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Autore: Katty Fantasy    25/11/2017    3 recensioni
Sul pianeta di Cybertron vivevano due razze aliene robotiche in conflitto: gli Autobot, coloro che lottano per la libertà, e i Decepticon, coloro che vogliono la tirannia; a causa della guerra, Cybertron venne devastato, Autobot e Decepticon partirono alla ricerca di Energon per sopravvivere, finché giungono sul nostro pianeta Terra: la guerra è destinato a riprendere.
Ma questa guerra coinvolgerà molte persone tra cui un’adolescente molto speciale: Mariangela Sharon Witwicky Bianchi, orfana di entrambi i genitori, viene affidata dalla zia, Rodhy Witwicky, assieme alla figlia adottiva Zoe, anche ella orfana e nata muta. La famiglia Witwicky si trasferisce a Jasper, in Nevada, dove le due ragazze faranno amicizia con tre coetanei: Jakson “Jack” Darby, Miko Nakadai e Raphael “Raph” Equivel. La vita di Sharon cambierà radicalmente quando lei e i suoi amici si imbattono con i Decepticon ma riescono a scappare e, in seguito, salvati dai Autobot….
Ora, Sharon e Zoe saranno coinvolte in questa guerra, dovranno superare molti ostacoli e le loro paure, nuovi Transformer, nemici e nuove avventure.
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(la storia ci sarà anche su Wattpad)
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Transformers: Prime
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Capitolo 2: Le apparenze possono ingannare

 


 
Il sole cominciò a calare sulla piccola cittadina di Jasper, una delle piccole cittadine del Nevada, sperduto in mezzo al deserto. C’era molta tranquillità su di essa, non era di certo una città grande come New York per fare furti, nessuna attività criminale e nessuna attività illegale di droga. Solo le gare da corsa clandestine non era di certo facile da impedire dato che sono al di fuori di Jasper; i negozi erano ancora aperti, anche il Mc in cui lavora Jack non era ancora chiuso, continuando con il suo turno di lavoro, Arcee non era potuta venire per via di una missione e di conseguenza, anche il resto dei Autobot. Anche Raph e Miko non potevano venire: il primo doveva fare i compiti per un compito scolastico mentre l'altra era in punizione a scuola.
In poche parole: era rimasto solo nelle sue faccende.
Il ragazzo consegnò l’ultimo pacco al cliente. << Buona giornata! >> e sbuffò dopo che l'auto si allontanò. Certo che fare questa vita è davvero seccante, pensò il corvino, ritornando a lavorare. Avrebbe voluto aiutarli, finché sarebbe riuscito a compiere diciotto anni e di chiedere all'agente Flower di far parte dell'esercito... a volte ci pensava e ripensava. Se sia realmente andare in guerra oppure no. Su questo ci deve riflettere attentamente.

