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Autore: Raptor Pardus    26/11/2017    0 recensioni
Dell'ultima guerra dell'uomo, dii come terminò il Secondo Medioevo e di come arrivarono l'inverno nucleare e il Grande isolamento.
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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<< Le truppe sono sbarcate su Palladium, signore, ma hanno incontrato resistenza. >>
Il sottotenente fissò impaurito il generale Gregorius, intento a massaggiarsi con vemenza le tempie, visibilmente irritato dalla situazione.
<< Almeno sono a terra. Quanti morti? >> chiese, continuando a massaggiarsi le tempie.
<< Dodici trasporti pesanti abbattuti, signore, due carri distrutti, cinquecentosessantuno morti. >> rispose il sottotenente mordendosi un labbro.
Gregorius sospirò, stanco.
<< Puoi andare. >> disse infine, accennando con la mano alla porta.
Il sottotenente non se lo fece ripetere.
Gregorius si accasciò sulla sua poltrona, inspirando profondamente.
Non riusciva a credere ai suoi rapporti, per quanto trovava assurda la situazione.
Mentre le truppe da lui inviate erano ancora in viaggio a velocità iperluce per raggiungere Palladium, il sistema era stato occupato da forze ribelli, che erano riuscite ad aggirare lo schermo creato dalle fortezze orbitali e avevano conquistato la superficie senza quasi colpo ferire.
La battaglia che si preannunciava sarebbe stata lunga ed estenuante, ma quel sistema andava riconquistato ad ogni costo.
Senza lo spazioporto di Palladium, le navi Federali erano incapaci di raggiungere la Frangia Orientale, e sistemi vitali come quello di Castrum Perseus rimanevano isolati, alla totale mercé del nemico e del loro poco amichevole vicino, l’Impero.
E mentre già inviava rinforzi nel settore, completi di unità navali e del genio, il Senato aveva votato la sfiducia nei confronti del Cancelliere Beotium, nominando in via del tutto speciale il senatore Cassandor quale nuovo Cancelliere della Federazione, il quale non aveva perso tempo a istituire la legge marziale e ad approvare la reintroduzione della leva di massa, ormai abolita da oltre un millennio, e  altre manovre politiche volte a favorire l’industria che alimentava la macchina bellica, mentre intanto l’opinione pubblica si domandava se fosse eticamente corretto usare certe armi convenzionali contro altri esseri umani.
Ipocriti: finché davano fuoco a qualche alieno nessuno si lamentava, nonostante anche i Khorsiani fossero esseri senzienti e dotati di parola.
Anche se nell’immediato l’introduzione di tali riforme significava dare maggiori risorse alle forze armate, lo stato maggiore già prevedeva un aumento del dissenso pubblico, e diversi statisti aveva ipotizzato la secessione di almeno una decina di sistemi diversi.
C’era solo da scommettere su quale topo avrebbe abbandonato prima la barca ormai in procinto di affondare.
 
L’Autarca si accese un sigaro e si sistemò nella sua poltrona foderata di velluto rosso, fissando con malizioso piacere il piano in vetro davanti a lui, su cui era proiettata una perfetta riproduzione olografica della Galassia, con le varie fazioni segnate ognuna con un colore diverso, e con diversi simboli gettati qua e là per rappresentare le forze di stanza su uno specifico pianeta, o le battaglie in corso.
La macchia rosso rubino che rappresentava la loro giovane nazione pulsava, viva, e si espandeva lentamente, chiudendosi ad anello intorno alla Frangia Orientale.
<< Palladium è presa, l’Orlo Esterno è ormai nostro, e la Terra è ancora sotto costante minaccia grazie ai nostri avamposti nel Nucleo. >> disse Vessimer, indicando con l’indice sottile varie zone all’interno della mappa. << Ora siamo perfettamente in grado di commerciare apertamente con l’Impero, e… >>
<< L’Impero non lo farà, o si attirerà addosso le ire dell’Unione, cosa che non è negli interessi di nessuno. >> lo interruppe Arseius, rinfoderando l’accendino. << A proposito, vuoi un sigaro? Fatti nella mia piantagione personale, non sai che fatica procurarsi una vera pianta di tabacco dalla Terra. >>
<< Pensavo non lo coltivassero più. >> disse Vessimer, rifiutando con un gesto della mano l’offerta.
