...-

 

Vide entrare la madre dei due e, come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco, piegò verso il basso il volto, percependo una lacrima prossima a sfuggirle da quegli occhi color ghiaccio.

Si portò una mano al ventre, lo stesso ventre che aveva ospitato il frutto di quel ballo galeotto, che aveva sofferto i dolori del parto e aveva regalato a loro quella splendida bimba.

Tristezza le si avvicinò lentamente, poggiandole una mano sulla spalla con fare comprensivo.

 

-Tu non parli mai di te... ma penso che questo dolore, questo tuo fardello, derivi da un evento legato al tuo passato.-

Tacque un attimo, osservando con attenzione Mademoiselle la Paura e la scena che stava guardando da minuti. Il piccolo Jimmy provò a restare sveglio per vedere finalmente la fata de dentini, soccombendo tuttavia al sonno sempre più forte e ai dolci sogni di Sandman.

Forse, pensò Kandida, era giunto il momento di parlare.

 

-Tu sai chi ero prima, Tristezza?-

 

L'altra scosse la testa: a tutte loro non era permesso sapere il passato delle altre, doveva restare una cosa segreta per evitare pregiudizi. Tuttavia, Kandida non poteva iniziare il suo racconto senza parlare di Lui.

Dell'uomo che l'aveva salvata da quelle orrende ballate.

Dell'uomo che l'aveva amata come nessun altro.

Dell'uomo che le aveva donato una vita piena di gioie e una bimba meravigliosa.

Lo stesso uomo che l'aveva resa quella che era adesso.

Prese un respiro profondo, guardando il suo riflesso sul vetro della finestra.

 

-Io ero la sposa di Kozmotis Pitchiner.-

 

-Kozmotis Pitchiner?-

 

Come aveva previsto, Tristezza non conosceva la precedente identità del suo sposo, come tutte quante le altre come loro.

Kandida strinse le mani sul tessuto cupo della gonna, cercando quella forza che stava iniziando a mancarle in gola.

 

-L'attuale...Pitch Black.-

 

Tristezza sbiancò, indietreggiando appena di un passo: Mademoiselle la Paura sapeva perfettamente che avrebbe reagito così, lo aveva sempre saputo.

Guardò la sua mano sinistra, in particolar modo il suo dito anulare, guardando quell'anello che aveva siglato il loro matrimonio e reso eterna la loro unione: oro bianco e un diamante più brillante della luna e delle stelle, il quale aveva catturato nella sua vita sotterranea tutte le sfumature dell'aurora boreale.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma volle a tutti i costi parlare: poco le importava se le altre si sarebbero infuriate... era stato aperto un lucchetto rimasto sigillato per troppo tempo.

 

Ormai erano passati mesi dalla sua partenza e lei e la piccola Emily Jane attendevano il minimo messaggio da chiunque.

Non era mai arrivato nulla.

La bimba aspettava giornate intere alla grande finestra del salotto, certa più che mai che suo padre sarebbe tornato da un momento all'altro in groppa al suo fedele destriero.

A volte Kandida doveva prenderla in braccio e portarla a mangiare, altre volte la trovava già addormentata sul divano con uno dei mantelli del padre come coperta.

Sebbene avesse appoggiato la partenza del marito e non gli avesse impedito di compiere il suo dovere, la donna iniziava a pentirsi e a sentire il peso di quel dovere. Dopo aver messo la piccola a dormire andava a rintanarsi nella stanza matrimoniale e lì, con la sola luce di poche candele, dava sfogo alla sua tristezza e alla sua solitudine.

Le mancava, le mancava troppo.

Non riusciva più a riposare da sola, cercava costantemente il corpo di Kozmotis nel letto, come era solita fare ogni notte.

Cercava il suo busto da abbracciare, il petto sul quale era solita addormentarsi ascoltando il battito del cuore.

Cercava le labbra del marito che la tranquillizzavano, che con baci su tutto il volto la svegliavano al mattino o quando voleva amarla.

Le mancavano le sue carezze, i suoi occhi gialli come topazi e la sua risata.

Fu durante una sera d'inverno che la sua vita cambiò.

Avvolta in uno scialle pesante, Kandida andò nel salotto dove, come al solito, la sua piccola stella stava aspettando il padre. Aveva già indossato la sua camicetta da notte, si era già pettinata i capelli e stringeva fra le braccia la sua bambola preferita.

Vedendola infreddolita, le si avvicinò e l'avvolse nello scialle di lana pesante e pelliccia calda, stringendola con affetto.

 

-Tesoro, è ora di andare a letto.-

 

Emily Jane la guardò.