Non molto lontano dal luogo, l'auto che giuda Rodhy Witwicky intravede il Mc.
<< Ragazze, avete fame? >>
<< E ce lo chiedi? Ho una fame da lupi! >> esclama Sharon mentre un forte gorgolìo si sentì nello stomaco di Zoe. Le poverine avevano viaggiato per ore per arrivare in quel paesino sperduto nel deserto, affamate e stremate.
<< Allora è deciso: prendiamo qualcosa in quel Mc. >>
Le due ragazze fecero un sospiro di sollievo.
La famiglia Witwicky si fermarono per ordinare dei hambuger e delle patatine fritte per stuzzicare l’appetito, dovettero fermare l’auto per mangiare e sgranchire le gambe, avranno mangiato al parcheggio vicino all’auto e poi ripartiti per trovare la misteriosa casa lasciata in eredità. Le due ragazze entrarono nel locale mentre la zia cercava su Google Map l’indirizzo della casa, appena entrate nell’edificio l’aria di patatine fritte che impregnava l’aria aveva risvegliato lo stomaco di Sharon e dei flashback della sua sperduta infanzia. Si ricordava che i suoi genitori la portarono per la prima volta al McDonald’s quando aveva solo quattro anni, era il giorno del suo compleanno. Era stato suo padre a proporre, dato che aveva avuto delle giornate di ferie. Lui lavorava come informatico ed era un lavoro parecchio stressante, invece sua madre lavorava come archeologa e di solito non la vedeva mai a casa; entrambi pieni di lavoro e poco tempo per la propria figlia… ma a lei non interessava se non c’erano o no, sa che le vorranno bene nonostante la grande distanza.
Ricordava quando la portarono lì, a festeggiare, c’erano anche molti bambini e due animatori che li trattenevano; sua madre le aveva regalato un piccolo ciondolo di cuoio legato una un cristallo magnifico e celeste: le aveva raccontato che lo aveva trovato uno dei scavi archeologi in Egitto e che lo aveva tenuto per un’ottima occasione, come questa.
D’istinto toccò la pietra nascosta sotto la maglietta. Dall’allora, Sharon lo portò sempre così e non se lo toglie mai, l’unico ricordo dei suoi genitori da quando sono morti nell’incidente.
A farla riportare alla realtà fu la scollata di Zoe.
<< Eh? Si? >>
L’altra la guardò piuttosto preoccupata.
<< Tranquilla… è solo una cosa passeggerà. Allora, cheese-buger con doppia razione di patatine fritte calde? >> chiese, facendo ritornare su il morale.
La sorella minore annuì.
Entrambe andarono al bancone per ordinare, mentre aspettano, Sharon osservò il posto con aria pensierosa e giocando tra le dita la minuscola pietra azzurra, le venne in mente che erano già passate dodici anni che vive in America, dopo l’incidente e la tragica morte dei suoi. A volte si chiedeva se si trattasse solo un sogno, di dormire nel suo letto, svegliarsi all’improvviso e di correre in cucina per vedere se sono ancora lì: sua madre a preparare la colazione i suoi fantastici waffes all’americana con sopra la marmellata e suo padre che legge come al solito il giornale appena comprato e a bere una tazza di caffè… invece la realtà fa troppo male. Dodici anni che non mette piede in Italia, il suo reale luogo d’origine.
Sharon è italiana ma a imparare l’inglese fu la zia Rodhy, l’unica della famiglia a farsi avanti prendersi cura di lei mentre altri parenti sono sparsi per il globo; conosceva l’albero genealogico della famiglia Witwicky, invece conosceva poco della famiglia Bianchi, ogni tanto si comunicava con Skype sua cugina di tredici anni, Francesca.
Sharon è la più grande di entrambe le famiglie, figlia unica, ovviamente.
La mora schioccò le dita davanti ai occhi della corvina, ancora pensierosa, per dirle “ehi, Sharon chiama Terra”, infatti la ragazza spostò lo sguardo alla sorella e poi alle tre buste appena fatte. Oggi non è giornata, pensò Sharon. Dopotutto, in ogni luogo che vada le ricordava tanto la sua amata Italia, le manca terribilmente. Dopo aver pagato il conto, presero le buste e uscirono dalla locanda dalla zia che le aspetta; Sharon sospirò, ci aveva pensato e ripensato di dirlo a sua zia, però non sa se sia una buona o una cattiva idea… sbatté contro qualcosa o, meglio dire, qualcuno.
<< Ehi! Attenta! >> disse una voce maschile.
<< Ah! >> esclama la ragazza che stava per sfuggirle il pacchetto fra le mani << Scusami, non l’ho fatto apposta! >> cercò di giustificarli, a testa bassa.
<< No, sono io a chiederti scusa… non me ne sono accorto mentre mi toglievo il grembiule. >> disse lui.
Sharon alzò lo sguardo, quel qualcuno che si è letteralmente scontrata è un ragazzo alto e magro, gli occhi neri scompigliati e gli occhi castano scuro. Data la sua altezza, occhio o croce, gli arriva fino alla spalla. Fra le mani tenne ancora il grembiule. Sharon intuì che quel ragazzo lavori in questo Mc.
<< No, sono in realtà io a scusarti. Avevo la testa fra le nuvole… ora devo andare, ciao. >> disse lei frettolosamente, per poi superare il corvino che le sta bloccando l’uscita del locale e capendo che sua sorella sia già uscita. Strinse il pacco tra le dita e la raggiunse a passo svelto, imbarazzatissima della situazione creata poco fa. Che figuraccia! continuò a ripeterlo fra sé e sé. Pensò che ora come ora, il ragazzo la stia guardando dalla testa fino ai piedi mentre se andava, considerandola strana. Sharon è sempre stata strana sulla faccia della Terra, subito dopo l’incidente, tutti la guardavano in modo strano e a dir poco spaventoso per certi gusti… lei sa che la gente non ama e ne si fida della gente strana, per lei era d’eccezione dei suoi unici parenti Witwicky.
 