<< Hanno poche, minuscole coltivazioni. È un mercato ormai di nicchia, e se lo fanno pagare quanto l’oro. >> rispose Arseius, controllando l’ora sul suo orologio da taschino digitale. << Voglio presentarti una persona, Vessimer, un valido elemento all’interno della nostra astromarina, dovrebbe essere qui a momenti. Ah, un’accortezza, non parlare dell’Impero. >> disse, togliendosi il sigaro dalla bocca.
<< Perché? >> chiese Vessimer incuriosito.
<< DPTS. >>
<< Eh? >>
Il portone della sala si spalancò verso l’interno, annunciando l’arrivo dell’ospite tanto atteso e ponendo fine al loro dialogo.
Un soldato entrò, riferendo l’ingresso dell’ammiraglio Seraphus.
L’uomo che fece il suo ingresso subito dopo era alto e magro, il viso pallido, scarno e scavato dalle cicatrici di chissà quale malattia, segnato da un vistoso sfregio che solcava tutta la palpebra destra, gli occhi vibranti e in perenne ricerca di qualche minaccia, le pupille ridotte a due minuscole fessure.
I corti capelli castani erano ormai brizzolati, prematuramente segnati dallo stress, così come il pizzetto finemente sagomato che ornava il suo mento affilato.
<< Autarca Arseius, Ammiraglio Vritanius Seraphus Nebriter, per servirvi, signore. >> disse, facendo il saluto militare.
<< Riposo, ammiraglio. Prego, sedetevi. >> rispose Arseius, indicando una delle tante poltrone disposte intorno al tavolino. << Voglio presentarvi un mio fidato collaboratore, il console Vessimer, comandante dell’8a Armata, eroe di Betelgeuse e consigliere di palazzo. A proposito, desidera bere? >>
<< Ah, no, grazie. >> disse Seraphus stringendo la mano del generale e sedendosi. << Sono astemio. >>
<< Allora, come mai siamo qui? >> chiese Vessimer, intento a riempirsi, vicino ad un altro tavolino, un bicchiere di un liquore giallo cristallino dal nauseante odore.
<< Sapete entrambi che le nostre forze hanno occupato Palladium, punto nevralgico per il controllo della Frangia Orientale. >> rispose Arseius mentre il console prendeva posto. << La Federazione aveva già inviato uomini nel settore, ma non è riuscita ad anticipare la nostra mossa. Ora è fondamentale respingere lo sbarco che i Federali stanno organizzando in questo preciso momento, e mantenere il controllo di quel sistema, a ogni costo. >>
Seraphus strinse il pugno guantato, reprimendo qualsiasi possibile reazione.
<< Ho intenzione di inviare voi due al comando di truppe di rinforzo, vi reputo entrambi adatti a una tale missione. >> proseguì il capo di Stato.
<< Posso farvi una domanda, Autarca? >> chiese Seraphus.
<< Certo. >>
<< Quando ha intenzione di intavolare trattative per la pace? >>
<< Sicuramente non ora, navarca. >> rispose Arseius sorridendo sornione.
<< Se posso permettermi, non credo che gli uomini che si sono uniti a lei sotto questa nuova bandiera l’abbiano fatto per continuare a combattere. L’umanità è stanca della guerra, le conviene non tirare troppo la corda, o rischia che i domini degli uomini si frammentino. >> continuò Seraphus, sorvolando sul non essere stato chiamato col suo grado.
Vessimer lo fissò in tralice, gli occhi scuri e circondati da borse ridotti a due fessure.
<< Tratteremo con i Terrestri quando sarà il momento opportuno per farlo, non temete, tirerò questa corda quanto basta. >> concluse glaciale Arseius, per nulla toccato dall’insolenza del militare.
Vessimer bevve un sorso e si sacrificò per cambiare discorso.
<< Come si è trovato nella Federazione, ammiraglio? So che è un eroe di guerra. >> disse, cercando di mostrarsi vago ma interessato al passato dell’uomo.
<< Non sono un eroe. >> rispose Seraphus abbassando lo sguardo. << Non c’è eroismo nel salvarsi da una nave in fiamme. >>
<< Oh, penso proprio che sia il contrario, invece. Ma siamo due politici, cosa possiamo capirne. >> ribatté il console con fare mellifluo.
<< Cosa ci fa nell’esercito, se è un politico? >> chiese Seraphus, alzando un sopracciglio.