 

-Ma papà tornerà stasera, ne sono sicura mamma. È... è la volta buona.-

 

Ogni volta che sua figlia sperava Kandida percepiva il suo cuore stringersi in una morsa glaciale come la neve che stava circondando la loro casa.

Anche lei sperava, ogni dannata sera, che suo marito tornasse, ma ogni volta finiva per restare delusa e per ritrovarsi nuovamente sola in quella stanza troppo grande e vuota.

Strinse a sé la bambina, affondando la faccia nei suoi capelli corvini e ricci.

 

-Lo spero anche io tesoro... ma... ma ora lui vorrebbe vederti a letto, no? Questa è l'ora della storia della buonanotte.-

 

Emily Jane annuì, rintanandosi nelle braccia sicure e amorevoli della madre.

Salirono al piano superiore fino alla cameretta della piccola, già predisposta dal genitore per la notte.

Si rintanò sotto le calde coperte, guardando la mamma sedersi sul materasso con lei. Kandida le sorride, sistemandole meglio il cuscino.

 

-Allora, quale storia vuole sentire il mio fiorellino?-

 

-Il soldato innamorato!-

 

Un'altra stretta al cuore avvolse Kandida: quella storia era la preferita di sua figlia e raccontava di come loro si fossero conosciuti.

Accennò un sorriso, reprimendo le lacrime che si stavano facendo nuovamente prepotenti e incominciò: non l'avrebbe mai raccontata come il suo adorato marito, lo sapeva perfettamente, ma avrebbe sopportato il dolore pur di vedere sua figlia felice.

Raccontò la storia, fino a che la sua dolce stellina non si assopì col sorriso sulle labbra: preferiva vederla così piuttosto malinconica davanti alla finestra.

La guardò per alcuni secondi, poi le regalò un bacio affettuoso sulla fronte.

 

-Buonanotte tesoro mio... papà è con te.-

 

Lasciò qualche candela accesa, per evitare che tutte quelle ombre potessero spaventare la sua piccolina ed uscì.

Trattenne con svariati respiri profondi il dolore che stava provando, arrivando a conficcarsi le unghie nella carne dei palmi. Velocizzò il passo, arrivando a chiudere con forza la porta della camera da letto dietro di lei. Il suo corpo liberò tremori sempre più evidenti, fino a quando le sue gambe cedettero e la fecero crollare a terra.

Pianse a lungo Kandida, nascondendo il volto fra le mani e cercando di soffocare i singulti troppo forti: non poteva svegliare sua figlia, non poteva permettersi che lei la vedesse in lacrime... voleva risparmiarle la scena.

Alzò il volto, osservando il letto vuoto e domandandosi perché, per una volta, non fosse stata egoista e si fosse opposta alla scelta del marito.

 

Perché lo ami troppo per dirgli di no...”

 

Il pensiero fu così intenso da costringerla a tapparsi la bocca per non vomitare dal nervosismo.

La costrinse ad andare verso il panchetto sul quale era solita prepararsi e fissarsi allo specchio, domandando a suo marito se stesse bene o meno.

La postazione dove lui si divertiva a baciarla sul collo a sorpresa, dove adorava metterle lui le collane, dove si soffermava spesso a guardare la lunga chioma corvina.

Si sedette e, con le mani fra i capelli, iniziò a piangere, a sfogare tutto il suo dolore.

Non si rese conto di quanto stette in quella posizione, né di quante lacrime versò: l'unica cosa che ricordava ancora era quel risveglio.

Non aveva acceso il camino dinanzi al letto e il suo corpo si era gelato per il freddo.

Si rialzò dal mobile, tremante e con un accenno di tosse, avvicinandosi al focolare e cercando di riempirlo, senza successo, di legna.

Improvvisamente, come se la luna fosse coinvolta in un'eclissi, la luce notturna scomparve.

Osservò confusa la finestra: non era normale... non era mai avvenuta una cosa simile.

Lentamente e ancora tremante per il freddo, si avvicinò alla finestra.

Sembrava tutto normale, tutto silenzioso e pacifico, eppure qualcosa non le tornava.

 

-Che fine ha fatto il bosco?-

 

Fece per appoggiare una mano al vetro, per osservare meglio il paesaggio che aveva sempre visto anche nelle notti più cupe dell'inverno.

Fu in quel momento che un'orrida creatura si sollevò da terra e si scaraventò contro il vetro, facendola urlare ed indietreggiare dalla paura.

