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Autore: Le VAMP    25/11/2017    1 recensioni
"Lavori sporchi a prezzo stracciato": nel 1976 gli ACDC presentarono un brano che sembra far da portavoce ai mercenari. 
I parassiti assorbono tutto ciò che appartiene ad altri.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ellen, Gatto nero, Viola
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dirty deeds, done dirt cheap[1]

 

Lavori sporchi a prezzo stracciato: questi erano gli affari che si concludevano con il mondo degli Inferi.
Tempo fa il gatto nero le aveva promesso “continua a nutrirmi, e diventerai una delle streghe più potenti che possano esistere”. E allora lei obbediva, rinunciando a quei pochi contatti che manteneva con i suoi coetanei quando, di tanto in tanto, questi si avvicinavano a casa sua.
Aveva fatto un ottimo lavoro con ciascuno: qualcuno perse la testa per via di Cabiria[2], altri morirono divorati dal teschio carnivoro, e altri ancora impazzivano. Quelle morti erano le sue preferite: la vittima veniva consumata dall’interno, spolpata, dilaniata dalla paura.

E allora, com’era possibile che riuscisse a mietere così tanti innocenti se la gente del villaggio iniziava a preoccuparsi dei bambini scomparsi? Un giorno si risvegliò con nuovi poteri, doveva essere stato il gatto. Affianco al cuscino trovò un femore, e allora comprese che il demone aveva ancora fame.
Ellen non era ingenua, no, sapeva il fatto suo. Quando si recava al mercato nero, rivestita da un mantello e un cappuccio che la nascondevano dagli occhi umani, c’erano certe canaglie che si rivolgevano a lei per chiedere sfortune e fatture per i loro nemici, andando a nutrire la bestia nera.
E come erano felici di sapere che quel piccolo favore veniva a costare solo il dolore per i famigliari della vittima, non ci credevano: pensavano fosse una fregatura.

Così costruiva la sua carriera, e l’umanità andava a perdersi per ogni riso soddisfatto che alimentava negli altri, per ogni problema che risolveva ai suoi presunti clienti, cosicché un giorno in cui si svegliò con il “Tocco della Morte” fu così allegra e piena di sé che decise di festeggiare danzando sotto il Sole.

Piroettò e rise nel suo giardino immenso, saltò e strappò l’erba fresca, buttandola per aria, divenuta secca in un solo istante.
Quando fu stanca si sfregò le mani per ripulirle dalla terra, ma continuando a insistere realizzava che non era abbastanza. Solo pochi attimi più tardi realizzò, quando colò una goccia di sangue dal palmo della mano, che quelle che stava togliendo dalla pelle erano croste della sua malattia.

Quel giorno si rese conto che ora non solo l’anima era morta: anche il corpo stava giungendo a una pessima fine, vittima dello stesso Tocco della Morte appena conquistato duramente, a spese degli altri, succhiando via la vita degli altri. Fare la parassita non era affatto semplice. L’energia che prima consumò per la gioia ora la investì nella collera: buttò all’aria sedie, tavoli, ruppe vasi e uccise alcune delle sue creature. Il gatto l’aveva ingannata, e di lui non c’era più nessuna traccia.
L’infame animale, ogni mattina da allora, le lasciava una piccola boccetta che lei non voleva aprire. Passarono i giorni, mesi, forse alcuni anni, e la strega era oramai cambiata, divenuta irosa e scontrosa e poi apatica, fino a perdersi il ciclo giornaliero del Sole, poi delle stagioni, e il corpo si riempiva ogni volta di nuove croste. Aveva perso la fiducia nella vita.
Un giorno in particolare le capitò che una ragazzina bionda passasse di lì, da quando la vide la chiamò “la giovane dalle trecce dorate”.
Sembrava così energica e speranzosa nel futuro che Ellen sentì in sé accrescere l’invidia senza mai averla conosciuta: la prima volta che la vide realizzò che quella strana boccetta conteneva il profumo di sua madre. A quell’odore ella vomitò sangue per tutta la notte.

Arrivò il momento in cui si incontrarono; era stato il gatto nero a condurla nella sua casa, questo voleva dire solo una cosa: il demone aveva fame. Negli occhi della strega, da tempo opachi come un vecchio specchio, ora nasceva una fiamma d’ardore, quella da cacciatrice che si fotografò nelle sue iridi la prima volta che vide la propria casa in fiamme.

Quella ragazzina diceva di chiamarsi Viola, e quando divennero amiche passò sempre più tempo ad occuparsi di lei. Questo, diceva Viola, faceva preoccupare suo padre: negli ultimi tempi la sgridava sempre perché tornava tardi. Andava sempre peggio, finché un giorno Viola non venne a trovarla.
La ragazza si ripresentò a lei alcuni giorni più tardi, aveva una guancia arrossata e piangeva.
«Scusa se non sono venuta, papà mi aveva proibito di andarti a trovare» era enormemente dispiaciuta. Ellen la scrutò a lungo senza dire nulla, andando a pensare su quanto quel genitore si preoccupasse per sua figlia. Riceveva così tante attenzioni…

Una mattina, prima che la sua amica Viola se ne andasse, avevano fatto un patto importante. L’indomani sarebbe tornata a casa sua, e le avrebbe fatto l’ultimo grande favore prima di lasciarla morire in pace, come la stessa Ellen le aveva richiesto perché in pena per lei. Ora la propria ombra nera che si stendeva sul pavimento le prometteva: “non fermarti…nutrimi, e sarai una bambina felice”.
Sul viso della strega si disegno un sorriso sinistro, poi questa si alzò e prese una strana fiala, versandone il contenuto sulle gambe. A gustar delle sue urla atroci c’era la stessa ombra tramutatasi in un lupo che si allungava fino al muro[3].


[1] Citazione a “Dirty deeds done dirt cheap” (A.Young, M.Young, Scott) degli AC/DC. Il link a cui riconduce il titolo è una cover eseguita da Joan Jett

 

[2] Ipotizzando, in questo brano, che sia il nome del ragno che appare nel gioco

 

[3] Il lupo è sempre stato allegoria dell’avarizia: in questo caso Ellen è stata divorata da essa, pretendendo dalla vita sempre di più, il tutto cominciando dall’affetto dei genitori: il ciclo si ripete da capo quando desidera le attenzioni del padre di Viola

   
 
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