<< Il console Vessimer è con me dall’inizio di questa rivoluzione, capirà che all’inizio eravamo solo pochi uomini fidati. Mi creda, è perfettamente adatto al suo ruolo. >> lo interruppe Arseius.
<< Mi fido, Autarca. >>
<< Spero possa dimostrarmelo presto, navarca. >>
<< Sta insinuando qualcosa, signore? >> chiese Seraphus, aggrottando le sopracciglia, ignorando stoicamente la mancanza di etichetta del suo interlocutore.
<< Non me ne voglia, era comunque un ufficiale della Federazione. >>
<< Lei un senatore, se non ricordo male. >> ribatté l’ammiraglio.
<< Touché. >>
Vessimer scrutò il liquido all’interno del suo bicchiere.
<< Allora, possiamo parlare dei dettagli di questa missione? >>
Entrambi i suoi interlocutori si voltarono e lo guardarono storto.
 
Il velivolo a decollo verticale uscì dalla coltre di nubi e si abbassò silenzioso, rimanendo a velocità di crociera.
Il pilota diede l’ok, altitudine e condizioni meteo erano ideali, le coordinate erano esatte.
I sessanta incursori all’interno del trasporto si allinearono in due file davanti al portellone posteriore, in silenziosa processione, ognuno controllando l’equipaggiamento del precedente e battendo sulla spalla per segnalare che tutto era a posto.
L’ufficiale in testa alzò il braccio e diede il segnale, lanciandosi immediatamente fuori dal velivolo, tuffandosi nel vuoto, seguito immediatamente dai soldati al suo fianco e dietro di lui.
Reno inspirò a fondo, assaporando l’aria rarefatta filtrata dal suo elmetto, in attesa che arrivasse il suo turno.
Qualche passo rapido in avanti ed era sulla rampa del portellone, nemmeno un secondo e la sua testa era già fuori dal mezzo, il corpo adagiato tra le correnti che lo facevano galleggiare.
Azionò il vettore di volo e rallentò fino ad avere completo controllo sulla sua discesa, lasciando che il pilota automatico del suo zaino a reazione facesse il grosso del lavoro.
Ringraziò che nessuno li avesse notati e si fosse messo a sparare contro di loro, coperti com’erano dal novilunio.
Altre volte erano stati molto meno fortunati.
Ricordava perfettamente la volta in cui il serbatoio del suo zaino era stato colpito da un proiettile vagante e lui era stato costretto ad atterrare con il paracadute ausiliario, rischiando di rompersi una gamba.
Rallentò ulteriormente, sollevando sbuffi di polvere intorno a lui, e poggiò i piedi per terra, guardandosi subito intorno per cercare i suoi compagni.
Attivò il visore termico e individuò il campo nemico, intorno al quale, silenziosi come fantasmi, si andavano avvicinando gli altri incursori avvolti dall’ombra e ammantati di nero, attirati come falene dai proiettori che stoltamente erano stati disposti lungo tutto il perimetro.
Reno avanzò tenendosi il più basso possibile, l’arma puntata contro il nemico, finché non giunse ad una trincea improvvisata e piena di fango scuro.
L’avversario era totalmente impreparato, nonostante avesse avuto tutto il tempo necessario per prepararsi al loro prevedibile contrattacco.
Si infilò nella trincea e l’attraversò per quasi cinquanta metri, fermandosi solo quando davanti a lui si stagliò l’ombra di una sentinella, a guardia di uno dei grossi proiettori che illuminavano la desolata brughiera davanti a lui.
Reno piegò l’indice, una leggerissima ma decisa pressione sul grilletto del suo fucile d’assalto, ed un singolo proiettile si andò a conficcare nel cranio del nemico, il rumore completamente assorbito dal silenziatore avvitato alla bocca dell’arma.
Raggiunse il proiettore e ne individuò il cavo che lo collegava al generatore, afferrando il giunto di connessione e mettendosi in attesa.
Non appena la radio all’interno del suo casco trasmise il cicalino tanto atteso, Reno tirò il cavo e staccò il giunto, interrompendo l’afflusso di corrente, e così fecero tutti gli altri incursori giunti ognuno sul proprio obiettivo.
Le abbaglianti luci che circondavano il campo si spensero una dopo l’altra nel giro di un instante, lasciando che la base soccombesse nel buio e nel caos, mentre venivano lanciati i primi allarmi.
Qualche soldato confuso chiedeva cosa stesse succedendo, un altro ordinava di controllare i generatori, un altro ancora svegliava la truppa e disponeva una pattuglia.