Jack squadrò la ragazza dalla testa fino ai piedi, ammette che è carina per una della sua età. I capelli corti scalati neri come la pece, gli occhi grandi di color blu notte, la pelle poco pallida e sembra che sia non molto bassa di altezza. Forse dev’aver la sua stessa età oppure come a quella di Miko, pensò lui. Non sembra quella classica ragazza con gonne e colori a tendere sul rosa come Sierra oppure quelle che mostrano le scollature, no, tutt’altro. Lei indossa una maglietta a maniche corte rossa con scritte gialle, i jeans celesti a pinocchietto e delle scarpette di ginnastica bianche e nere.
Scosso la testa, che strana ragazza, si disse.
Uscì poco dopo dato che il suo turno è già finito, non trovò Arcee ad aspettarlo quindi dovrebbe arrivare Smokescreen a prenderlo e portarlo alla base. Gli cominciava ad avere simpatia per lui. Intravide in lontananza la stessa ragazza che sta divorando l’hamburger in compagnia di altre ragazze: la prima è riccia e bruna a cespuglio, gli occhi nocciola, indossa una maglietta color mogano e dei jeans lunghi, la seconda invece i capelli rosso fuoco e gli occhi verdi accesi, indossa una canotta a bretelle marroncino preceduta a una camicia a scacchi rossa e nera con le mani arrotolate fino ai polsi, i jeans scuri e notò che ha delle lentiggini sulle guance e dei occhiali rettangolari.
Sembrano tre ragazze di città che vanno in vacanza.
Dopo che il trio ebbe finito di mangiare, salirono sull’auto e si allontanano. In quello stesso momento, arrivò anche Smokescreen nelle sembianze di una McLaren argentato e rossa.
<< Ehi, Jack. Vuoi un passaggio? >> chiese attraverso la radio.
Jack sorrise e salì alla giuda – che tanto giuda l’Autobot – e partire verso l’oasi del deserto, il mech raccontò la riuscita della missione e di come aver combattuto contro i Decepticon, Jack pareva di ascoltarlo ma ripensando alla ragazza di prima… in lei c’era qualcosa di diverso che si riuscì a spiegarlo… qualcosa di speciale.
 