Non aveva una forma precisa e anche se l'avesse avuta non le sarebbe interessato molto. Riusciva solo a scorgere la bocca enorme e colma di denti affilati e gialli, così come gli occhi perfettamente circolari e piccoli privi di pupilla.

Chiuse con forza le tende, imponendosi soltanto di correre a chiudere qualsiasi ingresso alla casa: non avrebbe permesso a nessuno di quegli esseri di invaderla, né di avvicinarsi a Emily Jane.

Sbarrò e chiuse le finestre di tutte le tende, tirò il tavolo e le sedie della sala da pranzo verso una porta secondaria, cercando di non farsi assalire dal panico nell'udire le voci stridule di quegli esseri fuori dalle mura sicure.

Con quanta forza avesse nelle braccia, fece ribaltare un paio di mobili davanti alla porta principale, provando a far mente locale su cosa potesse mancare.

Pallida in volto, corse velocemente sulle rampe di scale, afferrando da una rastrelliera un paio di spade appartenute al marito. Se le legò in vita tramite l'apposita cintura e, mentre si sistemava la veste da notte, un tonfo la fece sobbalzare sul posto: stavano provando a sfondare l'ingresso.

Riprese la sua folle corsa, chiudendo dai corridoi tutte le altre stanze, fino a che non arrivò in camera della sua bambina.

Entrò velocemente.

 

-Emily Jane... tesoro vieni qui...-

 

Ancora assopita, la bimba si lasciò prelevare dal calore rassicurante delle coperte, svegliandosi appena nel percepire il battito della madre accelerato.

 

-Mammina... che succede?-

 

-Niente tesoro... mamma ha... fatto una corsa...-

 

Non voleva terrorizzarla, ma cosa poteva inventarsi per non farla cadere nel panico?

Pensò, la sua mente girò tutte le opzioni disponibili come una trottola, fino a che il suo sguardo non cadde sullo studio di Kozmotis.

L'illuminazione arrivò come una boccata di aria fresca.

 

-Ti... ricordi quel nascondiglio che avete costruito tu e papà? Quello che portava alla casetta nel bosco dei nonni?-

 

La piccola annuì sbadigliando, lasciando che sua madre la portasse verso lo studio.

 

-Ebbene...mamma ha voglia di fare una gara. Vediamo chi fra le donne di casa è la più veloce, ok? Tu... Tu userai il passaggio e mamma proverà a usare la strada normale.-

 

-Come il lupo e Cappuccetto Rosso?-

 

Kandida sorrise, un sorriso che nella sua finta normalità celava una preoccupazione e un pensiero sinistri.

 

-Esatto tesoro.-

 

Camminò spedita verso la libreria del marito, cercando a lungo il libro incriminato che avrebbe permesso la fuga del suo tesoro.

Emily Jane osservò la madre, non capendo perché la sua fronte fosse così imperlata di sudore e i suoi occhi fossero così turbati.

Ormai quasi del tutto in preda al panico, la donna aumentò la velocità con la quale stava cercando la chiave e, finalmente, la trovò in una raccolta di ballate.

Uno spazio si aprì fra due scaffali vuoti, rivelando lì'ingresso a un passaggio segreto.

Il cuore di Kandida esplose di gioia, salvo poi stringersi in una morsa tremenda quando sentì il tonfo più assordante e le risatine di quegli esseri: erano entrati.

Tremante osservò sua figlia, trattenendo a fatica le lacrime.

 

-Andrà tutto bene tesoro...-

 

La baciò sulla fronte, così a lungo che la bimba non riuscì a capire il reale motivo.

 

-Mammina...-

 

-Shhh... Ci vediamo alla casetta, ok? Fai... preparare i biscotti che ti piacciono tanto dalla nonna e... e fai la brava.-

 

La strinse forte a sé, pregando che quel momento non finisse mai, pregando tutto l'universo affinché fosse soltanto un dannato incubo.

La baciò nuovamente sulla testa, facendola scendere dalle sue braccia e permettendole di entrare con la bambola all'ingresso della scalinata. La guardò a lungo, cercando di memorizzare ogni dettaglio del suo viso, l'unione perfetta dei suoi tratti somatici e di quelli di Kozmotis.

Poi sorrise.

 

-Pronta? Uno... due... tre... VIA!-

 

La bimba iniziò a correre per le scale, mentre la madre chiuse il passaggio con lo stomaco sottosopra. Osservò il libro e, tremante, si avvicinò nuovamente ad esso: non avrebbe permesso a quegli esseri di toccare sua figlia, per nulla al mondo.

Con decisione lo afferrò e, dopo un attimo di esitazione, ruppe il meccanismo che ne attivava l'apertura.