Uno dopo l’altro, gli ordini furono sostituiti da rantolii.
La prima linea nemica era sfondata, ora bisognava penetrare fino al centro di comando e al magazzino, dove avrebbero potuto trafugare gli ordini dei nemici e distruggere le loro scorte di prezioso cibo e ancor più preziose munizioni.
Scavalcò il cadavere di un soldato, le mani contratte intorno alla gola squarciata da una pallottola, e si infilò in una tenda dove quattro uomini dormivano beatamente, completamente ignari del pericolo che stavano correndo in quel momento.
Tenda sbagliata.
Piazzò una carica di esplosivo proprio sull’entrata e uscì in silenzio, spostandosi qualche tenda più avanti.
Finalmente trovò il magazzino, un raffazzonato edificio modulare davanti al quale un altro incursore stava sgozzando il pover’uomo di guardia, colto alle spalle.
Non appena il cadavere della sentinella fu adagiato al suolo i due entrarono dentro il magazzino, iniziando a infilare cariche di esplosivo in mezzo agli scaffali ricolmi di materiale bellico.
Non appena finirono l’esplosivo, Reno inviò un segnale via radio al suo superiore e rimase in attesa del successivo comando.
Il suo commilitone gli fece cenno di seguirlo, e i due uscirono dal magazzino per infilarsi in un secondo edificio, identico, dove altri due incursori attendevano ordini.
Ogni tanto si sentiva ancora qualche grido, rapidamente soppresso da chi aveva il compito di mantenere il perimetro sicuro, ma il campo era ancora completamente addormentato.
Dalla radio arrivò il segnale di evacuazione, e gli incursori abbandonarono la base nel silenzio più totale, tornando da dove erano venuti, lasciando i soldati addormentati e ignari di quanto fosse appena accaduto.
Due minuti dopo, il centro di comando ed i magazzini esplosero in un pilastro di fiamme, e la Federazione subì il primo smacco sulla superficie di Palladium.
La battaglia per il pianeta aveva avuto inizio.
 
Maester poggiò la vanghetta da trincea a terra e fissò il disastro che i sabotatori ribelli avevano compiuto in uno dei tanti avamposti creati intorno al campo base Federale, costringendo i lealisti a ritardare di qualche giorno le operazioni militari.
Contemporaneamente, altri tre avamposti avevano subito attacchi simili, causando in totale fortunatamente solo un centinaio di morti, ma anche perdite di materiale per centinaia di migliaia di crediti Federali; tuttavia, considerando la facilità con cui il nemico aveva superato le loro linee, potevano ritenersi molto fortunati.
Era dall’alba che continuava a scavare in mezzo alle macerie del magazzino, cercando di recuperare qualcosa, ma finora era riuscito a salvare solo due barattoli di pesche sciroppate e una cassa di proteine concentrate, non un granché.
Alzò gli occhi al cielo e si asciugò col dorso della mano il sudore che copiosamente colava dalla fronte e finiva per inzuppare la canotta bianca che indossava in quel momento.
In cielo, accarezzate dai raggi dell’abbagliante sole, si stagliavano le grandi astronavi della Federazione adibite al trasporto di mezzi marittimi, dei bestioni bianchi lunghi almeno seicento metri e alti quanto un palazzo di dieci piani, in grado di trasportare perfino una portaerei nucleare.
In quel momento almeno una dozzina di quelle navi stavano ammarando nell’oceano che circondava l’isola su cui il contingente militare Federale si era insediato, scaricando lì altrettante cacciatorpediniere di ultima generazione.
Non era stato per niente entusiasmante, né per lui ne per i suoi superiori, scoprire che l’intera armata era relegata su un’isola grande quanto l’Irlanda Terrestre, separata dal continente principale da un canale largo poco più di cinquecento chilometri nel tratto più stretto, un’isola piatta e praticamente priva di qualsiasi rilievo degno di tal nome, così indifendibile che i pochi uomini della guarnigione ribelle si erano arresi dopo nemmeno un’ora di combattimenti.
Il nemico invece era là, sul continente, al sicuro dentro chissà quale fortificazione costruita negli almeno due mesi che avevano avuto per prepararsi al contrattacco Federale.
I generali Federali non sapevano quanti nemici avessero di fronte a loro, né come fossero armati, né dove fossero esattamente.