 
**************
 

 
Il luogo dell’abitazione non era molto lontana, due o tre isolati al massimo. La casa era enorme a due piani, le pareti di marmo sembrano sfracellarsi dall’esterno ma forse dall’interno potrebbe essere un’altra cosa. Il tetto quasi malridotta dalle mattonelle, le finestre serrate e i vetri sgrossati e piene di polvere; al piano di sotto un porticato abbastanza largo con tre scalini all’ingresso e un garage di fianco.
La famigliola scese dall’auto al vialetto, Sharon e Zoe guardarono con attenzione la struttura che sembra cadere letteralmente a pezzi. S’immaginarono l’atmosfera lugubre e buia, la casa di un grigio scuro e il gracchiare dei corvi che passano sopra il tetto… insomma, il classico film horror.
<< Wow… sembra una casa infestata dai fantasmi… >> mormora lei, guardando la sorella che ha la sua stessa reazione: paura.
<< Beh, almeno è ancora in piedi. >> disse la zia, mettendo le mani ai fianchi, con tutta tranquillità.
Il trio si avvicinò all’ingresso mentre le due ragazze non staccarono gli occhi dalla casa, le venne in mente un film dove c’è questa casa che diventa un mostro, la porta dell’ingresso diventava una bocca e il pavimento dei denti aguzzi e il tappetto una lingua lunga, le due finestre diventavano dei occhi e le tapparelle che si alzano e si abbassano come se fossero delle palpebre… ecco, lo stesso scenario come ora. Sembra che Sharon e Zoe fossero le protagoniste di Moster House.
Appena mise un piede sul primo gradino della piccola scalinata cominciò a scricchiolare, un brivido le fece arrivare alla spina dorsale. Deglutì rumorosamente. Come diavolo fa zia Rodhy a non avere paura?! esclamò mentalmente la ragazza, vedendo la rossa all’ingresso con tranquillità. La donna mise una vecchia chiave fatta di metallo nella toppa, dei striduli sinistri girando la chiave, ciò significa che dev’essere sostituita dato che è una serratura del 1900. La porta si aprì da un rumore sinistro mentre si aprì del tutto, quello che videro solo pochi contorni del corridoio poi il buio.
<< Beh, almeno non è lugubre come pensavo. >> disse Rodhy.
La corvina le vennero i brividi solo pensare che prima o poi dovesse sbucare dall’oscurità qualche creatura affamata, ma forse dev’aver letto troppe creepypasta. Stessa cosa a Zoe. Seguirono la zia a passo cauto, per via del buio non sanno dove mettere i piedi, aiutarono la parente ad aprire le finestre e ci vorrebbe un grande sforzo per aprire le tapparelle, i cardini sono ormai arrugginiti e dovettero utilizzare un piede di porco. La luce naturale del sole fece illuminare una parte del salone e aprendo le altre finestre, ora tutte le paure e le incertezze sparirono; il salone da pranzo erano ampio e spazioso, solo la carta da parati ormai consumata e stracciata mentre dei lenzuoli bianchi coprono i mobili, invece la cucina si devono solo sostituire le mattonelle e comprare le bombole a gas. Nei angoli delle pareti sono piene di ragnatele e polvere… Tutto sommato, la casa non è affatto male, pensò Sharon.
Zoe sentì un rumore al piano di sopra. Sembra un tonfo. Con quel poco di coraggio in corpo, la mora salì con cautela le scale che scricchiolano sotto i suoi piedi… fortuna che riuscirono a reggere il suo peso. Il buio pesto le fece darle il benvenuto dato che lei lo detesta fin da piccola, lei dorme sempre insieme alla sorella e quindi dovettero comprare un letto a castello quando aveva sei anni. Deglutì rumorosamente, prese il suo telefonino e utilizzò lo schermo del display come torcia, lungo il corridoio vi sono quattro porte e una finestra serrata in fondo, non ha con sé il piede di porco e decise di esplorare le altre stanze con curiosità. Parì la prima porta alla sua destra, tutta buia e i sopramobili coperti dalle lenzuola bianche che chiunque le scambia per fantasmi, le tremarono le gambe e la mano in cui tenne stretta il cellulare. Un altro rumore. Ora comincia ad avere paura. Si guardò attorno, teme che ci sia qualcuno oltre a lei, si girò e… inciampò all’indietro, spaventata e facendo cadere il telefonino.
<< Zoe! >> gridò Sharon e salendo al piano di sopra con la zia.
Zia e nipote corsero per cercarla, la corvina prese il suo cellulare per fare luce e notarono la porta della stanza aperta; la rossa si armò del piede di porco, con lei non si scherza affatto dato che aveva fatto cintura nera di karate. E con quel piede di porco di metallo succederebbe un casino. La ragazza puntò la luce nella stanza, il display del telefonino di Zoe era spenta, puntò in tutte e quattro le pareti dell’edifico fino a trovarla: la mora era accucciata e appiattita alla parete ammuffita, gli occhi granati e notava che suda freddo.
<< Zoe, cosa è successo? >>
L’altra non rispose.
Il trio sentirono un rumore. La zia Rodhy si allarmò e si mise sulla difensiva mentre Sharon puntò la luce intorno la stanza per trovare l’intruso. Ok, rimangio quello che ho detto…, si ridisse mentalmente, concentrata a provare l’impostore nell’ombra.
<< Ok, niente panico. Sharon continua ad illuminare mentre io cerco di aprire la finestra. >> propose la donna, aprendo i doppia infissi e a infilare l’arnese tra le due estremità delle due tapparelle.
<< Ma proprio ora!? >> Sharon dovette obbedire non continuando a replicare; altri passi si sentirono sul pavimento di parque rovinato, veloci e leggeri, la corvina continuò a puntare la torcia in ogni angolo della stanza e sentendo anche i ringhi dei sforzi della zia nel aprire la finestra. Zoe non riuscì a muovere nessun muscolo. I passi si avvicinarono sempre di più, la tensione cominciò ad arrivare fino alle stelle; Rodhy riuscì ad aprire la finestra e la poca luce del sole fecero entrare nella stanza, ora c’è solo un silenzio di tomba. Il trio non si stupirono che al centro della stanza ci sia… un topolino. Piccolo di stazza, il pelo bianco latte e gli occhietti neri; quest’ultimo si pulisce il muso con le zampette anteriori e accorgendosi della loro presenza, fuggì via.
<< Beh… credo che abbiamo un inquilino in casa… >> commentò la rossa.
Le due ragazze si guardarono: Zoe fece un sospiro di sollievo mentre Sharon se la ride sotto i baffi. Spaventarsi da un roditore è una cosa da niente, specie se qualcuno urla come una checca e scapparsene a gambe levate.
 