Le risate e i suoi degli artigli si fecero sempre più vicini, costringendola a voltarsi verso la porta e a prendere dai foderi le due spade: non era mai stata brava con quelle armi, ma Kozmotis le aveva insegnato qualcosa per difendere lei e la piccola e avrebbe dato il meglio di sé per evitare la cattura della figlia.

Strinse le else con forza, aspettando tremante l'ingresso di quegli estranei.

Non percepì più le risate, tutto sembrava esser finito... poi una scia nera fece il suo ingresso, strisciando silenziosa come una serpe verso di lei.

Kandida attese, pazientò fino a quando non la vide sollevarsi, poi scattò.

La colpì svariate volte: da destra, da sinistra, dall'alto, dal basso, si difese e cercò di guadagnare quanto più tempo possibile.

Le ombre, infine, si ritirarono un poco, mentre una risata, più profonda e spaventosa, le giunse alle orecchie.

Rivolse i suoi occhi verso l'ingresso ma non bastò per farla spostare.

Qualcosa di più potente la spinse violentemente contro la libreria, facendole perdere i sensi per una frazione di secondo... e poi un urlo seguì tutto questo.

Percepì la carne del suo ventre dilaniarsi, a causa di una falce oscura ed enorme che si era fatta strada in lei. I suoi occhi si aprirono meglio, sbarrandosi quando vide l'aggressore e il capo di tutti quegli esseri. Si sentì morire dentro, sentì tutto il mondo crollarle addosso e ogni suoi più bel ricordo frantumarsi come cristallo.

Aprì la bocca per parlare e un fiotto di sangue le macchiò la camicia da notte.

 

-K...Kozmotis...-

 

No, quello non era suo marito.

Quell'essere vestito di nero dalla pelle grigia, con occhi gialli e un sorriso perfido non poteva essere l'uomo che aveva sposato.

Calde lacrime sgorgarono dai suoi occhi, mentre i respiri iniziarono a farsi sempre più irregolari.

L'uomo le si avvicinò, sorridendole beffardo.

 

-Lui non esiste più...-

 

Neanche la voce era quella di un tempo: metallica, sinistra e assetata di potere.

Cosa gli era successo?

Tremante, Kandida provò a non cedere al freddo abbraccio, provò a farlo rinsavire, ma niente: quel sorriso continuava a dominare il volto dell'uomo.

Infine, disperata e al limite delle forze, decise di compiere un ultimo gesto.

Afferrò con una mano il manico della falce e, con le energie rimaste, si tirò in avanti, ignorando con immensa fatica il dolore della carne che si stava lacerando sempre di più: non poteva essere veramente lui.

Prese debolmente il volto del suo precedente marito e attuale carnefice, costringendolo a guardare solo lei. Le lacrime presero a sgorgare nuovamente dagli occhi di ghiaccio della donna, occupata ad accarezzargli le guance.

Cosa gli era successo?

Cosa aveva fatto?

Disperata e pronta a tutto per riavere suo marito, Kandida sfruttò la poca vita rimastale per baciarlo: un bacio debole, ma carico di speranza e amore.

Un bacio che, da parte dell'altro, fu ricambiato con avidità e semplice voglia di imitarla.

Lui si staccò infine, avvicinando la bocca ghignante al suo orecchio.

 

-Io... Sono Pitch Black... L'Uomo Nero. Tu hai paura, oh sì lo sento. Tanta paura... non vuoi morire? Purtroppo non ti resta molto... e Kozmotis non c'è più.-

 

Rise di gusto, afferrando silenziosamente il manico della falce.

 

-Lui ormai è sepolto sotto un cumulo di oscurità e malvagità. E tu bellezza...-

 

Tacque un secondo, poi iniziò a fare pressione sulla falce.

 

-Tu sarai sepolta sotto un cumulo di macerie... Ah, grazie per il bacio.-

 

L'affondo finale arrivò a dilaniarle del tutto gli organi interni, facendola cadere in un baratro oscuro.

La vita l'aveva abbandonata.”

 

 

Tristezza rimase in silenzio, occupata soltanto a far scorrere le lacrime sul suo volto da bambola di porcellana. Accadeva così ogni volta: assumeva per empatia tutto il dolore provato dal narratore e piangeva, come se riuscisse a rivedere il passato.

Kandida la guardò in silenzio, aspettando che la collega avesse assimilato tutto il racconto.

 

-Io... Mi dispiace Paura...-

 

-Questa è la vita...-

 

Tacquero, sprofondando in un silenzio lugubre e malinconico, accompagnato da una lieve brezza gelida.