Qualsiasi tentativo di rilevazione dall’orbita era bloccato da un disturbo di segnale non identificato, e qualsiasi ricognitore, caccia o convertiplano che fosse, veniva abbattuto prima di entrare nelle acque territoriali.
Da settimane ormai le astronavi bombardiere colpivano dall’orbita la superficie del pianeta, sparando però quasi alla cieca e rischiando frequentemente di essere abbattute.
Ciononostante, l’ipotesi di uno sbarco frontale si faceva sempre più vicina.
L’unico punto adatto ad effettuare un’operazione del genere, ad una distanza accettabile sia dalla loro posizione sia dalla capitale del pianeta, era una linea costiera lunga circa centocinquanta chilometri, composta da una serie quasi ininterrotta di spiagge profonde fino a trecento metri intervallate in maniera incostante da piccole baie e falesie alte fino a venti.
Un vero inferno, a detta degli ufficiali superiori, ma l’unica altra opzione era tentare un nuovo sbarco aereo, ancora più difficile dato che non sapevano come fosse messa la contraerea avversaria che, data la loro fortuna, era sicuramente ancora in perfetta operatività.
Maester si rimise a scavare, spostando zolle di terra e detriti fusi con non poca fatica, ma ancora si tormentava pensando a cosa stavano andando incontro, impreparati e demoralizzati, privi delle conoscenze necessarie per compiere un’operazione di tale delicatezza e grandezza, senza ricognizioni, senza rifornimenti sufficienti e per poco senza neanche le munizioni.
Ma un aspetto positivo, per fortuna, c’era.
Almeno non era un fante.
 
Drusus fissò il piano olografico su cui stavano proiettando la simulazione della battaglia che presto si sarebbe svolta.
Il piano lo convinceva ben poco.
<< Voglio un bombardamento intensivo per tutte le ventiquattr’ore precedenti, inizieranno le bombardiere e si aggiungeranno in breve tutte le forze navali e infine i bombardieri aerei, tutto prima dell’alba, a scaglioni. Seguirà una prima ondata aviotrasportata, e le operazioni anfibie inizieranno esattamente al sorgere del sole. I ponti di volo sono pronti? >> chiese il generale Aforisis, il comandante in capo dell’operazione, un uomo anziano, basso e largo, dai radi capelli e dalla fronte lucida.
<< Sull’isola sono state preparate quindici piste di atterraggio, ma gli incursori nemici le hanno parzialmente danneggiate. >> rispose un attendente nascosto nell’ombra della vasta e scura sala di comando dell’ammiraglia su cui Drusus si trovava.
<< Attenderemo che vengano riparate e che i velivoli vengano trasferiti. Possiamo permetterci di rimandare l’assalto, sì? >> continuo Aforisis, asciugandosi la fronte con un fazzoletto di seta.
<< Il tempo non sembra intenzionato a peggiorare, anche se il rischio che si metta a piovere di nuovo è elevato. >> rispose un alto ufficiale dal petto decorato di medaglie e stemmi.
<< Bene. Intensificate la sorveglianza nei campi, non voglio si ripeta più un attacco del genere. >>
<< Sissignore. >> rispose l’attendente mettendosi sull’attenti e uscendo dalla sala.
Drusus guardò i volti degli altri presenti, una schiera di colonnelli, brigadieri e maggior generali tronfi e superbi, resi troppo sicuri delle capacità loro e dei loro uomini dalle precedenti campagne contro la Piaga.
Ma le pedine in gioco erano ben diverse questa volta: davanti non avevano un animale che, seppur intelligente, era comunque limitato dalla sua stessa natura primitiva, davanti avevano uomini uguali a loro, con le stesse capacità offensive e strategiche, un nemico che non avanza solo perché affamato e in cerca di cibo, bensì uno che sa quando è il momento di ritirarsi e quando invece è più conveniente colpire, ma soprattutto un nemico che combatteva per un ideale, e gli ideali possono spingere i soldati a gesta inumane.
<< Tre giorni, signori, tre giorni e inizierà l’operazione Tyr. Il consiglio è sciolto. >> concluse Aforisis, poggiando le nocche sul piano olografico, osservando le figure luminose che si muovevano nell’aria all’interno del sottile blocco di cristallo.
Drusus non era per niente sicuro di ciò che stavano per fare ma qualcosa, in una maniera o nell’altra, andava fatta.
E lui di certo non si sarebbe rifiutato di compiere il suo dovere.

   
 
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