 
************
 
 

In una parte desertica del Nevada, gli Autobot portarono la scorta di Energon nel magazzino; la loro base è insediata dentro in un canyon, dove possono essere nascosti dai umani e dai loro nemici. L’idea di farli nascondere lì è stato l’agente speciale Flower. Nessuno sa della loro esistenza oltre a lui, l’unico umano che li informa su attività anomale sul globo e di aiutarli militarmente, ora anche i tre adolescenti e la madre di Jack mantennero il segreto e trascorrendo i loro giorni dopo la scuola. Optimus portò l’oggetto a Rachet per analizzarlo, purtroppo non hanno attrezzi specializzati come i Decepticon, il medico dovette costruirne con miseri pezzi dei umani.
<< Sai che cos’è, Rachet? >> chiese il leader.
<< Ancora no, ma non capisco perché Megatron lo tenesse stretto con sé. Forse lo abbia riconosciuto mentre noi non sappiamo che cos’è. >>
<< Immagino che ora farà di tutto per riprendere il pezzo. >>
<< Ma quello che non capisco è come fa ad avere la lingua di Cybertron? Insomma, non è nemmeno in una delle registrazioni del Iacon! >>
Optimus rimase perplesso della questione, il che ci vorrà un sacco di tempo per scoprire di cosa si tratta, con la tecnologia terrestre non è che servirà molto. Sospettò che ci sia altro in questa faccenda.






Angolo Autore:
Scusate per il ritardo ma avevo dei problemi con la connessione. Che dire, non si sa cosa hanno trovato i nostri amici Autobot e la piccola Zoe si spaventa per un topolino *ride*
Zoe: *la guarda male*
Eheh... beh, ci vediamo nel prossimo capitolo!
   
 
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