Tristezza la guardò, asciugandosi le ultime gocce saline sulle guance.

 

-E' per questo che sei diventata la Custode della Paura?-

 

-Forse... essendomi sposata con Kozmotis fra di noi c'è un legame ancor più profondo, che va al di là di spiriti buoni e cattivi...-

 

Tornò a fissare l'anello, proseguendo il discorso.

 

-Anche se lui è diventato Pitch Black... anche se è diventato uno spirito assetato di potere... Io sono ancora legata a lui.

Non solo da una serie di promesse, ma da amore vero.

Anche se lui mi comparisse davanti, in questo momento... io non potrei mai essere furiosa con lui.

Ha ceduto ai Fearlings... alla fine eravamo umani, no? Fatti di carne e sangue, di desideri e paure.

Chissà quante volte lui ha avuto paura di non tornare a casa, di non rivederci più...-

 

Deglutì, reprimendo un nodo allo stomaco che le si stava formando.

 

-Quegli esseri hanno approfittato della sua debolezza... hanno distrutto tutto quello che avevamo. Non lo reputo colpevole della mia morte...-

 

Tacque nuovamente, prendendo un respiro talmente profondo da farle credere di dover far esplodere i polmoni.

La testa le girò, ma evitò di palesarlo a Tristezza.

 

-Vai... puoi tornare dalle altre. Io vi... raggiungo a momenti.-

 

Attese che l'altra Custode svanisse nella neve e soltanto in quel momento fece cedere le sue gambe.

Si inginocchiò silenziosa, coprendosi il volto con entrambe le mani: ricordare faceva male, era come essere uccise una seconda volta, ma che altro poteva fare?

Non lo aveva più rivisto dalla sua morte e, per quanto potesse sembrare al limite della sanità mentale, avrebbe tanto voluto rivederlo, anche se la sua pelle era diventata grigia come il fumo e il suo sorriso si era tramutato in un ghigno subdolo e astuto.

 

-Dove sei Kozmotis?-

 

Chiuse gli occhi, sperando che qualcuno, qualche forza superiore le permettesse di esaudire la richiesta.

Infine, prima che potesse rialzarsi, un nitrito lontano la gelò sul posto e aguzzò nuovamente i suoi sensi. Nessuno in quella città aveva i cavalli e, a patto che non fosse il sogno di qualche bambina regalato da Sandman, qualcosa non tornava.

Si alzò, cercando di capire da dove provenisse quel verso. Guardò a destra, a sinistra, camminò ovunque e provò a farsi guidare per le strade deserte; superò i negozi, arrivò all'inizio del boschetto cittadino... e lo vide.

Era un animale strano, molto più simile a una creatura dell'orrore che a un bellissimo destriero. Composto principalmente da sabbia nera, stava annusando l'aria e i suoi occhi gialli, privi di pupilla, scrutavano l'orizzonte.

Kandida si nascose, osservando quel cavallo oscuro con attenzione. Il cuore, rimasto fermo dopo secoli, le parve riprendere a battere con frenesia, talmente forte da impedirle di respirare in modo corretto.

Il cavallo nitrì, raspò sul terreno con nervosismo, per poi trottare verso una zona ancor più nascosta del bosco.

Lei lo seguì, vedendolo entrare in una fessura del terreno e scomparire nell'oscurità. Non esitò un attimo, non rimase ferma: strisciò all'interno del buco, rialzandosi quando lo spazio si fece più ampio.

Si guardò intorno, percependo una voce maschile in lontananza.

Si gelò: avrebbe riconosciuto quella voce fra migliaia di esse, non avrebbe mai potuto sbagliarsi.

Camminò lungo il corridoio, ignorando altri piccoli cavalli impegnati osservarla con occhi famelici e curiosi.

Quando giunse alla fine il suo cuore si fermò dalla sorpresa.

Postura dritta, un lungo abito nero, pelle grigia e capelli scuri corti, tirati tutti quanti indietro, era impegnato ad osservare confuso un globo ricco di luci dorate, una per ogni bambino del mondo.

Deglutì, cercando di eliminare la secchezza della sua bocca e la voce le tremò.

 

-...Kozmotis...-



Angolo Autrice: Seconda One-Shot legata al mondo dei Guardiani.
Questa volta la protagonista è la mia OC Kandida Senkalit, già conosciuta in "It's The Fear".
Una OS che spiega come Kandida sia diventata la Custode della Paura e di come ritrovi, sul finale, il suo sposo.
Spero che vi piaccia ^^.

Un bacione e alla prossima!

Nebula216 <3

   
 
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